Fancalcisti e fancalciste, it’s that time of the year again! EXTRA sci-fi festival Verona riparte con una seconda edizione ancora più grossa della precedente. Dal 16 marzo al primo aprile si terranno proiezioni ed eventi legati alla fantascienza cinematografica, letteraria e a fumetti, e ancora una volta i 400 Calci saranno media partner. Per il programma completo vi rimandiamo al sito ufficiale, ma qui ci preme dire una cosa: sabato 18 marzo apriremo ufficialmente le danze con un classico enorme, Alien. Troverete il sottoscritto e Toshiro Gifuni sul palco del Cinema Nuovo San Michele a presentare il film, ma, nel frattempo, qui a Valverde si è pensato di cogliere l’occasione per parlare di Alien, dato che non ne avevamo mai parlato sul sito. Perciò mettetevi comodi, leggete il pezzo e poi fate un salto sul sito di EXTRA e sulle pagine Facebook e Instagram per scoprire tutti i dettagli sulla nuova edizione, di cui sarà ospite anche l’esimio Stanlio Kubrick con un intervento sulle fini del mondo al cinema.
Sigla!
Alien non esisterebbe senza Alejandro Jodorowsky. Se vi è capitato di vedere il bellissimo documentario Jodorowsky’s Dune, sulla pre-produzione del mai realizzato Dune di Jodorowsky – duh! – probabilmente lo saprete già. Per tutti gli altri ecco un veloce riassunto: Dan O’Bannon viene chiamato a lavorare agli effetti speciali del film, e durante la lavorazione incontra il concept artist Chris Foss, Moebius e H.R. Giger, tutti coinvolti da Jodorowsky in un progetto ambiziosissimo e folle la cui mancata realizzazione costituisce prova definitiva della non esistenza di Dio. Dune, è la terza volta che lo dico in un solo paragrafo, non si fa, eppure il progetto ha una ricaduta pazzesca manco fosse un prototipo militare: persino in Prometheus ci sono tracce dei design immaginati per il film. E, molto più direttamente, è il punto di incontro di questo gruppo di artisti che, una volta liberi dal progetto, si ritrovano per volontà di O’Bannon su Alien.
Alien, in seconda battuta, non esisterebbe senza Dark Star. Il primo film di John Carpenter, che O’Bannon scrive e di cui supervisiona gli effetti speciali, è un banco di prova per il film di Ridley Scott. La trama è in sostanza la stessa, ma virata a commedia, ed è qui che O’Bannon capisce di voler invece realizzare un horror cosmico su un alieno che invade una nave spaziale. È qui, inoltre, che incontra Ron Cobb, l’altro artista concettuale di Alien.
Alien – e diciamolo! – non esisterebbe senza Dan O’Bannon, insomma. La stesura finale della sceneggiatura, non accreditata, è dei produttori Walter Hill e David Giler, che si inventarono due cose fondamentali come il gatto Jones e il colpo di scena su Ash, l’androide che impazzisce per un conflitto di programmazione (le leggi della robotica impongono di proteggere le vite umane e a lui viene ordinato altrimenti; non viene detto, ma per me è così). Sarebbe facile, dunque, saltare sul carro dei vincitori e sposare il loro punto di vista – ricordo di aver letto da qualche parte che, ad esempio, nella sceneggiatura di O’Bannon e Ronald Shusett i nomi dei personaggi erano orribili – eppure fu O’Bannon a tirare dentro i creativi principali di Alien. Fu grazie a lui se Ridley Scott si invaghì dei lavori di Giger e gli propose di usare il dipinto Necronom IV come base per lo Xenomorfo. A Dan O’Bannon dovremmo costruirgli una statua.
Il punto, però, è che Alien è un miracolo, una di quelle occasioni in cui le stelle si allineano e nasce qualcosa di unico e perfetto. E, sia chiaro, non è che quella di Alien sia stata una lavorazione tanto diversa da mille altre a Hollywood, a partire dal conflitto tra i creativi coinvolti – con Hill e Giler che riscrivono la sceneggiatura senza avere, a detta di O’Bannon, esperienza nella fantascienza – passando per uno studio, la 20th Century Fox, che spinge per tagliare il più possibile e si intromette nel processo creativo, per finire con un regista alle prime armi proveniente dalla pubblicità e da un’opera prima, I duellanti, che c’azzeccava esattamente un cazzo con un horror cosmico-metafisico. Sì, Alien aveva dalla sua gente come Giger e Moebius (che comunque ha lavorato davvero poco al film), ma non era mica scontato che ne uscisse una roba così monumentale, e la storia del cinema ci insegna che può succedere che un film risulti inferiore alla somma delle parti.
