
Voce del verbo: fare brutto
Puntuale come le tasse – ma che dico: puntuale come la prostata ingrossata, la sciatica infiammata, la cataratta abbassata e la bocca dello stomaco inacidita –, semestrale e sulla carta ormai eccitante come le migliori assicurazioni auto e le più rinomate riviste di scienze forensi – in questo 2022 l’altro suo film è stato Blacklight (diretto dallo stesso guercio maledetto di Honest Thief), una roba talmente fetida che non abbiamo proprio trovato il cuore di coprirlo nonostante il nostro famigerato e sapido masochismo completista – torna sui nostri schermi il film di Liam Neeson (IMDb dice che siamo a 102, più una trentina di apparizioni in serie tv) con Liam Neeson che fa Liam Neeson nei panni di un Liam Neeson perfettamente consapevole che ormai al suo agente passano solo certi copioni da Liam Neeson e quindi chi glielo fa fare a Liam Neeson di leggerli sul serio? Basta il titolo, e Memory è un buon titolo: facile, istantaneo, normalmente accattivante. Facciamo che, senza neanche passare dal via, andiamo in Bulgaria – un paese dove ci sono le tasse buone, la birra economica e che con la sola imposizione delle produzioni di Liam Neeson sta per diventare la terza economia mondiale – giriamo sto benedetto thriller e poi vediamo cosa succede. Anzi, chissenefrega di vedere cosa succede. Lo facciamo e passiamo al prossimo, tanto non è che ci sia da aspettare di capire se il film ha guadagnato bene – pffft, ancora al botteghino pensate? Cosa siamo, nel 1997? – o se a qualcuno è venuta voglia dare un premio a Liam Neeson per la sua interpretazione – COSA SIAMO, PERDIO, NEL MILLENOVECENTONOVANQUATTRO? Fatto un Blacklight, via con un Memory. E che gli dèi del cinema ce la mandino buona.

“Ciao sono iooo”
Dice, ma chi l’ha diretto questo film? Ché tendenzialmente è un’informazione che potrebbe ben cambiare le carte in tavola e le sorti di una produzione. Risponde che il film l’ha girato Martin Campbell. Ostia, dice, Martin Campbell? Ma quale Martin Campbell però? L’ottimo Martin Campbell cui vorresti offrire un giro di amari come omaggio a GoldenEye e a Casino Royale? Quello buono buono, a cui comunque un paio di tramezzini al bar e una spuma glieli pagheresti, che ha fatto The Foreigner, Fuori controllo o Fuga da Absolom? Quello inscusabile e inchiavabile a cui infileresti le mani nel ciak per rifarti del dolore che ti ha causato con La maschera di Zorro più sequel, Lanterna verde o Amore senza confini? O ancora quello un po’ insulsetto di The Protégé e Vertical Limit, che faresti finta di non conoscere anche se il giorno prima avete bevuto una bozza di Petrus insieme? Vien fuori che il Martin Campbell presentatosi negli uffici di produzione nell’ex zona industriale di Sofia gentrificata dai soldi di Liam Neeson è il Martin Campbell buono buono che un lustro or sono aveva recuperato parte della dignità persa con Lanterna verde firmando un film solidone come The Foreigner. Buone notizie amici. E ce ne sono di ancora migliori: invece di assumere lo sceneggiatore zoppo che di solito scrive per Liam Neeson i film in cui Liam Neeson fa il Liam Neeson, questa volta gli scaltri americani hanno optato per il remake di un film fiammingo di 20 anni fa, a sua volta tratto da un romanzo altrettanto belga il cui protagonista, a sorpresa, è un anziano italiano di nome Angelo Ledda. The Alzheimer Case, si chiamava quel film qua, io non l’ho visto (non è stato distribuito in Italia e nel 2003 non c’erano i 400calci) ma mi fido di Roger Ebert e del suo giudizio positivo. Incentrato anche, ma non solo, sull’interpretazione del veterano protagonista (Jan Decleir), che Ebert qui paragona a un mix tra Anthony Quinn e Jean Gabin. Vogliamo arrivare a dire che, in Memory, la performance di Liam Neeson ricorda Anthony Quinn e Jean Gabin? No. In Memory, la performance di Liam Neeson ricorda Liam Neeson – come te lo interpreta, Liam Neeson, un uomo con un Alzheimer allo stadio avanzato? Balbettando, ma con carisma – ma tanto basta per impreziosire il giusto un thriller quadrato, denso senza esagerazioni ermetiche o pretestuose, ben calibrato e pieno di fazze corrette. Sigla ritardata! (Che sarà anche una riproposizione, ma trovatemi voi qualcosa di più bello. Io ne sono ossessionato e la riascolto almeno una volta al mese).

