Normalmente in questo periodo saremmo in vacanza, ma quest’anno ci sentiamo eccezionalmente generosi e, per non lasciarvi soli, abbiamo pensato di continuare con un piccolo speciale alla portata delle nostre energie in ricarica. In attesa di riprendere la programmazione normale ci faremo quindi traghettare verso il nuovo anno da Guillermo Del Toro e la sua Stanza delle Meraviglie, antologia horror a metà tra The Alfred Hitchcock Hour e i Racconti della Cripta, sbarcata da poco su Netflix: a voi, in quattro parti, una breve recensione di tutti e otto gli episodi.
EP. 5: Il modello di Pickman, di Keith Thomas
(pezzo di Toshiro Gifuni)

Non dimenticate lo spazzolino da denti
Su Il modello di Pickman, su quanto sia riuscito, su quali siano i suoi debiti letterari e sul suo autore Keith Thomas sarò conciso al limite della stitichezza, ché abbiamo cose ben più importanti di cui discutere. Tratto dall’omonimo racconto breve di H. P. Lovecraft pubblicato nel 1927 sul numero di ottobre di Weird Tales, Il modello di Pickman è un simpatico esperimento narrativo in cui Lovecraft si gingilla con la scrittura in prima persona raccontando una storia inquietante con sorpresa mostruosa alla fine. È stato adattato per la prima volta su un qualche schermo grazie al Rubinetto di Guillermo Del Toro, che ne ha affidato la regia al giovane di belle speranze – per quanto riguarda The Vigil, Firestarter con Zac Efron invece era una discreta chiavica – Keith Thomas. È bello l’adattamento di Il modello di Pickman diretto da Keith Thomas e scritto da tal Lee Patterson? No. È sconclusionato, incoerente e le aggiunte per gonfiare il racconto di Lovecraft sono piuttosto maldestre. È importante che non sia bello? Io credo di no, e porto a testimonianza il fatto di essermi divertito come uno stronzo a guardarlo. Per giustificare la presenza di un oggetto estraneo come questo, piazzato quasi al centro di una riuscita (e abbastanza pettinata) playlist antologica di mammasantissima dell’horror mainstream contemporaneo, c’è da tirare fuori la solita metafora dell’amico cesso con cui esci a rimorchiare per risaltare di più; del piatto strambo che durante la degustazione nel ristorante stellato ti fa pensare ma sai che il kebab piccante doppia cipolla no patatine alla fine forse era meglio; del pezzo un po’ spompato in un album pieno di canzoni pazzesche che ti serve per riprendere un attimo il fiato. La solita roba insomma. Io preferisco usare contesti che conosco meglio e dico che in una antologia dell’orrore, così come succede in una squadra di basket, a fianco dei campioni di eleganza e tecnica ci vuole sempre quello che fa la legna e spacca zigomi e sopracciglia. Ci vuole un matto. Ci vuole un Dennis Rodman. Il modello di Pickman è il Dennis Rodman dei tempi di Detroit.

Guarda come si diverte Dennis Rodman
La storia è quella semplice semplice di un giovane pittore di belle speranze nella Boston dei primi del ‘900, che conosce il loschissimo collega Richard Upton Pickman e rimane sconvolto dai suoi quadri, vividi e repulsivi, i quali ritraggono il mondo visto da una prospettiva tenebrosa e mostruosa; e che, soprattutto, sussurrano le cose brutte a quelle persone che hanno la sensibilità necessaria per andare oltre alla superficie e vedere quanto mefitica sia la realtà umana. Discorsi del genere insomma, sulla potenza dell’arte, sugli orrori incarnati e sulla debolezza umana. I motivi per cui Il modello di Pickman diventerà una delle vostre cose preferite sono due, uno secondario e uno principale. Quello secondario è che, a un certo punto, la storia fa un balzo in avanti di una ventina d’anni e notiamo che al nostro protagonista – Ben Barnes, quello che faceva il merda nei flashback della prima stagione di Westworld – sono cresciuti i baffi e all’improvviso è diventato Rosario Fiorello, causandomi del sollazzo inspiegabile ma irrefrenabile.
