Quando uno come David Cronenberg decide di chiudere un cerchio della sua impareggiabile carriera riprendendo spunti e titolo da un suo cortometraggio degli inizi, è il segnale per far partire la retrospettiva. E noi, puntualissimi, rispondiamo. Seguiteci nel nostro nuovo, imprescindibile speciale: Le basi – David Cronenberg.
Ah, Videodrome.
Videodrome è un film serio. A differenza mia ha una filosofia, ed è questo che lo rende pericoloso. È probabilmente il miglior film di David Cronenberg e ancora più probabilmente il suo più importante. Prendetevi un’ora e diciassette minuti per (ri)guardarvi la nostra serata dedicata a Cronenberg: ci troverete abbastanza spunti su Videodrome da farvi venire voglia di scriverci un libro, o almeno di riguardarlo.
La prima cosa che mi viene in mente quando penso a Videodrome sono i meme.
Uno in particolare, avete presente quello del piccione che vede che avete appena lavato la macchina e pensa mille frasi orribili relative al fatto che ci farà la cacca sopra? Ecco, io il Cronenberg periodo Videodrome lo immagino esattamente così.
È il 1981, subito dopo l’uscita di Scanners. Il film è andato sorprendentemente bene al box office nonostante le critiche non eccellenti, e soprattutto ha definitivamente attirato l’attenzione di Hollywood su Cronenberg. La vita è bella, le cose vanno bene per David. Più che bene: la prima offerta seria che gli arriva sulla scrivania è la regia di Il ritorno dello Jedi, che Cronenberg rifiuta con un certo sdegno perché “sarebbe stato come girare un episodio di una serie TV”. Sente che entrare nel magico mondo dei franchise (oggi “cineuniversi”) gli lascerebbe una libertà creativa praticamente nulla; dall’altra parte del telefono si sente invece solo il rumore di uno che aggancia, stupefatto.
C’è poco da stupefarsi: Cronenberg è ancora un giovane senza compromessi (a differenza di oggi che è un anziano senza compromessi) e vuole sfruttare la sua prima vera occasione americana con qualcosa di suo. Non vuole entrare nel meccanismo, vuole continuare a fare il regista dei suoi stessi film, solo in un contesto più facoltoso. Capisce di avere l’occasione di amplificare il suo segnale prima ancora che quella di fare tanti soldi, e quindi il dovere di presentarsi con le sue idee, le sue suggestioni, le sue allucinazioni – non un branco di orsetti pelosi spaziali. SIGLA!
Videodrome è uscito ovviamente anche per Criterion, e altrettanto ovviamente la loro edizione è utilissima per capire qualcosa di più del film, perché contiene la commentary track di David Cronenberg. Tra le cose che racconta c’è che i primi accenni di quello che diventerà Videodrome risalgono alla sua infanzia, quando gli capitava di stare sveglio la notte a guardare la TV e di beccare, alla fine della programmazione canadese, canali americani di dubbio gusto e dubbio contenuto. Cresciuto nel terrore di trovarsi un giorno davanti a qualcosa di proibito (per lui in quanto bambino ma forse anche in generale), nel 1981 sviluppa queste idee in uno script intitolato provvisoriamente Network of Blood, un titolo che mi piace pensare sia stato scartato da lui stesso perché troppo didascalico.
Come già capitato per Telepathy 2000 e Scanners, Networks of Blood evolve fino a diventare il germe di Videodrome, che non significa nulla di particolare o degno di nota: semplicemente Cronenberg comincia a lavorarci e rilavorarci, modificandolo fino a dare al suo pitch la forma che gli sembra migliore. Dopodiché lo propone a Pierre David e Claude Héroux, che gli avevano già prodotto Brood e Scanners, ottiene un entusiastico doppio “sì!” e si rimette all’opera per trasformare l’idea in un film (NB i famigerati “soldi di Hollywood” si manifesteranno non in produzione sotto forma di distribuzione da parte di Universal Pictures). Durante la lavorazione gli viene il dubbio di stare esagerando e che la censura non glielo farà passare; Héroux gli dice di stare tranquillo, e che alla peggio il film si beccherà come rating una tripla X. Poi gli allunga sei milioni di dollari e lo lascia fare.
