Ah, i film di guerra hollywoodiani.
Ne abbiamo visti di ogni.
I soldati americani a combattere una guerra che ritengono giusta, i soldati americani a combattere una guerra che ritengono ingiusta. I soldati assaliti a casa loro, i soldati organizzati o colti alla sprovvista in luoghi nemici. I civili a vario titolo: a casa loro, a casa del nemico, presi tra due fuochi in campo neutro. I nemici veri (Germania / Russia / Vietnam / Afghanistan / Iraq), i nemici ignoti (lo Stato Canaglia), i nemici inventati (che ne so, Sokovia), i marziani come scusa per liberarsi di ogni ingombro morale.
Fino ad oggi, una fittizia seconda guerra civile americana era materia unicamente di grottesche satire, o fantasiosi scenari distopici stile Twilight Zone intrisi di umorismo nero.
Fino ad oggi.
Benvenuti a fine aprile 2024, in cui l’aria che tira è che, dovessi staccarti da internet per una settimana e al ritorno ti dicessero che è scoppiata la guerra civile in America, non risponderesti “che cavolo stai dicendo Willis” ma “eh, urca, mi dispiace”.
SIGLA!
Immagino che Alex Garland stia notando, come tanti, la mancanza di Oliver Stone.
Distanza qualitativa e vita molto diversa a parte, hanno avuto percorsi simili. Entrambi hanno iniziato come sceneggiatori: mentre Stone scriveva Fuga di mezzanotte, Scarface, L’anno del dragone e Conan il barbaro, Garland scriveva, uhm, The Beach, 28 giorni dopo, Sunshine e The Raid Dredd. Ed entrambi hanno iniziato a dirigere facendosi le ossa nel genere prima di buttarsi sul “film importante”, ma qui Garland, con Ex-Machina e Annientamento, era partito sicuramente più lanciato di Stone che aveva iniziato con esercizietti come Seizure e La mano.
Una volta Stone era il pazzo furioso che si lanciava in appassionati kolossal politici sfidando controversie a muso duro. Era quello che scoperchiava e rileggeva storie scomode, quello che lanciava accuse dirette e appassionate anche a costo di sembrare pazzo, ma pure quello che Hollywood mandava avanti a rappresentare l’attualità più delicata prima di tutti, come un vero expendable: il primo a portare sul grande schermo l’attentato del 9/11 (insieme a United 93), e il folle pronto a sfidare il Presidente in carica (in carica!) con una biografia semi-parodica. Per coincidenza (o no) erano anche i suoi film più trattenuti: World Trade Center metteva da parte ogni polemica e complotto ed era interamente incentrato su un pompiere intrappolato nelle macerie (pagherei per vedere cosa Stone sceglierebbe invece di raccontare oggi), mentre W ci andava tutto sommato leggero e si poteva riassumere con “Bush Jr è scemo ma dai, infondo ce la mette tutta”. Che il vuoto lasciato da Stone si inizi a sentire è comunque innegabile: Oppenheimer echeggiava a suo modo progetti come JFK o Nixon in salsa Nolan, mentre Civil War cita molto più direttamente Salvador.
MEN non è esattamente il miglior biglietto da visita per Garland in prospettiva di un progetto come Civil War: aveva un certo incosciente e a suo modo ammirevole coraggio espressivo, ma era anche l’arrogante e goffo tentativo di fare il film metaforico definitivo su una questione – la condizione della donna oppressa dal patriarcato – che chiaramente aveva afferrato solo fino a un certo punto. Era un film cinico, presuntuoso, e nel migliore dei casi banale.
Se il londinese Garland pretendeva di saper raccontare anche le attuali tensioni interne agli USA con lo stesso piglio – quello di volersi aggrappare al trend sociale importante del momento e proporsi come capo carovana indipendentemente dalla profondità e persino rilevanza della sua specifica visione – eravamo fritti. Da qualsiasi lato la volesse prendere. Da un estremo, dall’altro, e pure dal dichiarato tentativo di sfoggiare una neutralità che invitasse ad appianare le differenze.
Ma hey, il concept era innegabilmente potente: volete mettere? Arrivare per primo a immaginarsi un conflitto armato interno agli USA da un punto di vista serissimo, plausibile e probabilmente mai così vicino dal 1861? Arrivarci adesso, con la campagna elettorale presidenziale in piena corsa? E uscire (negli USA) proprio il 12 aprile, nell’anniversario della prima guerra civile, in una specie di anti-Independence Day? Era potenzialmente il “film da discussione in salotto” definitivo dell’anno. O il film su cui litigare durante la (fortunatamente lontana) cena di Natale. Garland sta mettendo su un fiuto per queste cose che manco Adrian Lyne con le tensioni sessuali di coppia negli anni ’80/’90.
Comunque: lo so che Garland sotto sotto non è scemo, perché al di là di tutto non ti esce una chicca come Ex-Machina se sei scemo. E, come Raheem Sterling che alla finale degli Europei si rifiuta di tirare un rigore contro l’Italia per paura di sbagliarlo, Garland effettivamente vira – in uno slancio di timidezza o di intelligente autocoscienza – su una struttura che gli permetta di schivare gli argomenti più sensibili e scottanti che rischierebbero di rovinargli l’atmosfera sui social.
Civil War inizia a guerra civile ormai inoltrata e agli sgoccioli.
Non racconta il cosa né il perché: parte dritto e senza preamboli da quando tutti se lo sono un po’ dimenticati, e quando ormai se ne sono viste presumibilmente di ogni da entrambe le parti.
Civil War va dritto alle conseguenze. E le conseguenze sono… boh, niente di troppo diverso da The Last of Us se avesse avuto l’onestà di tirare via del tutto i fungozombi, per molti versi.