Non è questo il caso: Alien è a buon diritto considerato uno dei capolavori dell’horror e della fantascienza, a scelta, un film influente e seminale e tutte le parole che si usano per definire quei film che c’è un prima e un dopo di loro. Un film che, pur essendo stato scritto e prodotto da degli americani, è profondamente europeo nei temi e nella resa, in parte perché evoca – tramite Moebius – tutto il carrozzone di Métal Hurlant (e torniamo a Jodorowsky!), in parte perché imbevuto dello spirito filoeuropeo della New Hollywood, che stava tirando gli ultimi dopo Star Wars (lo vogliamo dire che Alien non sarebbe esistito senza Star Wars? Diciamolo), ma che comunque era ancora molto influente. Come nei film della New Hollywood, c’è una sfiducia nei confronti delle autorità, The Man, pronto a mettertelo in quel posto per i suoi comodi. È ancora il riflesso del Watergate quello che fa concepire a O’Bannon e Shusett la Compagnia – che già si chiamava Weyland-Yutani, anche se non viene detto – e la sua fredda cospirazione per salvare l’alieno a discapito dell’equipaggio.
E, come i film della New Hollywood, Alien è un film subdolamente politico, per come ribalta e fa a pezzi il mito autocelebrativo della frontiera. Perché, dal punto di vista americano, lo spazio del cinema di fantascienza è un’estensione della frontiera del West, e chi lo solca a bordo delle astronavi è il pellegrino che lo conquista, esportando la visione del mondo americana. Basti vedere Star Trek, tanto per citare un’altra saga benedetta dalle musiche di Jerry Goldsmith (altra roba iper-influente di Alien, se lo chiedete a me). In Alien, al contrario, lo spazio non è una frontiera da conquistare, anche se la parola “frontiera” viene pronunciata nel film; è un caos incomprensibile e pericoloso, che è meglio attraversare molto in fretta e senza fermarsi ai semafori. “Lo spazio è malattia e pericolo, nell’oscurità e nel silenzio”, come si diceva in un altro Star Trek. Un luogo spaventoso, misterioso, in cui orrori indicibili si nascondono negli angoli più remoti, in attesa di “venire fuori dalle fottute pareti” e divorarti.
Non è un caso se, a differenza dei suoi prequel “senili” (nel senso di Ridley Scott), Alien non sente il bisogno di spiegare nulla più del necessario, preferendo anzi lasciare le origini dello Space Jockey e della sua collezione di uova aliene avvolte nella nebbiolina del mistero: meno ne sai, di questa roba, più paura fa. È l’ignoto che fa irruzione nelle vite di gretti manovali dello spazio: spiegare anche un minimo dettaglio avrebbe rovinato tutto, e Prometheus ma soprattuto Alien: Covenant ne sono la prova schiacciante.
Già solo per questo, Alien è un film importantissimo, innovativo, iconoclasta. E non sono ancora nemmeno arrivato a parlare dello Xenomorfo e di Ripley! Due elementi che non vanno certo sottovalutati, anche se forse abbiamo un po’ imparato a darli per scontati. Da un lato c’è uno dei mostri più iconici della storia del cinema, un simbolo fallico pronto a penetrare le sue vittime con la sua simpatica lingua dentata (courtesy of Carlo Rambaldi. Ah, la vera eccellenza italiana!), una creatura il cui design e la cui concezione non avevano pari nel cinema dell’epoca. L’idea geniale di Dan O’Bannon fu nel determinare come il mostro riesca a intrufolarsi a bordo della Nostromo: non sgattaiolando dentro, ma impregnando un membro dell’equipaggio. Una trovata bellissima e terrificante, perché l’idea che un organismo alieno violi il nostro corpo e cresca al suo interno senza che ce ne accorgiamo tocca corde profonde, ci fa sentire impotenti e indifesi. Alien è dunque anche in parte body horror, con la sua commistione di organico – liquami e viscere sempre in primo piano – e biomeccanico, nel design del mostro (e della Nostromo).