Videodrome esce in sala, la critica si strappa i capelli e impazzisce. Il film incassa appena 2 milioni di dollari. Poco tempo dopo, Cronenberg accetta di diventare parte del meccanismo e di dirigere La zona morta, dalla cui sceneggiatura originale fa eliminare il particolare che il protagonista Johnny Smith, interpretato da Christopher Walken, ha un tumore al cervello.
Rivedendolo con gli occhi del presente, è impossibile non pensare a Videodrome e a parole come “profetico” o “premonitore”, etichette che lo stesso Cronenberg ha sempre respinto senza troppa convinzione. Già nel 2014 si domandava “come sarebbe oggi un remake di Videodrome?”, che è la stessa cosa che viene naturale chiedersi riguardandolo ma che forse non è la questione giusta da porre – Videodrome aveva già parlato del 2014 (e anche del 2022), per cui un remake ripeterebbe probabilmente le stesse cose ma con schermi più piccoli, e con sullo sfondo in trasparenza il faccione compiaciuto di David Cronenberg che dice “visto? Ve l’avevo detto” per un’ora e mezza.
Sto probabilmente correndo troppo.
Videodrome è la storia di Max Renn, un personaggio che è, prima di ogni altra cosa, la dimostrazione che l’autore del film ci capisce di facce da cinema come pochissimi. James Woods, che con il senno di poi spiega anche la successiva infatuazione di Cronenberg per Viggo Mortensen, è un gigante nel suo essere minuscolo, anche meschino, fondamentalmente innocuo. Un pesce piccolo in un mondo, quello televisivo, modellato ancora una volta sull’infanzia di Cronenberg: CIVIC-TV, il network gestito da Max, è ispirato a Citytv, che nei gloriosi anni Sessanta si fece un nome perché trasmetteva pornini in piena notte (oggi Citytv è diventata tristemente corporate, e i pornini sono accessibili ovunque e a tutte le ore del giorno).
CIVIC-TV è uno spazio di ricerca per Max. La sua programmazione prevede di comprare programmi in giro per il mondo e trasmetterli al pubblico canadese; l’unica caratteristica che hanno in comune questi show è che contengono sesso, violenza o una combinazione delle due cose. L’idea salvifica di Max è che la sua TV serva a fornire un canale di sfogo innocuo per tutte le frustrazioni e le pulsioni incontrollabili alle quali è sottoposta quella che nel film viene definita, in sintesi, “la società dello stimolo”.
I think we live in overstimulated times. We crave stimulation for its own sake. We gorge ourselves on it. We always want more, whether it’s tactile, emotional or sexual
Così dice Nicki Brand, che di mestiere ascolta i drammi altrui e consiglia alla gente cosa fare per ripigliarsi, durante una conversazione televisiva nella quale Max fa la conoscenza anche del professor Brian O’Blivion – non il suo vero nome, ma il suo “nome televisivo”, quello che tutto il mondo avrà nel giro pochi anni, almeno stando alle sue parole [scrisse nel suo pezzo “Stanlio Kubrick”]. Tornando all’etichetta di “profeta”, Cronenberg dice che “non credo sia il mio mestiere fare il profeta, ma in quanto artista la mia sensibilità a quello che mi circonda mi porta per forza, quasi per caso, ad avere delle intuizioni che con il senno di poi si rivelano profetiche”.
Ovviamente in questo caso Cronenberg bara: “quello che mi circonda” nel caso di Videodrome non è (solo) un clima culturale o una tendenza globale o un cambio radicale di filosofia, ma molto più concretamente Marshall McLuhan, sulla cui persona e sulle cui idee O’Blivion è modellato e che era professore a Toronto dove Cronenberg studiava. Non mi metterò ora a farvi la lezione su McLuhan perché non è il mio, ma alcune delle sue idee sono state ripetute, rimasticate e fraintese in talmente tante sedi da essere diventate, se non cultura pop, comunque qualcosa che abita lì ai suoi bordi, e ogni tanto allunga una zampa per lasciare un’impronta. IL MEZZO È IL MESSAGGIO, una frase estrapolata da questo libro del 1964, è a tanto così dal guadagnarsi lo status di slogan, o di meme – lo era però molto meno nel 1983 quando il film uscì.
