Viviamo in un mondo complesso, non so se l’avete notato, in cui ormai quasi più niente è ciò che sembra. Il linguaggio cinematografico si è evoluto ma si è evoluto anche il linguaggio all’interno dei film. Fateci caso: in ogni action contemporaneo, diciamo post-Stahelski ma tenendo le maglie molto larghe, quasi niente si chiama più col suo nome. Odierei sembrare nostalgico di un’epoca che neanche mi appartiene, ma non siamo mai stati così lontani dalla sobria semplicità degli Hill e dei Mann in cui, oh, se uno faceva l’autista il film si chiamava The Driver, se faceva il ladro il film si chiamava Thief.
Da John Wick in poi, e lo dico col massimo entusiasmo per John Wick, la lingua dell’action ha adottato (esisteva anche prima, lo so, ma spero siamo tutti d’accordo che Kolstad l’ha codificato e trasformato in un trademark del genere) questo meccanismo retorico basato sull’understatement inzuppato nell’ironia per cui si chiama una cosa losca e pericolosa con il nome di qualcosa di triviale e ordinario. Faccio qualche esempio che si capisce meglio: John Wick va in hotel, ma in realtà è una safe house per gli assassini; fa una prenotazione al ristorante, ma in realtà è un servizio per lo smaltimento dei cadaveri; va da uno che si fa chiamare “il sommelier” ma in realtà lo rifornisce di pistole. In Nobody (sempre di Kolstad) Bob Odenkirk andava “dal barbiere” che in realtà era un agente della CIA. Tutta la saga di Kingsman è costruita attorno al feticismo per abiti sartoriali che in realtà sono un incrocio tra i gadget di James Bond e l’armatura di Iron Man. In quella puzzonata di Gunpowder Milkshake un diner anni 50 era un ritrovo per assassini e una biblioteca l’armeria e potrei andare avanti ancora per un po’.
Siamo onesti, questa gag la prima volta fa sorridere, la seconda volta fa sorridere, la terza volta ha rotto il cazzo.
Ecco, alla luce di tutto ciò, quando vedo che esiste un film di gangster che si chiama The Outfit e nei poster c’è Mark Rylance vestito di tutto punto circondato da stoffe e strumenti da sarto… io una cosa chiedo a questo film, una sola: che Mark Rylance faccia effettivamente il sarto, che il suo negozio sia il vero negozio di un sarto, che la gente vada lì a farsi dei fottuti abiti. E CHE SOLO IN UN SECONDO MOMENTO il mondo dei gangster faccia irruzione nella storia stravolgendo la quieta esistenza di Mark Rylance, sarto. Quello che invece NON VOGLIO da questo film è una di quelle situazioni in cui “il sarto” è il nome in codice di un killer, in cui la sartoria ha i passaggi segreti e le pareti che si girano e dietro c’è una collezione di fucili d’assalto, in cui “fare un vestito” è un eufemismo per un omicidio su commissione.
Che posso farci, sono un uomo semplice e voglio semplicità nei miei film di gangster ambientati nel mondo della sartoria.
Lo dico subito così non state in pensiero per me fino alla fine della rece: sì, sono stato accontentato, ma dopo 10 minuti non me ne importava già più niente, volevo solo 4 ore di documentario sulla fabbricazione dei vestiti con Mark Rylance che parla tutto ASMR di come si fa un cartamodello o di come si accorcia una manica.
Incurante di ciò, o forse proprio per questo, quando il crimine fa irruzione nel negozio, inesorabile e non richiesto, è proprio un bel crimine perché è esattamente il crimine che ti aspetti, come te lo aspetti, ma non dove te lo aspetti. Cioè in una sartoria. Ci sono tutte le maschere del film di gangster, il don saggio, il figlio impulsivo, la guardia del corpo stupida e la guardia del corpo furba e il povero stronzo che non c’entra un cazzo; famiglie in guerra fra di loro, rapporti di lealtà esasperati, l’immancabile caccia alla talpa che poi chissà se esiste davvero… Tradimenti, colpi di scena, colpi alle spalle, colpi di tosse, equilibri che si ribaltano, nessuno è innocente, ma tutti hanno degli ottimi argomenti e un guardaroba impeccabile (anche le donne!). È il film di gangster vecchia scuola, atmosfera e strade risapute, che tutti volevamo e nessuno osava chiedere perché al giorno d’oggi, signora mia, è tutto uno strizzare l’occhio e sfondare la quarta parete, ci si preoccupa solo che la storia sia rassicurante e gli attori che la interpretano simpatici.