È legittimo considerarlo da un certo lato vigliacco, ma dall’altro è anche effettivamente un’inerzia che il film sfrutta attivamente: le suggestioni sono davvero più che sufficienti. Chiunque può immaginarsi cos’è successo. Garland può permettersi di essere generico perché chiunque, indipendentemente da dove si schieri, e a meno che non abbia passato gli ultimi dieci anni in meditazione nel deserto del Gobi, può facilmente ricreare a piacere nella propria testa una versione dei fatti plausibile che rispecchia e giustifica il verificarsi dello stesso scenario. Ed è una cosa attuale, sentita, che può far venire legittimi brividi senza bisogno di altre spintarelle.
Il gioco del film è più o meno apertamente questo: i protagonisti sono esperti reporter di guerra resi cinici dall’aver visto le stesse scene multiple volte in giro per il mondo, per motivi altrettanto multipli e il loro opposto. La loro spinta per tentare l’ennesima avventura – andare a intervistare il Presidente prima che il colpo di Stato venga portato a termine – è la vana speranza che magari, questa volta, documentare e riportare potrà servire a imparare la lezione per la prossima occasione.
Incontrerete gente che avrà trovato Civil War “agghiacciante” anche se là fuori è pieno zeppo di film che scavano ben più in profondo e in modo ancora più duro su scenari del tutto paragonabili, ma la premessa di Garland si appoggia appunto sul poter riproporre la stessa lezione, senza per forza l’obbligo di dire o mostrare qualcosa di inedito, conscio del fatto che per centrare il bersaglio è sufficiente levare la distanza di sicurezza da una guerra che siamo abituati a veder svolgere altrove, geograficamente e/o temporalmente. E sinceramente: io questa gliela dò buona. È davvero un’esperienza intensa e interessante (anche) così.
Garland si appoggia quindi a personaggi piuttosto classici: la fotografa veterana indurita da anni di esperienza (un’immensa Kirsten Dunst), la fotografa giovane arrembante la cui ingenuità accompagna lo sguardo esterno dello spettatore (l’eterna 12enne Cailee Spaeny), il reporter passionale che fa da tramite tra le due (è giusto chiamare Wagner Moura “il Pedro Pascal del discount”? No, merita molto di più, ma nei fatti la sua funzione qui è quella – si chiama persino Joel!) e l’anziano mentore (Stephen McKinley Henderson). Tutti e quattro rimangono più archetipi che altro.
Il loro viaggio li metterà di fronte a scenari tesi e violenti ma tutto sommato già visti, e non più raffinati dei migliori film bellici / distopici / post-apocalittici – le annotazioni più interessanti stanno negli occasionali riferimenti a chi riesce a ignorare la guerra e a campare come se niente fosse, tipo la giovane annoiata proprietaria del negozio di vestiti che tiene aperto anche quando ci sono due cecchini nel palazzo di fronte.
Garland ha in generale una messa in scena opportunamente dinamica, ma quando in dubbio semplifica sempre – soprattutto in fase di sceneggiatura – inseguendo a tutti i costi il piglio da grande classico accessibile a tutti. Non è neanche davvero 100% neutro (è impossibile): il Presidente, nelle sue due sfumature due, può ricordare Trump, ma questo significa che il Campidoglio stavolta è preso d’assalto dagli altri, e non c’è conferma o giudizio e ci manca tutto il resto del contesto e della cronologia. Si accenna casualmente a Stati alleati, e il Texas in squadra con la California sbarella subito ogni ovvietà, dimostrando che ogni occasionale riferimento è puramente funzionale a non spezzare la credibilità del contesto con troppe acrobazie di dialogo, e non è da sovrainterpretare. Perché insomma, vuoi negarti che ne so, una frase potente come il “Che tipo di americano saresti?” pronunciato da Jesse Plemons nella scena fulcro del trailer? Quello è il colpo a effetto dello sceneggiatore esperto, che poi comunque incasella il personaggio in un tipo di estremista psicopatico senza troppe spiegazioni da cui è facile distanziarsi anche quando si hanno (mettiamola così) tendenze ideologiche assimilabili. Più fastidioso piuttosto il fatto che, zitto zitto, mentre stai pensando ad altro, ci metta lo stereotipo della donna dura che ritrova la sua umanità quando molla jeans e maglietta e riassaggia il gusto di indossare un più classico vestito.
Anche intuendo quello che Garland sta cercando di fare, e pure essendo parzialmente a favore, sono uscito da Civil War sinceramente perplesso. L’alternanza tra momenti scontati ma efficaci/potenti e momenti scontati e basta, pur sempre girati in modo dignitosissimo, lascia un po’ di amaro in bocca. Durante il climax saltano tutti gli equilibri: coerentemente con quanto fatto fino a quel momento Garland ti indirizza a concentrarti sulla ragazzina e sulla speranza che porti a casa tutti gli scatti importanti del caso, ma quello che le sta succedendo intorno stavolta è purtroppo molto più interessante, e ok martellare sull’importanza dell’informazione ma si passa troppo vicini al vero nocciolo della vicenda per ignorarlo di nuovo nel nome dell’ostentata neutralità. Viene da chiedersi se questo non sia alla fine il tipo di film che, nel suo eccesso di non-specificità, perde la sua forza una volta levato dal contesto culturale in cui siamo noi spettatori di oggi ad aggiungere un consistente bonus emozionale per via delle tensioni che stiamo ancora vivendo. Il suo destino sembra essere piuttosto diventare il classico riferimento generico che in futuro a ogni momento buono useremo per dire “hey, questo film l’aveva previsto!” (sperando, ovviamente, che non accada). Se vi interessa solo il lato action riguardatevi piuttosto la roba di Paul Greengrass, ma a parte quello niente da dire, le discussioni in salotto sono garantite.
Instagram post-quote:
“Look at the hate we’re breeding
Look at the fear we’re feeding
Look at the lives we’re leading
The way we’ve always done before”
Guns’N’Roses, Civil War
Instagram story-quote:
Steve Rogers / Tony Stark, Avengers
P.S.: il prossimo film di Alex Garland si chiama Black Lives Matter.
