Devo ammettere che l’idea di resuscitare il film antologico oggi, nell’era delle piattaforme e delle serie e miniserie a tutti i costi, era fra le ultime cose che mi aspettavo che funzionasse.
E invece guarda un po’? Il reboot di V/H/S, nonostante l’extra-ostacolo di essere un antologico specificatamente in Found Footage in anticipo su un ritorno del trend che sembra imminente ma non è ancora avvenuto, ha centrato l’obiettivo.
Ha funzionato talmente bene che abbiamo già una nuova trilogia: V/H/S 94 (di cui vi ho già parlato), V/H/S 99 (di cui vi parlo oggi) e – attenzione – il già annunciato V/H/S 85, che tornerà indietro nel tempo a confondere per sempre l’ordine di uscita agli occhi di chi non ha seguito la saga in diretta.
Fa ovviamente ridere, no?
Perché si sono incastrati con questa cosa delle annate, e ora invece se tutto procede bene dovranno a saltare da un anno all’altro un po’ a casaccio, in base a quello che li ispira di più, e in bocca al lupo a orientarcisi. Ne avevamo già discusso in una diretta.
Ma alla fine hey, sono film antologici, non c’è un motivo particolarmente forte per doverli guardare in fila.
Dietro al franchise V/H/S ci sono storicamente Dave Bruckner e Brad Miska. Miska non ha fatto niente di particolarmente rilevante a parte la saga V/H/S, ma Bruckner sta ingranando e lo abbiamo visto in azione di recente come regista del reboot di Hellraiser.
A loro si uniscono Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, anche noti come Radio Silence, che non sono una band shoegaze di fine anni ’90 bensì i registi di Finché morte non ci separi e del reboot di Scream, che avevano mosso i primi passi proprio col primo V/H/S. Io porto da sempre avanti questa battaglia per cui i registi – magari non tutti, ma tanti se lo potrebbero permettere – dovrebbero iniziare a curare la loro identità con un bel nome figo e un logo, come una band. Mi sembra incredibile che ad oggi nessuno si sia spinto più in là dell’usare sempre lo stesso font (Carpenter, Tarantino), e che mi vengano in mente soltanto gli Astron-6 (purtroppo scioltisi come i Beatles) e appunto i Radio Silence, che sospetto abbiano iniziato a usare questo nome fighissimo perché stanchi di dire “Bettinelli-Olpin & Gillett” ed essere scambiati per tre persone, e/o per uno studio di avvocati. Se mi capita di intervistarli glielo chiedo. Se mi danno i classici 10 minuti che danno ai press junket organizzati, li spendo tutti a parlare di questa cosa. Ci sono rimasto male a vedere che su Scream si firmano “Bettinelli-Olpin & Gillett” come impiegati incravattati qualsiasi, ma in questo V/H/S 99 si firmano ancora Radio Silence e ho annuito soddisfatto. Ma basta divagare. Il punto è: che bello che i soldi del nuovo Scream vengano reinvestiti su queste cose! No?
Arriviamo al sodo: l’operazione è ancora interessante.
Si prende un pugno di registi per lo più emergenti (a questo turno c’è un’eccezione che vedremo).
Li si costringe a girare un breve horror found footage, stimolandoli a farsi venire qualche ideuzza un minimo fresca.
Gli si dà un vago tema: in questo caso, un horror ambientato nel 1999. È importante che si capisca che è ambientato nel 1999? No, diciamo che è più importante che sia difficile provare il contrario. In generale, è sufficiente mandare in giro i protagonisti con una videocamera a VHS invece che col telefonino o col Super 8.
Il risultato è sempre come minimo interessante, anche quando gli episodi sono tutti deludenti come finora è successo per sfiga in V/H/S Viral, il terzo della trilogia originale (se vogliamo divertirci ad adottare una terminologia alla Star Wars per un progettino da due spicci come V/H/S).
A questo turno, qualitativamente parlando, per una serie di congiunzioni astrali i cinque episodi ci vengono presentati in ordine crescente di qualità dal più moscio al più riuscito, che non sono convinto sia per forza la mossa più furba – ogni band lo sa che si dovrebbe idealmente iniziare con un singolone che dia la spinta e la voglia di ascoltare anche il resto dell’album – ma rende più facile la recensione.
A voi il commento ad ogni singolo corto, nell’ordine in crescendo con cui ci vengono presentati:
Shredding
Vi dicono “1999”: a cosa pensate?
Ok, a Prince.
E poi? Qualcosa che sia effettivamente del 1999.
Avete detto “il punk rock”? Pure voi??? Pure io l’ho detto! Incredibile. Ci leggiamo nella testa. E pure Maggie Levin l’ha detto. Chi è Maggie Levin? IMDb dice sostanzialmente “nessuno”, nel senso che finora in CV ha solo una serie di corti, ma hey, pure i Radio Silence erano nella stessa situazione quando fecero il loro episodio per V/H/S, e guardate dove sono ora. Maggie Levin, dice sempre IMDb. ora sta scrivendo un remake di Labyrinth per Scott Derrickson. Comunque: anche lei ha detto “il punk rock”, che è originale quanto uno che ti dice “1983” e tu gli rispondi “la New Wave”.
