Quando uno come David Cronenberg decide di chiudere un cerchio della sua impareggiabile carriera riprendendo spunti e titolo da un suo cortometraggio degli inizi, è il segnale per far partire la retrospettiva. E noi, puntualissimi, rispondiamo. Seguiteci nel nostro nuovo, imprescindibile speciale: Le basi – David Cronenberg.
Un cinefilo con gli occhiali tondi, la pipa in radica e una tesi al DAMS su Béla Tarr, un’appassionata di horror con la maglietta dei Regurgitate che l’ultima volta che ha visto un film senza uno squartamento era il filmino della sua prima comunione e un nerd da manuale con il dolcevita a collo alto e le orecchie chirurgicamente modificate per assomigliare a quelle di un vulcaniano entrano in un bar. Il barista chiede “che cosa vi porto?” e il gruppo risponde all’unisono “David Cronenberg!”.
Poi si scopre che le tre persone sono in realtà la stessa persona, un’orrida ibrida fusione di carni che si chiama proprio David Cronenberg. La congerie di arti esce dal bar barcollando, viene investita da un camion, si fonde con il suo radiatore e acquista poteri telepatici.

David Cronenberg nel 2012, poco prima di diventare una congerie di arti. Foto Alan Langford.
Il mondo secondo David Cronenberg è il classico posto che ti fa pensare “bello, ma non ci vivrei”, almeno finché non scopri che ci stai già vivendo. Canadese, figlio di una musicista e di uno scrittore, cresciuto immerso tra libri e fumetti e incidentalmente anche un po’ di cinema, Cronenberg è stato ficcato per anni e un po’ a forza nel novero dei “masters of horror”, la generazione dei Romero e dei Carpenter e dei Craven. E non senza una minima parte di ragione: c’è la coincidenza cronologica, certo, ma c’è anche il fatto che i suoi primi film erano horror, erano film di genere come Cronenberg stesso ci tiene sempre a ribadire con orgoglio. Faceva più o meno le stesse cose degli altri e più o meno nello stesso periodo: è il motivo per cui Il demone sotto la pelle, Rabid e The Brood vengono spesso accostati agli altri horror del periodo, con i quali condividevano il linguaggio anche se non necessariamente i temi.
La verità è che il modo migliore per accostarsi a Cronenberg è vederlo per quello che era davvero almeno all’inizio della sua carriera, cioè l’unico possibile erede di Philip Dick; e di accettare che “body horror” è un’espressione dal significato più ampio di quello che possa sembrare alla lettera.

Anche questo è body horror.
A David Cronenberg interessa il corpo umano, e questo comprende non solo il sangue, le ossa, le viscere e tutto quello di fisico che ci portiamo addosso in quanto sacche di carne, ma anche il mondo intangibile e sfuggente che abbiamo nel cervello. E come vale per Philip Dick, a Cronenberg interessa soprattutto la manipolazione del corpo umano, e la sua capacità di trasformazione. Dick si era concentrato soprattutto sulla commistione tra umano e tecnologico, con più di una digressione nel mondo della droga e della psichedelia; Cronenberg ha preso questa idea, ci ha innestato sopra una cascata di altre influenze derivanti dalla sua divorante passione per la lettura e la scrittura, e l’ha fatta esplodere in direzioni che il suo predecessore non aveva neanche sfiorato. Cronenberg è Dick se fosse stato esposto a Pynchon, a Ballard, ad Asimov, a Captain Marvel, ai fumetti di Tarzan.
La succitata divorante passione per la lettura e la scrittura è un altro dei dettagli decisivi per capire Cronenberg. Cresciuto in una famiglia colta, ha sempre cullato l’idea di scrivere un romanzo e diventare uno scrittore di successo, e soprattutto ha avuto un’educazione letteraria formale che contrasta con il suo approccio al cinema: caotico, anche stridente all’inizio (Cronenberg racconta spesso che il padre provava a fargli vedere i grandi classici tipo Il settimo sigillo ma lui voleva vedere i film con Burt Lancaster che faceva il pirata perché trovava i trapezi una figata), disordinato come quello di un adolescente dei primi anni del file sharing selvaggio – ma negli anni Cinquanta e Sessanta a Toronto, il che immagino che renda non solo Cronenberg ma anche il suo sempre squattrinato padre due visionari.