Il secondo motivo, fondamentale, è che il personaggio di Pickman lo interpreta un Crispin Glover completamente, violentemente, lucidamente (?), pazzescamente, cagnescamente fuori dai gangheri e fuori ruolo. È uno spettacolo che non si vedeva dai tempi in cui Nic Cage era all’apice dei debiti con il fisco. Che Crispin Glover fosse artista intenso e tutto matto lo sapevamo da un sacco di tempo, da quella volta che ha quasi preso a calci in faccia David Letterman o, meglio ancora, da quella volta ancora in cui ha registrato un disco dove cantava anche una cover in falsetto di un pezzo scritto da Charles Manson. Che solo a scrivere una cosa del genere ti viene il mal di testa e vorresti mettere Glover e Kanye West nella stessa stanza per almeno mezz’ora. Ma qua Crispin esagera nel darci gioia. Il modello di Pickman lo dovete tassativamente guardare in lingua originale per poter godere del peggior accento nella storia dell’audiovisivo. Dickie Pickman dovrebbe avere la tipica parlata del New England, resa celebre dall’iconica e marcata pronuncia della famiglia Kennedy – qui potete apprezzare JFK che si inalbera per l’acquisto di un mobile troppo costoso. Invece di andare sul sicuro e sul noioso, però, Crispin sceglie di dare vita al suo inquietante e misterioso personaggio incamminandosi su sentieri vergini e inventandosi dal nulla un cacofonico accento tra l’australiano e l’irlandese, condito da una pronuncia extra blesa e da un rotacismo così pesante che auguri a capire qualcosa senza sottotitoli. Il tutto condito da un’espressione immota, fondamentalmente priva di palpebre, e da un ritmo di recitazione alieno e del tutto slegato dal resto del cast. Una prova allo stesso tempo talmente maestosa e ridicola da rendere l’episodio di Keith Thomas una delle robe più brutte e memorabili viste nel 2022. Applausi a scena aperta.
EP. 6: I sogni nella casa stregata, di Catherine Hardwicke
(pezzo di Quantum Tarantino)
Ho passato un quarto d’ora abbondante (quindi ora che ci penso forse erano venti minuti) a interrogarmi su come affrontare questo discorso, quanta distanza prendere, quante mani avanti mettere prima di gettarmi in una stroncatura che suonasse il meno paternalista possibile, poi mi sono detto che questa roba non merita un simile investimento emotivo.
Succede che siamo al sesto episodio della Stanza delle meraviglie e a questo giro Del Toro, o l’intelligenza artificiale a cui Del Toro ha dato il permesso di usare il suo nome, ha scelto come regista Catherine Hardwicke. Per quanto mi riguarda, non ce l’ho con Hardwicke per Twilight. Sono passati 15 anni e registi che amo molto di più hanno fatto porcate ben peggiori. Ma non credo sia una brava regista e di sicuro non una regista horror. Nel corso della sua carriera, Hardwicke ha diretto un “film shock” sulle adolescenti problematiche, un biopic sulla nascita dello skate, un inspiegabile film sulla Natività, due teen romance a tema sovrannaturale (uno, lo sapete, è Twilight, l’altro è un pastiche con Cappucetto rosso e i lupi mannari), un thriller erotico, una rom-com, il remake di un action messicano e un film drammatico. Non infila un successo commerciale o di critica da metà degli anni zero, ma non ha mai smesso per un secondo di lavorare. Se dovessi apporle un’etichetta direi “eclettica mestierante” o “miracolata regista di seconda unità”, ma mai, neanche per un secondo, mi ha dato l’idea di un’autrice a suo agio con, o anche solo minimamente interessata all’horror. Quindi, per favore, aiutatemi voi a capire quale ragionamento ha portato a dire “ehi, in questa antologia horror di otto episodi di cui ben due sono tratti da Lovecraft, serve proprio il tocco di Catherine Hardwicke”. Perché io non ci arrivo.
