
Finalmente.
È una cosa antipatica la nostalgia, però è umana e inevitabile.
Ad esempio: mi irrita da morire quando se ne escono prodotti che pensano di poter rivangare i vecchi tempi puramente richiamando gli stessi attori e/o personaggi, o rifacendo le cose esteriormente uguali. Non mi interessa. O meglio: non è sufficiente.
Però, se devo pensare a un tipo di film ideale, se mi puntate un bazooka alla testa e mi costringete a sintetizzare brutalmente un tipo di prodotto che abbia le maggiori possibilità di incontrare i miei gusti, le opzioni in cima alla classifica sono:
- stupitemi con qualcosa di fresco;
- datemi un eroe bravo nel menare e mettetelo alle prese con una serie di avversari fantasiosi, ognuno dotato di una sua specifica personalità e caratteristiche, da sconfiggere ideando ogni volta una tattica diversa su misura, su un canovaccio che unisca il tutto con un minimo sindacale di senso, dignità e onestà.
E cos’è l’opzione 2 se non il tipo di serialità narrativa classica con cui siamo cresciuti fin da bambini?
Ho l’impressione che le cose stiano cambiando di recente, in cui l’orizzontalità va sempre più per la maggiore, ma “ai miei tempi” (“che ne sanno i duemila”, eh? vero? eh???) praticamente ogni cosa che guardavo era strutturata così, che fossero i cartoni animati coi robot giapponesi, o gli episodi dell’A-Team, o i fumetti dei supereroi. Ed è così anche per diverse generazioni precedenti alla mia. E volendo possiamo andare indietro fino all’Odissea, tipo.
Una delle mie avventure preferite dell’Incredibile Hulk consiste in lui che se ne sta passeggiando per i boschi bofonchiando come al solito, senza una meta particolare, e incontra sei mostri che gli vanno a rompere i maroni. Sei mostri, uno diverso dall’altro, ognuno con le sue caratteristiche, uno alla volta. E Hulk, che pure non è una cima, deve ogni volta escogitare la tattica giusta per sconfiggerli.

Sì, è anche la prima apparizione di Groot dei Guardiani della Galassia #storiavera
Tutto qui.
Non sto a raccontarvi per l’ennesima volta di come Scott Adkins sia il paradigma della persona giusta nel momento sbagliato, quello in cui Hollywood non sa cosa farsene delle sue caratteristiche, le stesse che quindici anni prima gli avrebbero dato la gloria eterna e la pensione garantita da un telefilm su Rete4 (“Walker, Birmingham Brawler“).
Come si suol dire, “it is what it is”. Pazienza. Sfiga.
Godiamoci le cose belle (Undisputed, Ninja, Avengement…), sopportiamo quelle alimentari, e se l’unico modo che ha Scott per fare quello che gli pare è farlo a basso budget, beh, è largamente meglio che non averlo.
Accident Man è un fumetto, ma una roba di ultranicchia, una serie di striscie creata da Pat Mills e Tony Skinner nei primi anni ’90, che Scott portò sullo schermo riproducendo fedelmente quello che c’era ma dovendo già rimpolpare fortissimo per poter arrivare a 90 minuti.
Il secondo film è, ancora di più, la definizione di passion project: Scott e il suo amico Stu Small che prendono il personaggio, lo modellano come un guanto sulle abilità e i gusti di Scott e si inventano una nuova avventura completamente da zero.
Scott non dirige (un giorno lo farà, è scontato, sta già studiando), ma Accident Man: Hitman’s Holiday sta tranquillamente al mondo dentro la sua testa quanto La prova sta a quello di Van Damme.
E la base di tutto questo è l’eroe di menare alle prese con avversari fantasiosi, ognuno dotato di una sua specifica personalità e caratteristiche, da sconfiggere ideando ogni volta una tattica diversa su misura, su un canovaccio che tutto sommato è più curato di quanto si chiedesse.

Il minimo.