Questo è un film di gente che si fa i cazzi propri. Non si guardano in faccia tra di loro, figurati se guardano in macchina
È quella che si dice una sceneggiatura a orologeria, una di quelle storie dove all’inizio è un gran caos ma ora della fine ogni singola cosa va perfettamente al suo posto. I piani iniziali vengono scombinati dagli imprevisti e gli imprevisti salta fuori che facevano tutti parte del piano. In effetti, The Outfit ha tanto della struttura dell’heist – dove l’heist non è rapinare un casinò ma portare a casa la pellaccia: una gara d’intelligenza e sangue freddo, ma costretta in due stanze e mezza, con l’azione ridotta al minimo e girata come un dramma da camera. Un dramma da camera di menare, non vedo perché no.
Mi aspettavo, dietro la macchina da scrivere – perché un film del genere non può che essere scritto con la macchina da scrivere – uno sceneggiatore scafato o un nostalgico dei vecchi tempi, magari un romanziere cresciuto nei bassifondi di Chicago con la passione degli abiti su misura. Invece Graham Moore è il fichetto che ha esordito vincendo un Oscar per The Imitation Game, lo sciapo biopic su Alan Turing interpretato dal Dottor Strange di una manciata d’anni fa. The Outfit è il secondo film che scrive e il primo che dirige. Vaffanculo. Lo fa con una tale eleganza, coolness e la mano così ferma che sono indeciso se perdonargli The Imitation Game o credere a un caso di omonimia. Magari è un genio in incognito. O magari ha solo avuto l’intuizione di beccare l’attore più giusto dell’universo per un racconto del genere.
Non sentitevi in colpa se il nome di Mark Rylance non vi ha fatto suonare subito una campanella. È uno di quegli attori di teatro col cazzo così grosso che se quando è sul palco fa ondeggiare il bacino schiaffeggia le prime otto file, ma per chi non segue lo Shakespeare Theatric Universe, al cinema e in tv Rylance negli ultimi 40 anni ha fatto per lo più ruoli di supporto o personaggi minori in racconti corali (solo negli ultimi anni Don’t Look Up, Il processo ai Chicago 7, Dunkirk, Il ponte delle spie dove s’è beccato un Oscar per il meglio attore non protagonista soffiandolo, mannaggia, a Sly). Non mi stupisce che per noi giovani adulti fosse immediatamente più riconoscibile il resto del cast, un trittico di ex-teen boni composto da Dylan O’Brien (quello di Maze Runner e Teen Wolf), Johnny Flynn (quello di Lovesick + David Bowie nel film su David Bowie che non ha visto nessuno) e Zoey Deutch (Everybody Wants Some, Zombieland 2 ed è la figlia di Lea Thompson, cosa che ignoravo completamente). Bravi, in bolla e affascinanti il giusto, soprattutto Deutch nel ruolo della ragazza tosta che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, ma siamo onesti, c’è una sproporzione spaventosa: Rylance se li divora e non lascia neanche le briciole. In effetti, il film finisce dopo appena un’ora e 45 perché a quel punto Rylance si era mangiato tutto, anche la pellicola.

– Ma come ci riesci a essere così fico?
– Si chiama essere un inglese di 62 anni che fa Shakespeare
The Outfit è una bellissima sorpresa: dura il giusto, dice quello che deve dire, non fa il fenomeno ed è esattamente quello che dice di essere. Non piacerà a tutti ma non darà fastidio a nessuno, non passerà alla storia e non farà il record di incassi, ma ti tiene incollato allo schermo per quasi due ore. Con quello stile e quel registro che blandisce la nicchia di una nicchia, è il leggendario thriller per adulti a medio budget che sembrava estinto negli anni 90. E che invece in questi ultimi anni stiamo vedendo sbucare sempre più spesso e nei posti meno ovvi. Inizio a sospettare che chi dice “c’è solo la Marvel” lo dica perché guarda solo la Marvel.
