Quando uno come David Cronenberg decide di chiudere un cerchio della sua impareggiabile carriera riprendendo spunti e titolo da un suo cortometraggio degli inizi, è il segnale per far partire la retrospettiva. E noi, puntualissimi, rispondiamo. Seguiteci nel nostro nuovo, imprescindibile speciale: Le basi – David Cronenberg.
Due anni dopo Shivers, David Cronenberg è in quella posizione in cui tutti gli autori di prodotti controversi vorrebbero essere: la maggior parte dei critici, dei giornalisti, la stessa Canadian Film Development Corporation, ne prendono le distanze, usano parole come violento, schifoso, ne facevamo anche a meno, pensate ai bambini, ecc. Conti alla mano, però, Shivers fu uno dei maggiori successi commerciali del 1975, e quando Cronenberg ha detto “ne voglio fare un altro”, gliene hanno fatto fare un altro. Shut up and take my money, senza pensare alle conseguenze.
Anche in questo caso Ivan Reitman è produttore esecutivo, e quando il casting di Sissy Spacek viene rifiutato è sua l’idea di prendere come protagonista Marylin Chambers, celebre attrice pornografica, in un tentativo di far parlare ulteriormente di sé e attirare più spettatori. Ovviamente quest’idea, come tante altre, fu un successo e Rabid finì per incassare un altro milione di dollari, facendo tutti felici e consacrando ancora di più questa cosa che verrà chiamata il Culto della Nuova Carne.
In breve: Rose, il personaggio di Marylin Chambers, è vittima di un incidente motociclistico. Per salvarla dalle bruciature viene usata una nuova tecnica di trapianto di pelle sperando che tutto vada bene. Spoiler: tutto non andrà bene, e Rose si trasformerà nel paziente zero di un’epidemia di rabbia, guadagnando anche un’ambigua fessura sotto l’ascella e un pene-pungiglione con cui succhiare sangue delle sue vittime. Da Shivers: il demone sotto la pelle a Rabid: la vagina sotto l’ascella. Chiedo scusa, vado avanti.
A differenza di Shivers, Rabid si presenta come un film più impostato e studiato: per quei 10 minuti in cui Cronenberg si concede di essere un regista normale, il film è costruito con rigore, utilizzando una colonna sonora che lo fa sembrare un film come tutti gli altri, mentre medici parlano di nuove frontiere delle chirurgia (oserei dire per la prima volta) e il trapianto di pelle viene mostrato senza tanti problemi. Il racconto si evolve seguendo varie linee narrative mentre Rose continua a mietere vittime e la città si trasforma, piano piano, in una notte dei morti viventi, ma con la rabbia (insomma sì, La città verrà distrutta all’alba). Scene più tradizionali vengono bruscamente interrotte da attacchi di violenza, in un equilibrio molto grezzo che Cronenberg perfezionerà più avanti. Mentre la città va in lockdown, il suo stile inizia a prendere forma: camera a mano e sequenze caotiche inseriscono la storia dentro un verosimiglianza che Cronenberg utilizzerà sempre per dare forza alle sue storie, raccontate come se potessero succedere adesso, a due passi da casa. Come ciliegina su questa torta, una sequenza in cui Marylin Chambers cammina per strada davanti a una locandina di Carrie (all’epoca appena uscito).
Al centro di tutto, però, c’è la cosa che fa la differenza tra Cronenberg e un regista qualunque: non l’azione, ma la conseguenza. Rose è una vittima, prima di medici irresponsabili, poi del suo stesso corpo e, infine, della sua innocenza. Le sue aggressioni sono un istinto da predatrice troppo forte per essere combattuto, ogni vittima è seguita da una crisi esistenziale che piano piano la porterà verso uno dei finali più tragici della carriera di Cronenberg: Rose si chiude in casa con una sua vittima, chiama il fidanzato, gli dice “vedrai che non è colpa mia, vedrai che andrà tutt bene”. Nel frattempo la vittima si alza e la uccide. La mattina dopo il suo corpo è steso nell’immondizia, un cane la sta mangiando. Gli spazzini in tenuta antibatterica arrivano, la caricano sul camion e vanno via mentre partono i titoli di coda. Qui il gusto di Cronenberg per il melodrammatico è finalmente svelato, un gusto che vedrà il suo esempio più brillante ne La Mosca, ed è qui che secondo me Cronenberg diventa Cronenberg: non solo un regista dell’orrore, ma dell’orrore della vita, dei suoi sterminati grovigli carnali e psicologici, dove alla fine di tutto, del dolore, dell’evoluzione, dell’ambizione, non c’è niente. Tutto è inutile, tranne quello che siamo adesso: carne, nervi, cinema.
DVD-quote:
“Per anime sensibili”
Jean-Claude Van Gogh, i400calci.com
Gli anni ’70 di Cronenberg mi mancano, ma questo lo vidi su Fuori Orario credo. All’epoca, mi sembro’ un buon film debitore delle atmosfere di Romero e Carpenter. Marylin Chambers me la ricordo in parte e convincente come attrice: peccato che non sia riuscita a passare al mainstream.
Il passaggio dal porno al mainstream è rarissimo. Persino oggi, quando il porno è in qualche modo visto come “pop”, figuriamoci all’epoca (quando era un concetto veramente rivoluzionario).