Nicolas Cage ha finito di pagare i debiti! È vero. È ufficiale. Ma questo non l’ha assolutamente rallentato, né ha diminuito la mole di lavoro. Diciamo però che può scegliere meglio: film interessanti, o come minimo ruoli che lo divertono e che sembrano scritti per lui piuttosto che rubati a Frank Grillo o cose del genere. In questa nuova avventura dei 400 Calci andiamo a esplorare i suoi ultimi quattro film, tre dei quali usciti letteralmente negli ultimi tre mesi. Seguiteci…
Bisonti bisunti: il pezzo su Butcher’s Crossing
di Stanlio Kubrick
Noi umani ce la meniamo tanto ma alla fine è da millenni che ci raccontiamo sempre le stesse tre o quattro storie, cambiando qualche dettaglio qui e là per farle sembrare nuove. Fatevelo dire da uno che di queste cose se ne intendeva:
Butcher’s Crossing è la prima e un po’ anche della seconda, ma non so quanto sarebbe migliorato se ci fosse dentro un po’ anche della terza. Forse bastava di meno: non più soldi né più coraggio, magari però un’idea più chiara della propria identità, di quello che vuole dire questa storia di uomini e bisonti ispirata a uno dei più bei romanzi western del secolo scorso nonché un libro che faceva Cormac McCarthy prima ancora che Cormac McCarthy cominciasse davvero a fare Cormac McCarthy (non lo dico io, l’ha scritto Bret Easton Ellis). Butcher’s Crossing è un romanzo che quasi ti sfida a trasformarlo in un film, ha una prosa secchissima e descrittiva a livelli anali, quasi cronachistica, mischiata però con voli filosofici ispirati principalmente alle opere di Ralph Waldo Emerson – un autore un po’ dimenticato ma che ritornerà presto di moda e diventerà uno dei punti di riferimenti del pensiero post-apocalittico. È una roba che non dovrebbe funzionare mai, a meno di a) stravolgerlo in parte o completamente oppure b) trarne un film pallosissimo.
Gabe Polski, che non a caso viene dal documentario, ha optato per a), eliminando completamente qualsiasi incursione filosofica e trasformando Butcher’s Crossing in una storia drittissima la cui morale dovrebbe emergere dalla visione invece di venire spiegata ed esplicitata dai personaggi – una roba alla quale Polski è il primo a non credere, visto che chiude il film con un paio di muri di testo che spiegano e contestualizzano quello che abbiamo appena visto e ci spiegano la cornice entro la quale dovremmo inserirlo. Per cui quello che era un romanzo pazzesco perché stratificato, qui diventa una sorta di versione risciacquata di Moby Dick, solo con un sacco di bisonti al posto di un singolo capodoglio. E ovviamente splendide cornici.
È la storia di un tizio, che fa il cacciatore di bisonti e che è poi Nicolas Cage pelato e con il barbone, tipo come avevo fatto io Arthur Morgan in Red Dead Redemption 2. Credo sia la prima volta in assoluto nella carriera del signor Coppola che lo vediamo completamente senza capelli – non alopecico come in Dream Scenario, proprio rapato a uovo, una caratteristica che lo stesso Cage ci tiene a sottolineare in un paio di scene in cui si sistema la pelata con una lama di rasoio come Vin Diesel in Pitch Black. E se vi sembra eccessivo e caricaturale, calma!, è letteralmente l’unica roba sopra le righe che Nic Cage fa per tutto Butcher’s Crossing. Che è al contrario un film solenne, che prova a de-romanticizzare certi aspetti della vita di frontiera che si tende a ignorare (quelli più scomodi se non potenzialmente letali) ma ne esce in realtà ri-romanticizzandoli sotto forma di quelle sfide per la sopravvivenza che a noi che abbiamo – chissà ancora per quanto – il culo più o meno al caldo affascinano ancora un sacco.
C’è un tizio, dicevo, che è Nicolas Cage pelato e con il barbone, e c’è una piccola e immaginaria cittadina del Kansas che sorge a pochi chilometri da Fort Wallace, e che dovrebbe essere sul punto di esplodere grazie all’arrivo della ferrovia – il nastro trasportatore della colonizzazione, che aveva unito le due coste (circa: è una storia buffa, se volete ve la racconto) nel 1869 e che stava cominciando ad allungare i suoi tentacoli per diventare una rete e non più una direttrice unica est-ovest. Ora, prima che gli Stati Uniti si comprassero, be’, sostanzialmente mezzi Stati Uniti con la Louisiana Purchase del 1803, nelle c.d. Grandi Pianure galoppavano decine di milioni di bisonti. Talmente tanti che, quando la ferrovia cominciò ad arrivare in quei posti lì in mezzo al nulla, e con sé i suoi operai, e magari le loro famiglie, e i primi insediamenti, e tutto l’indotto che ne deriva, la carne di quei poveracci diventò IL cibo per eccellenza di un intero sistema di colonizzazione e pure terraformazione.