Per la sorpresa di nessuno, Dreams in the Witch House non è un buon episodio. Non il peggiore, come sostengono molti, quel primato per me lo conserva ancora The Outside, ma ci va molto vicino. Se non altro, a differenza di The Ouside che banchettava per più tempo di quanto ne meritasse sul canovaccio di un episodio non particolarmente ispirato di Ai confini della realtà, questo parte con premesse che sono effettivamente di paura — ma le smantella una a una finché non resta solo uno sciapo monster movie in cui Rupert Grint affronta un topo (inserite qui una battuta su Harry Potter, mi pare di aver capito che è rilevante per dei motivi) e la nonna di Groot. Non c’è atmosfera, né un solo momento di tensione, la CGI è bruttina e i personaggi sono dei cartonati. Il design dei mostri è blandissimo, la violenza è ridotta a meno del minimo, la fotografia è televisiva nel senso peggiore del termine, cioè nitidissima, luminosa, colorata. Non proprio il mood che ti immagineresti per la storia di un tizio che entra in un’altra dimensione e stringe senza rendersene conto un patto con una strega-zombie che serve Nyarlathotep.
Onestamente, la pagina di Wikipedia del racconto originale è molto più eccitante di questo adattamento, che sottrae lore lovecraftiana per pomparci dentro cliché di terza categoria come un protagonista ossessionato con l’occulto perché, dio cristo, vuole riabbracciare la sorellina prematuramente scomparsa a cui voleva tanto bene. È come assistere a un meticoloso lavoro di instupidimento… e forse sta proprio qui il “tocco” di Hardwicke. Non perché sia stupida, ma perché l’unica costante della sua filmografia sembra essere la scelta di soggetti estremamente generici e impersonali col preciso intento di darli in pasto a un pubblico più ampio possibile e senza particolari gusti. L’horror che può piacere ai non appassionati di horror. Il che ha probabilmente senso se stai facendo cappuccetto rosso coi lupi mannari per i ragazzini, ma cosa mi rappresenta in un’antologia dell’orrore?
Il modello di Pickman non mi è dispiaciuto, è malato e strano al punto giusto e, per quanto mi riguarda, Crispin Glover è un valore aggiunto alla weirdness, ma I sogni nella casa stregata è di un mollo che scànsati. Se penso che ho ancora gli incubi per l’episodio di Masters of Horror (che nostalgia, signora mia!!) diretto da Stuart Gordon con lo stesso soggetto, mi viene ancora più il nervoso per l’occasione sprecata.
Concordo su modello di Pickman. Ho battuto spesso le manine per le suggestioni lovecraftiane e per il disagio diffuso. Non sono un esperto di horror, ma un buon filmato è un buon filmato!
Uno viene qua per commentare, ma non ce n’è bisogno: due recensioni impeccabili per i due episodi più brutti del lotto. Pickman in particolare è stata una bella delusione.
Keith Thomas lo ricordo con piacere per The vigil che mi era piaciuto, Firestar non l’ho visto e quindi non posso dirne niente.
Comunque, alla luce di The Vigil, Keith Thomas si sarebbe detto sulla carta il regista giusto per Il modello Pickman. Una storia di stampo classico, ancestrale, con la tensione e l’inquietudine che dovrebbe salire un poco alla volta. Il male è tutto intorno a noi e l’unico modo per non impazzire è quello di non esserne consapevoli. In questo tipo di racconto non è richiesto alcun colpo di scena particolare, ma una costruzione dell’ambientazione fatta a dovere a cottura lenta. L’episodio raggiunge lo scopo? No, pur non avendolo visto in inglese anche in italiano non arriva alla sufficienza. Insomma, si lascia guardare ma scorre via abbastanza in fretta.
I sogni della casa stregata non è stato l’episodio che ho detestato di più, ma ci è andato vicino. Il primato spetta a La visita. A parte l’essere abbastanza banale, mi ha irritato la premessa in cui si annunciava un lieto fino del racconto. Si può discutere su cosa si intenda per lieto fine per i protagonisti, ma mi pare un trucchetto di terzo ordine che fa scadere nel finale ancora di più l’episodio.
Mi dispiace per Rupert Grint, ma mi pare che dopo Harry Potter non abbia combinato molto. Me lo ricordo nella serie Snatch, che ho mollato se ricordo dopo il primo episodio.
Comunque di tutti i film o episodi di serie di ispirazione lovecraftiana, indubbiamente il mio preferito resta Il seme della follia. E poi il blu è il mio colore preferito.