La trama vede una punk rock band pazza e trasgressiva quanto i No Doubt che ha un proprio show autoprodotto a metà fra Jackass e le cose più insulse che giravano su MTV all’epoca, e che decide di visitare una vecchia venue abbandonata dove un’altra punk band aveva tenuto un concerto finito in tragedia quando un incendio aveva scatenato il panico e i membri della suddetta band erano morti calpestati. I nostri protagonisti sono un po’ troppo spensierati e irriverenti, con l’eccezione di uno di loro che di colpo va in para dura, e indovinate cosa succede? Scommetto che avete indovinato. Ma non è importante indovinare: il problema principale è che i protagonisti sono simpatici come unghie sulla lavagna microfonate, e questo rende difficile apprezzare anche le sfumature migliori di una storia che non sconvolge per inventiva.
Suicide Bid
Vi dicono “1999”: a cosa pensate?
Intendo dopo a Prince e al punk rock.
Torniamo in ambito cinema horror.
Beh incredibile, anche questa volta ci siamo letti nella testa! Esatto: i cloni di Scream. Johannes Roberts è la presenza più controversa del mucchio: non si può dire che sia emergente visto che è il regista della saga di 47 Metri, del sequel di The Strangers e del recente reboot di Resident Evil, ma contemporaneamente non è neanche esattamente il tipo di nome che metti su un poster e la gente si fionda a vedere l’ultimo parto del suo cervello di manovalante. La sua è una storiella scema su – qual è il femminile di “membri”? – sulle membra (?) di una sorority che decidono di seppellire viva una candidata durante un rito di iniziazione fino a che le cose non vanno puntualmente storte. Il buon Johannes scrive una roba senza senso pescando il tono da roba tipo So cos’hai fatto, Urban Legend o Giovani streghe, contando sul facile effetto claustrofobico di una ragazza chiusa in una bara in compagnia di ragni e di altra sfiga apocalittica, e non c’è mezza direzione interessante, ma hey, è il solido mestierante del gruppo e sa come si fa un lavoro più che dignitoso.
Ozzy’s Dungeon
Qui si inizia a ingranare sul serio. Scrive e dirige nientemeno che Flying Lotus in persona, e si narra di un delirante gioco a premi per regazzini governato da violenza e cattivo gusto, finché una giovane concorrente non si spezza una gamba e i genitori decidono di rapire il presentatore e fargliela pagare. Il tono surreale è interessante, ma mi è rimasta l’impressione che non trovasse il respiro e la durata giusta, e che per assurdo lo spunto avrebbe funzionato più corto e asciutto o direttamente gonfiato a lungometraggio. Trova però un paio di cose: 1) una protagonista eccezionale come Sonya Eddy, che scopro in questo istante che ci ha purtroppo lasciati appena due mesi fa, e che in curriculum vantava soprattutto 543 episodi di General Hospital; 2) un mostro spettacolare, tra i miei preferiti degli ultimi anni, che non vi descrivo nemmeno per non rovinarvi l’impatto. È presto per decidere se Flying Lotus sia quell’incrocio fra Rob Zombie e Jordan Peele a cui sembra vagamente accennare e che accoglierei a braccia aperte, ma facciamolo esercitare un altro po’.
The Gawkers
Ok, ripensandoci questo non è per forza per tutti i gusti. Si narra di quattro adolescenti arrapati che decidono di spiare la vicina di casa gnocca, e non mi stupirei se qualcuno li trovasse insopportabili quanto i protagonisti del primo episodio, se non addirittura peggio. Devono sembrare quattro decerebrati totali con grossi problemi di rapporto con l’altro sesso. C’è sempre questo personaggio nelle commedie per adolescenti, no? Così su due piedi mi viene in mente Jonah Hill in Superbad: immaginate quattro Jonah Hill di Superbad, tranne che nessuno dei quattro fa ridere quanto Jonah Hill. Il punto è che, rispetto ai quattro stronzetti del primo episodio, questi riescono a suonare molto più naturali e quindi per assurdo molto meno fastidiosi. Per il resto, come probabilmente avete già intuito, il segmento è una specie di sequel spirituale di quell’Amateur Night di David Bruckner dal primo V/H/S che era poi stato riadattato a lungometraggio nel divertente SiREN di Gregg Bishop: in ballo c’è stavolta un tipo diverso di creatura mitologica, ma ci sono le basi per un mini-cineuniverso che potrebbe risultare simpatico. Dirige Tyler MacIntyre, che era uno di cui si dicevano tante cose promettenti ai tempi del suo mediocre ma stiloso Tragedy Girls del 2017, ma che poi finì per non fare letteralmente nient’altro.