E quindi ne ammazzarono tantissimi! Ma nel senso che organizzavano anche i buffalo train, che erano questi treni scoperti carichi di gente di città armata fino ai denti, che si fermavano ogni tanto lungo il loro tragitto per permettere ai passeggeri di sparare a questi giganteschi bersagli in mica troppo movimento. Poi sti stronzi scendevano dal treno, tagliavano la lingua al bisonte visto che era considerata una prelibatezza, e lasciavano lì il resto della carcassa. Un sacco di bisonti sono morti per malattie, non direttamente per via della caccia. Perché vi sto raccontando questa storiaccia? Perché in teoria è quella di cui parla Butcher’s Crossing, che però è talmente innamorato del suo immaginario di frontiera che anche i momenti più violenti, nei quali in teoria bisognerebbe aprire gli occhi e capire, sono estetizzati all’inverosimile e quindi anestetizzati di conseguenza.
Poi oh, c’è Nicolas Cage che non fa il pazzo, ma l’uomo di frontiera, silente e ossessionato. C’è anche altra gente con lui, eh! Primo fra tutti il ricco studente di Harvard che decide di mollare l’università per “vedere il mondo reale” e quindi finanzia la spedizione e di fatto Butcher’s Crossing è, o dovrebbe essere, una storia di formazione con al centro lui, ma quello succedeva nel romanzo, qui è chiaro che quando hai questa cosa a disposizione
il film finisce per parlare di lui e girare attorno a lui. E alle splendide cornici: ve ne ho parlato? Come un bravo western da manuale, Butcher’s Crossing è pieno di paesaggi e campi lunghi, lunghissimi e credo anche lunghissimissimi, e passa altrettanto lunghi minuti a far parlare solo la natura. È un film nel quale succede pochissimo, la cosa più vicina all’azione è una sorta di training montage con però al centro un massacro di bisonti. È quasi astratto, senza un vero conflitto se non quello tra Miller/Cage e la sua ossessione, che procede drittissimo di stagione in stagione come fosse un Into the Wild nel quale quel cretino del protagonista è accompagnato da gente che sa come si vive nella natura e gli salva le chiappe ogni cinque minuti.
È senza dubbio un film fuori mercato e fuori contesto, e già per questo mi sta simpatico. E non è neanche un film da mutuo di quelli che Cage ogni tanto, posso dirlo?, posso ammetterlo?, ma sì dai, ogni tanto li fa persino lui. È però un’opera che punta alle stelle senza averne davvero le capacità, ambiziosa ma pasticciona, e in una crisi d’identità che si fa via via più profonda man mano che passano i minuti. Glielo perdono, eh. Però il libro resta meglio.
Quote:
«Non male ma meglio il libro»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
How Could I Just Kinnaman: il pezzo su Sympathy for the Devil
di Stanlio Kubrick
Fino a qualche minuto fa non sapevo nulla della storia produttiva di Sympathy for the Devil, eppure pensa un po’ sapevo già tutto. È un film nel quale Nicolas Cage è stato coinvolto all’ultimo, è arrivato sul set con le sue idee tutte pazze, ha regnato per qualche giorno, ha girato tutte le sue parti in tre settimane e poi è sparito, a inseguire un altro progetto. Ah, e ha deciso di presentarsi il primo giorno di riprese con i capelli rosso fuoco. Questo pensavo e questo conferma l’intervista a regista e produttore che ho appena finito di leggere, e che ci dice che passano gli anni, cambiano le mode, cadono i governi ma ci sono certezze incrollabili senza la quali probabilmente l’intero tessuto della realtà si sgretolerebbe.
L’aspetto più curioso di Sympathy for the Devil, quindi, è che avrebbe funzionato anche senza Nicolas Cage. Magari peggio, eh: non c’è nessuno a Hollywood che fa questa specifica categoria di pazzo omicida come lui. Per dire: se al suo posto ci fosse stato il suo coprotagonista Joel Kinnaman e al posto di Joel Kinnaman un Mocio Vileda, solo uno dei due personaggi sarebbe peggiorato, ma il film in generale ne avrebbe senza dubbio risentito. Ma il punto è che la base è solidissima, e l’applicazione con cui l’israeliano Yuval Adler la mette in scena è lodevole al di là del fatto che Nicolas Cage è in una forma strabiliante nonostante faccia un sé stesso parecchio classico.
