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Chi ti droga ti viaggia nel tempo: la rece di Time Addicts

Stanlio Kubrick
di Stanlio Kubrick | 30/05/202422

“Bestia raga che botta”

Quando Nanni mi ha assegnato Time Addicts, un film di fattoni che viaggiano nel tempo, mi ha scritto testualmente “dalla trama sembra qualcosa che qualcuno ha girato apposta per attirare la tua attenzione”, un’affermazione che ho trovato curiosa perché non mi è mai capitato di viaggiare nel tempo. Ma siccome il Capo ha ragione 11 volte su 10 mi sono fidato, e sono stato immediatamente travolto dagli accenti.

Non ho parlato spesso di accenti da queste parti nonostante siano una mia grande passione, perché mi sembra il genere di roba che ti fa passare per spocchiosetto intellettualoide – “ah guarda questo fa talmente il figo che si mette a disquisire di come quel personaggio pronuncia la parola ‘dog’, ma a noi interessa il film, mica la dizione”. O anche “ah stai cercando un modo obliquo e fintomodesto per dire una di quelle frasi menosissime tipo ‘io guardo solo i film in lingua originale gne gne'”. Però oh, è vero, io ci provo a guardare i film solo in lingua originale, soprattutto se poi devo scriverne, e magari valutare le prestazioni attoriali; recitare è anche questione di voce, non solo di faccette e linguaggio del corpo, per cui se dovessi dire “ho visto questo film doppiato e l’attore Johnny Method è bravissimo” mi sentirei un po’ stronzo, come se vi dicessi, che ne so, “mi piace un sacco Creep dei Radiohead, bellissima, conosco solo la cover di Vasco Rossi”.

“Cos’ha detto sto coglione?”

Per cui sì, mi guardo i film in lingua originale e siccome volente o nolente la gran parte dei film che guardo sono parlati in inglese ho sviluppato con gli anni una grande passione per gli accenti inglesi – è il motivo per cui mi fa sempre piacere guardare una roba britannica e di base me la godo di più, acusticamente dico, di una hollywoodiana in cui tutti parlano con il Boston accent. Ed è anche il motivo per cui dopo tanti anni ho circa imparato a fare a meno dei sottotitoli: è solo allenamento, mica fighettaggine. Ecco: Time Addicts l’ho visto con i sottotitoli, perché è un film australiano.

Avete presente come parlano gli australiani? Secondo me ogni tanto neanche gli australiani capiscono l’accento australiano. D’altra parte avete presente come sono i film piccoli, indipendenti e basati su viaggi nel tempo e paradossi conseguenti? Secondo me ogni tanto neanche chi fa i film basati su viaggi nel tempo e paradossi conseguenti capisce i film basati su viaggi nel tempo e paradossi conseguenti. Tipo, per me se oggi chiedete a Shane Carruth di spiegarvi Primer lui comincia a svicolare, a cambiare discorso, a fare l’accento australiano per confondervi. Time Addicts è un po’ così, con la differenza che al posto della spocchia e di quell’aria di superiorità che lo permea c’è un sacco di schifo e di disagio che mascherano in gran parte la necessità di capirci qualcosa. Non sono sicuro che saprei spiegarvi davvero la trama di Time Addicts, non nel dettaglio, né sono sicuro che sia un film che fila davvero dall’inizio alla fine. Ma è il genere di storia che ti travolge e ti coinvolge e ti fa affezionare ai personaggi, e quindi ti fa stare bene/male anche se non ti è tutto chiarissimo. Provo a dirvi qualcosa di più dopo la SIGLA!

