Il fatto che Pierfrancesco Favino sia onnipresente e che su queste pagine arrivi molto poco è forse il segnale più inequivocabile dello scollamento tra il cinema italiano e i nostri gusti, che sta venendo lentamente ricucito film dopo film, sin da quel Lo chiamavano Jeeg Robot che ci ha dato un flebile segnale di speranza back in 2015. Lo so che sembro un disco rotto, ma, come un contabile che ha conquistato una coniglietta di Playboy, ho continuamente il bisogno di pizzicarmi, perché ancora non ci credo. Gente che recita bene! Fotografia non smarmellata! Sound design decenti! I FILM DI MENARE!! Lo avreste mai detto, dieci anni fa?
Favino è ormai da tempo che flirta con il noir, anche se questo L’ultima notte di Amore è forse il caso più diretto di film che mira a evocare una cinematografia di stampo più internazionale, con in testa il polar francese prima di tutto. Non fosse un film italiano, si qualificherebbe forse come eccezione meritevole, perché di azione ce n’è veramente poca e sono i dilemmi e lo struggimento del protagonista a farla da padroni. Essendo però un film italiano, il fatto che ci siano un paio di persone che muoiono molto male e una Milano fotografata come dio comanda, come una metropoli americana (soprattutto nella sequenza dei titoli di testa ripresa a volo di drone), desta la nostra attenzione.

Morire male nel cinema italiano 1.01.
Alla regia c’è Andrea Di Stefano, attore che ha esordito dietro la macchina da presa con Escobar (quello con Benicio Del Toro) e ha proseguito con un’altra regia internazionale, The Informer. L’ultima notte di Amore è il suo primo film italiano, e Di Stefano coglie l’occasione per traghettare tutta la sua esperienza nei mercati anglofoni in un film locale. Non era scontato, e un tempo si sarebbe fatto l’opposto: il regista di turno avrebbe abbassato le pretese e si sarebbe adattato al nostro modo provincialotto di fare cinema. Adesso tutto è cambiato: adesso si sfornano abbastanza regolarmente film come questo, che non sfigurano nel mercato estero. Non siamo ancora fuori dalla selva oscura, ma ci stiamo avvicinando.
Comunque, L’ultima notte di Amore è incentrato su Franco Amore (capita? Capita?? Non è “amore” inteso come quello strano sentimento che a Valverde non conosciamo, ma come il cognome del protagonista. Clever!), uno sbirro che si vanta di non aver mai sparato un singolo colpo di pistola per tutti i suoi x anni di onorata carriera. Franco però non è esattamente un santo: da anni fa da security privata al loschissimo cugino di sua moglie, Cosimo (Antonio Gerardi), che traffica merce rubata. Proprio tramite Cosimo ottiene di fare lo stesso lavoro per un boss della malavita cinese, che gli promette che inizierà dopo che sarà andato in pensione. Peccato che l’ambizioso nipote di quest’ultimo lo costringa invece a occuparsi di un carico di diamanti proprio nella sua ultima notte in servizio. Ovviamente scoppierà un casino che metterà a repentaglio non solo la pensione di Franco, ma la sua vita e quella di sua moglie.

“È la mia ultima notte in servizio e dobbiamo fare un lavoro per la Triade. Cosa potrà mai andare storto?”
L’ultima notte di Amore non è un film che scorre liscissimo. Ha un intreccio che diventa palese solo verso la fine, quando i segreti dei personaggi vengono a galla, e il lavoro di foreshadowing è un po’ zoppicante e non molto chiaro. A un certo punto, in sostanza, scopri una roba perché te la dicono, ci è arrivato Franco ma non ci sei arrivato tu spettatore, e questo è un problema. Ma glielo perdoniamo, perché per il resto Di Stefano dirige con mano sicura un noir cupo e teso, che fa veramente un ottimo uso dei paesaggi urbani, e soprattutto ribalta, per una volta, il cliché delle periferie come luoghi del Male: qui i cattivi risiedono vicino a Piazza Duomo in un attico di lusso. Sarebbe anche ora che la smettessimo con tutte ‘ste storie di borgate e disagio che ormai sono diventate la prassi in tanta produzione italiana, soprattutto televisiva.