La storia è questa: c’è un tizio qualunque che sta andando a Las Vegas dove sua moglie sta per partorire il loro secondo figlio. A un certo punto in macchina con lui sale Nicolas Cage, che gli punta la pistola addosso e gli dice di guidare. Glielo dice un sacco nel corso dell’ora e mezza (90′!!!) di Sympathy for the Devil, tanto che tra quello, i neon e lo scarso carisma del personaggio al volante il film si sarebbe potuto tranquillamente intitolare Drive!. È salito su quella macchina a caso? O forse il nostro perfetto padre di famiglia non è chi dice di essere, e c’è un motivo se è nel mirino di questo squinternato con i capelli color Mirko dei Beehive post-rehab? Qualsiasi risposta è buona perché qualsiasi risposta è a modo suo un colpo di scena, e qualsiasi risposta è cattiva perché qualsiasi risposta è a modo suo prevedibile: è una questione di approccio che determinerà quanto vi starà simpatico o meno questo film.
Ma una volta stabilito questo: che gran gusto! Che precisione! Che ritmo! Sympathy for the Devil si svolge per gran parte del tempo in macchina ed è quindi anche un film di cruscotti e tergilunotti, animati però da Nic Cage e da quello specchio umano che è Joel Kinnaman, che sembra quasi vittima delle follie del collega e non solo perché glielo chieda lo script. È tutto notturno e al LED, rosso e blu, caricatissimo, e poi bello teso, è un film che bolle e bolle, sempre sul punto di esplodere.
Ma poi gente dura novanta minuti, nei quali c’è né più né meno quello che serve. Non c’è un filo di grasso! E Nic Cage ha i capelli rosso fuoco e nella sua completa follia cita a nastro Milton – idea sua, ovviamente, che si è presentato il primo giorno sul set dicendo “I want to go ontological with this character”. È clamorosa la dedizione, e anche il lavoro extra fatto per pura passione, che quest’uomo è in grado di riversare su un progetto che lo ha convinto, non importa quanto piccino. Scusate, gli voglio proprio bene, andrei avanti per ore a caricare screenshot di Sympathy for the Devil.
Diciamo che in un’ideale scala Cage questo si colloca dalle parti di un Drive Angry, un film senza pretese di grandezza ma con tanta voglia di spaccare, nobilitato da un protagonista che lo prende più sul serio di quanto il suo stesso autore osasse sognare. Ma poi novanta minuti! Un’ora e mezza! Ci pensate?
Quote:
«Un’ora e mezza! TONDA!»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Be yourself, unless you can be Batman: The Retirement Plan
di Nanni Cobretti
Dicevamo: ufficialmente la fase in cui Nic gira film in continuazione per pagarsi i debiti è finita, ma quando ti morde il morbo di Eric Roberts è difficile guarire. L’unico passo avanti è che ora, se non altro, prima di fare un film Nic controlla di avere almeno un personaggio o una premessa simpatica con cui poter giochicchiare. In questo The Retirement Plan, Nic ha un personaggio: è un anziano fattone che vive alle Isole Cayman che, come vuole il trend principale dei film d’azione degli ultimi dieci anni che hanno per protagonisti un adulto, si scopre essere un’ex-letale macchina da combattimento. Azione! Commedia! E in più una piccola collezione di anzianotti semi-famosi: Ron Perlman, Jackie Earle Haley, Ernie Hudson. Cosa potrà mai andare storto? Con ben quattro personaggi di livello e una storia di inseguirsi e spararsi in una bella ambientazione tropicale, si potrebbe anche mettere il pilota automatico, no? Questo deve aver pensato Tim Brown, regista/sceneggiatore dal nome prescientemente anonimo. Ma, ecco, no.
The Retirement Plan è un film trasparente da subito: l’introduzione senza Cage è immediatamente un buco nero di interesse mostruoso, 10 lunghissimi minuti in cui non avessi saputo cosa mi aspettava dopo avrei cambiato canale almeno tre volte. Poi arriva Nic, e subito si ritrova non solo a dover reggere il film da solo ma anche quasi sicuramente a riscriversi metà dei dialoghi.
Il concetto alla base del suo personaggio è, sulla carta, qualcosa di simile al Batman di Michael Keaton nella versione in cui lo si è visto in The Flash: un buffo e insospettabile vecchio emarginato vagamente uscito di testa, dal passato pieno di traumi e rimpianti, che appena entra in azione diventa di colpo lucidissimo e letale. Nella pratica, lo script non gli regala un guizzo memorabile che sia uno, e l’intera faccenda è sorretta dai manierismi di Nic, che non fanno miracoli ma almeno tengono l’interesse un minimo sveglio.