Ok non è vero, ma ci siete appena cascati tutti.
Pardon Nanni, commento dai toni civil war, ma fammi lo sconto che son nervoso sti giorni (e sempre grato di potervi leggere).
“ma era anche l’arrogante e goffo tentativo di fare il film metaforico definitivo su una questione – la condizione della donna oppressa dal patriarcato – che chiaramente aveva afferrato solo fino a un certo punto” c’è sempre un puro più puro che ti epura. C’è sempre il custode dell’interpretazione sacra delle Scritture. Con la differenza che in questo caso mancano proprio le scritture, è tutto vago, mal definito, urlato – non serve a risolvere un problema, serve a creare un elettorato e catalizzarlo su temi parzialmente irrisolvibili. Poi il film non l’ho visto 😃
“Civil War inizia a guerra civile ormai inoltrata e agli sgoccioli.” e non è proprio questo il messaggio più autoriale? Il mostrare a due parti che NON SI STANNO PARLANDO*: guardate che proseguendo così si arriva a questo e a quel punto della ragione ve ne fate poco
“Più fastidioso piuttosto il fatto che, zitto zitto, mentre stai pensando ad altro, ci metta lo stereotipo della donna dura che ritrova la sua umanità quando molla jeans e maglietta e riassaggia il gusto di indossare un più classico vestito.” e perché sarebbe fastidioso? Sai quante donne per bene, in gambissima, durissime, che farebbero così? Sai quanto le prendo in giro per questo eppure la cosa non passa, mi rispondono invariabilmente di farmi i cazzi miei e “a me piace vestirmi elegante e farmi bella”. Dove starebbe il fastidio?
*(esattamente come io e te non parliamo la stessa lingua, tu perché alla prima frase sbagliata mi assegni una delle etichette che tanto piace a usare i progressisti per squalificare l’interlocutore – credendoci però –, io perché vedo un rifiuto totale di discutere gli argomenti e un rifugio nell’etichetta. Io incolpo te, tu incolpi me).
Le discussioni in cui 1) ci si lamenta delle interpretazioni presumibilmente incorrette di film che non si ha visto e 2) ci si immaginano le mie risposte prima ancora che le abbia date – lo ammetto – mi mettono sinceramente in difficoltà. Cerca di venirmi un po’ più incontro, se puoi e ti interessa davvero il dialogo…
son due cose fatte a carte scoperte Nanni, il punto 1 è una questione di approccio, il punto 2 assume che siccome ti sto mettendo in bocca cose sentiti libero di correggerle, son mica matto dai. Riporto le mie impressioni (oltreché il motivo per cui smetto di imbarcarmi in tali discussioni di solito). Mi sembrava il film permettesse questo tipo di dialogo.
Se permetti, il punto 1 è puramente questione di approccio tuo e del fatto che, se ti dico che Garland ha un approccio superficiale a certi temi, per qualche ragione non ti fidi al punto che manco ti disturbi a controllare. Se vuoi discuterne, serve che mi vieni un po’ più incontro. Il punto 2 è più o meno la stessa cosa: descrivimi un personaggio tridimensionale, e inserirò la scena del vestito nel contesto della complessità del personaggio in questione; descrivimi un personaggio per pennellate larghe e archetipiche, e non posso che prendere la scena del vestito come banale stereotipo doppiamente a gratis perché non ha nulla a che fare col messaggio del film ma è solo una scorciatoia per mostrare l’umanità sotto la scorza di cinismo nel modo più pigro e mortificante possibile.
Permetto eccome, infatti rispondendomi hai chiarito cosa intendevi per la scena del vestito, e, vuoi che ho letto male io, non avevo assolutamente capito. Sul punto 1 non è che non mi disturbo io a controllare, è che trovare il film che si vuole vedere di sti tempi, nonostante 14 abbonamenti, non si riesce proprio. Porta pazienza, avrei voluto vederlo eccome Men e dire la mia, ancora non sono riuscito. Però se gratti un po’, il tema di fondo che voglio proporre rimane (“in questo caso mancano proprio le scritture, è tutto vago, mal definito, urlato – non serve a risolvere un problema, serve a creare un elettorato e catalizzarlo su temi parzialmente irrisolvibili”) e, come volevasi dimostrare, ci si rifiuta di dialogare su questo (e qui non sto accusando te specificamente sia chiaro, non penso che ti sia rifiutato di vedere quel punto per malafede).
Infine, ti prego ti avere pazienza anche per il fatto che per strappare il tempo per scrivere commenti (e farlo prima che il post cada nell’oblio del tempo e quindi non siano letti da nessuno) costa a volte qualche salto mortale e la qualità del commento stesso ne risulta inficiata.
Non so che dirti, discutere di eventuali pregiudizi su un film che non hai visto, specie dopo un fresco esempio in cui hai frainteso le nostre parole, va sinceramente al di là delle mie capacità.
Madonna che spocchia Nanni, buona giornata stammi bene
Siamo quasi al surrealismo.
@Ruper Tevere
Eppure non commenti qui da ieri. Intavolare una -legittima- discussione col recensore, ammettendo di non aver visto il film recensito è come dipingerti da solo un bersaglio sulla fronte.
Che poi (in astratto) non sono neanche totalmente in disaccordo con ciò che scrivi, però le opinioni e le digressioni sotto la recensione di un film dovrebbero partire quantomeno da una base comune: aver visto il cazzo di film.
@Ruper: ero fuori anch’io e potevo probabilmente rispondere meglio. Però mi tocchi proprio sul punto debole. Il tuo discorso credo di averlo intuito, ma siccome non mi ci rivedo e mi ritengo anzi uno che ama guardare caso per caso e argomentare nel merito specifico – specie per quanto mi dilungo nei pezzi che scrivo – non so davvero che dirti. Pace.
