Ehi, amico pennarellone! Quanto tempo! Dov’eri finito? Se abbiamo sentito la tua mancanza? E come no? Senza di te, amico pennarellone, è impossibile capire le fini allegorie e metafore del cinema di genere moderno, quello degli Autori, quello contaminato e trasversale che sa spaventarci e disgustarci MA anche farci riflettere. Sei una figura fondamentale e, ancora una volta, in Hatching – La forma del male, fai il tuo porco lavoro.
Perché vedi, amico pennarellone, Hatching è l’esordio al lungometraggio di Hanna Bergholm, regista finlandese proveniente dai corti e dalla TV, che, con questo film, vuole da subito lasciare una sua impronta personalissima nel panorama horror odierno, confezionando un film la cui lettura metaforica abbia lo stesso peso del comparto puramente orrorifico. Un body horror ambiziosetto, in cui il mostro si fa allegoria dei mutamenti interiori ed esteriori che arrivano con la pubertà e la maggiore consapevolezza di sé. Specialmente se hai una famiglia di merda. Un’operazione riuscita a metà: da un lato Bergholm riesce a creare una discreta atmosfera di grottesco squallore esistenziale, dall’altro il Metaforone™ è talmente in yo face da cadere via via nel ridicolo, a mano a mano che il film procede.
Hatching è incentrato su Tinjia (Siiri Solalinna), una ragazzina che studia danza e in generale è la pupilla di mammà (Sophia Heikkilä), una donna all’apparenza affettuosa ma in realtà profondamente disturbata. “Madre” riprende in maniera ossessiva la quotidianità della sua famiglia, per vantarsi della sua vita perfetta sui social. Inutile dire che quella perfezione è solamente una facciata e la famiglia di Tinjia è in realtà allo sfascio: il padre è passivo e distante, il fratellino (e clone del padre) ambisce al premio di Miglior Bambino Orribile e la madre è una manipolatrice narcisista che vede la figlia esclusivamente come un mezzo per rifarsi dei suoi fallimenti (lei era una pattinatrice promettente, ma qualcosa è andato storto), e oltretutto tradisce il marito apertamente senza che lui abbia l’amor proprio per reagire.
Le cose prendono una piega grottesca quando Tinjia ritrova l’uovo di una cornacchia che la madre aveva gelidamente ucciso dopo che era entrata dalla finestra. Tinjia se lo porta a casa, lo accudisce con l’idea di rimediare al torto. Peccato che l’uovo diventi sempre più grande e partorisca infine un mostriciattolo disgustoso che vede in Tinjia sua madre. Hilarity ensues.
Sembra tutto raffinato e invece è tutto abbastanza terra terra: Tinjia dà da mangiare al criaturo vomitando, come gli uccelli – Disturbi alimentari: check! Quando il mostro nasce e imbratta il letto di Tinjia di sangue, il padre pusillanime (al cui confronto Jerry di Rick & Morty è tipo Tom Hanks) si convince che la figlia abbia le mestruazioni – Il mio corpo che cambia: check! Il mostro mette in pratica i pensieri repressi di Tinjia, le sue fantasie di rivalsa e vendetta contro una famiglia oppressiva e una madre ossessionata dalla perfezione. È insomma una comoda personificazione del “lato oscuro” di Tinjia, le pulsioni, gli istinti, i desideri, i difetti, tutto ciò che la rende una persona, indipendente e imperfetta ma vitale, e che lei ha dovuto soffocare e nascondere per aderire agli altissimi standard imposti dalla madre.
Tutto già visto (e fatto meglio, ad esempio nell’ottimo The Nightmare), tutto di grana grossa. L’idea è quella di spiazzare lo spettatore, smontando a poco a poco la facciata rassicurante di una perfetta famiglia borghese per mostrarne il lato più deviante e opprimente; ma a una certa il film sbrocca completamente, minando la sua stessa premessa. Bergholm preferisce pigiare l’acceleratore a tavoletta, sfondando la parete del grottesco e del caricaturale – forse volontariamente, o forse perché non riusciva a fare in altro modo. Propendo per la seconda ipotesi, considerando la sottigliezza con cui aveva trattato i temi del film fino a quel momento.
Poi Hatching si salva per altre ragioni: perché costruisce una buona atmosfera e dosa i movimenti di macchina per raccontare la Finlandia residenziale, delle villette a schiera e dei boschetti perfetti*. Siete mai stati in Finlandia? Io sono stato a Tampere, una cittadina molto carina e placida dove, nel mezzo di un parco pubblico, trovi delle lapidi. Va tutto bene finché non giri l’angolo ed entri con tutte le scarpe nell’Uncanny Valley. Hatching rappresenta molto bene tutto questo, la medietà allucinante nella quale strisciano ombre inquietanti. E poi c’è il mostro, realizzato con animatronics ed effetti pratici, che è effettivamente una cosa bella da vedere nella sua bruttezza. Livello metaforico bonus: coi soldi a disposizione, la creatura è tutto tranne che perfetta, e in un film che celebra l’imperfezione questo è un plus mica da ridere.
Alla fine, Hanna Bergholm paga un po’ lo scotto dell’inesperienza che, unita a un’ammirabile ambizione, rende Hatching quel genere di film che, nella nostra bolla sociale, amiamo definire “interessante”. Ecco, Hatching** è un film interessante, che per lo meno mi lascia la curiosità di scoprire cosa combinerà la regista in futuro.
Solo Al Cinema quote:
“Un film finlandese”
George Rohmer, i400Calci.com
*Disclaimer: va detto che, a quanto pare, il film è stato girato a Riga, in Lettonia.
**Ho visto che in certi siti è indicato col titolo THE Hatching. Sarà il nuovo THE Snatch?
Io non ho nulla contro i film con il metaforone. Ci sono film con metaforone splendidi.
Però non sopporto quei film con metaforoni così ovvi e pedestri che riesci a intuirli anche solo leggendo una sinossi di tre righe.
Citazioni coltissime alle prime due immagini: +1.
Vero, non ci ero arrivato ^_^
Vistucchiato distrattamente, ammetto che visivamente è ben fatto, creatura su tutti.