Un’altra cosa che scrisse Marshall McLuhan in quello stesso libro:
Una delle conseguenze del convivere con l’informazione elettronica è che viviamo in un costante stato di eccesso di informazioni. C’è sempre qualcosa di più di quello che puoi sopportare
Ma anche, tre anni dopo in radio:
In quest’epoca elettronica ci stiamo trasformando sempre di più nella forma stessa dell’informazione, ci stiamo muovendo verso l’estensione tecnologica della coscienza
Videodrome, inteso come la trasmissione clandestina che Max Renn intercetta grazie all’aiuto del suo amico e pirata dell’etere Harlan e che lo porta ad avere allucinazioni che forse non sono tali, è la sublimazione di questo pensiero – è la logica conseguenza a cui arriva una mente che si chiede “quanto si può stirare all’estremo questa intuizione?”. È un prodotto fatto di puri stimoli: “È solo torture e omicidi. Niente trama, niente personaggi. Molto, molto realistico. Secondo me è il futuro”, così lo descrive Max Renn a Masha, la sua fonte primaria di programmi televisivi discutibili. L’eccesso di informazioni genera sovraccarico, e quindi confusione. E quando sei confuso non distingui più il dolore dal piacere, il sesso dalla morte, la violenza reale da quella messa in scena: così funziona Videodrome, e nell’identificarlo come il futuro della televisione Max compie il primo passo verso la sua stessa trasformazione.
Ovviamente Videodrome è un film, con una trama e dei personaggi; non è una seduta di filosofia, nonostante abbia molti punti in comune con Stereo e Crimes of the Future. Una cosa in particolare, da sempre molto cara a Cronenberg: l’idea, che è in parte satira dell’America e in parte riflessione sulla natura umana, che se esiste qualcosa puoi stare certo che ci sarà un’organizzazione che se ne occupa. L’idea che l’umanità non riesca a stare senza gerarchie e senza distribuire responsabilità, ma anche quella che tutto, dalla scienza alla fede, si possa corporativizzare e irreggimentare – e che quindi ogni aggregazione di un numero di esseri umani superiore a due nasconda strutture di potere, e soprattutto figure oscure che manipolano la realtà dall’ombra [sull’abbondanza di complottismo presente soprattutto nei suoi primi film, e sul sottile confine tra realtà e satira, c’è parecchia roba interessante qui].
La Cathode Ray Mission da un lato, Spectacular Optical dall’altro. La prima, gestita dalle VHS che contengono il pensiero di Brian O’Blivion e, più praticamente, dalla figlia Bianca, si occupa di accogliere gli sfortunati, i derelitti, coloro che non hanno modo di guardare la TV a casa propria e rischiano quindi di venire tagliati fuori dall’evoluzione – della società e della specie. Un atto di carità, forse anche un modo per il professore di espiare il suo peccato originale: avere contribuito alla creazione di Videodrome, che non è solo uno snuff show con la gente che muore, ma nasconde tra le sue pieghe (tra le sue onde?) un segnale che colpisce il cervello e lo porta a sviluppare un tumore – che a sua volta provoca allucinazioni, ma sono davvero allucinazioni se possono essere registrate e conservate, e se hanno effetti molto tangibili sulla carne di chi le subisce?
Con gli occhi di oggi, quelli che vogliono struttura, coerenza interna e regole persino quando si parla di superpoteri, Videodrome (il film) verrebbe criticato perché il funzionamento di Videodrome (il segnale allucinatorio) non è chiarissimo. Ma d’altra parte a Videodrome (il film) frega veramente poco di spiegarsi, come gli frega poco di fare il film horror regolare e rispettoso della grammatica, con la sua bella scansione narrativa, le scene di sangue piazzate nel punto giusto, una qualche forma di scontro finale. E Cronenberg nella confusione ci sguazza: preparatevi un calice di grappa e bevetene un sorso ogni volta che usa uno schermo televisivo per mascherare un cambio di scena e/o di ambientazione, o per rappresentare un personaggio che potrebbe essere tranquillamente inquadrato di persona, ma che in quel momento ha più senso se visto attraverso un tubo catodico. Ci vediamo quando uscite dal coma etilico.
Uno dei motivi, però, per cui David Cronenberg è non solo uno dei più grandi registi viventi ma anche molto amato qui a Valverde è che, pur non considerandosi mai davvero un regista horror, o quantomeno non solo horror, ha sempre riconosciuto il valore e la dignità del genere a cui veniva associato, e ne ha sempre rispettato le esigenze. Sempre lui sull’argomento: “Non ho mai pensato [al sistema nervoso e a come si può modificarlo] come a qualcosa di orrorifico. Poi ovviamente sono anche un uomo di spettacolo, e se stai facendo un horror low budget, come ce n’erano tanti in giro all’epoca, come fai a farti notare?”.