Time Addicts è il primo lungometraggio di Sam Odlum, che nonostante i baffetti da stronzo è un tipo super a posto, ed è la storia di due fattoni. Non fattoni simpatici reggae bobbemalle cannette e risatone eh, non siamo in zona Seth Rogen per capirci: è gente che si strafà di crack, lei ha i denti gialli, lui i capelli dello stesso colore, comunque è gente brutta e messa male, sempre incarognita e incazzata e in cerca della prossima dose e dei soldi per comprarsi la prossima dose, o anche solo un crikiz. Denise e Johnny sono in teoria amici ma hanno nella pratica un curioso e tossicissimo rapporto misto di odio e codipendenza che li porta a bisticciare costantemente ma anche a muoversi sempre nella stessa direzione e con lo stesso scopo. Lo so che qui di solito parliamo di mostri e calci volanti e non di relazioni umane, ma l’alchimia tra i due e il modo in cui sono scritti i loro personaggi è una delle basi su cui Time Addicts costruisce la propria efficacia: li vedi interagire durante il primo atto e già vuoi loro bene, perché sembrano vivi e reali e ti pare di sentirli puzzare da attraverso lo schermo.

Il loro spaccino di riferimento si chiama Kane (mi piace pensare che l’ispirazione, per il nome e il look, sia stata presa da qui, anche se non ricordo quale dei due fosse Kane e quale Lynch), un tizio poco raccomandabile che svolge il suo importante ruolo sociale dallo squallido interno di una lavanderia a gettoni alla periferia di Melbourne. Kane è il tipo di spaccino che accetta di buon grado di non venire pagato immediatamente per una nuova dose, perché tanto si segna tutto nel suo immaginario libretto dei debiti e a un certo punto comincia a chiedere prezzi sempre più alti, tipo “se ti tagli entrambi i pollici e me li dai ti passo la roba”. Denise e Johnny sono ahiloro anche oltre la fase pollici, e infatti, in cerca di una nuova botta, si vedono messi di fronte a una proposta assurda: vi do la droga, dice Kane, se entrate in quella casa e rubate quella specifica borsa. Indovinate cosa contiene la borsa?

“Ma questo… ma questo è un pollice!”

Esatto bambini: contiene la droga. E non una droga qualunque: sembra crack ma non è, e serve a farti viaggiare nel tempo. Avanti, indietro, non è mai chiarissimo come funzioni, fatto sta che il povero Johnny se ne fuma un cristallo e finisce nel passato, e nel frattempo l’altrettanto povera Denise, rimasta da sola, fa la conoscenza della sé stessa del futuro. Questo curioso equivoco porta i due in un tunnel che al confronto quello della droga è piacevole e ben illuminato, e porta Time Addicts a diventare un raro caso di film monolocation che non rompe il cazzo dopo dieci minuti nelle stesse tre stanze.

Oltre ai due protagonisti e a Kane, che ovviamente rientra in gioco poco dopo il primo salto temporale, c’è anche un quarto personaggio, Tracey, che vive anch’essa nel passato e diventa all’istante, e senza un vero motivo valido, l’amante di Johnny. Da qui le cose si complicano tantissimo, perché i rapporti tra i quattro si rivelano scena dopo scena più complessi di quanto possano sembrare all’inizio – ma qui si entra nel classico territorio dello spoiler, per cui mi fermo.

“Ennò eh ora me la spieghi!”

No, stai zitta, fattona, non ti spiego nulla: estricare i legami che intercorrono tra Denise, Johnny, Kane e Tracey è il massimo divertimento di un film che, pur trattando di gente brutta e in pessime condizioni igieniche, riesce spesso a essere molto divertente, a far ridere e anche di gusto. È una commedia fotticervello, credo, nella quale ogni scena aggiunge un piccolo elemento a un puzzle che gli stessi protagonisti ricompongono in corso d’opera – per cui il loro stupore è anche il nostro, bla bla et cetera. È efficacissimo nonostante sia un gran casino, anzi proprio perché è un gran casino del quale Denise e Johnny faticano a venire a capo.

