Normalmente in questo periodo saremmo in vacanza, ma quest’anno ci sentiamo eccezionalmente generosi e, per non lasciarvi soli, abbiamo pensato di continuare con un piccolo speciale alla portata delle nostre energie in ricarica. In attesa di riprendere la programmazione normale ci faremo quindi traghettare verso il nuovo anno da Guillermo Del Toro e la sua Stanza delle Meraviglie, antologia horror a metà tra The Alfred Hitchcock Hour e i Racconti della Cripta, sbarcata da poco su Netflix: a voi, in quattro parti, una breve recensione di tutti e otto gli episodi.
EP. 1: Lotto 36, di Guillermo Navarro
(pezzo di Nanni Cobretti)
Tim Blake Nelson ha una fazza particolare, inconfondibile.
Una di quelle fazze che le vedi e dici “Beh, amico, non so che programmi hai nella vita, non so che mire hai come attore, ma tu farai il caratterista. Lascia perdere il resto. Non ti montare la testa. Non sarai mai un camaleonte. Sarai un caratterista”.
E il caratterista più o meno ha fatto, Tim Blake Nelson. Nel ruolo dello scemo, del buzzurro o di entrambi.
Un caratterista bravo, una garanzia, perché Tim Blake Nelson in realtà non è né scemo né buzzurro: è, al contrario, un autore completo anche piuttosto pretenziosetto. O meglio, non ho visto niente di suo, ma porcamiseria, fatevi un giro su IMDb e leggetevi le trame. Ricordo che arrivò in sala la sua rivisitazione moderna di Othello, “O“, in quel periodo vent’anni fa in cui le versioni moderne di Shakespeare erano il trend che andava per la maggiore tra i teenager, e ricordo anche vagamente quel film dove Edward Norton interpreta due gemelli, uno fighetto e uno fattone. Il resto, signora mia… dilemmi morali, timeline mescolate, piccoli paesini di provincia, Auschwitz… E magari per voi Tim Blake Nelson è solo il rincoglionito di Fratello dove sei?.
Comunque: qui fa il buzzurro.
Guillermo Del Toro affida l’apertura della sua serie antologica a una breve storia, scritta di suo pugno, piuttosto classica ma sempre di grande effetto. Il “Lotto 36” del titolo è un garage la cui affittuaria (Elpidia Carrillo di Predator!) è in ritardo coi pagamenti, per cui il proprietario la sfratta e lo appioppa a Tim Blake Nelson. Il quale stavolta non è un buzzurro scemo ma un buzzurro incattivito. Mica un genio, eh? Ma soprattutto incattivito. E il suo arrogante rancore lo porterà verso la sfiga apocalittica.
Come nei migliori racconti, la costruzione è lenta per delineare i personaggi, costruire i sottotemi di tensione razziale, avidità e vendetta, spendere meno soldi in effetti speciali. Al timone c’è Guillermo Navarro, esperto direttore della fotografia per Rodriguez e Del Toro fin dagli anni ’90, ma per quanto riguarda la regia ancora in piena gavetta fatta di episodi di serie tv: qui prosegue con un solido compitino, affidandosi al carisma di Tim Blake Nelson che trascina, con successo, gran parte dei procedimenti. Il momento sovrannaturale, specie in storie che prendono una tale rincorsa, è sempre a rischio delusione: l’ho trovato invece simpatico e lovecraftiano al punto giusto. Non un inizio fulminante, ma decisamente solido e beneaugurante: il classico episodio che se rappresenta la media sono buone notizie, se rappresenta il picco (come a volte capita) sono cattive.
EP. 2: I ratti del cimitero, di Vincenzo Natali
(pezzo di Stanlio Kubrick)
Vincenzo Natali si è un po’ perso ormai da anni, al punto che è legittimo chiedersi se non sia il caso di cambiare la narrazione su di lui e ammettere che non ha mai mantenuto un decimo delle promesse fatte con Cube. È diventato uno di quelli che chiami per dirigere uno/due episodi della tua serie e poi lo saluti; del Toro per esempio lo volle nel 2015 per la sua The Strain, e ora gli allunga un’altra volta la mano, offrendogli la possibilità di fare un po’ di fan fiction lovecraftiana nel suo Vaso a terra. I ratti del cimitero è letteralmente fan fiction lovecraftiana, quella categoria particolare di fan fiction lovecraftiana che era approvata e anche incoraggiata da Lovecraft stesso: Henry Kuttner, l’autore del racconto da cui è tratto questo episodio, era uno dei membri del suo circolo, un gruppo di fan che corrispondevano con lui discutendo di antiche divinità oceaniche e dei disperanti abissi del cosmo –rigorosamente solo per iscritto, perché a Lovecraft la gente non piaceva.