Gli orrori di Videodrome – e sono parecchi, anche grazie al fatto che gli effetti speciali sono di Rick Baker, e hanno quindi retto senza sudare alla prova del tempo e del remaster in 4K – esistono nella forma in cui li conosciamo per necessità creative che vanno al di là di quello che il film vuole dire o preconizzare. Voglio dire che non era necessario impiantare una vagina sulla pancia di James Woods per parlare del modo in cui la costante esposizione ai generici media sta cambiando il nostro cervello e la nostra percezione della realtà; ma era il modo più efficace per far passare l’idea, e quello che a Cronenberg è sempre venuto meglio. Molti suoi film, e Videodrome su tutti, parlano del nostro cervello, ma lo fanno sbattendoci in faccia viscere e budella, per ricordarci l’assurdità della nostra natura di sacchi di sangue e interiora che sognano l’infinito grazie a una serie di fortuite combinazioni biochimiche.
L’orrore, quindi, chiamiamolo genericamente così, diventa un martello che serve per piantare in testa chiodi fissi di tutt’altra natura. Riguardate oggi Videodrome e poi cominciate a pensare a quel famoso remake: le possibilità offerte da uno smartphone sono infinite, soprattutto se paragonate a quelle di un ingombrante tubo catodico e delle altrettanto vistose VHS. Le app! Cronenberg è uno che nelle interviste dice, con tutta la naturalezza del mondo, frasi tipo “filosofi come Platone e Kant sono impazziti cercando di capire come funziona la realtà al di là della realtà”, è uno convinto che l’essere umano sia più fluido e mutevole di quanto si creda. È per questo che prima dicevo che un remake di Videodrome oggi avrebbe relativamente poco senso, o forse ne avrebbe tantissimo se è vero che il medium è il messaggio, e che quindi sostituire la televisione con i telefonini sarebbe una modifica sostanziale e non solo formale.
Videodrome è un film che dice tutto e che aveva già capito e immaginato tutto, dai caschetti per la realtà virtuale a rotten.com. “Lo schermo televisivo è la retina dell’occhio della mente”: togliete “televisivo” ed eccoci nel 2022. “La televisione è realtà, e la realtà vale meno della televisione”: odio scadere in discorsi che flirtano con il populismo, ma è la scienza che ci dice che lo stesso concetto vale oggi cambiando “televisione” (vecchia, stantìa, troppo passiva, troppo grossa) con “social network”.
(ecco: forse la nostra fissa per la miniaturizzazione e la portabilità è una delle cose che Cronenberg non ha mai azzeccato sul futuro, e con lui un sacco di altra gente che era convinta che la regola sarebbe rimasta per decenni “più grosso = più bello”)
E lo fa in maniera fastidiosa, urticante, presentandoci l’evoluzione come un tumore e il suicidio come unica via d’uscita. L’aspetto più subdolo e spaventoso di Videodrome, però, è secondo me un altro, ed è la sua inevitabilità. Certo, il modo in cui si manifestano gli incubi di Cronenberg è unico, ma non vuole essere un suggerimento letterale dell’autore: il prossimo stadio della nostra evoluzione potrebbe essere questo, ci suggerisce, con tutte le sue allucinazioni e le sue escrescenze cerebrali (a proposito, avete notato che quando Barry Convex muore esplode in una massa di quelli che sembrano proprio tanti piccoli tumorini?), ma non è detto che lo sarà. Ma quello che sta sotto le budella del film? La società della sovrastimolazione, la confusione tra schermo e realtà, la nuova carne: tutta quella roba è il motore di Videodrome, non il suo messaggio, e Cronenberg ci ribadisce che è già in moto, e che non si scappa più.
Forse più che un remake servirebbe un bollettino di guerra.
Quote suggerita
«Vi rovino il futuro»
(David Cronenberg, profeta riluttante)
P.S.: ricordatevi di collegarvi in diretta su Twitch domani sera (giovedì 13/10) alle 21 per la possibilità di ricevere in omaggio questa spettacolare illustrazione dell’amico Christian “Magazoo” Aliprandi:
“Videodrome è un film che dice tutto e che aveva già capito e immaginato tutto”
Semplicemente non c’è bisogno di dire altro
P.S.