Il tutto raccontato con uno stile che lo stesso Odlum ha spiegato essere ispirato ai nuovi classici del cinema coreano, da Memories of Murder a Oldboy – lo so che sembra una di quelle dichiarazioni che ti fanno venire voglia di spaccargli gli occhiali a pugni, ma guardatevelo, questo Time Addicts, e ditemi se non ha senso. Ovviamente le ambizioni sono diverse, la scala è diversa, il budget è ridicolmente più basso, ma certe inquadrature, certi movimenti di macchina, un certo modo di illuminare questi interni sempre uguali tradiscono la passione di Odlum per quel cinema lì, a tratti anche più di quanto dimostrino la sua provenienza geografica.

“Ma a me della Corea piace il K-pop…”

Forse la cosa più adorabile di Time Addicts è che non è per forza un film ambizioso: conosce i suoi limiti e si concentra quindi sul raccontare una storia, e soprattutto dei personaggi. Sarebbe stato facile buttare tutto sul disagio, sullo schifo, sullo stereotipo del crack addict che troppo spesso diventa parodia; invece qui abbiamo motivazioni, profondità, tridimensionalità, e il tutto viene a galla a botte di viaggi nel tempo e incroci pericolosi tra passato, presente e futuro. È un film a suo modo sperimentale prima di tutto nella scrittura, ma non perché voglia esserlo programmaticamente: semplicemente lo è come conseguenza della storia che racconta. E il risultato è una delizia.

Incidentalmente, a un certo punto Freya Tingley si scioglie i capelli e diventa una regen di Karen Allen.

Quote

“Let’s do the time warp again”
(Richard O’Brien)

IMDb | Trailer

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Stanlio Kubrick
Autore del post: Stanlio Kubrick
"No matter. Try again. Fail again. Fail better."
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tags: charles grounds fattoni fattoni che viaggiano nel tempo freya tingley joshua morton sam odlum time addicts tipo primer ma bello viaggiare nel tempo e non capirci nulla

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22 Commenti

  1. Hans Cooper 30/05/2024 | 09:12

    È un problema di prospettiva: non lingua originale vs. doppiaggio, ma film vs. film con le scritte in basso.

    Rispondi
    • Raimondo Vinello 30/05/2024 | 09:38

      Basta imparare , non devi nemmeno passare l’esame come per la patente. Se usi plex o qualsiasi altro programma che consente la gestione dei sottotitoli ( grandezza,colore, sfondo) basta partire dal colore giallo con sfondo e caratteri grandi.

    • Hans Cooper 30/05/2024 | 12:18

      Preferisco senza, lingua originale se la comprendo, altrimenti doppiaggio.

  2. Norton Antichrist 30/05/2024 | 09:21

    Che palle però tutti questi film ben recensiti che non si trovano da nessuna parte

    Rispondi
    • GGJJ 30/05/2024 | 09:33

      Fratello, hai dato voce a tutti noi. Grazie.

    • Nanni Cobretti 30/05/2024 | 10:26

      Raga io provo a spiegarvelo così: il sottoinsieme dei film calciabili, bellissimi e disponibili in Italia è troppo piccolo per una programmazione come la nostra. Ci può sfuggire fisiologicamente qualcosa, come magari in realtà non ci sfugge e semplicemente non siamo d’accordo che meriti un pezzo (nel bene o nel male), ma quando abbiamo possibilità di scelta, se proprio dobbiamo sforare da quegli angusti confini, preferiamo di gran lunga suggerire cose belle che ancora da noi non si trovano. Ci leggono spettatori e anche addetti ai lavori: ai primi il compito di alzare la voce e aiutare quest’ultimi a prendere nota e rimediare.

    • Raimondo Vinello 30/05/2024 | 10:53

      Sorry per il link ,non lo farò più.

    • Norton Antichrist 31/05/2024 | 07:49

      Ma figurati Nanni, non ce l’ho con voi. E’ che nell’era dello streaming è assurdo non avere un serbatoio di film del genere da vedere quantomeno a casa. Amo la sala ma se esistesse un canale che sforni questi prodotti un tanto al mese mi ci fionderei

  3. JM 30/05/2024 | 09:26

    Venduto!