La premessa: il nostro protagonista killer prezzolato specializzato nello spacciare i suoi omicidi per incidenti Mike Fallon, dopo i fatti di Londra (che dovete abituarvi a sentir chiamare “i fatti di Londra” per tutto il film e in bocca al lupo se non ve li ricordate) si è trasferito a Malta, dove ha trovato un altro buon giro di contratti e passa il resto del tempo a espiare i sensi di colpa. Incontra un vecchio amico con cui instaura un’inaspettata ed efficace partnership, ma sul più bello l’amico viene rapito e Mike viene ricattato a fare da babysitter per il figlio di un mega-boss locale e difenderlo da una serie di killer che lo vogliono far fuori. Non sono esattamente le sue mansioni abituali ma hey, è la scusa per rientrare nella struttura narrativa di cui sopra. È Senza esclusione di colpi in movimento. È la scusa per metterci un sacco di scazzottate ben coreografate, come Scott ormai può fare solo quando comanda lui, ma è anche un esercizio in consapevolezza che la promessa di un guyver kick non vende più un film da sola, e quindi è l’occasione per fare qualcosa di più ampio respiro e buttarci dentro le influenze più disparate che gli vengono in mente.
Accident Man: Hitman’s Holiday, fuori dalle mazzate, è apertamente una commedia. Più dell’originale.
È una commedia che cerca la sintesi tra Jackie Chan e Guy Ritchie, un po’ come ai tempi d’oro Robert Rodriguez cercava quella tra John Woo e Tarantino unendola a un suo gusto prettamente locale.
È un film che mischia botte, umorismo da pub inglese, tocchi di demenzialità da cartone animato e il gusto per i personaggi pittoreschi, questa idea anni ’90 che non esiste un ruolo parlato (e possibilmente anche non parlato) che non sia l’occasione per farsi venire un’idea, una gag surreale, un tocco di personalità. È così che si vende: al pubblico di Bullet Train che, per via della regia di David Leitch, sperava che Bullet Train fosse un po’ più simile a John Wick.

Non facciamoci mancare niente.
Accident Man: Hitman’s Holiday gioca di accumulo continuo, per cui fisiologicamente non le azzecca tutte.
Dipende un po’ anche dal vostro senso dell’umorismo: per quel che mi riguarda non va tutto a segno ma, visti i limiti di budget, ci va più volte di quanto mi sarei aspettato.
Ci ha messo mezza carriera, ma Scott ha trovato ormai il tipo di personaggio che gli viene bene e naturale come una seconda pelle: il bulletto stile Jason Statham in Snatch. Funzionava alla grande in Debt Collectors nei suoi duetti con Louis Mandylor, funzionava ancora di più in versione seria nella sua vendetta animalesca in Avengement: qui gira la manopoletta del lato comico sul livello successivo ma senza strafare, e regge. Funzionano i suoi duetti con Perry Benson (noto principalmente per This Is England, ma che qualcuno potrebbe ricordare nel suo inaspettato ruolo horror in Mum & Dad); funzionano quelli con George Fouracres che fa acrobazie per non rendere insostenibile il suo personaggio del figlio del boss maltese viziato e immaturo e non sempre gli riescono; funzionano quelli con Sarah Chang, una delle rivelazioni del film, una versione aggiornata e incazzata di Cato della Pantera rosa che sulla carta dovrebbe far storcere il naso e invece diverte; funzionano ovviamente quelli con l’impagabile Ray Stevenson, che è bello rivedere dopo RRR. È tutto ricoperto di un umorismo inglesissimo che magari non vi aspettate da una superstar delle arti marziali (tra le svariate influenze Scott cita Blackadder, vecchio serial anni ’80 che consolidò la carriera di Rowan Atkinson prima di Mr. Bean).
E al resto ci pensano le frequentissime mazzate, e i killer pittoreschi che ostacolano la fuga di Scott e il suo protetto: su tutti – e il film lo sa talmente bene da dedicargli il breve incipit in medias res (scusate l’abbondanza di latino) – il pagliaccio Poco che ha perso la sensibilità al dolore. Forse la cosa più notevole che riescono a fare Scott e soci in questo film è trovare un mucchio di gente che 1) non costi troppo, 2) sia marzialista di prima fascia e 3) sia a proprio agio con la commedia, e Beau Fowler è un pazzo che sa effettivamente fare tutto, e che a un certo punto a metà scazzottata spegne la sua anima e trova un’inaspettata sfumatura tragica del suo killer clown che meriterebbe uno spin-off tutto suo.