To Hell and Back
Il piatto forte viene da Joseph e Vanessa Winter, già al timone di Deadstream che è stata una delle sorprese più insospettabili della scorsa stagione. I nostri protagonisti vengono ingaggiati per riprendere un rituale stregonesco che si preannuncia come una gigantesca bufala, tranne quando funziona e loro vengono trascinati all’Inferno. E l’Inferno è quello super old-school dei film muti di una volta, tipo Häxan: buio, cavernoso, pieno di creature mitologiche che fanno brutto. E in qualche modo – con la videocamera che ancora funziona – dovranno tornare indietro. È un’idea ambiziosissima per il budget da poveretti che si riserva di solito ai corti di V/H/S, ma i Winters sono soprattutto commedianti e la buttano subito in ritmatissima e fantasiosa caciara, trovando un tono che sta a metà tra Sam Raimi e Bill & Ted’s Bogus Journey. È roba che, se chiedete a me, merita un lungometraggio ieri.
L’antologia si chiude su un classico di Danzig, e non c’è modo migliore per salutarsi in attesa del prossimo episodio.
VHS-quote:
“Continua a girare, la gente deve sapere!!!”
il protagonista di ogni film found footage
Buongiorno capo, grazie di aver illuminato il mio lunedì mattina, dove posso trovare questa antologia? E in generale, cosa consigli di fare quando voglio capire dove si trova il film di cui parlate senza passare dalla sezione commenti? Vivendo all’estero (ma non così tanto) a volte faccio davvero fatica, ad esempio non sono riuscito minimamente a capire dove poter recuperare “A Wounded Fawn” e niente, a costo per passare per un cretino che non sa googlare e usare Just Watch domando. Thanks
Piratizzati,li trovi facilmente.
Non sono più er ghepardo d’una volta…
E allora aspetta la versione doppiata demmerda.
@Ruper: Justwatch.com ti dice dove trovi i film in streaming nelle platforms di tutto il mondo e, se ti fai un account gratuito, ti avverte quando arrivano i film che ancora non trovi
Scusa vedo adesso che hai specificato “non so usare JustWatch” e qui mi cogli alla sprovvista… Non voglio fare shaming di nessun tipo, ma è solo un semplice campo di ricerca, come su IMDb o simili, e se mi aiuti a capire dove sta la difficoltà magari ti dò una mano o ti rispondo “in effetti non ci avevo pensato”.
Ahah no non sono così idiota Nanni, eh che in verità non sempre con Just watch le cose sembrano funzionare. Con il summenzionato ad esempio “A Wounded Fawn” indicava dove era visibile ma solo per US, UK, Ireland, Australia…insomma non c’era né dove sto io (che vabbè, uno pensa che semplicemente non è ancora distribuito) ma soprattutto non c’era l’Italia – e mi sembrava strano recensiste una cosa not available in italia
Comunque spiegazione della domanda a parte non sta preoccuparti che mi arrangio
A me, ogni volta che cerco un film su JustWatch, esce scritto “Compralo, pezzente”.
La reperibilità la puoi vedere pure su letterboxd, che si appoggia a justwatch ma ti permette di scegliere la nazione per dove lo stai cercando (che non escludo faccia pure justwatch però te provice lo stesso)
Volevo aggiungere che ,a ragione ,questo vha 99 merita veramente.
Un altro found footage sconosciuto ai più,ma probabilmente il più bello, è A Record of a Sweet Murder.
Va visto senza trailer ,che spoilerano e massacrano questo grandissimo film.
Un regista col font personalizzato e il nome d’arte? Woody Allen.
Mi trovi prontissimo: non l’ho incluso apposta perché ha sempre dichiarato che non si trattava una scelta di stile ma pigra, ovvero la risposta alla domanda “qual è il font che costa meno?” e il non disturbarsi più a cambiarlo.
Pigro e pidocchio direi
Classic Woody.
– “Maestro, perché gira sempre a New York?”
– “Così non mi perdo le partite dei Knicks.”
– “Maestro, che belli tutti questi piani sequenza!”
– “Eh, non c’avevo voglia di fare i controcampi…”
– “Maestro, lei interpreta se stesso in tutti i film, vero?”
– “No, sono personaggi molto diversi ma per coincidenza hanno tutti il mio aspetto, si vestono come me e hanno nomi brevi.”
Ma infatti, prendere sul serio l’autosminuirsi di Allen, esercizio che pratica in ogni singola cosa che lo riguarda, non ha senso: quel font e quei titoli di testa sempre assolutamente uguali da 60 anni e’ chiaramente un segno distintivo, firma e marchio personali.
Dei Radio Silence è bello anche “Southbound”, un altro antologico
Copertissimo: https://www.i400calci.com/2016/03/southbound/
Io direi “le membre”.
Per me il primo e il secondo, sono quanto di meglio un fan del mockumentary potesse chiedere al genere. Quasi un simposio di fine anni ’90 e inizio 2000, racchiusi in un dittico.
Evans svetta su tutti con quella sua versione di Forbidden Sirem in salsa Thai negli episodi.