Ma, del resto, Alien è un film che nella sporcizia, nei liquami, nel disordine (controllato) ci sguazza. Il design della Nostromo, specialmente degli interni, è progettato per evocare un senso di gretta praticità. Questo non è l’Enterprise, con i suoi ambienti bianchi e immacolati, ma un camion spaziale consumato dall’uso, in costante bisogno di riparazioni. Siamo più vicini alla tecnologia lisa di Star Wars, ma Alien porta tutto il discorso agli estremi. Questo caos, questa sporcizia si riflettono anche nel sound design e soprattutto nella gestione dei dialoghi, che spesso si accavallano come nella vita reale. Ridley Scott cerca insomma un certo realismo, anche qui debitore della New Hollywood. Una concretezza che fa di Alien un esempio perfetto di hard sci-fi nel senso più letterale: tutto è duro e aspro, come la vita.
Ed eccoci arrivati, inevitabilmente, al cast. Questo tipo di direzione degli attori non avrebbe potuto funzionare senza un gruppo di fuoriclasse. Tom Skerritt (accreditato per primo, adesso fa impressione), John Hurt, Ian Holm, Yaphet Kotto, Harry Dean Stanton e Veronica Cartwright sono perfetti, mentre Sigourney Weaver è letteralmente una rivelazione: al suo primo ruolo importante, prende in mano il film e se lo porta via con sé. Ripley non è ancora la protagonista della saga, qui: è la final girl della tradizione, parte di un ensemble. Ma, entro la fine, il film è suo. Vedendo Alien si ha la rara opportunità di assistere alla nascita di una star in tempo reale, e di un personaggio iconico allo stesso tempo. Al netto della scena finale che, come da comandamento dell’epoca, trova una scusa per farla svestire, Ripley è una protagonista femminile rivoluzionaria, badass senza rinunciare alla sua fragilità.
Infine mi preme ricordare l’eroe Bolaji Badejo, scomparso nel 1992, studente di design e artista nigeriano alto due metri e otto, scoperto per caso in un pub da uno dei direttori casting e immediatamente scritturato nel ruolo dello Xenomorfo. Badejo, con la sua figura longilinea e i suoi movimenti aggraziati – per prepararsi al ruolo studiò mimo e Tai-Chi – crea un personaggio sinuoso, agile e terrificante. Scott adotta il metodo Spielberg e mostra il mostro (scusate) con parsimonia, lo centellina, lo riprende quasi sempre con primissimi piani e dettagli, oppure ne fa percepire la presenza con l’uso delle silhouette in una delle scene più belle del film. Il risultato è uno Xenomorfo diverso da tutti quelli che sarebbero seguiti, sia dai droni dell’alveare concepito da James Cameron, sia dal cane feroce di Alien 3. Questo Xenomorfo si nasconde e si mimetizza, viene letteralmente fuori dalle fottute pareti con abili trucchi di montaggio interno, è insidioso e imponente. Una commistione di vecchi e nuovi trucchi del cinema per creare un’icona sempiterna.
Alien è tutto questo: funziona e resta impresso perché tutti gli elementi che lo compongono sono eccellenti, senza che per questo il film sembri studiato a tavolino, quasi che questa eccellenza sia più il risultato di una serie di fortunate coincidenze che del lavoro consapevole di artisti al massimo della loro forma creativa. E forse si tratta di entrambe le cose, chissà: è impossibile definire quel quid impalpabile che rende un film un capolavoro. Ma, d’altro canto, è questo il bello del cinema.
Festival quote:
“Star Wars rivisto dalla New Hollywood”
George Rohmer, i400Calci.com
Visto al cinema a 9 anni, mai avuto tanta paura come quella volta. Che filmone!
Premio genitori dell’anno
Mio padre era matto, mi ha portato a vedere anche Soldato blu in tenera età.
Erano matti, mi hanno portato a vedere pure Soldato blu.
Io l’ho fatto vedere a mia figlia quando ne aveva sei. Disse che era puccioso.
“Il punto, però, è che Alien è un miracolo, una di quelle occasioni in cui le stelle si allineano e nasce qualcosa di unico e perfetto.”
Cioè esattamente come lavorano ad Hollywood oggi. Uguale. LOL
Capolavoro.
Eh beh, eh beh.
C’è il sudore, il sangue, i respiri profondi.
Non si capisce mai se è tutto sessuale o malato, il confine è volutamente assente.
Ci sono le unghie sporche di Ripley, come scrisse Leo Ortolani: uno dei tanti piccoli particolari che ti fa capire quando grezza e ben poco romantica sia la situazione anche senza il figlio di Kane tra le palle.
C’è MOTHER, che tuttora mi fa venire ansia col suo countdown.