Grint fa un po’ di cose in Servant, anche se l’ho mollata dopo la prima stagione.
Due episodi molto brutti, ma forse meglio di Outside e Visit.
Ma viste le recensioni e le opinioni più diffuse, mi sa che ci ritroveremo “more of the same” in una eventuale seconda stagione.
PS: ma con tutte le serie TV calciabilissime e bellissime che girano perché non vi buttate a recensire pure quelle?
Per me “I sogni nella casa stregata” è di gran lunga il peggior episodio del lotto. “The outside” sicuramente sarà anche bruttino e butterà lì metaforoni un tanto al chilo, ma almeno non raggiunge questi livelli di noiosaggine.
The Vigil era molto carino…l’episodio del pittore sinceramente non ci ho capito una mazza …l’altro più lineare ma manca di mordente..anche se a me il design della.strega non è dispiaciuto
Non voglio sembrare il vecchio che si lamenta sempre,ma cazzo che delusione soporifera sta serie,nutrivo speranze almeno per il modello di pickman uno dei miei racconti preferiti,e forse non mi ha deluso tenendo conte del materiale originale.
Questi episodi allungati ad un’ora circa, hanno più il sapore di un sequestro di persona.
P.s.
Il modello di pickman era già stato adattato in una seria del 76 se non sbaglio.
EP. 5: Il modello di Pickman
Due palle signora mia prima di arrivare al finale, ma quando arriva…ecco…lento, senza mordente, diluito, scontato.
EP. 6: I sogni nella casa stregata
Come passare da un racconto di H. P. Lovecraft a Harry Potter loffio in un attimo. Forse ha ragione Toshiro, hanno provato a fare corti “horror” per i millennial cresciuti a pane e storie della Rowling, gente che si spaventerebbe con un Fantaghirò a caso o si è già spaventata vedendo “Doctor Strange 2 nel Multiverso woke lgbtq”. Netflix paga, Netflix ottiene.
Per me Pickman tutto sommato promosso, Crispin Glover che fa il pazzoide è una perla.
Dreams è un’offesa a… a tutto, credo: voglio dire, è uno dei racconti più arcigni di Lovecraft, trasformarlo in un episodio di Piccoli Brividi (come ha scritto qualcun altro qui, adesso non lo ritrovo) mi pare un po’ troppo liberale.
..ma solo a me il topastro oltre a farmi venire voglia a ogni apparizione di buttarmi in fondo a una palude con la smart tv al collo ha rievocato Nelson de la Rosa in Quella villa in fondo al parco?!
pensare che ste due pappette scotte e insipide è quanto di meglio siano riusciti a distillare da Lovecraft fa venire voglia di decretare Glorious horror del ventennio, che almeno sembra un braccio di ferro tra Cormack e Kostanski. e più in generale, non mi capacito che questa serie, con tutta la supermanna da imbarazzo della scelta che gira, sia la più chiacchierata del momento. escludendo i ratti del cimitero, è di un vertiginoso bruttissimo da far sospirare di struggimento nostalgico per gli episodi peggiori di Fear itself.
a me piacerebbe sapere (leggendo i commenti acidi di gente che probabilmente prima si è ciucciata giù la qualcunque su netflix e dintorni e poi fa il sommelier perchè c’è scritto Guillermo del Toro) dove sta scritto che questa raccolta di episodi dovesse essere l’antologia definitiva sul tema horror lovecraft ecc
per quanto mi riguarda, più che acida, trovo la mia posizione equipollente alla sconfortante medietà-mediocirtà generale della miniserie. non ho netflix. o meglio l’ho sempre avuto gratis dal 2018 (pc usato con login su vassoio d’oro) , ma su un macchinario con un solo giga di processore che va a manovella e me ne rende impossibile lo streaming. né ho smart-tv. quel che ho visto della scuderia dalla N rossa mi è spesse volte piaciuto (sarà stato gran culo, sarà che ho un gusto labile). del toro non mi ha mai fatto ballare lo strappamutande, con quel suo caramellare tutto quel che si muove e che narra e inquadra. paradossalmente, di questa produzione la sola cosa che trovo davvero deliziosa sono le sue intro da wraparounder. non mi aspettavo da questa serie alcunché di definitivo, né su HPL né sull’horror in generale, ma almeno di qualitativamente sensato si. del resto anche MoH, Fear itself e Sable noir non erano alcunché di definitivo su Poe, Lovecraft o il genere tutto e hanno avuto i loro momentacci, ma compensati da non pochi episodi tra il più che il discreto e il considerevole. una serie che 7 episodi su 8 ti fa salire per enne motivi il fungo atomico senza offrirti motivi di riscatto e soddisfazione…beh a me pare ovvio (e anche giusto) che catalizzi più commenti inviperiti che altro. e dice bene chi lamenta che con tutto quel che di calciabile circola (su netflix e non) l’attardarsi su sta robetta lascia, volere o volare, enormi punti interrogativi sopra la cabeza.
