Tendenzialmente – ammetto i miei limiti – ho la Fremdschämen facile. Osservo qualcuno mettersi in gioco esprimendo se stesso e la propria arte, e al primo accenno di trash – come diceva Tommaso Labranca: provare a emulare qualcosa di creativo senza riuscirci, ovvero l’impiegato che mette lo Swatch di plastica sopra il polsino della camicia per fare il Gianni Agnelli – mi si accappona lo scroto e tendo ad appallottolarmi in posizione fetale per proteggermi da folate di imbarazzo che percepisco solo io. In particolare, ci sono due faccende che mi arrecano un dolore speciale. La prima faccenda sono i bambini che recitano convintissimi, tutti intensi e ingobbiti in ruoli super pesi e drammatici.

Soffro
Assisto alle esibizioni di questi novenni che sembrano tutti Jack Nicholson in Codice d’onore e improvvisamente mi ritrovo ancora una volta seduto, di martedì sera, nell’auditorium di un circolo Arci per sostenere l’amico sensibile che c’è in ogni compagnia, il quale sta per cimentarsi nello spettacolo amatoriale/sperimentale a cui si è unito nella speranza, tramite l’afflato dell’arte condivisa, di cogliere il fiore illibato della bella diciannovenne dalla scarsa igiene personale iscritta al primo anno di sociologia a Trento che tanto gli piace; però lo spettacolo dura due ore e mezza senza pause, il copione è un’accozzaglia di episodi allegorici che parlano di capitalismo malvagio e di sostenibilità eco-culturale, e l’amico sensibile non solo recita come Michelle Hunziker in Alex l’ariete, ma ha anche insistito per avere il ruolo del protagonista assoluto e sceglie di guardare negli occhi proprio me mentre falcia un monologo lunghissimo, scritto da un rappresentante di liceo per esprimere quanto il corpo studentesco dello scientifico a indirizzo sportivo di Brenzone sul Garda disapprovi la guerra in Iraq. Un incubo.

È divertente perché ha un pisello disegnato in faccia, giusto?
La seconda faccenda riguarda il morbo del tenero Max Angioni: le persone che non sono capaci di far ridere ma comunque ci provano un sacco mi lasciano talmente amareggiato e imbarazzato che non ho nemmeno un termine di paragone con cui concludere il periodo. Angioni vorrei solo abbracciarlo forte e sussurrargli che va bene così, sono io che sono sbagliato, non lui. Tutto questo per dire che Abigail è un film che cominci a guardarlo, idealmente senza saperne nulla, e di primo acchito ti ritrovi con una ragazzina che recita come se fosse la Duse in Teresa Raquin, e con due registi – il trattato di pace italo-israeliano Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, il meglio di un uomo – che per tutto l’incipit sembrano non avere ben chiare le tonalità che vogliono dare al racconto, infilando un po’ a caso goffi tentativi di simpaticheria che fanno temere il peggio. Man mano però che Abigail avanza – solo lievemente rallentato da alcune lungaggini sulle quali è abbastanza facile sorvolare – viene fuori che Bettinelli-Olpin e Gillett, i due amici (fra di loro [si spera eh] e anche nostri) diplomati alla scuola radio elettra V/H/S che hanno fatto anche Scream e Scream VI, facevano solo finta di essere dei babbi macchinosi e stavano semplicemente apparecchiando un lussuoso desco per la regina del grand guignol tutto matto, una ragazzina vampiro con un bel po’ di daddy issues. Sigla!