E poi c’è Andy Long che si divora il climax nei panni del final boss: dopo avervi parlato del suo primo lungometraggio uscito solo in Vietnam e delle coreografie che ha creato per Vidyut Jammwal, è finalmente l’occasione per ammirarlo in prima persona in un ruolo breve ma tutta sostanza. Non fosse che il cinema di arti marziali al momento si è impaludato e ha puntato tutte le sue carte sulla miracolosa saga di John Wick, vi direi con scommessa facilissima che sarà la prossima star del settore. Staremo a vedere.

Ci interessa.
Non so. Mi piacerebbe dire che Accident Man: Hitman’s Holiday è finalmente il film da consigliare anche agli scettici per scoprire Scott Adkins. Per molti versi lo è: concentrarsi non solo sulle botte ma sulla commedia lo rende sicuramente più digeribile a un pubblico generalista, e decisamente più interessante di tanta altri thriller purtroppo spenti e mediocri di cui vi ho risparmiato la recensione, tipo Legacy of Lies, Seized o Castle Falls. Ma in realtà rimane una roba da appassionati: se davvero si voleva avvicinare il pubblico medio che non si guarderebbe Undisputed, la storia regge ma il secondo tempo è quasi interamente composto di scazzottate, e questo va di lusso per noi e un po’ meno di lusso per chi apprezza più Bullet Train che John Wick.
È bello che Scott voglia sfogare una sua autorialità, anche se delegata a collaboratori ben selezionati: la sceneggiatura è scritta con l’amico Stu Small; i registi esordienti, i fratelli Kirby, vengono da una serie di cortometraggi action-comedy (e non solo) uno dei quali, Survivors, aveva trionfato al Fighting Spirit Film Festival dell’anno scorso. Il lato coreografie è poi il frutto di un trio di fuoriclasse composto da lui, Tim Man e Andy Long.
In un mondo perfetto, Accident Man: Hitman’s Holiday sarebbe il film che Scott Adkins gira al picco della fama, quando può chiedere tutti i soldi che vuole e realizzare il suo film ideale. Nel mondo in cui ci ritroviamo, il film esiste per un motivo un po’ meno felice: Scott ha trovato il modo di realizzarlo spendendo abbastanza poco da minimizzare i rischi e pensare comunque principalmente a divertirsi. Spiace che qua e là sia un po’ acerbo, ma è simpatico e pieno di cuore e calci in fazza, e tutto sommato me lo faccio andare bene e spero che Scott riesca a portare avanti la saga, consolidarla. E alla fine glielo distribuisce la Sony, per cui sono abbastanza sicuro che prima o poi arriverà anche nelle piattaforme italiane. E ora aspettiamo John Wick 4.
Quote per la guida TV:
“Vieni per ridere, rimani per le botte. O viceversa.”
Nanni Cobretti, i400calci.com
Mi chiedo se sia piu’ facile scrivere una recensione di una trashata come questa invece della frettolosa stroncatura della nuova versione di Niente di nuovo sul fronte occidentale.
Temo che la domanda sia retorica.
Prova a scriverle entrambe e avrai anche una risposta retorica.
Non so rispondere, non l’ho nemmeno ancora visto Niente di nuovo sul fronte occidentale.
A me voi che non riuscite proprio ad accettare serenamente che un film che vi è piaicuto possa aver ricevuto una recensione negativa mi fate morire.
Una volta era tutta aperta campagna. Ora solo filter bubble
Lo guarderò sa breve ,le sane botte piacciono sempre.⁹.
Ieri ho visto ” Aliendoid” ,steppo la 2a parte nel 2023 , che bomba !!!!
È aspetto il 2023 , visto che non si può correggere.
Che chicca Blackadder. La consiglio a tutti, soprattutto dalla 2nda stagione in poi. La prima è un po’ più un riscaldamento.
a me il primo era solidamente piaciuto, questo ha iniziato ad annoiarmi presto, a quanto pare mi manca “la solida mano” di jesse v johnson, o forse l´idea di quel che e´divertente di adkins non coincide con la mia. eppure ci speravo, l´ho messo su con la fotta delle migliori intenzioni.
Wow, divertente e veloce. E sa di origin story molto più del primo. Un altro paio di capitoli me li guarderei volentieri.
E poi coreografie pulite e riprese con chiarezza. Una bella boccata d’aria.
Io del primo non mi ricordavo una mazza, ma questo l’ho trovato parecchio divertente e fatto bene, la Chang una sorpresa coi controcazzi! Ebbravo Scottino nostro!