Anche lui sta visionando.
Il punto è che questa anarchica educazione al cinema, unita al fatto che Cronenberg è completamente autodidatta e non ha mai seguito alcun percorso accademico per diventare regista, lo ha portato a sviluppare uno stile e soprattutto un modo di raccontare le sue storie che è personalissimo, riconoscibile, unico, e potenzialmente respingente per chi ritiene necessari certi formalismi e il rispetto di certe regole. I film di David Cronenberg, almeno quelli della prima parte della sua carriera, sono raramente “normali”, e non rispettano quasi mai i canoni della progressione narrativa, della costruzione della tensione, degli stilemi del genere di riferimento. Come succede per un altro famoso David che debuttò in quegli anni, i film di Cronenberg hanno quasi sempre un ritmo tutto loro, rallentano quando dovrebbero accelerare, o al contrario ti smarmellano tutto in faccia per un tempo più lungo di quello che sarebbe sopportabile. Sono “onirici”? Forse sì, nella misura in cui raccontano le cose come vengono in mente al loro autore, nell’ordine e con i tempi che decide il loro autore, e non come sarebbe logico e “corretto” fare.
Questo mix tra evidente educazione autodidatta e altrettanto innegabile capacità di pescare spunti di cultura altissima e ricoprirli di sangue, budella o metallo accartocciato ha sempre mandato in confusione la critica e, io credo, protetto Cronenberg da certe cattiverie che toccavano invece spesso ai suoi contemporanei. Perché di fronte a oggetti cinematografici così anticonvenzionali ma anche così colti è impossibile lanciarsi in panegirici deridenti o in quei classici pezzi scritti solo per sfogare la propria intrinseca cattiveria su una povera vittima scelta a caso; ti rimane sempre il dubbio che ti sia sfuggito qualcosa, che la colpa sia tua se non ti è piaciuto. Non lo dico come sottile critica a Cronenberg stesso, ovviamente! Anzi credo che una delle sue caratteristiche migliori sia che i suoi film siano così non in seguito a una studiata ricerca dei pezzi migliori con cui assemblare il suo prodotto da art house ma perché gli sono usciti così. È un autore genuino e genuinamente disinteressato a collocarsi in un qualsiasi filone che non sia “i film che faccio io”.

“dude”
Che è poi quello di cui siamo qui a parlare! Comincia LE BASI su David Cronenberg per cui preparatevi a un lungo viaggio che ci accompagnerà bla bla bla. Ci sarà modo di tornare su tutte le robe che ho accennato sopra e parecchie altre, e ci si divertirà da matti! Ricchi premi ed entrailles per chi parteciperà! Partiamo dalle Basi delle Basi: i primi due corti della carriera di David Cronenberg, e i primi due lungometraggi muti girati subito dopo. In pratica quello che è successo prima di Il demone sotto la pelle. Come diceva quel famoso video (NSFW), “possiamo cominciare!”.
Transfer (1966)
https://www.youtube.com/watch?v=MKsXmEpXubYI primi due cortometraggi della carriera di David Cronenberg, e Transfer in particolare, dimostrano quello che scrivevo sopra sulla necessità di ampliare il concetto di “corpo” così da includere anche i suoi aspetti intangibili. In altre parole, se hai 23 anni, zero esperienza cinematografica, sostanzialmente zero budget e sei minuti da riempire, è inutile provare a buttarla sul body horror, inventarsi effetti speciali, tutta roba che Cronenberg al tempo non solo non poteva permettersi, ma ancora non immaginava che un giorno gli sarebbe servita. Transfer è un esperimento nell’accezione più pura del termine, un modo per il giovane David di dire “dai, proviamo a fare questa cosa del cinematografo e scopriamo come va”.