La scelta di Di Stefano di mostrare una metropoli più cool, di evitare le trappole del neo-neorealismo e abbracciare invece un’estetica da moderno poliziesco d’oltralpe, è vincente. Il regista dirige anche molto bene gli attori, sfruttando, come è prassi ormai, i dialetti per dare un’impronta più credibile e realistica quanto basta a tutto il pacchetto. Antonio Gerardi è praticamente un Joe Pesci de noantri, e col suo look prima repubblica ruba la scena ogni volta che appare. Al centro di tutto c’è un Favino che, come sempre, fa il suo, lavorando molto su timbro, accento e mimica per creare un personaggio coerente. È fondamentale tifare per Franco nonostante le sue evidenti tare, e Favino riesce nell’impresa. Oh, Favino è bravo raga, è inutile che stiamo ancora a fare le battutine. È vero che nel nostro cinema c’è da sempre la tendenza a dare tantissimo lavoro a quattro attori, ma se lo vogliono tutti ci sarà pure un motivo. È anche una boccata d’aria fresca il fatto di allontanarsi dalla solita immagine del celerinofigliodiputtana per presentare un personaggio molto più complesso e contraddittorio, che non ama la violenza ma è comunque corrotto.

MVP.
Il tutto è ambientato in una Milano in cui praticamente non si vede neanche un milanese: tutti, protagonisti e antagonisti e chi sta nel mezzo, sono outsider. Milano è una metropoli spietata in cui per sopravvivere bisogna essere disposti a fare di tutto, e chi si è fatto da sé e ha dovuto badare a se stesso ha varcato talmente tante soglie che, ormai, il confine tra bene e male è poco più di una favoletta. Eppure Franco un codice morale ce l’ha, come è giusto che sia per il protagonista di un noir, e sarà proprio questo a metterlo nei guai e, forse, a risolverli.
L’ultima notte di Amore è un film che lavora abbastanza per sottrazione, ma non per cagare il cazzo con vezzi autoriali, quanto piuttosto per concentrarsi sempre sul percorso di Franco e montare la tensione fino a farla scoppiare in momenti ben precisi. Ci sono paradossalmente pochissime ambientazioni, un concetto quasi teatrale se non ci fossero così tanti esterni. Anche questo però è coerente con l’idea di creare più uno spazio mentale di Franco che uno reale, una Milano che è più nella sua testa e che dunque viene distillata in pochi luoghi chiave con un forte impatto emotivo su di lui: casa sua, il sottopasso in cui succede il casino (e che fa da sfondo a buona parte dell’atto centrale), l’attico del boss.

Unità di luogo.
Detta così pare una rottura di palle, e invece Di Stefano tiene quasi sempre il polso della situazione e riesce a non annoiare, pur tenendo presenti i problemi di intreccio di cui sopra. L’ultima notte di Amore è insomma l’ennesimo tassello di un percorso che ci preme molto seguire, qui, perché è l’ennesima riprova che si può fare un cinema d’autore che guardi al genere e non se ne vergogni, in cui sono le azioni a parlare più dei dialoghi, in cui ci si può anche abbandonare a dei cliché – lo sbirro a un passo dalla pensione a cui succede un guaio – a patto di infondere una certa personalità agli scenari e ai protagonisti. L’ultima notte di Amore ce la fa alla grande e si scrolla del tutto di dosso l’ombra della tradizione del poliziottesco che alcuni (sto parlando con te, Marco Bocci!) avevano cercato maldestramente di scimmiottare. Quella roba è il passato, non la si può più fare in modo credibile oggi. I tempi sono cambiati, e L’ultima notte di Amore è al passo coi tempi.
Prime Video quote:
“…a tre dì dalla pensione il tuo collega morirà!”
George Rohmer, i400Calci.com
Bella recensione e d’accordissimo sul fatto che certe cose vadano attualizzate, ma vanno attualizzate bene (serie TV di Django, ce l’ho con te…) perchè siano godibili, in questo caso il risultato mi par di capire sia stato raggiunto. Non ho ancora visto il film ma ho intenzione di vederlo e l’articolo mi fa venire ancora più voglia.
