Mi piacciono tanto i film sottili e allusivi, che nascondono i loro veri messaggi dietro strati di significato e metafore imperscrutabili. Questa per esempio è Millicent, la protagonista di Spoonful of Sugar:
Come potete notare Millicent è giovane e innocente, infatti ha i codini e l’ultimo bottoncino della camicetta allacciato. Millicent sta facendo un colloquio per un posto da babysitter di un bambino con mille allergie pazzissime e che quindi non può uscire di casa senza vestirsi da astronauta. Il colloquio è con la madre del piccolo Johnny, la quale a un certo punto deve allontanarsi. Millicent può così guardare dalla finestra, verso il giardino, così:
Sapete perché ha quello sguardo un po’ birichino? Perché sta spiando il bel padre di famiglia, che è in giardino seminudo con in mano un oggetto fallico che spruzza:
Millicent è sconvolta, titillata e anche un po’ turbata: cos’è questa cosa che le sta succedendo tra le gambe? È qui che Spoonful of Sugar mette in mostra per la prima volta la sua straordinaria capacità di celare le proprie vere intenzioni e di non usare mai metodi troppo espliciti per far passare i suoi messaggi: il bel padre si gira all’improvviso, con la sua bella canna spruzzante in mano, e sborra in faccia a Millicent.
Spoonful of Sugar, magari non vi è ancora chiaro quindi lo esplicito io al posto del film, è una roba che parla di sesso e di risveglio sessuale e di lolitismo. Ma anche di violenza carnale consumata in famiglia, del sempre inquietante sistema delle foster families che sta alla base di una percentuale non irrilevante di horror moderni e contemporanei, e pure di un bambino orribile con due genitori altrettanto orribili, per non lasciare nulla di intentato. È un film densissimo di cose che vuole dire ma è anche rarefatto e pachidermico nel dirle, un po’ perché non sempre è sicuro di cosa siano queste cose che vuole dire, un po’ per semplice accumulo di spunti che normalmente terrebbero in piedi due film separati, e che qui si prova a far convivere con risultati alterni.
Ah, parla anche di droga e di sangue e gente morta, giusto per rassicurarvi che non sto provando a vendervi un dramma da tinello. Oddio, Spoonful of Sugar un po’ dramma da tinello lo è: anche nella sempre più vasta platea dei “film dove non succede un cazzo finché non succede” riesce a spiccare perché la prima metà dell’equazione è calcata all’inverosimile – al punto che il momento in cui il finalmente il film si libera dalle catene del non detto arriva troppo tardi, e un po’ di gente potrebbe anche essersi persa per strada nel corso del lungo e tortuoso tragitto. Cioè sto dicendo che veramente non succede un cazzo per un’ora e dieci, non è un’esagerazione, non è un lento ma inesorabile climax: è un film che per lunghi tratti non si capisce dove voglia andare a parare, che gioca con una serie di aspettative su certi archetipi e le ritiene sufficienti a tenere alta l’attenzione anche di chi è qui per godersi un film horror e non uno studio d’atmosfera e di personaggi. È insomma un film che per ora si merita una SIGLA!
L’idea di fondo di Spoonful of Sugar è quella di far scontrare due trope che solitamente si autoescludono.
Da un lato c’è la babysitter satanica. Scusate, è un falso spoiler: Satana non c’entra. Millicent è più semplicemente una persona un po’ strana, molto brava con i bambini, un po’ meno con gli adulti, ma che piuttosto chiaramente non ce la racconta tutta fin dall’inizio. Sappiamo alcune cose di lei, una su tutte il fatto che non ha una famiglia ma che saltella da anni tra un’adozione e l’altra – tutte brave persone, ci dice, però i padri erano sempre gli stessi: la prima volta che la vediamo interagire con l’attuale laidissimo patrigno capiamo che cosa intendeva. Sappiamo che odia le madri contemporanee che portano il figlio al parco e poi se lo dimenticano per andare a ciciarare con le amiche: Millicent non lo farebbe mai, lei dedicherebbe la sua stessa vita a suo figlio, se solo ce l’avesse. Chissà come mai le piace tanto fare la babysitter.

“Ah dici che è per quello doc?”