Non credo sia voluto e sono disposto ad accettare le coincidenze del tutto casuali, ma mi sembra comunque una discreta figata. Nel Nabucco di Verdi, Abigaille è la finta figlia dell’eponimo re babilonese che ha appena invaso Gerusalemme a cazzo (non circonciso) durissimo; oltre al dettaglio di essere innamorata di Ismaele – nipote del re di Gerusalemme che invece ama ricambiato la di lei finta sorellastra (and that’s why il melodramma è il wrestling per le sciure) – di default Abigaille c’ha un’incazzatura addosso nemmeno normale, che oltretutto peggiora di brutto quando scopre di essere negletta e anche un po’ schifata da quello che ha sempre considerato suo padre. Le si chiude la vena e diventa una furia genocida, prima di essere neutralizzata dalla potenza dell’immenso Jeovah e di redimersi di fronte all’unico vero dio blablabla. Non ci crederete, ma anche la nostra Abigail è proprio così. Solo che invece di essere babilonese è vampira. E invece di dare la caccia specificatamente agli ebrei di Gerusalemme, se la prende con quelli che hanno fatto gli sgarri al papà che la malcaga, nella speranza di convincerlo a volerle un po’ di bene.
Come detto, il film inizia strano. A uno scalcagnato gruppo di malviventi composto da tutti gli archetipi corretti – quella intelligente e buona nonostante i casi della vita, quello intelligente e crudele che i casi della vita se li è procurati da solo, quello stupido e grosso, quello stupido e tossico, quella furbetta tipo Harley Quinn che è lì solo perché si annoia – viene commissionato il rapimento di una bimbetta talmente tanto figlia di Mazinga che, quando ha voglia di danzare Il lago dei cigni, babbo le affitta il teatro dell’opera con relativo tecnico delle luci. Dopo averla trasportata in un’isolata villa gotica di campagna – di quelle con una stanza dedicata alle bambole di porcellana e con i corridoi tutti bui che curvano verso l’ignoto – los malviventes vengono accolti da Giancarlo Esposito che giancarloespositeggia nel suo tipico ruolo da tizio carismatico e inquietante che parla come un libro stampato. Egli mette il gruppo al corrente della seconda metà del lavoro, quella più semplice: controllare la bimba per 24 ore, al termine delle quali potranno spartirsi i 50 milioni di dollari di compenso. Bomba. Facile facile. Anche perché la pulzella sembra tutta intimidita e spaventata. In realtà Abigail sta solo caricando a molla l’Abigaille che c’è dentro di lei, preparandosi a dare la caccia alle vittime sacrificali che diventeranno una cena prelibata, il cui sacrifizio magari propizierà il tanto agognato riavvicinamento al padre anaffettivo.
In tutto questo, anche se Abigail fosse stato solo (si fa per dire dai) una collezione di ammazzatine creative messe una in fila all’altra, avrebbe comunque ampiamente soddisfatto: i personaggi hanno il giusto livello di caratterizzazione per poter morire male senza avere bisogno di troppe menate, ma anche per essere interessanti nel breve periodo in cui li conosciamo mentre sono ancora in vita; l’ambientazione e la premessa creano le condizioni atmosferiche perfette per una risoluzione horror; e gli ettolitri di sangue finto erano già stati acquistati in offerta nel trimestre fiscale precedente, dunque tanto valeva usarli tutti prima della scadenza. Anna Pettinelli e Massimo Giletti, però, sono padawan fedeli della scuola di logorrea e horror postmoderno di Kevin Williamson – appoggerei qui il suo nome piuttosto che quello di Wes Craven: sembra ancora un po’ presto per paragonare i regaz a Obi-Wan – e infondono Abigail di una locura che cresce piano piano e poi scoppia fragorosamente (come le innumerevoli sacche di sangue di cui sopra) e, volendo, anche in maniera inaspettata, dal momento che la miccia è stata così lunga, seriosa e canonica.