Il fatto che Natali sia diventato un regista di servizio un po’ si vede: I ratti del cimitero è semplice, drittissimo e appoggiato quasi interamente al racconto di Kuttner – fa eccezione una creatura mostruosa aggiuntiva che è anche l’invenzione migliore di tutto l’episodio. Sembra un po’ una versione lovecraftiana del dimenticato Burke & Hare di John Landis, la storia di un guardiano di cimitero che arrotonda i suoi magri guadagni saccheggiando i cadaveri che seppellisce, e che ha un problema di ratti, ma forse anche di culti ancestrali di divinità tentacolari e di tunnel che si tuffano nel sottosuolo fino al centro della Terra. Natali tiene un tono vagamente ironico ai confini con la parodia per i primi quindici/venti minuti, poi prende il suo protagonista (un eccellente David Hewlett), lo scaraventa nei suddetti tunnel e spara quindici minuti di terrore e claustrofobia che mostrano quello che devono senza perdere tempo a spiegare nulla.
I ratti del cimitero ha il problema che se conoscete, non dico il racconto originale, ma tre racconti in croce di Lovecraft, o più in generale la letteratura horror/pulp degli anni Venti/Trenta del secolo scorso, non ci troverete nulla di sorprendente. Rimane un bell’esercizio di stile, una commedia nera di ratti e tentacoli con qualche momento da applausi, che conferma il sospetto che Vincenzo Natali abbia, ahinoi, trovato la sua dimensione.
A volte è veramente difficile identificare quelle sfumature per cui una roba funziona e un’altra no. A parità di buoni di interpreti e cura della messa in scena, il primo mi ha divertito un botto e il secondo mi ha frantumato le palle. Sarà che la mediocrità del personaggio di Blake Nelson ha a che fare con un contesto storico che suona per forza più urgente, o che il tentacolo per me vince sempre a prescindere, non so.
Comunque grazie per lo sforzo natalizio e Nanni se non lo vedesti del buon Tim recupera Old Henry, che come scriveva Jackie è “un film solido”. Molto solido.
Beh il primo ha un incipit originale: i rigattieri da programma sulla tv digitale dal 34 in poi, un attore piú carismatico, un passo piú svelto ed un pizzico di satira “umana” meno stereotipata del secondo. E infatti come dicevi pure per me divertimento al primo ed un paio di abbiocchi al secondo.
Grazie per questa nuova serie di articoli!
Vista e in generale apprezzata questa serie, senza spoiler dirò che gli episodi che mi sono piaciuti di più sono “L’autopsia” e quello della crema miracolosa che fa un po’ “The Stuff”. Quelli piaciuti meno sono l’ultimo (troppo moscio) e il primo, troppo lento nel venire al dunque e nel costruire l’ambientazione che non serve a gran che. Siamo negli anni ’90, ci sono le VHS, e allora? La Guerra del Golfo poteva essere anche Afghanistan o Vietnam per quel che concerne la storia. Comunque belle la creatura demoniaca del finale e la medium che somiglia molto a M.me Trelkovski di Dylan Dog!
Concordo, David Hewlett interpreta in modo eccellente, i suoi monologhi reggono da soli l’episodio. Forse il personaggio migliore della serie insieme a Kate Micucci dell’episodio della crema. Anche lei molto brava.
anche a me ha ricordato la Trelkovski! :D
Per me serie molto buona, degna erede di quella Spoon River del new horror anni 70 e 80 che fu Masters of Horror… anche se purtroppo con un decimo della “scorrettezza” a tutti i livelli di quella. Due o tre episodi eccellenti, mentre gli unici due che mi hanno lasciato un po’ cosi’ sono stati proprio i due tratti direttamente da Lovercraft.
Natali per me ha portato avanti una poetica “ai confini della realta'”, incentrata spesso su piccoli universi chiusi, di tutto rispetto. Un suo film lo guardo sempre con piacere.
Va beh, Lovecraft senza “r”, ovviamente.
TBN io lo conosco soprattutto per i suoi ruoli nei film Marvel, poi ricordo anche il carceriere di Minority Report
Oh, chiaramente è indimenticabile in FRATELLO DIVE SEI
“Burke & Hare” io non l’ho mai dimenticato
Se apprezzi Tim Blake Nelson, non puoi perdere Old Henry, un bel western in cui riveste il ruolo del protagonista con un carisma sbilenco che fa innamorare del personaggio
Come tutte le serie antologiche molto discontinua nei singoli episodi.
Lotto 36 si regge in buona parte sulla faccia di Tim Blake Nelson, ma quando sono entrati in scena i nazisti e l’esoterismo avevo sperato che l’episodio decollasse. Insomma, è un binomio classico. La cosa invece non è successa, e la storia scorre via senza troppi scossoni. Forse un po’ troppo moraleggiante.