Dall’altro c’è la famiglia torbida con figlio satanico. Perdonatemi, vi ho ingannato di nuovo! Satana non c’entra neanche questa volta, non c’è nulla di soprannaturale in Spoonful of Sugar. C’è solo questo cazzo di bambino orribile vestito da astronauta, e due genitori che non si capisce mai davvero se siano vittime o carnefici ma che non hanno un rapporto sano, né tra loro né con il bambino. Il povero Johnny tra l’altro ogni tanto morde, scalcia, urla e in generale esprime violenza, ma non parla mai, classica caratteristica da bambino orribile che ci fa capire fin da subito che dobbiamo mettere in soffitta ogni idea preconcetta sull’innocenza dell’infanzia o robe simili.
In generale non c’è nulla di innocente in Spoonful of Sugar, e credo sia la sua più grande forza. Intorno alla figura di Johnny nasce uno scontro molto classico, con la babysitter che lentamente e metodicamente gioca a sostituirsi alla madre nel cuore del piccolo – e non solo! Vi ricordate quella faccenda del bel padre che sborra dalla canna da giardino? Millicent vede quel mix letale di muscoli e manigliette quarantenni e decide che Jacob è la persona alla quale regalerà la propria verginità. C’è un sacco di sesso in Spoonful of Sugar, e non solo perché la trama è di fatto quella di un porno senza le parti in cui scopano (cioè, ci sono, ma è gente che scopa controluce e con i dettagli succosi ben nascosti). Rebecca, la madre di Johnny, è autrice di svariati libri sul tema del legame tra sesso e dolore, e la cosa si riflette nel rapporto con il marito ma anche in quello con il figlio. Di Jacob scopriamo quasi subito che si era portato a letto anche la babysitter precedente. L’arco di Millicent è letteralmente una spirale verso l’abisso della perdizione che come ben sappiamo per un’adolescente innocente e lolitesca è foderato di grossi cazzi.

“Mado’ super interessante sto abisso”
C’è un po’ il problema che tutto questo impianto è sorprendentemente moralista e un po’ puritano, e dipinge il sesso sempre e comunque come una cosa sporca, brutta, sbagliata su vari livelli. Non c’è solo quello. Con un’intuizione che all’inizio mi ha fatto esultare per poi deludermi nel profondo quando ho visto come viene sviluppata, Millicent è in cura con un metodo sperimentale (fa ridere che una linea di ricerca cominciata negli anni Sessanta sia ancora considerata sperimentale ma questo non è certo colpa del film) a base di microdosi di LSD. Che bello! mi sono detto. Un film che parla di psichedelici e del loro potenziale uso terapeutico invece di dipingerli come quella roba da sballati che poi ti fa vedere le cose buffe sulle pareti.
E invece anche questo spunto finisce nel tritacarne della morale di un film che sembra volerci dire che tra sesso, droga e rock ‘n’ roll è solo il terzo che è esente da rischi e quindi adatto a un bravo ragazzo o a una brava ragazza. È un po’ conseguenza del fatto che Spoonful of Sugar è un film di gente orribile, di cattivi contro cattivi, e che quindi tutto quello che succede finisce per forza sotto quella lente deformante, che qualsiasi cosa facciano questi personaggi non può che sembrarci sporca e sbagliata per associazione. E a onor del vero l’LSD ci viene effettivamente mostrata come trasformativa e portatrice di epifanie e di grandi cambiamenti – il problema è che, come tutto quanto in questo film, sono cambiamenti in peggio. E quindi alla fine la sensazione di stare assistendo anche a un grande predicozzo rimane.

“Cacca merdosa o pillola blu?”
Rimane anche la sensazione che Spoonful of Sugar si creda più intelligente di quello che in realtà è, e perché come capita sempre più spesso con questi film a basso budget e grandi ambizioni è molto stiloso e maschera un po’ della sua insipienza dietro a grandi movimenti di macchina e la solita industriale quantità di luci stronze (doppiamente prevedibili in un film gonfio di LSD). Sembra che Mercedes Bryce Morgan non sappia mai davvero decidersi: sta girando un film su una famiglia orribile o uno su una babysitter maligna? È vero che questa indecisione lo rende quantomeno imprevedibile e quindi pericoloso, il genere di film nel quale non sai mai che cosa un dato personaggio farà nella scena successiva perché tanto sono tutti sciroccati. Ma lo rende anche un po’ troppo casuale nell’incedere: le singole sequenze funzionano tutte, ma messe in fila sembrano qui e là provenire da due montaggi completamente diversi, uno fatto per spingere Millicent come protagonista, l’altro per usarla come villain.