C’è Ash, che è uno dei colpi di scena più riusciti di sempre (senza spiegoni di mezzo è logicicissimo, lascia indizi dall’inizio ma la realizzazione è un pugno nello stomaco). Non sono d’accordo che “impazzisca”, è tutto semplicemente coerente con le direttive: Asimov e le sue leggi qui non ci sono (ancora? Bishop poi spiega il ruolo degli inibitori comportamentali nel film successivo), l’equipaggio è sacrificabile
C’è l’equipaggio umano, con Dallas/Skerrit e la sua discesa nel terrore durante la partita di acchiappino più claustrofobica di sempre.
C’è Lambert/Cartwright: se non fosse per l’isteria credibile e mai in overacting della Cartwright, sarebbe semplicemente un personaggio odioso e invece riesce a comunicarti un senso di angoscia terribile. La sua morte forse è quella più inquietante (e sessuale?), si sente e non si vede.
Ci sono Parker/Kotto e Brett/Stanton: che cacchio gli vuoi dire? Sono due caratteristi che da soli fanno tre quarti del world building del film smadonnando per questioni contrattuali davanti al caffè: in un colpo solo danno contesto e verosimiglianza al concetto di hard sci-fi dietro al film. Per me, insieme a Ripley/Weaver, il vero cuore umano del film.
C’è Kane/Hurt: il suo racconto di sentirsi soffocare dopo il risveglio è insieme a Ripley che urla impotente contro il countdown di MOTHER il momento di maggiore vulnerabilità emotiva del film. E’ il punto di incontro tra una vittima di stupro e un malato lungodegente, spezza il cuore ogni volta.
C’è MOTHER: forse il motivo per cui nel mio subconscio mi fido poco della domotica…
C’è Jones: senza tenerezze gratuite e col comportamento più naturale del mondo, copre contemporaneamente il ruolo di MacGuffin in momenti specifici e di mina vagante nell’equipaggio. Sì, sto parlando di un gattone rosso come se fosse di un attore, ma vogliamo veramente discutere sul ruolo e il modo in cui copre il suo ruolo nella trama? E’ forse il gatto (non sono ironico) meglio scritto della storia del cinema.
Mi sono tenuto i miei due preferiti per ultimi:
Ash/Holm: Recchioni scrisse che Holm era riuscito ad essere la cosa più terrificante in un film dove compare per la prima volta lo Xenomorfo. Non mi viene da aggiungere niente.
E per finire… Lei.
La regina: Ripley/Weaver. In una parola: naturale. Nemmeno lo svestirsi alla fine riesce a togliere potenza al personaggio e alla sua interpretazione, perché dona un senso finale di vulnerabilità (forse IL tema di tutto il film) ad un personaggio che abbiamo visto per tutto il film scontrarsi con situazioni terrificanti. Quasi letteralmente messa a nudo e dopo averla vista per tutto il film in tuta blu, che corre, che urla, che lotta, che si incazza, che si dispera, ti senti quasi in colpa per vederla cambiarsi prima di mettersi finalmente a nanna nel criosonno.
Fuori concorso: Badejo.
Non più un attore, non più un uomo in costume, ma un concetto.
E quel concetto è la paura.
Che cazzo gli vuoi dire di più?
Grande Colin, hai aggiunto tutto quello che volevo aggiungere io, meglio di come avrei fatto io, al gia’ ottimo pezzo di George.
Grazie!!
Applausi a scena aperta.
Arrossisco. Grazie! :)
Bravissimo. Commento dell’anno. Questo si chiama guardare un film con attenzione. Pollice su
Bella replica ad un ottimo articolo, sperando in un’altra disamina dedicata ad Aliens.
Bellissimo commento, davvero sentito e trasmesso. Complimenti
visto dopo quello di Cameron (che mi aveva fatto cagare addosso ovviamente..avrò avuto 10 anni)…talmente bello che quando esplode dalla pancia l’alieno ho pensato ah già che c’è anche questa scena qua…l’unico film che un po’ me lo ricorda (con le dovute s proporzioni) per atmosfera e risultato è Pitch Black col buon Vin…
Madonna quanta sincronicità!!! Ho rivisto Alien l’altro ieri e Aliens ieri….
L’unica cosa che hanno in comune Star Wars e Alien è il fatto che sono ambientati nello spazio.
Il riferimento non è contenutistico, ma produttivo. Il botto di SW nel 1977 fece da assist per Bannon, Scott, etc.
Hanno molto in comune, invece.