Poi però il film commette un altro fatale errore: decide di diventare corale. Ovvero di sottrarre ulteriore screentime a Nic per approfondire sottotrame con altri personaggi. Che è plausibile, se uno di loro è Ron Perlman e lo si vuol far duettare con una bambinetta in una situazione vagamente alla Biancaneve/Cacciatore; non benissimo, però, nel momento in cui l’unica idea nello script è che i due legano grazie a una passione in comune per Shakespeare, e nel momento in cui Ron dopotutto non è convintissimo e recita in modalità “preferirei morire da solo, magari in carcere“. È ancora plausibile se uno di loro è Jackie Earle Haley e gli si dà un ruolo facile come il villain che s’incazza coi suoi sottoposti perché non riescono ad ammazzare Cage e recuperare la preziosissima – indovinate? – chiavetta USB (ok non è vero: è un hard drive); non benissimo, però, nel momento in cui i tempi di Rorschach sono ormai andati da oltre un decennio e l’unica idea di Jackie è ripetere “fucking” ogni parola e mezzo. Ernie… vabbè, a Ernie gli si vuole bene a prescindere, ma non è mai esattamente stato uno che ipnotizzava di carisma. Ma ci sono addirittura altre due sottotrame in cui Tim crede fortissimo: quella con l’agente speciale Joel David Moore, e quella con l’altro villain Grace Byers, e a quel punto ti chiedi perché. Perché? Perché divagare su mille caricature inutili? Hai Nicolas Cage, mannaggia la maledizione!!! No? Oppure no? Magari s’è dovuto fare un film corale perché Nic in realtà aveva disponibilità limitata? O magari lo si è fatto perché è più facile inventarsi un’intro “cool” per un personaggio nuovo piuttosto che trovare qualcosa di interessante da fare a quelli che hai già? Infondo, non importa. Quello che importa è che il risultato è un’ora e 42 che sembra durare due ore e 42.
DVD-quote:
“Per completisti di Nic che mena.”
Nanni Cobretti, i400Calci.com
Carmine, una storia vera: Dream Scenario
di Nanni Cobretti
Lo chiarisco subito: questo non è un film che normalmente tratteremmo. Ma un paio di motivi validi per inserirlo lo stesso ce li abbiamo. Il primo è che lo spunto iniziale si rifà a un vecchio meme di cui vi avevamo parlato oltre 10 anni fa quando sembrava che ne volesse trarre un horror il Brian Bertino di The Strangers: mi riferisco a Carmine, ovvero “Ever dream this man?“. Il secondo è che mi permette di chiudere in bellezza avvertendovi di una delle migliori prove di Nicolas Cage di sempre.
La trama racconta di come a un certo punto migliaia di persone nel mondo inizino a sognare lo stesso uomo, nei contesti più disparati ma sempre con lo stesso inconfondibile volto: quello di un ignaro, realmente esistente, professore di biologia. Si parte insomma con la stessa suggestione alla base di Carmine, ma ci si sgancia subito per concentrarsi su di lui, il protagonista ignaro, e raccontare piuttosto come si ritrovi a dover fare i conti con le surreali conseguenze della sua imprevedibile situazione.
Ho pensato insomma, più che altro, a gente come Hide the Pain Harold. Immaginate di diventare un meme virale senza aver fatto realmente nulla per meritarvelo: nel caso di Paul Matthews, il personaggio di Nic, è una cosa totalmente bizzarra e fuori controllo come il comparire nei sogni di gente che non necessariamente lo conosce; nel caso di Harold – che manco si chiama Harold ma András István Arató – si tratta di una giornata passata casualmente a fare il soggetto per alcune foto di stock, e la sua involontaria espressione in ognuna di esse, quel sorriso che sembra falso e forzato ma che è in realtà la sua faccia normale. Oggi potete incontrare l’ungherese ingegnere in pensione András a varie convention persino in tour italiani, ma a ci aveva messo ben sei anni ad accettare una cosa che ormai era completamente fuori dal suo controllo e inarrestabile.
Ti piomba addosso lo status di celebrità per un motivo random, che non hai cercato, che non ha nulla a che vedere con chi sei e cosa fai o cosa vuoi dalla vita, e che non puoi controllare. Come reagisci? Ti vendi? Come ti vendi? Cosa vendi? E come affronti il lato negativo di questa fama che non hai chiesto? Dream Scenario racconta una metafora non particolarmente geniale, ma lo fa nel modo giusto.