Transfer è la storia di uno psicologo e di un ex paziente ancora ossessionato da lui. Dura sei minuti ed è niente più che una serie di dialoghi surreali in un’ambientazione altrettanto surreale, teatrale nell’idea (due personaggi seduti a un tavolo che discutono) ma cinematografica nella messa in scena. Dimostra ancora tutti i limiti anche tecnici di un Cronenberg giovanissimo e soprattutto inesperto, che provava a imitare senza riuscirci troppo quelle poche, semplici cose che aveva imparato dai films. Ma dura solo sei minuti e contiene alcuni dialoghi estremamente cervellotici ma ben più stimolanti di quello che ci si aspetterebbe da un debuttante assoluto.
From the Drain (1967)
Dovete scusarmi tantissimo per questo improvviso scarto di tono ma a me From the Drain fa venire in mente Ciprì e Maresco e Cinico TV. Sono dodici minuti ambientati in una vasca da bagno, con due tizi uno dei quali è preoccupatissimo dallo scarico della vasca stessa. Si capisce dai loro dialoghi che sono veterani di guerra, e si intuisce che la vasca (e il bagno che ci sta intorno) è dentro un ospedale psichiatrico. È meno statico di Transfer e a me sembra che Cronenberg lo usi prima di tutto come palestra per imparare a girare i dialoghi, che sia il suo modo per studiare campi, controcampi, primissimi piani, dettagli delle mani, come si monta una scena del genere.
Un’altra cosa che emerge prepotente dai dodici minuti di vasca da bagno è la passione per le fazze che caratterizzerà tutta la carriera di Cronenberg, che è indubbiamente uno dei migliori registi di fazze della storia del cinema.
Stereo (1969)
Stereo, il primo lungometraggio di David Cronenberg, illustra plasticamente quanto scrivevo sopra sul fatto che i suoi film procedono un po’ come cazzo pare all’autore. È un film muto (perché la macchina da presa usata faceva troppo rumore) sul quale è innestato un voiceover che racconta, con tono paludato e scientifico, quello che stiamo vedendo: cioè l’attività di ricerca della Canadian Academy of Erotic Inquiry, ovviamente, cioè un ente che studia le correlazioni tra sesso e abilità telepatiche, e il cui scopo finale è quello di sostituire la famiglia tradizionale con quella telepatica, poliamorosa e poligama.
Il linguaggio usato dalle varie voci che raccontano il girato è spesso ai confini della satira e del technobabble, ma per la prima volta emerge la passione di Cronenberg per la trasformazione – che in questo caso è mentale più che fisica, in ossequio agli insegnamenti di Dick che sulla telepatia ci ha costruito mezza carriera. Stereo, poi, non ha alcuna forma di struttura narrativa tradizionale, è più una collezione di vignette, e probabilmente se uscisse oggi verrebbe chiamato “mockumentary” o qualcosa del genere. I frequenti silenzi, il monotòno con cui è narrato tutto il film, lo rendono una visione ipnotica ma anche faticosa se affrontata con lo spirito sbagliato. Ci vuole pazienza. Io lo trovo meraviglioso.
Crimes of the Future (1970)
https://www.youtube.com/watch?v=GOLJQmH4SXoSempre muto, questa volta a colori Crimes of the Future è un film post-apocalittico ambientato in un mondo in cui la moderna cosmesi – non genericamente “la cosmesi” ma specificamente quella moderna – ha provocato una pandemia che ha sterminato l’intera popolazione femminile. Il virus sta cominciando a colpire anche i maschi, per cui Adrian Tripod, direttore della clinica House of Skin che è incidentalmente anche il posto dove ha avuto origine la pandemia, si mette in viaggio in cerca del suo mentore, Antoine Rouge, l’uomo che ha creato i prodotti letali.