Evidentemente mi interessa quello che scrivi e ne ho gran rispetto, as usual cercherò di recuperare e arriveró fuori tempo massimo. Pace
Scusate se mi intrometto tra moglie e marito :-) ma in effetti se discutessimo sempre solo dei film che abbiamo già visto, ci sarebbero un terzo dei commenti su questo sito, questo perché
1) a volte l’argomento è interessante a prescindere come in questo caso e la recensione è di per sé un argomento di discussione perché espone delle tesi in generale sul modo di fare cinema
2) perché voi redattori giustamente sfornate recensioni a manetta per star dietro a tutte le uscite, ma siete, quanti, una decina? E a volte comunque qualcuno vi dice cose tipo “ma perché non avete ancora recensito Fallout?” Ma dall’altra parte noi poveri mortali che facciamo altro di lavoro non riusciamo a coprire tutti i film in contemporanea (oh io ancora non sono riuscito a vedere Oppenheimer) e magari quando lo vediamo la discussione si è “raffreddata” e non è che si possa venire sul sito 6 mesi dopo (ma anche solo una settimana dopo) e sperare di ricevere una qualsiasi risposta a un commento su un film per intavolare una discussione. Io civil war lo vedrò sicuramente ma quando questo avverrà sarò forse in tempo per i premi sylvester 2025 ma non certo per discuterne qua….
Buona giornata e buon 25 aprile a tutti ragazzi!
@Maiti: ovviamente il problema non è che se non avete visto il film dovete stare zitti, ci mancherebbe. Siamo spesso qua a raccontarvi di film di cui pochissimi parlano, o che addirittura non hanno ancora trovato distribuzione, nella speranza di alimentare la curiosità e far crescere la domanda. Il problema c’è se il commento a un film che non si è visto è un’obiezione su una critica che suona male e – sulla base di un sentimento generico – vi fa mettere in discussione l’approccio stesso alla recensione: siamo sicuramente tutti umani e ognuno con le sensibilità proprie, ma personalmente non scrivo niente che non mi sento in grado di difendere, giustificare o approfondire, e mi piace pensare che se faccio una particolare critica a un particolare film è perché il caso specifico di quel film a mio parere la rispecchia. Se ti fidi confrontiamoci, se non ti fidi mi levi ogni appiglio a una risposta che abbia un qualsiasi significato. Chiedetemi ulteriori chiarimenti se proprio, oppure recuperatelo e dite “l’ho visto e secondo me no”, ma io a parlare in astratto non son capace. Questo, ecco, giusto per descrivervi lo scenario ideale. Quella cosa invece di risvegliare discussioni su post vecchi è un ottimo feedback, vi ringrazio e provo a ragionare su come risolverlo (per la cronaca io personalmente cerco di tenere sempre tutto d’occhio, anche i necro-commenti).
@Nanni Cobretti
“Quella cosa invece di risvegliare discussioni su post vecchi è un ottimo feedback, vi ringrazio e provo a ragionare su come risolverlo”
Purtroppo il nuovo layout del sito ha tolto spazio all -imho- utilissimo widget “Ultimi commenti” *, che consentiva di accorgersi se erano iniziate o proseguite discussioni anche su film recensiti mesi prima. Anche volendo, non saprei proprio come poterlo incastrare nell’attuale grafica.
* anche se potrei sbagliarmi, mi sembra lo avessi tolto già prima del restyling :-/
Questo potrebbe essere un falso ricordo: non c’era una volta nella sezione commenti l’opzione di essere informato quando c’erano nuovi interventi o qualcuno rispondeva? Già solo reinserirla o inserirla ex-novo, prolungherebbe la vita di una recensione evitando l’effetto “o commento adesso o mai più!” che affligge molti utenti ** .
** me incluso: ho recuperato film recensiti mesi fa, ma non sto a sbattermi a commentare perché tanto né il recensore né altri utenti mi cagherebbero mai :-P
@anonymous l’opzione per la mail c’era ma mi pare non funzionasse sempre, io a volte la usavo ma non sempre con successo.
La sezione ultimi commenti in effetti ci starebbe bene, ma in effetti il sito adesso ha un layout più “content oriented” rispetto a prima che era quasi un forum… va bene così intendiamoci, è lecito ma appunto incoraggia meno alla discussione.
@Nanni grazie della risposta, facevo un po’ l’avvocato del diavolo per amore di discussione, per quanto mi riguarda uso spesso il metro delle vostre recensioni per capire se vale la pena vedere o meno un film, proprio perché il tempo è poco e vedere tutto non si può. A volte poi scopro di non essere d’accordo con quello che avevo letto, ma ci sta, vi considero comunque una fonte autorevole, senza cui per esempio non avrei mai degnato di uno sguardo “Diamanti grezzi” o anche “Rrr’ per dire due film a caso…
@Maiti Gion
“La sezione ultimi commenti in effetti ci starebbe bene, ma in effetti il sito adesso ha un layout più “content oriented” rispetto a prima che era quasi un forum… va bene così intendiamoci, è lecito ma appunto incoraggia meno alla discussione.”
Ma no, è sempre su CMS WordPress, solo che adesso ha la disposizione dei contenuti a griglia, invece prima era verticale come un blog; la rivoluzione è più di forma che di sostanza, insomma. L’ambiente da Forum era dato da un maggior engagement dei lettori e da una disinvolta – pure troppa, a volte – anarchia nei commenti :-)
Poi, se vedo il codice html degli articoli, è chiaro che della SEO alla redazione non gliene possa fregar di meno, ed è chiaro che, uscita dalla home page, una recensione finisca nell’invisible-web.