Se McLuhan negli anni sessanta ha veramente detto che le informazioni che arrivavano alla gente erano più di quanto la stessa potesse sopportare mi piacerebbe vederlo alle prese con la società odierna.
Già con la radio per McLuhan si era passato il limite del sopportabile per il cervello umano (la definiva un tamburo per quanto era incessante) e fondamentale per la costruzione dei totalitarismi europei. Oggi si sarebbe sparato in testa dopo mezz’ora su TikTok
Lucas aveva proposto il Ritorno dello Jedi pure a Lynch.
Cioe’ che film aveva in mente… o NON aveva in mente, se per lui quei due erano intercambiambili con Richard Marquand?
Comunque il covo di Jabba the Hutt messo in scena da uno dei due David avrei voluto vederlo.
Potrei sbagliarmi, ma semplicemente all’epoca non erano i mostri sacri che erano oggi, ma “solo” registi dotati di creatività e fantasia agli inizi nel cinema mainstream, quindi perfettamente papabili per un progetto come quello
Probabilmente all’epoca Lucas neanche aveva visto i loro film pre elephant-man e pre scanners, e neppure tutti i numerosissimi corti che Lynch ha fatto in tutto il corso della sua carriera
Mi hai fatto ricordare una intervista a Lynch a riguardo in cui dichiara: “ George doesn’t really like directing”
che film incredibile…sul remake ..anche se qualcuno si avventurasse nell’impresa non se lo cagherebbe nessuno
“lo schermo televisivo è la retina dell’occhio della mente”
“La televisione è realtà, e la realtà vale meno della televisione”
Basta andare ad un qualsiasi concerto live e osservare cosa guardano gli spettatori per l’80% del dello spettacolo…
Gran pezzo, saggio Stanlio. Gran pezzo.
Perfetto, non mi sento di aggiungere altro.
Solo una cosa: leggendo un saggio su Cronenberg parecchi anni fa, ho scoperto un dettaglio interessante.
La citazione su De Medici alla fine e’ can nata in pieno.
Ma il bello e’ che e’ voluta, ecco il colpo di genio.
L’equivalente dell’idiota che al convegno dice che a Waterloo Napoleone ottenne una strepitosa vittoria.
Un altro degli effetti del sovraccarico di informazioni spicce.
Non si fa piu’ ricerca.
Ci si arrocca su quelle due stronzate che si crede di sapere, e ce le si fa bastare convinti che servano per spiegare tutto.
Interrogato a dovere, Cronenberg disse “L’ho fatto apposta. Per far capire che sono ignoranti. Che non sanno un cazzo, e che se ne fottono. E se ne fanno pure vanto.”
“Cronenberg è ancora un giovane senza compromessi (a differenza di oggi che è un anziano senza compromessi)” mi ha fatto esplodere ahahah!
Dopo mezz’ora di tiktok mi sparerei in testa anch’io…
Un remake non avrebbe senso semplicemente perché questo film è stato quasi superato dalla realtà, o comunque l’allegoria che mette in mostra oggi risulterebbe depotenziata se non banale.
Certo che invece all’epoca deve essere stato una botta tremenda per tutti.
Bellissimo pezzo, Frusciante approva
Mamma mia che bello Videodrome.
Per non parlare della Harry.
Manco mi ricordo bene la trama, ma è un film che mi è rimasto così impresso da plasmare il mio modo di vedere le cose e il mio immaginario (e il nickname), insinuando diffidenza nei confronti dei media, angoscia verso il futuro, senso di ineluttabilità e qualche altra brutta presa di coscienza.
Forse stavo meglio prima, tante grazie Cronenberg eh.
complimenti per il pezzo.
io voglio solo dire che questo è stato uno di quei pochi film (che ricordi) capace veramente di vedere il futuro dei successivi 40 anni, da internet a rotten fino all’isis (quegli uomini incappucciati di nero che in tv sgozzano…).
un film che mostrerei nelle scuole o nelle università.
un film che mi auguro non venga mai toccato.
nel giorno in cui apprendo che Ricciotto si prende una pausa a tempo indeterminato, mi ha tirato su questo articolo.
p.s. vale la pena ricordare che la videoteca di quel mito del Frusciante si chiama proprio Videodrome
grazie hai 400 calci l’ho finalmente visto (era da tipo 30 anni che lo dovevo vedere), bello è bello ma non ci ho capito una sega. dovrei forse provare a riguardarlo senza la droga, ma io certe cose non le faccio.