I ratti del cimitero mi ha divertito invece molto di più. Mi ha ricordato come impianto della storia un vecchio racconto di King, mi pare si chiamasse Secondo turno di notte. L’assurdità dei cadaveri trafugati dai ratti e gli inseguimenti dei cunicoli ne avrebbero potuto fare un onesto b-movie horror comico. Comunque ha qualche buona trovata, è abbastanza adrenalinico, e il protagonista, per quanto spregevole, è simpatico e ho tifato per tutto il tempo per lui.
Comunque tanti auguri cari redattori de I 400 Calci. Apprezzo il vostro stacanovismo festivo.
il buon Guillermo raramente fa male quando tocca qualcosa…comunque spero non abbia esagerato durante le feste perchè è diventato di una grassezza …
Scusate OT: Niente di nuovo sul fronte occidentale lo coprite? visto di recente, era parecchio che non provavo così tanta angoscia nel vedere un film, sarei curioso di sapere cosa ne pensate voi!
Scusate visto dopo che l’avete già coperto :-)
Il terzo episodio è il picco, poi una picchiata verticale
Ne ho visti 6 su 8, e devo dire che come storia, interprete (Murray Abraham), tensione, the Autopsy è il migliore, anche se all’inizio sembra un episodio di X-Files, ma poi sale di tono. Al secondo posto c’è sicuramente l’episodio “intruso”, The Viewing di Panos Cosmatos, vale la pena sorbirsi la prima lentissima parte, farcita di dialoghi che non sono mai stati il suo forte, ma poi gli ultimi 10-15 minuti wow. Forse la sua cosa migliore, anche se non ne ha fatte molte. E poi c’è Eric Andre, se non sapete chi è andatevi a vedere il suo Eric Andre Show, danno in rotazione h24 su Adult Swim le repliche, comicità che più selvaggia non si può. Gli altri 4 solidi, ma non esaltanti. Nel complesso una buona serie, soprattutto azzeccata nel numero e nella lunghezza degli episodi.
Em, vorrei dire la mia su Vincenzo Natali, ma con qualche argomento a favore.
Vero che non ha più fatto film con un budget decente, ma guardatevi “the peripheral” su prime. è tratto da un racconto di william gibson, se vi capita di conoscerlo, e la regia è solida e piacevole.
E poi Cypher.
Forse non lo avete rivisto da un pezzo. C’è una metonimia all’inizio: vi dice tutto del film senza dirvi nulla, in 2 secondi netti di inquadratura. L’avete trovata?
Io a Vincenzo Natali voglio bene anche solo per quella singola figura retorica su pellicola. Dai, si è meritato di stare nella cumpa.
Molto bello secondo me il primo episodio, con TBN che tiene su tutto quando il film perde ritmo. Grandioso il finale, ma la costruzione fino a lì molto bella.
I ratti anche molto bello, ma più ovvio e lineare come percorso. Come inizio la serie ha fatto benissimo, ma è proseguita in modi un po’ alterni, e ne parleremo.
Segnalo un piccolo errore nella trama del primo episodio: il Lotto 36 non apparteneva al personaggio interpretato dalla Carrillo, ma a un uomo anziano che muore nella prima scena; il personaggio femminile possedeva un altro lotto, già vuotato dal protagonista.
Oh, nessuno che cita Buster Scruggs tra i ruoli indimenticabili del buon vecchio Tim??? Massignorammia, dove siamo arrivati?
Scherzi a parte, quel personaggio è diventato così popolare che tutt’oggi è quasi un meme
EP. 1: Lotto 36
Un bel corto horror, questo ed EP. 3 sono gli unici due motivi per guardare questa serie antologica.
EP. 2: I ratti del cimitero
Tolto il pupazzo del supertopone anni ’80, che avrebbe fatto faville quando io e zio Tibia andavamo a berne un paio in quel periodo, ma che ora con la nitidezza del 4K su schermi da 55″ sembra una roba fatta da Mucciaccia strafatto di peyote, tolto l’imbarazzante topone dicevo, il resto riesce a guadagnarsi un ottimo 6,5. Almeno questo corto trasmette qualcosa, nel senso di brividi e claustrofobia, cose totalmente assenti nei corti dal 4 in poi.
Lotto 36 ti fa desiderare che fosse un film di un’ora e mezzo, molto bravo il mestierante di Del Toro a creare l’atmosfera e l’interesse.
L’altro, come avvertiva la recensione, da conoscitore di quel tipo di roba lì mi ha saputo tanto di ok già visto.
personalmente ha divertito più il 2o che il 1o, assomigliava molto ad un episodio di “Ai confini della realtà”.
effettivamente il topone è osceno ma la claustrofobia regna padrona :D