Il regista/autore norvegese Kristoffer Borgli (Sick of Myself) ha trattato l’argomento in quasi tutte le sue opere precedenti, e dimostra innanzitutto di avere uno sguardo sulla questione grazie al cielo tutt’altro che superficiale (il personaggio di Michael Cera, agente di marketing che ha una risposta positiva/propositiva per qualsiasi scenario, è la cartina al tornasole dell’approccio).
Ma soprattutto, Borgli non cede alla tentazione di trattare Paul Matthews come un blando avatar qualsiasi per la sua metafora: Paul è un personaggio tridimensionale, curato nei dettagli, molti dei quali ininfluenti ai fini del messaggio ma utili a renderlo un protagonista umano, coerente, qualcuno che ti interessa seguire e che rende ogni momento naturale piuttosto che una serie di scenette astratte fatte di premessa e punchline.
E Nic ci sguazza. Nic è tecnicamente fuori ruolo – la persona comune, anonima e noiosa??? – ma ci si nasconde dentro immediatamente, sfoderando una prova mostruosa. Schiva tutti i trucchi più facili: non fa il contrario minimale di se stesso (Paul è insicuro ma non è timido, è anzi quasi logorroico) e non si appoggia nemmeno mai alla stampella della scena in cui dà in escandescenza, rimanendo sempre dentro alle righe anche nei momenti più forti e assurdi. E poi c’è il piano onirico dove – sempre conciato nella stessa ordinaria maniera – Nic viaggia attraverso tutti i registri dal terrificante al seducente al surrealmente inquietante, centrando il bersaglio ogni singola volta come un cecchino. È il tipo di prestazione che, se fossimo negli anni ’90, avrebbe già chiuso ogni previsione per gli Oscar senza nemmeno bisogno di discuterne.
E allora piuttosto il pacco è che il film risulta interessante, provocatorio e incredibilmente magnetico per oltre due terzi, fino a quando Borgli si rende conto di non avere idee per un finale e sfilaccia tutto proprio negli ultimi 10 minuti.
Ma Nic c’è. È ancora al top della forma. Devono solo affidargli i progetti giusti.
E se per azzeccare il progetto giusto deve sparare nel mucchio sei/sette volte all’anno, ben venga.
DVDream-quote:
“Carmine è anche il nome del vero nonno di Nic Cage. Coincidenza? Non credo.”
Nanni Cobretti, i400Calci.com
Quindi, ricapitolando:
Butcher’s crossing SI
Simpathy for the Devil SI
The Retirement Plan NO
Dream Scenario SI
Giusto?
[OT]
Su Netflix guardatevi “Obliterated”. Guardatevela tutti. Cafone, volgare, pieno di gente ammazzata, e con un umorismo greve e infantile basato su violenza, escrementi, droghe e sesso. Non so se ha anche dei difetti.
[/OT]
Confermo tutto quanto su Obliterated, serie dell’anno.
La guarderò ma per il momento per me resta Moving , serie coreana distribuita da Disney plus col titolo ” una famiglia in fuga”
Obliterated volevo segnalarla anche io, ma non sono riuscito a scrivere da un po’.
Serie meravigliosamente pacchiana, rumorosa e divertente, anche per me rivelazione dell’anno!
Ps. Dream scenario mi incuriosisce più di tutto, lo vedrò appena riesco
“Dream Scenario” l’ho trovato una sorta di film-gemello di “Essere John Malkovich”. Ovviamente aggiornato al 2023, mentre “Essere John Malkovich” rifletteva sull’idea di celebrità vecchio stile, quello di Cage sulla celebrità istantanea di oggi nel mondo di internet e dei social nerwork
Comunque la frase “I want to go ontological with this character” è la prova provata che Nicolas Cage è il più grande attore vivente e se non l’avete capito poveri voi
Degli ultimi 4 film di Nic ne conoscevo solo due, Sympathy for the Devil e Dream Scenario che vorrei vedere. Ha una produzione incredibile il nostro Nic, ma non gli si può negare il coraggio di girare cose anche molto diverse e non fossilizzarsi in un solo ruolo. Insomma, è un attore.
Ho letto anche io che ha finito di pagare i debiti e per questa ragione ora si getterà nelle serie tv che danno la possibilità di sviluppare meglio i personaggi. Parole sue. Gli si deve credere? Avremo 4 serie all’anno con all’interno Nic?
“finanzia la spiegazione” (spedizione?)
e comunque… “…ce l’avete il bisonte?” “… certo!”
https://youtu.be/MbHyhOUYu0Y
Sì spedizione, corretto, grazie.