The Horribly Slow Murderer with the Extremely Inefficient Weapon
Merito di Serbelloni-Mazzanti e Tony Gilroy, indubbiamente, che hanno idee semplici, brillanti e chiare e una mano ferma in grado di appoggiare la commedia (non di crearla di pura regia come farebbe un Edgar Wright, per capirci) senza perdere il mordente del gore. Ma merito anche di un cast tutti frutti che viaggia al pari con la miscellanea di alto livello per cui sono stati scritturati. Dan Stevens (attore tripla minaccia: Downton Abbey, Apostolo, Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga) è un cazzo di campione nell’overacting da cocainomane cattivo, e l’isteria su cui costruisce il suo personaggio opportunista e infame funziona alla perfezione per ogni registro del film. Kevin Durand è un gigantesco ammasso di inutilità con accento quebecchese, ma è esattamente quello che serve. Giancarlo Esposito è Giancarlo Esposito giusto il tempo di due scene. Melissa Barrera, musa dei due registi ed ex stella della soap opera messicana convertita all’horror, ha una maglietta attillata quanto basta e comunque in mezzo a tutto il bailamme che le gira intorno quasi non ci si accorge di quanto sia scarsa. E infine lei, l’incubo. Ovvero la tredicenne Alisha Weir – già esageratamente brava in Matilda The Musical di Roald Dahl (giuro, si intitola così, io non c’entro niente, il film è pure bello) – che recita per davvero con la gobba di una che sta facendo il monologo della Medea di Euripide per le prove d’ammissione alla scuola del Piccolo Teatro; ma lo fa con la consapevolezza di essere immersa in una puttanatona extra godibile che si prende sul serio quel che basta, e per il resto del tempo si diverte assai a giocare con i generi e a omaggiare quell’epoca di edonismo cinematografico anni 80-90 (Phenomena, La morte ti fa bella) in cui l’utilizzo sfrenato di droghe garantiva una certa dose di incoscienza.

Ben detto
Kevin Williamson quote
“I don’t want to wait for our lives to be over
I want to know right now what will it be”
(Toshiro Gifuni, i400calci.com)
Mi è piaciuto.
In tempi di “elevated horror” che, diciamocelo, un po’ ha rotto i maroni, è un action horror divertente, già dalla presentazione dei personaggi (Dan Stevens in overacting è spettacolare).
Ho trovato parecchio parecchio figa l’idea di fondo, un vampiro che è anche un boss della malavita.
Bravi Radio Silence
In sintesi, una one-shot di Hunter: The Vigil fatta bene.
Hunter: The Vigil?
Qua siamo in pieno entroterra Nerd dove solo i nani di Warhammer 40.000 osano avventurarsi…
La cosa più bella che ho letto stamane.
Com’è andata a finire con la tipa di sociologia?
Alla fine dello spettacolo sono andati a bersi la Peroni da mezzo litro – una in due – dal kebabbaro in zona universitaria e hanno parlato fino all’alba (lei ha parlato, lui ascoltava sconsolato) del femminismo nel teatro-danza contemporaneo. Lui, devastato, non si è mai più ripreso e alla fine è diventato il padrone di casa del Drugo nel Grande Lebowski. Lei voleva essere Pina Bausch, ma adesso ha un negozio di chincaglierie (i muri li ha ereditati dalla nonna ex amante di un gerarca fascista) che sostiene arrivino direttamente da un monastero buddhista thailandese di bonzi artigiani, ma in realtà le compra da un laboratorio di Vasto nel cui retro vendono illegalmente arrosticini a prezzi all’ingrosso. Una storia devastante.
Non lo so, secondo me parte interessante proprio perché non si capisce bene dove vuole andare a parare, poi in breve diventa la sagra delle morti noiose e del pilota automatico. Non che si chieda Shakespeare, ma un minimo di sterzata dal copione che ti fa capire al minuto uno esattamente che fine fa ogni personaggio…Poi boh, quello che poteva essere il plot twist spiazzante diventa il selling point di tutta la baracca a partire dal trailer. L’hanno esaltato in tanti ma per me è stato come rimorchiare la più figa della compagnia e poi scoprire che sa fare solo la stella marina.
Simpatico ma poteva essere molto meglio.
La “Stella Marina” è una donna priva di iniziativa nel talamo?