L’uovo di Colombo stilistico di Star Wars fu mettere l’effetto speciale in primo piano, ma allo stesso tempo nascondendolo alla visione dello spettatore, andando contro alla consuetudine dei film di fantascienza e fantastici in generale, dove se c’era un effetto speciale (e si erano spesi soldi nel crealo) allora bisognava mostralo il più possibile. Per cui in molti punti Star wars è un film notturno e buio, con oggetti e trovate visive che ingombrano il campo visivo dello spettatore (naturalmente parlo della versione originale, non quella ritoccata digitalmente che manda a puttane tutto l’equilibrio visivo del film). Un’intuizione che il film di Ridley Scott porto’ alle estreme coseguenze “ostacolando” la visione e l’udito dello spettatore, e tematizzando la cosa anche nel film, mettendo in scena una tecnologia difettosa, che consente solo comunicazioni disurbate e ambigue, cosa che pure succedeva in Star Wars con la sua tecnologia “medievale”.
E c’è molto bianco
@Tommaso boh, se la metti così, allora, io ci vedo più somiglianze con Solaris di Tarkovskij, che viene prima di Star Wars. O quello è un film d’autore e quindi non vale?
Mio padre era matto, mi ha portato a vedere anche Soldato blu in tenera età.
E Terrore Nello Spazio di Mario Bava (1965) ve lo siete dimenticato?
Difficile trovare un cast così di livello in un film diretto da uno che, all’epoca, era ancora un discreto sconosciuto
Il migliore della saga, by far. Mi è piaciuto anche l’Aliens di Cameron, ma non concordo quando lo si avvicina all’originale, a mio avviso 2 spanne superiore. Il film 1986 rimane molto bello, ma appesantito dalla solita coattagine del periodo Reagan, e da tonnellate di inutile retorica con la bambina da salvare, l’istinto materno, la Weaver che nel frattempo è diventata Rambo, etc etc
Le immagini del ‘cruscotto’ della navicella che scende verso il pianeta sono praticamente uguali a quelle dell’auto di Deckart in Blade Runner.
Bellissimo post. E ce ne vorrebbe un altro solo sulla colonna sonora.
Lo so che tutti qui dentro amano alla follia il sequel di Cameron perché ci sono dentro i marines spaziali, Newt, la Regina, Ripley con l’esoscheletro e tutte quelle robe lì.
Intendiamoci, pure io lo amo.
Ma la forza del primo Alien, in cui un solo xenomorfo tiene in ostaggio l’intera nave e sembra veramente una macchina assassina inarrestabile, è impareggiabile.
Nel secondo che è un meraviglioso sparatutto gli xenomorfi perdono quella forza rappresentativa
Io ADORO Aliens, ma sono due film nemmeno paragonabili, proprio due generi differenti. Ed è questo il genio di Cameron e la cosa che effettivamente ha fatto anche con Terminator: dare seguito a un horror con un action movie, per non provarci neppure a giocare sullo stesso campo da gioco. Aliens è uno dei miei film del cuore, forse addirittura più di Alien, ma non si può negare che Alien sia su un altro pianeta a ogni livello. E’ da qui che ho capito che i film che preferisci non sono necessariamente i film migliori.
Mi accodo a quelli che chiedono a gran voce di continuare con tutta la saga. Pleeeeease…
(non diretta Twitch… Puri capolavori old style come questa recensione. Leggere è ancora la cosa più bella, non perdiamo questa buona abitudine)
Mi associo
Cioè, mi sono fatto un sacco di saghe con Alien e non sapevo dell’ esistenza del Necronom IV che ispirò la dolce creaturina. Non ho voluto vedere, o troppe saghe rendono cechi? Caro Giorgione, non si finisce mai di imparare. Farò di tutto per esserci a San Michele Extraterrestre e limonarvi, ma con indomito machismo.
Grandissimo.
In articolo perfetto, scritto perfettamente, su di un film perfetto. Complimenti. Mi ha dato vigore nel credere ancor di più in un titolo Sci-Fi che già consideravo tra i migliori di sempre. Grazie.
Grazie a te!
Davvro, complimenti!
Qua non ci sono limiti!Questo film o lo si ama o lo si odia!Scott al suo apice rappresenta un qualcosa di primordiale e semplice ma allo stesso tempo brutale e spietato.L’alieno bestiale e temibile che sembra invincibile,invisibile,una presenza inquietante .Violento e claustrofobico il film è stato imitato,omaggiato in tutti i modi.La musica angosciante ed aliena è perfetta,dopo 43 anni il film ha ancora una forza intrinsecamente esplosiva.Questo è vero cinema di fantascienza,diffidate delle imitazioni!