Ho visto il film finalmente. Mi sono abbastanza annoiato. La scena del vestito l’ho trovata ok, non mi ha particolarmente colpito. Diciamo che se non avessi letto questa recensione non ci avrei molto fatto caso, era organica a quel momento della storia. Per il resto il film non racconta la parte interessante (la guerra civile) e assume una prospettiva piuttosto banale per il quale qualsiasi guerra andava bene. Dal punto di vista bellico, poi, mi sembra accadano cose senza senso, vedi perdere tempo con un cecchino in una casa senza sapere perché e come si è arrivati lì, ma soprattutto la quantità di gente ammazzata a sangue freddo senza motivo, e non solo dal pazzo suprematista bianco*, mi risulta essere poco convincente, soprattutto in un film che vuole porsi come freddo e realistico. Già a sparararsi addosso gli uomini fan fatica, ad ammazzare a sangue freddo facce disarmate che varrebbero di più come prigionieri (soprattutto qualcuno importante che preso potrebbe capitolare legalmente che è sempre meglio di avere qualcuno che un domani dica al governo golpista di essere violento e illegittimo – la propaganda sempre prima di tutto) fanno davvero fatica, studi alla mano. Gli uomini non credo siano tali bestie. Scena del vestito a parte, ha ragione Nanni, il film è piuttosto vuoto.
*peraltro che esista gente così magari è pure vero, ma che chi abbia pensieri anti-immigratori più o meno forti la pensi come quello – e non parlo della violenza ma del “chi non è originario di qui non è americano” è abbastanza una minchiata che usa la propaganda di sx, un po’ come la dx usa il piano Kalergi)
Incontrerete gente che avrà trovato Civil War “agghiacciante” anche se là fuori è pieno zeppo di film che scavano ben più in profondo e in modo ancora più duro su scenari del tutto.
Lo vedrò appena possibile,ma un paio di film da consigliare su quanto scritto?
Grazie.
Mah, l’unico che mi viene in mente è BUSHWICK, che non sviscera un bel niente ed è mediocre sino al finale che lo rende un buon (forse addirittura, ehm, ottimo?l film.
@Raimondo: più profondi di questo va davvero bene banalmente già roba come Salvador, Last of Us o pure Hurt Locker, per dire.
In primis avevo pensato a Bacurau ,invece si scivola un po’ sul rasoterra
Non scava in nulla ma mi ha messo un ansia assurda: No escape di Dowdle
Possiamo aggiungere alla lista quel capolavoro che è La Battaglia di Algeri?
Prima grossa delusione dell’anno, avevo aspettative alte, esco dal cinema affranto, quasi distrutto. Forma e linguaggio: non ci siamo, ma che cazzo hai combinato Garland? Un polpettone di stile e citazioni sin troppo evidenti, derivativo come quello che non sa che cazzo fare e ci butta dentro Kubrick, Coppola e ovviamente 28 giorni dopo (a proposito, questo film sarebbe stato nettamente meglio con gli zombi).
Didascalico, dialoghi osceni, recitazione ai minimi termini in stile soap opera, e forzatissima, azione praticamente zero, approfondimento nemmeno, non ho capito cosa ha messo in scena, non c’è riflessione, c’è poco sangue, non è un thriller, non è un metaforone, non è un film di guerra; Dunst in versione badante ucraina, Moura con momenti di grottesco overacting. Arco narrativo delle due protagoniste sgamato dopo la prima scena in cui si incontrano. Finale stupido e banale.
Si salvano: la sequenza dell’attentato all’inizio con la telecamera che si muove in mezzo agli scontri, quella con Jesse Plemons e la colonna sonora.
Concordo su tutto, ma scarterei pure la prima scena: quella fotta dei fotografi-avvoltoi, la sfilata serislosa della foto-guru che (unica tra mille fotoreporter evidentemente tutti idioti) prevede il botto, mamma chioccia che cede il giubbettino alla pulcina spaurita e “mi raccomando eh” e via di cliché capendo già che alla fine la scelta sarebbe stata tra “muore la veterana, largo ai giovani” oppure “muore la giovane, non c’è futuro”. Ex-machina a mio avviso unico salvabile nella filmografia
Dubito che l’ambiente culturale americano degli ultimi anni (a prescindere dalla nazionalità del regista) sia in grado di elaborare qualsiasi pensiero profondo su un film…basti pensare a come Oppenheimer sia stato venduto in coppia con Barbie…un’operazione senza dignità.
Garland è bravo ma forse meglio quando agisce nel mondo delle suggestioni o dell’improbabile futuristico…questo si vedrà ma sembra roba nata zoppa.
Per me un ottimo film, crudo al unto giusto, privo della solita morale e dei tentativi di pretestuosi di “andare in profondità” di molti film di guerra. Non ci sono buoni o cattivi, solo l’interesse a sopravvivere alla faccia del prossimo.
Pallosa invece la colonna sonora, troppi fiacca, super delusione la mancanza di Civil War dei Guns tra i brani.
Lo so che sarebbe stata scontata ma stigrancazzi
Non è questione che era scontata, è proprio che parla d’altro. Era la solita botta di nichilismo adolescenziale sui ricchi che manovrano il mondo e pensano solo ai soldi.
Ragazzi, io ve lo devo dire: con la A24 parto prevenuto.
Ogni film che fanno viene salutato come un capolavoro intelligentissimo e questa cosa ha un pochino… sfavato, ecco.
Che poi voglio dire, non è mica vero che ci vogliano per forza la A24 o Oliver Stone per lanciare i messaggi intelligenti e provocatori iin un action, per esempio nel 1998 “Attacco al potere” con Denzel Washington e Bruce Willis firmato da un onesto mestierante (Edward Zick) predisse molto degli anni post-11 settembre, altro che Oliviero Pietra
*Zwick
Verissimo. Ma “Attacco al Potere” (“The Siege”) era sceneggiato da Lawrence Wright, reporter super Premio Pulitzer, nonché tra i massimi esperti di Al Qaeda (se non lo hai già fatto, corri a leggere il suo “Le Altissime Torri” per capire che cosa è successo prima dell’11 Settembre).