Chiedo per un amico.
Chiedo per Dan Stevens.
Esatto, una che sta lì come lui nel finale di Apostolo…
Kevin Durand. Giancarlo Esposito e Dan Stevens (nella versione senza doppiomento post Downton Abbey) nello stesso film?
Mai nella vita:
Mi allineo al buon Darren Aaroneckart nell’esprimere diludendo per il film. Considerando che il dinamico duo aveva fatto “Ready or Not”, anche li horror-comdy, avevo alte aspettative bruciate abbastanza rapidamente: il film ci mette tutto il primo tempo a esplodere (lo sa anche mia nonna che l’infante e’ un vampiro, muoviti a far partire gli ammazzamenti sanguigni) e poi non ha tutta sta creativita’ ne per il comico ne per l’horror (se basta davvero versare ettolitri di liquidi rossi siamo messi male).
Sul cast Dan Stevens e’ in overacting da quando si e’ ammazzato in macchina tornando a Downton Abbey quindi mi prendo la mia dea Kathryn Newton come MVP del cast (che cazzo ci trovano i Radio Silence in Melissa Barrera non lo capisco, no cioe’ lo capisco ma vabbe’) ma parliamo veramente del minimo sindacale.
Grossa delusione.
Dan Stevens ha perso la pappagorgia nell’incidente d’auto sulla strada che va da Downton Abbey a Hollywood.
Recitava meglio con.
Mi e’ piaciuto moltissimo.Finalmente un film di vampiri duri e puri come non ne vedevo da tempo se si esclude il tentativo interessante ma non riuscitissimo di Demeter.
Alisha Weir e’ veramente intreressante,brava brava nel ruolo della vampiretta che uccide a passo di danza (idea molto carina) .I personaggi sono tutti tratteggiati abbastanza bene considerando che non e’ Shakespeare e il film si prende tutto il tempo per dire e fare quello che vuole dirci e farci vedere.
Giancarlo Esposito e’ sempre un illuminazione quando appare sullo schermo.
Sulla carta era un soggetto che mi intrigava gia’ molto ,aveva tutte le caratteristiche per essere un horror di quelli che piacciono a me alla 10 piucocli indiani : luogo chiuso e circoscritto,personaggi intrappolati,sciagura che avanza inesorabilmente : il risultato ha rispettato le mie aspettative.
E ci sono 2 o tre colpi di scena interessanti,tendono a spiazzare lo spettatore e a non fargli ben capire che direzione prendera’ il film.
Promossi a piene mani i Radio Silence
Giancarlo Esposito è un’illuminazione?
Azz…
Dan Stevens.
Sembrava destinato ad una carriera da divo di primissima grandezza e invece…
Cos’è successo nel frattempo?
Talvolta il talento di un uomo risiede in luoghi inaspettati.
Dan l’aveva nella pappagorgia (vedi commenti precedenti).
Lo vedrò abbreve ,credo ,ieri mi sono sparato quella bomba assurda che è la Mesita del comedor/The coffee table. Aspetto con ansia una vostra recensione.
Una decina di anni fa decidemmo di assistere al Nabucco all’Arena di Verona. Essendo io una bestia ignorante mi scaricai dal mulo un album con l’opera completa e me l’ascoltai più e più volte per un mese, in modo da potermi effettivamente godere qualcosa dell’evento.
Pochi giorni prima della serata colpo di scena: scopro che avevo scaricato solo la prima metà dell’opera, maledetto mulo e maledetto me. Ormai è tardi, poco da fare, nella seconda parte mi annoierò.
Arriviamo, ci sediamo, ascoltiamo tutta la parte che conoscevo, intervallo. L’orchestra fa per iniziare la seconda metà quando cade una goccia. Gli archi sono i primi a fuggire per mettere in salvo i loro costosissimi pezzi di liuteria, intanto inizia il diluvio. Piove a secchiate per un’ora finché l’organizzazione annulla tutto e ci manda a casa; per raggiungere le auto ci bagniamo fino alle mutande.