A proposito di Millicent: magari ricorderete Morgan Saylor come “Dana, la figlia di Brody di Homeland“, una delle attrici più bullizzate online nell’ultimo ventennio per via del terrificante personaggio che le avevano scritto, ma anche non una delle attrici più brave della storia del cinema e della TV, diciamo. Certo, al tempo era giovanissima, ora è cresciuta e avrà fatto esperienza, altrimenti non le affiderebbero un ruolo così centrale in un film nel quale la prestazione è una fetta importante del risultato finale, giusto? Boh, non sono convinto: Saylor deve interpretare un personaggio enigmatico e manipolatore, e per farlo usa la sempre valida arma delle faccette a profusione; il problema è che c’è differenza tra essere enigmatica e sparare faccette completamente a caso e fuori contesto e spesso in contrasto con la faccetta precedente. Credo che il suo sia uno dei casi più clamorosi a cui abbia mai assistito di “che cazzo ti ridi?!”, quel fenomeno per cui un personaggio sorride in un momento nel quale non avrebbe senso sorridere se non per aumentare il conteggio delle fps (faccette per scena). A modo suo è ipnotica, e quando deve smetterla di miagolare e cominciare a ruggire (… scusate) dimostra di saper tenere la scena alla grande; ma per buona parte del film vive su quella lama sottile che separa la grande interpretazione dall’overacting, e pende troppo spesso verso il secondo lato.

Nulla da segnalare invece per quel che riguarda il resto del cast, che fa il suo senza infamia e con qualche timida lode.
Alla fine, comunque, nonostante tutto, sarà la droga, Spoonful of Sugar riesce ad andare ragionevolmente oltre i suoi limiti, le sue mancanze e i suoi pasticci da sovra-scrittura, e a regalare almeno un genuino momento di abietto terrore proprio sul finale. Se chiedete a me siamo distanti anche dal poterlo definire un horror: è più che altro un thriller erotico spogliato delle classiche componenti noir, che vengono sostituite da quest’aria da Nabokov della mutua che riesce a mettere costantemente a disagio a colpi di Freud sulla nuca. Vi piacerà se vi piace sentirvi lo schifo addosso per novanta minuti, insomma.
Viva la droga.
Quote suggerita
«Il film perfetto se dei porno vi interessa la trama»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Visto che hai citato un paio di volte il satanismo senza che c’entrasse davvero, immagino che ad un certo punto ci sia il cameo di padre Amorth interpretato da Russell Crowe chiamato per aiutare il bambino. E lui lo visita e dice: “mi dispiace, purtroppo per voi non è impossessato da Satana ma ha problemi più gravi. Vi consiglio di rivolgervi ad uno bravo. E non solo per il bambino, ciaoooo”. E se ne va sulla la sua vespa.
Morgan Saylor…mi hai sbloccato un ricordo: per non morire di noia durante la visione di “Homeland”, a un certo punto iniziai a skippare brutalmente tutte le parti con Dana e famiglia, e la serie ne guadagnò molto.
Ok.
Non mi lasci scelta.
“IO SUCCHIO IL CAZZO. E ADOOOORO FARLO. YUMMI-UMMI-UMMI. LE MIE MOGLI LO SANNO. E NON GLI IMPORTA. PERCHE’ LOR MI AMANO”.
https://www.youtube.com/watch?v=hskVSq2lQKE
Anzi, dal momento che nascondere un tale mantra è impensabile, eccolo di nuovo, stavolta in qualità di commento a sè stante.
“IO SUCCHIO IL CAZZO. E ADOOOORO FARLO. YUMMI-UMMI-UMMI. LE MIE MOGLI LO SANNO. E NON GLI IMPORTA. PERCHE’ LORO MI AMANO”.
https://www.youtube.com/watch?v=hskVSq2lQKE
Diffondetelo ovunque.
Viva la droga!!!!
Volevo solo esprimere tanto amore per la dvd quote
Che bello quando penso che il pezzo sia finito e invece parte la SIGLA!
Insomma, un po’ come la metafora della fava grossa di “Like a Virgin”
A parte che il titolo “basta un poco di nerchia..” mi fa schiattare :D
Volevo solo segnalare che non avevo mai e poi mai sentito il nome Millicent fino a qualche giorno fa che ho iniziato a leggere “Le 7 morti di evelyn hardcastle”, e ora me lo ritrovo in questa recensione… strano il destino
A me è piaciuto (il libro intendo)
Quote meravigliosa, a chiudere un pezzo come sempre fantastico