Blu-ray quote:
“Ok ma ora dateci la director’s cut in cui Mark Rylance parla di moda maschile per 4 ore di seguito”
Quantum Tarantino, i400calci.com
non spernacchiatemi The Imitation Game che non sarà un gran film per carità ma ha un finale straccialacrime e c’è la donna cucchiaio meno cucchiaosa del solito…. comunque questo lo si salva e guarda…ah e magari fosse vero che non c’è solo la Marvel..magaraaa (cit)
Ma è vero che non c’è solo la Marvel. Così come non c’è solo la trap italiana, non c’è solo Call Of Duty e non ci sono soltanto i libri Young Adult. Il problema è che molte persone sono troppo concentrate a scagliarsi contro il mainstream (che è ovviamente criticabilissimo) e ignorano tutte le alternative, sono talmente prese nella loro crociata che si sono dimenticate di coltivare le loro passioni.
non ci sono, se è per questo, neanche le mezze stagioni
Caro Quantum, una volta qui era tutta erba. Poi sono passati i Cypress Hill.
scusate non riesco a leggere i commenti con l’elmo da crociato..potreste mandarmi un messaggero?
Mereghetti, anzitutto il commento sui crociati non era rivolto a te, quindi permettimi di scusarmi perché evidentemente non mi ero spiegato bene.
Mi riferivo ad un atteggiamento generale che vedo su Internet, di gente il cui odio per il mainstream (che ribadisco, non è e non deve essere esente da critiche anzi con le critiche puoi riempirci un’enciclopedia) offusca completamente il loro modo di vedere cose.
Anche su questo sito vedo delle cose assolutamente assurde, tipo un commento che dichiarava che Fury Road andava ridimensionato perché siccome il mainstream fa schifo si da del capolavoro ad ogni cosa a malapena discreta.
E credo che non debba spiegare quanto tossico sia questo modo di ragionare, perché così ti fai condizionare dal mainstream esattamente come quelli che lo subiscono passivamente.
Di nuovo, non volevo prendermela con te direttamente e se il mio post non ti ha dato quell’impressione mi assumo ogni responsabilità.
ma va ma ci si può anche perculare serenamente..la mia era una battuta…comunque sul perchè non è vero che esiste o non esiste solo la Marvel..(ovvio che non esiste “solo” la Marvel altrimenti saremmo già tutti morti di noia)…film come questo, film trillerosi/actionosi/noirosi di menare ma non troppo chiamiamoli come si vuole e che escono dal mondo dell’attorame e delle produzioni dei pigiami, ma che allo stesso tempo non si uniformano al “nuovo” trend iperseriale scoppiazzando i Wick e i Taken di turno (che a loro volta dopo la prima botta più o meno innovativa rispetto all’action anni 80 90 si sono adagiati e ormai sono ridicoli nella loro ripetitività e pochezza)…insomma… film one shot con attori bravi ma non troppo noti e che filano senza bisogno di hype, trailer e reaction varie, insomma film che avrebbero avuto successo anche negli anni 90…sono semplici eccezioni tutto qua..e se sono eccezioni ed è più facile dire a cosa non somigliano, a quale pubblico possono piacere ecc…beh allora il resto(purtroppo) è ancora predominante, che si voglia parlare di crociate o semplicemente arrendersi a un dato statistico.
Detta questa cagata che non frega a nessuno mi ritiro nella cripta.
p.s. Il ponte delle Spie è un film abominevole, credo che S.S. si stia ancora chiedendo perchè abbia messo il suo nome su una cosa così fiacca
Anche a me The Imitation Game era piaciuto molto!
E ALLORA GUARDATEVI THE IMITATION GAME SEE IF I CARE I DON’T CARE
Mereghetti, anzitutto il commento sui crociati non era rivolto a te, quindi permettimi di scusarmi perché evidentemente non mi ero spiegato bene.
Mi riferivo ad un atteggiamento generale che vedo su Internet, di gente il cui odio per il mainstream (che ribadisco, non è e non deve essere esente da critiche anzi con le critiche puoi riempirci un’enciclopedia) offusca completamente il loro modo di vedere cose.