Mi preparai per mezzo Nabucco e ascoltai mezzo Nabucco.
Epilogo: sul sito c’è scritto che in caso di sospensione dello spettacolo dopo il suo inizio, verrà meno ogni diritto al rimborso del biglietto.
È successa la stessa cosa anche a me all’ultimo concerto di Morricone… Un diluvio impressionante. Solo che i musicisti erano belli al coperto, asciutti, a noi spettatori spuntarono le branchie. Dovemmo cambiarci in parcheggio per poter salire in macchina. In genere, ho notato che l’Arena porta sfiga: ho ancora bene impresso nella memoria un Barbiere di Siviglia, i 40 gradi all’ombra in piena sera e le pietre infuocate…
Sapevate che il pezzo sopra de l’ Arena che manca se lo sono fregati gli abitanti per ricostruirsi le case dopo un terremoto? Era in disuso, i Depeche Rome non ci suonavano più, manco Ligallibue, nessuno voleva fare più la lotta con le belve feroci e quindi se la sono fregata. Da allora le fregature continuano. Greetings from Verone.
Ci sono andato ogni giorno per dieci anni, mi dispiace ma la fregatura più grande, senza se e senza ma, resterà per sempre la trollata della Casa di Giulietta. Al confronto lo sciopero delle belve è bene accetto.
Purtroppo il titolo mi fa sognare un film sul concept album di King Diamond. E niente, non riesco a pensare ad altro
Una palla al cazzo, a parte il balletto su Blood and Tears di Danzig.
Ready or Not gli faceva i giri intorno.
Melissa Barrera riesce ad essere inespressiva in ogni scena, e con 0 carisma. Come le si possa dare il ruolo di donna tosta è assurdo.
Giusto così,ma chi cazzo è sta Melissa Barrera?
C’ha er nome e cognome da tronista.
https://en.wikipedia.org/wiki/Melissa_Barrera
“For playing Sam Carpenter in the slasher films Scream (2022) and Scream VI (2023), she was established as a scream queen.”
uhm, ho letto un po’ velocemente la rece e non ho capito se è positiva o no. Un filo meno creatività nella scrittura? Grazie è tutto tenga il resto.
Ci vorrebbe un paper sul morbo Max Angioni per farlo accettare alla comunità scientifica.
Bellissimo pronao, divertente e arguto.
Anche meno nella creatività della scrittura.
Io l’ho visto, mi è piaciuto e l’ho trovato divertente, ma poi ho guardato in giro e manco sono l’unico.
Abbiamo visto lo stesso film ?
Ragazzi, io non so se dopo tot film iniziate a essere anestetizzati o di bocca buona, ma veramente state iniziando a scendere nell’hipsterismo. Dov’è finita la sana voglia di divertirsi e sticazzi ?
Criticate nelle live i razzie award e certe critici, però poi anche voi ci cascate dentro.
Non lo so, alla voglia di 400 calci e la bandata sporca di sangue e sudore sulla fronte state iniziando a sostituire camicie ben stirate e bicchieri di martini.
Le rece di nanni sono ancora quelle che salvo insieme a pochi altri, mi dispiace un sacco ma si nota come è cambiato qualcosa.
d’accordissimo con te
I primi 40 minuti ti fanno chiaramente capire che il film, prima di esplodere in violenza e vampirismo, è concepito in modo tale da depistare e farti godere pensando “dove si andrà a parare,?quale sarà la minaccia mortale di questa vicenda?”.
Non riesco proprio a capire cosa cazzo passi per la testa a produzione/distribuzione nell’ auto spoilerarsi così sfacciatamente tra trailer e locandina in modo da azzerare completamente un qualunque effetto sorpresa. Se avessi visto il film da verginello me lo sarei goduto il doppio, così l’ho solo trovato divertente e intrattenente il giusto.