@Nanni: avendo recentemente rivisto per caso “La seconda guerra civile americana”, da te citato all’inizio, mi sono sorpreso nel notare che quello che allora tutti avevamo visto come una “grottesca satira”, sia diventato ormai quasi un documentario, mi chiedo se abbia senso guardare questo.
Volevo anch’io ripassarlo prima di questa rece ma non ce l’ho fatta
ma ho visto adesso che l'”‘anziano mentore” sembra il clone di James Earl Jones preso di peso dal film di Dante…
sento anche io la mancanza di Oliver Stone caro Nanni.
Vabbè ma è ancora in giro Stone, solo che si è dato ai documentari.
Gli ultimi che mi ricordi sono un’intervista a Putin ed uno pro-energia nucleare
Lo so, riformulo. Dello stone al suo massimo (jfk per me)
Nella limitatezza del mio “bagaglio culturale” per quanto riguarda questo tipo di film, sono uscito dal cinema parecchio soddisfatto della messa in scena (grazie per gli spunti che recensione e commenti mi hanno dato per studiare).
La parte che proprio non mi ha soddisfatto, invece, è quella dei personaggi (ci torno dopo), per cui ho preso questo Civil War come se fossero un Straight Story o Easy Rider: il viaggio dei protagonisti è una scusa per raccontare/vedere l’America (non paesaggistica, eh).
L’epitome del mal trattamento che hanno ricevuto i personaggi risiede in: la “giovane” che scatta in analogico e si sviluppa le foto da sola…
Anche se si possono trovare tutte le giustificazioni logiche, voglio vedere se qualcuno si prende la briga di negare che sia usato come segno distintivo rispetto alla “vecchia generazione” che scatta in digitale.
Ho visto il film, ci ho scritto sopra due robe a caldo che sono le stesse che Nanni dice nella parte centrale del pezzo, ma che per me sono di fatto il pregio gigante di questo film e non il suo limite.
Ammetto di non aver letto nè ascoltato niente di quello che sta intorno al film, quindi magari la mia impressione è sbugiardata da dichiarazioni del regista o chi per lui, ma questa cosa che il film dovesse essere meno democristiano e prendere una posizione a mio avviso è l’opposto proprio di quello che ho percepito essere il tiro del film.
E’ un film su una guerra che non sai perchè succede, non sai chi siano “i buoni o i cattivi” neanche per bocca di chi la combatte, spesso vedi gente che si spara con gusto senza sapere chi c’è al di là della canna del fucile. Boh, mi pare evidente il messaggio sia che la guerra è orrenda a prescindere da quali siano le cause e ok, il messaggio non è il più innovativo di sempre, ma oggi, espresso con quella potenza e con la concretezza di fartelo vedere in casa e non in qualche posto che l’americano medio non saprebbe collocare su un mappamondo, secondo me ha comunque il suo bel valore.
E davvero, c’è talmente poco altro in termini di costruzione per “storia” o “personaggi” che mi pare impossibile l’obbiettivo fosse in diverso da quello.
Credo che la scelta di presentare al pubblico americano del 2024 una guerra civile e non in qualche luogo lontano ed esotico dipenda da cosa è l’America del 2024.
L’America del 2024 non è più quella degli anni ’70 del Vietnam e a dirla tutta non è più nemmeno quella del 2003 quando fece la guerra in Iraq, che alla fine è l’ultima guerra vera combattuta dagli USA fuori dai propri confini. Di contro, è esponenzialmente cresciuta la polarizzazione interna
Mi accodo con quelli che sono rimasti delusi. Oh, per carità: ben fatto, ben diretto e con un paio di scene che mettono i brividi per quanto possono (potranno?) essere profetiche. Bravissima la Dunst e da brividi Jesse Plemons. Ma poi…? Ok, si usa la guerra per parlare di uomini e donne (o si usano gli uomini/donne per parlare della guerra) ma in questo casa devi affondare il colpo. Devi andarci giù pesante caro Garland e non bastano i piccoli tocchi sparsi qua e là come la California e il Texas alleati o l’assalto al Campidoglio fatto da quegli altri per dipingere una guerra generica e tanto inutile come quelle “normali”. No, non è sufficiente per colorare di grigio tutti i personaggi e le fazioni. Servono le motivazioni, servono le scene crude, serve prendere a schiaffi lo spettatore per fargli capire che potrebbe, ahinoi, succedere anche domani. Altrimenti così come me l’hai messo risulta un compitino. Ben fatto, ma che nulla aggiunge alle decine di altri film (o di puntate dei Simpson) che sono usciti sull’imbarbarimento dell’uomo in un momento di crisi generico.ù
Ecco, concordo con chi mi ha preceduto che asserisce che per una volta che non ci sono gli zombie, forse forse con quelli la pellicola avrebbe potuto avere un senso e una forza maggiore.
Alla fine riflettendoci bene il mio film preferito di Garland è quello che ufficialmente non è suo, cioè “Dredd” (di cui aspetto ancora con speranza un seguito)
proposta di sigla alternativa
https://youtu.be/cmCMo9GQ6ZU
“Fino ad oggi, una fittizia seconda guerra civile americana era materia unicamente di grottesche satire, o fantasiosi scenari distopici stile Twilight Zone intrisi di umorismo nero.”