Il suo viaggio lo porta a visitare altri istituti di ricerca, tra cui uno che studia la relazione tra la podologia e gli oceani. Succedono altre cose, ma non voglio rovinarvi la sorpresa. Il punto è che Crimes of the Future è il primo film di Cronenberg nel quale dimostra la sua voglia di spingere il corpo umano inteso come gabbia di carne oltre i suoi limiti, e di scoprire cosa succede quando gli fai cose. Dove Stereo era clinico e quasi sterilizzato anche nella sua rappresentazione del sesso, Crimes of the Future è un film che contiene feticismo, pedofilia, stupri e una sostanza bianca e schiumosa che fuoriesce dagli orifizi delle persone infette.
La scelta di affidare tutto il voiceover a un unico personaggio (il protagonista Adrian Tripod, interpretato da Ronald Mlodzik che ritroveremo presto da queste parti) dà al racconto un ritmo e una qualità filmica che mancava a Stereo. D’altro canto però quasi tutto quello che succede è bizzarro, surreale, aperto a interpretazioni, per cui Crimes of the Future è per certi versi più ermetico del predecessore, più difficile da penetrare. Kim Newman, che di horror se ne intende, l’ha definito come “la prova che si può essere interessanti e noiosi allo stesso tempo”. D’altra parte dopo averlo fatto Cronenberg è entrato in partnership con Ivan Reitman e ha dato il via alla sua carriera vera e propria con il primo di una lunga serie di capolavori, Il demone sotto la pelle; per cui alla fine direi che ha avuto ragione lui.

COME NON L’AVEVATE MAI VISTA PRIMA
Vedo dal suo stato di agitazione che a Fabrizio non è sfuggito il dettaglio che Crimes of the Future è anche il titolo di un film di David Cronenberg del 2022, in uscita il 24 agosto nelle sale italiane. Grande Fab! È vero, il titolo è lo stesso. Vuol dire che è un remake? No! Cronenberg ha semplicemente preso alcuni dettagli del suo secondo lungometraggio e li ha poi sviluppati in altre direzioni, per cui vai tranquillo Fabri, anche se non hai un’ora da dedicare a Crimes of the Future quello vecchio puoi comunque andare al cinema a vedere Crimes of the Future quello nuovo.
E se proprio vuoi prepararti al meglissimo, questa sera sul nostro canale Twitch ci troverete alle 21 a parlare proprio di David Cronenberg, di Crimes of the Future, di body horror e anche, forse, di Kristen Stewart. E non saremo soli! Con noi anche due ospiti speciali: Gabriella Giliberti di Lega Nerd e il professor Massimo Canevacci, antropologo alla Universidade de São Paulo in Brasile e grande appassionato di Cronenberg e di mutazioni in generale. Potete anche decidere di non unirvi a noi, ma sappiate che farete piangere Caprotti.
Che dire, bellissimo e meraviglioso. Non avrei mai pensato a Cronenberg per le basi (mi aspettavo un Walter Hill o John Carpenter), ma grazie veramente. Mai visti i primi dello zio David e li recupererò tutti adesso.
Fremo e sbavo. Non vedo l’ora di vedere.
Grazie!
Le Basi! (urlato come “la banda!” nei BB). La mia rubrica preferita…
Ahahah io sono stato anche illuminato da un fascio di luce…
I due corti che Stanlio ha così gentilmente postato nel suo articolo non li avevo mai visti. Devo dire che guardando “Transfer” ho avuto l’impressione di essere di fronte ad uno sketch dei Monty Python, non se per la recensione o se per la generale atmosfera nonsense del corto…
I suoi primi due film invece li conoscevo, Crimes of the Future in particolare è una discreta bomba, al netto della “struttura” particolare che condivide con Stereo (film senza dialoghi ma con voce fuori campo)
Comunque bravissimi, un LE BASI di Cronenberg ci voleva proprio!