p.s. supplica per i piani alti @Nanni si può in qualche modo sistemare questa sciagura della mancata ricezione delle notifiche quando qualcuno ti risponde?! pliz. l’iscrizione via mail continua a non funzionare punto…
ma infatti nessuno si è esaltato per questa serie tra recensori e commentatori vari..ma neanche chi l’ha prodotta l’ha venduta come una cosa imperdibile o rivoluzionaria…probabilmente è stata recensita perchè era un periodo di vacanze e scarse uscite cinematografiche…comunque al netto dei gusti personali ormai il giudizio del social spettatore medio va dalla “merda pura” al “capolavoro imperdibile più bella cosa della storia dell’umanità” (è così quasi per ogni cosa ormai)…ma la mediocrità è proprio lo standard netflixiano (così come dei pigiami omologati ecc e della realtà in generale) e non si rende giustizia alla mediocrità valutandola con superlativi assoluti negativi o positivi..andrebbe riconosciuta ed accettata senza lanciarsi in giudizi da fine del mondo per darsi un tono (cosa che qua non si fa, mentre in altri luoghi brrr..lasciamo perdere)
non credo di capire cosa sia esattamente un social-spettatore medio e quali siano i luoghi agghiaccianti dove si giudica per darsi un tono (snobbo felicemente i social – che nella migliore delle ipotesi uso per quello che sono: un immondezzaio per cazzeggiare – e meno ancora mi curo di chi li usa per urlare “ve la do io la critica”), ma in linea di principio non trovo alcunché di deleterio o di scorretto nell’essere sciovinisti davanti alla mediocrità, se questo sciovinismo è dettato da una sincerità di giudizio (umorale e/o intellettiva che sia). perché il mediocre è peggiore del pessimo, così come il carino è uno schiaffo a ciò che è buono (e il buono a ciò che è ottimo). d’altronde in fatto di slanci massimalisti fatti di “assolutamente negativo” o “assolutamente positivo” e di iperboli (spesso anche da stand up comedy o facebook friendly) neanche qui si va giù piumatissimi eh (come è giusto e doveroso che sia), anche se non è la regola (sempre come è giusto e doveroso che sia). non mi trovi neanche così concorde col fatto che è ormai mal vezzo di chiunque parli o scriva di cinema procedere per assolutismi e carriolate di issimi. vi sono un sacco di siti, di blog, di testate che usano toni composti (anche troppo mediati e meditati per i miei gusti e intendimenti) e del tutto paritetici davanti a qualcosa che si trova a metà del guado, equilibrando ceffoni e carezze.
come che sia, il mio era – e continua a esserlo – semplice stupore che questa (che per quanto mi riguarda è probabilmente la peggiore miniserie horror mai vista) sia al momento la serie più chiacchierata. non necessariamente portata in trionfo (anzi siamo tutti d’accordo che è quasi unanimamente stroncata), o la più innovativa ma la più discussa del momento (non qui, ma ovunque), quando tutt’attorno ce ne sono, anche dentro alla stessa netflix, di decisamente più interessanti e meritevoli di discussione – soprattutto qui. ma è una domanda oziosa, considerato che mentre ne scriviamo sono ripartite alla grandissima le cronobasi.
io ho seri dubbi che sia la serie più chiacchierata del momento…e anche che sia considerata unanimemente pessima…per il resto de gustibus…
era in risposta alla discussione sopra…