A me però è subito venuta in mente quella bomba di “Alba rossa” (visto che tra l’altro abbiamo ricordato da poco il grande Swayze). Certo, inizia come un’invasione esterna, anzi, l’invasione esterna per antonomasia dell’immaginario mmerigano, quello dei comunisti della porta accanto, ma dopo un prologo molto sbrigativo diventa in tutto e per tutto una questione di americani contro americani. E per di più gli invasori non sono macchiette monodimensionali, il che per l’epoca era al limite del sovversivo. Per questo l’ho sempre considerato un filmone che parla di una guerra civile mascherata per essere più vendibile allo spettatore mmericano medio dell’epoca, che altrimenti non sarebbe mai andato a vederlo. A mio ricordo fu uno dei film più emozionanti mai visti fino a quel momento. Ovviamente, averlo visto da adolescente ebbe il suo peso. Magari lo sopravvaluto, ma a mio parere la critica l’ha grandemente snobbato per motivi molto sbagliati. Per me merita di essere ricordato come un piccolo gioiello nel genere.
Probabilmente il miglior film di Garland e fino ad ora il miglior film americano della stagione. La critica si è divisa, giornali come il manifesto OVVIAMENTE non ne hanno capito portata e significato e il pubblico…
angosciato dalla visione del regista inglese che senza fronzoli o voli pindarici và a illustrare semplicemente la fine della seconda guerra civile americana con annessi e connessi. Insomma il pubblico ha avuto PAURA e certo non ha preso d’assalto i cinema. Comunque due considerazioni prima di parlare del film: 1- A24 come casa indipendente di produzione cinematografica è oramai QUASI l’unica realtà produttrice negli Stati Uniti che cerca di rivoluzionare il concetto stesso di cinema indipendente, prendendosi dei rischi ovviamente . 2- la critica ha polemizzato con Garland stupidamente perchè il regista inglese ha denotato che la visione del film serve a farsi una PROPRIA opinione, lui non si schiera, lui OSSERVA E REGISTRA, in poche parole come i reporter del film, sta a noi giudicare, è per questo che serve il pubblico.
Il film è uno dei rari esempi di cinema di guerra in cui la guerra viene spogliata di tutta la sua retorica e incongruenza, mostrando semplicemente violenza e sopraffazione. L’inizio con il discorso del trumpiano sedicente presidente degli Stati Uniti è impressionante, perchè se quello che dice è fiction, le IMMAGINI di repertorio che scorrono sullo schermo sono quelle dei disordini di Capitol Hill, così come le macchie di sangue finali. I protagonisti sono in parte, se la Dunst appesantita e imbruttita testimonia il radicale cammbio di immagine che l’attrice americana ha portato a se stessa, il suo reporter, uno strepitoso Wagner Moura riesce a costruire un uomo assuefatto alla violenza semplicemente perchè beve, si droga e fuma, ma non riesce comunque a farci l’abitudine. Stephen-Sam è il giornalista vecchia scuola che li accompagna per farsi accompagnare, è la memoria di un tempo passato, quel che resta del New York Times, la Spaley come giornalista in erba funziona, così come l’evoluzione del suo personaggio, fino alla fine. Nell’ on the road Garland è diretto, l’immaginario di riferimento è quello, da the domestic, perfino the walking dead se permettete.Complice una colonna sonora perfetta in antitesi con le immagini gli episodi che i reporter affrontano sono semplicemente un “normale” spaccato da fine guerra, una parte sta vincendo, l’altra sta perdendo. Punto, troppe seghe mentali non servono, se siete angosciati, se avete paura o volete semplicemente dimenticare una potenziale realtà distopica il 1°maggio esce the fall guy.
Il film parla della fine del sogno americano, e di tutto quello che c’è intorno, ma siamo NOI che dobbiamo giudicare, anche se speriamo che sia solo una fiction. Altro che Top Gun…
Ahahah
Nice try, Alex
Ma siamo sicuri che la A24 possa essere ancora considerata “indipendente” o addirittura “alternativa”?
Per fare un paragone con l’ambito musicale a me questa cosa ricorda molto l’etichetta di “indie” che ormai ha completamente perso il suo significato iniziale ed è in realtà diventato il nuovo “mainstream”, solamente più fighetto e con più puzza sotto il naso
*Era risposta ad Alfonso di Caprio
Che bellezza arrivare a Why Can’t We Be Friends e al che sperare dalla commozione che questa rece non finisca più quindi scrollare la pagina per vedere quanto dura e vedere che dura. I 400calci sono una droga impropria.
La “scena del vestito” mi è sembrata un modo pigro ma per far uscir fuori Jessie come fotografa e non l’umanità ecc di Lee Smith.
A me il film ha ricordato molto “Sotto Tiro” come postura retorica ma
sono un po stupito che nessuno abbia tirato in ballo “Bushwick”, più che altro per in fatto statistico
Leggi meglio, Stupid.
XD!!!
Avete detto un po’ tutto ,gente, non ripeteró le critiche già mosse, ben diffuse, che condivido. Aggiungo dei dettagli che, in un film dove si é stabilita una linea dovrebbero essere coerenti. Tutto tristemente scontato, dalla domanda della sbarbatella alla reporter scafata, tu mi fotograferesti se…. allo scontato rovesciamento di ruoli sul finale. Non c’è un punto dove si esca dallo scontato “viaggio di cambiamento”. Fino allo scontatissimo scatto finale. Io, dopo tutto quel dover diventare uguale alla vecchia giornalista, quell’ultimo scatto ricercato per tutto il film, glielo avrei fatto clamorosamente mancare, anche per dire che comunque questi fotografi senza cuore che fotografano gente che muore malamente, alla fine é una merda, comunque. Dopo tutta questa violenza, la ragazzetta diventa fondamentalmente una stronza pure lei… bel lavoro! E soprattutto totalmente lineare. Quindi non colpisce, te lo aspetti, e succede. Poi non ho sopportato questi soldati che si affannano, nell’attacco finale di una lunga guerra, mentre rischiano la pellaccia, a salvare giornalisti imbucati, neanche i “loro” ma gente che arriva alla cazzo in momenti tremendi e che si lancia con una idiozia notevole sotto il fuoco per una foto. ….e tutti lì a salvarli in contiuazione, mah! Transeamus sulle scontate citazioni di un viaggio scimmiottante Apocalipse Now in salsa barbecue senza approfondire un solo personaggio secondario. Fastidiosissima la pretesa di ste foto in bianco e nero, totalmente retró e dello sviluppo sul campo come si faceva una volta. L’uso della macchina fotografica in pellicola é forzatissimo, le foto del presidente morto come una foto della morte di Che Guevara anni sessanta… ma che bisogno c‘era? E i cellulari? Inesistenti. I checchini che si posizionano al 72 piano , che poi non vedono un cazzo… o che forse hanno mirini modernissimi mentre i fotografi sono rimasti agli anni sessanta… boh. Il tizio che spara dalla villa (solissimo) e liquidato per offrire una scena che ricorda ben altri film con i vietcong dove i nostri salgono per le scale. Una scena potentissima, con la donna viet che zampilla come un animale…. Una forza che qui manca completamente… va beh mi fermo ma potrei ontinuare. Peccato.