A proposito di fazze corrette: mai scordarsi di Ray Stevenson
In Memory Liam Neeson è un anziano assassino prezzolato di lungo, lunghissimo corso, che comunque la sua pagnotta se la porta a casa ancora più che discretamente potendo contare su una vasta esperienza, su del sangue freddo da competizione e sul fatto di essere Liam Neeson. Il nostro, in ogni caso, è arrivato al capolinea: l’Alzheimer a cui è geneticamente predisposto si è palesato e, come chi conosce personalmente la malattia ben sa, non prenderà neanche mezzo prigioniero. È solo questione di tempo, ed entro breve Liam Neeson si scorderà di chiamarsi Liam Neeson, altro che andare in giro con la pistoletta silenziata ad ammazzare gente su commissione. Memory è interessante (leggi: non scemo) anche perché non prende la strada, fortemente retorica, dell’ultima gloriosa missione del killer prima di appendere la garrota al chiodo. Liam Neeson scopre solo strada facendo che questo sarà il suo ultimo assegnamento, e lo scopre nel momento in cui lo pagano per eliminare una ragazzina messicana vittima di un circuito di prostituzione minorile. Liam Neeson, con tutta la lucidità che gli rimane e nonostante il suo personaggio sia lungi dall’essere un esempio morale, è inamovibile: i bambini non si uccidono. I suoi datori di lavoro, invece, la pensano diversamente e agiscono di conseguenza, tentando anche di eliminare l’ex collaboratore domicidestico. Scatta la tremenda punizione divina del Neeson, che non passa tramite la denunzia alle forze dell’ordine per ovvi motivi – auguri, giustamente, a trovare uno sbirro che stia ad ascoltare un sicario – ma anche per ragioni contingenti. La polizia e l’FBI, infatti, sono un po’ impastoiati con i figli di Mazinga dell’alta società texana coinvolti nella brutta storia; ma soprattutto, il sistema servito dalle guardie si fonda su sperequazioni strutturali che ostacolano la giustizia, piuttosto che agevolarla. Persino il dolente Guy Pearce e la sua ennesima pettinatura brutta soffrono questa situazione nei panni di un onesto agente speciale del FBI che vorrebbe fare la cosa giusta, ma che viene castrato da superiori corrotti. Insomma: i ricchi e i potenti, nel Belgio dei primi anni 2000 così come nella El Paso del 2022, vincono sempre e vincono facile. A meno che non intervenga Liam Neeson. Zan zaaan.

A meno che Liam Neeson non sia vittima di autocombustione
Grazie al Belgio, ordunque, il nordirlandese più apprezzato dalla gente che ama i pugni nelle nocche è finalmente tornato ad avere fra le mani un film passabile. La critica americana non ha apprezzato, e sinceramente la faccenda mi confonde. Memory non svolterà certo la stagione cinematografica di alcuno spettatore, ma rimane un thriller ben fatto, che non ha paura di edulcorare la pillola (o di far recitare Monica Bellucci), che tratteggia un paio di personaggi (Neeson e Pierce) con grande efficacia pur rimanendo all’interno degli archetipi del genere e che è stato diretto con una salubre dose di mestiere da uno che, quando vuole ed è messo nelle condizioni giuste, un buon film è in grado di girarlo. Non ci sono maccosa in Memory, né piccoli né giganti, e (vivaddio) manca quel senso di sconforto che lo stadio terminale in cui versa la carriera di Neeson ha infuso in ogni suo film recente. Dategliela una chance a questo valido piccolo thriller, che potrebbe essere uno di quei film ideali per il mercoledì sera. Dategliela una soddisfazione allo sceneggiatore di questo film, che è solamente al suo secondo tentativo cinematografico dopo lunghe esperienze televisive (fra cui The Punisher) e che, soprattutto, si chiama DARIO SCARDAPANE. Credete ancora, un’ultima volta, in Liam Neeson che minaccia la gente al telefono e deambula con una certa difficoltà (ben nascosta da Martin Campbell, anche in questo caso professionista eccelso) mentre va in giro a fare brutto alla gente cattiva anche se lui non è propriamente il più buono di tutti. Vogliamoci bene e abbracciamoci forte.
Dal vangelo secondo Liam Neeson
«Io vi troverò. E se mi pagate abbastanza bene, farò un film con voi»
Toshiro Gifuni, i400calci.com
La Maschera di Zorro è un bel film e morirò su questa collina per difenderlo.
Sul seguito non mi esprimo, mai visto.
Parlando di Memory.. L’espressione “film ideali per il mercoledì sera” me l’ha venduto, con una bella dose di nostalgia. Mi manca l’elemento sorpresa di fare zapping e scoprire le cose, mi manca uscire con gli amici improvvisando il film da vedere.
Mi sento vecchio.
Poi mi ricordo che il primo Taken è di quasi quindici anni fa, ri-leggo la statistica riportata dal buon Gifuni sui 100+ film di Liam Neeson.
E non è più un sentore.
Il tempo passa.
Per me Liam ormai è una sicurezza, a me non ha mai deluso.
Sarà perché era uno dei miei attori preferiti pure prima di diventare un calcista a tempo pieno, quindi W Liam Neeson.
P.S.: Dario Scardapane si candida a dominare i Jimmy Bobo per i prossimi cento anni
dritto nel cestone anche questo… povero Liam mi è diventato un Nic Cage senza la parte divertente…
Neeson: “Non ricordo un cazzo”
Pierce: “Ti piacciono i tattoo?”
I casting, quelli belli…
A me è piaciuto anche se l’ho visto domenica e non mercoledì.
Martin Campbell? Lo vedo
Gli ultimi di Liam bene o male si lasciavano vedere con una chicca non-stop due cosi’ run all night e l uomo del treno uno mediocre quello dei ghiacci e due cagate come honest thief e blacklight
c’è anche quella bella fazza da schiaffi di Louis Mandylor in un cameo in cui prende, appunto, due schiaffi.
Ho dovuto cliccare il link a imdb per rendermi conto che Dario Scardapane è un nome vero. Pensavo avessi fatto una di quelle traduzioni buffe del nome originale.
Premio Jimmy Bobo alla carriera.