Anche su questo sito vedo delle cose assolutamente assurde, tipo un commento che dichiarava che Fury Road andava ridimensionato perché siccome il mainstream fa schifo si da del capolavoro ad ogni cosa a malapena discreta.
E credo che non debba spiegare quanto tossico sia questo modo di ragionare, perché così ti fai condizionare dal mainstream esattamente come quelli che lo subiscono passivamente.
Di nuovo, non volevo prendermela con te direttamente e se il mio post non ti ha dato quell’impressione mi assumo ogni responsabilità.
pacino credo sia chiaro quello che intendevi ma tranquillo, ti difendo io se mereghetti ti fa brutto
Mark Rylance é anche la voce di Flop nel cartone animato Bing! (scusate, ho una figlia di 3 anni)
Flop! Modello inarrivabile di genitorialità…
Non alza mai la voce, ha sempre una soluzione, riesce a sopportare ogni boiata di quel coniglio mentecatto con una classe insuperabile.
Poi si dice che noi genitori abbiamo un complesso di inadeguatezza grosso così… è ovvio! Se il modello è Flop siamo più che inadeguati, maledizione!
ma è una cosa bellissima, non ne avevo idea ♥
Altro film bello, recensito un pò male. Male perchè il pezzo non stimola e non guida la visione, è confuso per chi non ha visto il film e povero per chi l’ha visto. E non è scritta molto bene, con i cazzo e i vaffanculo buttati lì per fare i giovani ( come se non sapessimo le parolacce e le si usasse per fare i grandi).
Ma siamo a due film belli in poco tempo ( l’altro è il Western) e quindi perdono il recensore.
Bene, è un inizio.
po’ non si scrive con l’accento, le maestre sono piuttosto chiare su questo fin dalla prima elementare, ma immagino che la tua fosse una provocazione per stimolare il dibattito
Si chiama refuso, errore, mancanza, svista, etc. Ma se rimarcare questa ovvietà ti serve per invalidare il contenuto del commento e sentirti un uomo migliore, fai pure.
tranquillo l’inizio, ti garantisco che il tuo commento, con o senza sapere come si scrive po’, ha ricevuto tutta la considerazione che meritava! 👍
L’inizio sposami <3
“ti tiene incollato allo schermo per quasi due ore. Con quello stile e quel registro che blandisce la nicchia di una nicchia, è il leggendario thriller per adulti a medio budget che sembrava estinto negli anni 90”.
In effetti la rece non stimola la visione. Generalmente si scrive “ti addormenti mentre lo guardi” , e allora tutti corrono a vederlo. Ma qui sono tutti mattarelli…
Hai iniziato bene. Bravo!
Già che devi correggere, Quantum:
“fucili da sarto” nella parte iniziale, prego.
l’inizio di un nuovo Pier?
Secondo me, è il remake
Ragazzi e’ uno che ha detto la sua, siamo in un mondo libero, si puo’ anche dire che una recensione ci fa cagare se non ci piace eh. Tra parentesi, a me e’ piaciuto sia il film che la rece. Altra parentesi, credo che Mark Rylance abbia fatto anche il tizio genio in Ready player one
ah l’ingenuità…
Mark Rylance l’ho intercettato per la prima volta in quella bomba di Wolf Hall, poi essendo non-giovane non ho nemmeno idea di che facci abbiano Dylan O’Brien o Johnny Flynn…
Grazie della recensione, decisamente nelle mie corde e cerco di recuperarlo (anche Old Henry mi ha soddisfatto tantissimo). Purtroppo anche io del team “Imitation Game non mi è dispiaciuto”, ma chiedo venia Alan Turing, Nikola Tesla e i mostri grossi sono la mia kryptonite: mi bevo tutto.
Mark Rylance aveva avuto un lampo di celebrità cinematografica con “Intimacy”, poi si era eclissato fino all’amicizia con Spielberg. Ed era portentoso (e in più audace) anche allora.
Ciao. Vorrei sapere se è possibile iscriversi a questa pagina per seguirla e avere aggiornamenti in modo da non perdermi più nessuna rece tipo questa, che ho trovato entusiasmante. Grazie.
Mirosa Parente
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