Come fotografo (non reporter) concordo che la parte “tecnica” era quanto mai ridicola. Hai già citato varie assurdità, potrei continuare a parlarne per mezz’ora, ma lasciamo perdere.
Soltanto, non sono d’accordo a chiamare i fotoreporter delle merde, è un lavoro (che io non farei mai, forse per mancanza di coraggio) importante di informazione, per lo meno lo è stato in passato. Oggi si lavora in tutt’altra maniera, giustamente per l’onnipresenza di cellulari. Il film, dato che ha scelto per protagonista una fotografa, poteva per lo meno approfondire questo punto, ma nemmeno questo ci è dato.
In effetti, in due ore di film si parla di assolutamente NIENTE.
Hai ragione, dire merde è stato sbagliato. Sul resto concordiamo
Mi sembra che la guerra civile nel film sia solo un pretesto narrativo per portare avanti un discorso metalinguistico sulla fascinazione e l’ambiguità dell’immagine. Garland a un certo punto lo dice anche in maniera abbastanza terra-terra: la giovane fotografa che fa lo scatto alla vecchia fotografa che a sua volta sta facendo una foto. Più in là di così non si va. Non c’è la complessità di Stone che oltre a saper fare (molto meglio) cose del genere, aveva il coraggio di contestualizzarle politicamente.
A parte tutto il resto, già nominato nella recensione e nei commenti, su una trama che riesce a essere insipida nonostante un tema così scottante, vorrei richiamare l’attenzione sull’inverosimiglianza dei protagonisti. Mi venisse un colpo se un fotografo di guerra lavora così, e mi venissero due colpi se un giornalista di guerra lavora così (in particolare, grande delusione Wagner Moura, che ha reso il suo personaggio appena un adrenalina-dipendente, con spruzzi di arrapamento per una ragazza che potrebbe essere sua figlia, ma la cui professione praticamente si riassumeva a fare l’autista, perché di giornalismo neanche l’ombra).
Visto al cinema ieri sera, e l’ho trovato veramente spaventoso.
Garland con la suspense è bravissimo, non lascia un momento tranquillo
La scelta di non spiegare nulla della guerra secondo me è azzeccatissima
Bell’analisi, grazie!
Una rece piuttosto ingenerosa per un film che secondo coglie nel segno, raccontando, attraverso una visione distopica ma non delirante, del conflitto inerente a una società, quella americana, lacerata tra cancel culture e sindromi da accerchiamento immigratorio. E lo fa necessariamente senza prendere parte nel gioco del dem vs rep, dal quale anzi prende quanta più distanza possibile (anche se poi, a saper leggere manco troppo tra le righe, quella cravatta rossa e il frangettone della scena finale, sono indizi non da poco, se proprio non se ne può fare a meno). Necessariamente non schierato, dicevo, perché è proprio altrimenti che il discorso si farebbe chiacchiericcio da uno di quei pranzi di Natale, dove si parla avvinazzati di politica per poi finire in un inutilissimo uno a uno, palla al centro. Cosa c’è di più attuale di quella “stanchezza imperiale” (per dirla alla Dario Fabbri) che affligge un modello culturale di cui la maggioranza del mondo non ne vuole sapere, e che sempre più introietta quel surplus di violenza, altrimenti destinato all’esportazione, sul suolo patrio (per altro, rievocando quel tabu mai totalmente risolto della guerra di secessione). E come rendere la narrazione più efficacemente di un non schierarsi esplicitamente. Altro che paraculismo da larghe intese: il discorso non potrebbe essere più politico di così, visto che (e non sono io a dirlo ma osservatori del calibro di un Chomsky) la non-politica americana è una complicata propaganda bipolarista atta solo a imbonire i più favorendo i sempre meno. La politica americana è a-politica, per rappresentarla la narrazione deve tanto a-politica quanto un’alleanza tra California e Texas…
Io poi mi sono ritrovato con quello che mi aspettavo: un “blockbuster” di fattura decente, alla A24 dai, che pure senza ausilio di THC mi ha fatto fare due collegamenti, magari spericolati, ma insomma meglio di niente. Perché, qualcuno si aspettava il Kubrick d’annata? Inoltre, proprio star system da copione non mi sembra affatto… Come lo so? Perché, a me come a voi tutti, quando all’inizio il film entra nel vivo senza lo spiegone, il cervello fa un po come i polmoni quando, dopo qualche giorno che hai smesso di fumare, vanno totalmente mainstream e gridano: Marlborooooo… Che poi “il Pedro Pascal dei poracci” davvero è una battuta facilotta che cela una contraddizione complicatuccia, tanto che alla fine non si capisce bene perché non possiate essere amici… io credo che il film qui sia piaciuto più di quanto sia consentito ammettere da un atteggiamento critico che troppo spesso dalle nostre parti (perché, diciamocelo, siamo antichi e provinciali anche se non sempre lo sappiamo) è stereotipate, quasi al punto da farsi caricatura di se stesso.