Mi par di capire che il passo successivo sarà meno dilemmi e struggimenti e più azione e persone trucidate, giusto?
Mi pare giusto.
A passo coi tempi ok, ma dalla rece non ho capito se sia anche un bel film.
Dovresti leggere la recensione dei 400 calci, lì si capisce che è un bel film. Con dei difetti, eh, ma un bel film.
Se può aiutare la comprensione, direi 7,5/10.
Visto, piacevolmente sorpreso dalla tensione che il film riesce a mettere in scena da metà film in poi.
Contento anche del ruolo della moglie: finalmente un personaggio non bidimensionale, cosa non difficile da realizzare, ma chissà perché è diventata cosa rara.
Avrei solo voluto più dialoghi da buddy cop, una bella coppia Favino e Di Leva.
Favino nuovo Gerald Butler…un sogno che si avvera
Giudizio positivo di un film italiano e niente troll? Neanche un flameiciattolo? E io che ero già pronto coi popcorn…
Ma ormai da qua anche i Troll se ne sono andati, non te ne sei accorto ? Ve la cantate e ve la suonate fra di Voi.
“e soprattutto ribalta, per una volta, il cliché delle periferie come luoghi del Male: qui i cattivi risiedono vicino a Piazza Duomo in un attico di lusso. Sarebbe anche ora che la smettessimo con tutte ‘ste storie di borgate e disagio…”
Anche nei libri di Manzini si segue la stessa linea. Più si procede, più i cattivi sono in alto (e vivono in centro ad Aosta nel caso specifico). È una bella inversione di tendenza.
Bella rece! Grazie. Negli ultimi (10?) anni ho ripreso a vedere molto cinema italiano. Tante palle al cazzo, ma anche belle soddisfazioni anche al di fuori della roba 400calcistica (che quella me la coprite voi così evito di andare a casaccio…).
Di Stefano è un bravo regista e Favino un ottimo attore, mi appresto alla visione ma della rece vorrei un chiarimento su questa frase: “Adesso tutto è cambiato: adesso si sfornano abbastanza regolarmente film come questo, che non sfigurano nel mercato estero.” Quali sono questi film italiani recenti che non sfigurano all’estero? Perchè me li recupero volentieri. Basta che non siano quelle cose tipo Manetti, quello con Castellitto, Gassman o Giffuni.
D’accordissimo su colonna sonora e fotografia (ho passato tutta la carrellata iniziale a chiedermi che città fosse quella, i miei two cents andavano a una metropoli cinese…), Favino è bravo, ma empatizzare con lui o la moglie, oca oltre ogni umana sospensione dell’incredulità, mi è stato proprio impossibile… Cioè: dovrei compatirlo perché non ha fatto carriera avendo sposato un ‘ndranghetista (e aggiungerei un sonoro: e ‘sticà) e passa i pomeriggi a fare da guardia del corpo a criminali di varia etnia? Spiace dirlo, ma nonostante l’evidente spregio del regista, gli unici (forse) onesti del film sono il capo odioso o la magistrata (che però è cattiva a prescindere in quanto vecchia e col brillocco al dito, e quindi non può comprendere i drammi di un povero sbirro dalla morale fluida che prende solo 1800 € al mese)
Visto L’ultima notte di Amore: andate a vederlo se volete un minimo di bene al cinema italiano.
Comunque vedendo il film mi sono venuti un paio di dubbi, spero che magari qualcuno me li chiarisca (ovviamente SPOILER):
Spoiler!
Il cugino aveva intenzione di far fuori il personaggio di Favino durante la rapina? Perché questo ultimo poteva risalire abbastanza facilmente ai Carabinieri che avevano tentato di rapinarlo, e da quelli al cugino stesso. L’unica sicurezza era ammazzarlo per non correre rischi.
O il cugino pensava che Favino fosse un perfetto imbecille e anche se l’avesse lasciato in vita non sarebbe riuscito a risalire a lui?
E perché il genero del boss cinese aiuta ad organizzare la rapina? Era praticamente il capo. Davvero avrebbe messo tutto a rischio per i diamanti?
Mi è piaciuto abbastanza, un pò lento all’inizio/che due palle tutte le parti con il cugino acquisito, però na volta che mette il turbo fila via che una bellezza