“inutile illudervi,non avete nessuna possibilità contro di lui,comunque avete la mia solidarietà”.
Rispetto a Blade Runner l’ho visto di MENO ( una trentina di volte) ma rimane sempre IMPAREGGIABILE , altro che Star Wars! Quella è robetta per bambini scopiazzata da Kurosawa, qui invece c’è lo xenomorfo, in tutta la sua perfezione. Un perfetto organismo, non offuscato da pensieri o rimorso, come dice Ash, che ne ammira la sua purezza. Diciamo la verità, alla fine della sua vita quando Ridley Scott ci lascerà per cosa sarà ricordato? Quale sarà il suo lascito di regista cinematografico? Secondo me due opere tra tante belle, meno belle e mediocri verranno ricordate PER SEMPRE. Alien appunto e BLADE RUNNER. Punto. Ed è già tanto, gente, ma tanto tanto.
E vogliamo non citare il trailer originale?
https://www.youtube.com/watch?v=LjLamj-b0I8
Un capolavoro senza paragoni pure questo, oggi piu’ che mai inimmaginabile.
È uno di quei rarissimi film in cui anche la tecnologia, di per sé vecchia e figlia del periodo anni 70/80, risulta invecchiata bene. Basta un confronto con le manopole e lucine di Star Wars che oggi sembrano in effetti dei giocattoli, ogni cosa nella Nostromo sembra comunque giusto, persino Mother e la sua interfaccia video che pare uscire da qualcosa di poco più potente di un Commodore64 è coerente con quella specie di enorme space truck.
Lo xenomorfo centellinato, anche per nascondere i problemi di budget, ancora di mangia i suoi analoghi digitali. Ci sono giusto un paio di scene dove esce fuori la sua “gommosità”, quando compare all’improvviso in un frame a dita aperte e nel finale quando è appeso fuori con il cavo e lo vediamo a figura intera ben illuminato.
Ci aggiungiamo anche che Ridley Scott ha girato anche una delle scene più erotiche di tutti i tempi?
Molti retroscena interessanti e che non conoscevo per un caposaldo del cinema horror che non stanca mai.
Ricordando anche Mostrologia, gli approfondimenti che ci meritiamo e di cui abbiamo bisogno.
E che gli vuoi dire.
PS segnalo per i videogiocatori, anche se è ormai un po’ vecchiotto e sicuro lo conoscete già tutti, il gioco Alien: Isolation, che riporta proprio alle atmosfere e all’ansia del primo. Miglior gioco horror dell’ultima decade, per me.
Io sono bloccato a una delle apparizioni dello xenomorfo, troppo terrore!
Un po’ come il primissimo Alien Vs Predator giocato nel ruolo da Marines. A volte davvero non c’è la facevi a girare l’ennesimo angolo, salvarvi e a nanna…
bellissimi tutti e due. isolation ha oure il dlc dove impersoni ripley dopo la fine del primo film
Ottimo articolo su un capolavoro mai abbastanza considerato. Ci sono tante cose che si potrebbero aggiungere: il modo in cui Scott si ispira a tutto il miglior cinema recente: da Kubrick (suo punto di riferimento anche in I Duellanti) al body horror di Cronemberg, dalla New Hollywood di MASH (i soldati scazzati che si parlano sopra) alla fantascenza “sporca” di Star Wars (da cui provengono l’art director Roger Christian e il geniale costumista John Mollo). Ma va assolutamente ricordata anche la tradizione della fantascienza televisiva inglese dei coniugi Anderson che avevano da poco prodotto il loro capolavoro Space:1999 (da cui proviene il responsabile degli effetti speciali Brian Johnson). Girato a Londra da un regista e maestranze inglesi (molti avevano lavorato anche a 2001), Alien è il picco inarrivabile di un periodo magico iniziato negli anni ’60.
Me li avete fatti rivedere tutti e tre ieri sera (perchè non sono 3 i film di Alien?), uno dietro l’altro. Che dire, rivalutato tantissimo il 3 che ricordavo di molto inferiore all’epico 1-2;
Aliens nel cuore, come sempre (la navetta che entra in orbita e che poi decolla invecchiata malisssssimo). Insomma Bello, bello e bello. Che saga! Forse la migliore del cinema.
per “colpa ” dei 400 calci me lo sono rivisto ieri e ho scoperto negli extra del dvd che ridley scott disegna un sacco bene, se potete andate a cercare i disegni preparatori (non quelli di giger) per la sceneggiatura sono una F I G A T A.