    Rispondi
  4. Raimondo Vinello 30/05/2024 | 09:43

    Grazie a voi e all’internette che mi da tante belle cosette.
    Confermo l’inglese australiano non si sa cosa cazzo di lingua sia sin da Wentworth ,via la bellissima,Mr.Inbetween.

    Rispondi
  5. Dottorbald 30/05/2024 | 10:26

    Bellissima la citazione di Pollon… (ci ho messo decenni a capirne l’ambiguità)

    Rispondi
    • Gigos 30/05/2024 | 14:27

      Fun fact: l’allusione alla polverina droghereccia era una invenzione dell’adattamento italiano. L’ho imparato l’altro giorno da un reel (non saprei ritrovarlo) di una nippo-italiana che spiega questi fatterelli sfiziosi sul Giappone.

    • SturatoreSeriale 30/05/2024 | 16:19

      io sapevo anche che la versione italiana/europea di POLLON era pesantemente tagliata di contenuti sessuali…bah ricordi della mia fase NERD, son passati 20 anni da allora

  6. mereghettitumifaimpazzire 30/05/2024 | 10:34

    Primer…quanti ricordi…quelle camice..

    Rispondi
  7. Sbronz 30/05/2024 | 10:46

    Sembra lo stesso soggetto di un filmetto con Justin Long che ho visto recentemente, mi pare si chiami The wave, però questo sembra fico.

    Rispondi
  8. Michele Gardini 30/05/2024 | 12:00

    “recitare è anche questione di voce”

    E anche tanto, se non di più. E se impari quel tanto che basta per seguire l’originale, poi non riesci più a tornare indietro. Perché forse eravamo davvero il Paese con i migliori doppiatori al mondo (una delle tante affermazioni che impari col tempo ad accettare con una certa diffidenza, visto la totale assenza di controprove) ma oggi il degrado nostrano lo misuri anche dai troppi film/serie tv che i doppiaggi massacrano ignobilmente.

    Rispondi
    • Hans Cooper 30/05/2024 | 12:18

      Il luogo comune dei “migliori doppiatori al mondo” discende soprattutto dal fatto che alcuni importanti registi e attori stranieri in passato hanno elogiato la qualità del nostro doppiaggio. Comunque, a riprova di ciò, basta guardarsi un qualsiasi film doppiato in tedesco o spagnolo per farsi un’idea del livello fuori dall’Italia… sembra di vedere i reality di cucina doppiati.
      Ad ogni modo è vero che quell’affermazione ormai appartiene al passato, le serie tv doppiate oggi sono inguardabili (inascoltabili) con palesi errori di adattamento quando non proprio di traduzione, i film galleggiano ma per lo più il lavoro è mediocre, con qualche meritevole eccezione (i film di Tarantino per esempio sono sempre doppiati molto bene, mi sbaglierò ma credo sia lui stesso a metterci lo zampino).
      Pare sia una questione di tempistiche, avevo letto da qualche parte che per tutto il lavoro di adattamento e doppiaggio non vengono concesse ormai più di due settimane: praticamente niente.
      Avendo una buona padronanza dell’inglese guardo quasi tutto senza sottotitoli a casa, ma al cinema le O.V. vengono sempre proiettate con l’assurdità dei sottotitoli in italiano che mi disturbano quanto un brutto doppiaggio.
      Se si tratta di film in altre lingue… lo dico senza vergogna, guardo tutto doppiato. La voce è una frazione del lavoro di recitazione, che a sua volta è una frazione -per quanto importante- del lavoro di produzione. Sarà un limite mio, ma se per leggere i dannati sottotitoli durante un dialogo serrato devo perdermi tutto il resto di quello che passa su schermo, ne faccio volentieri a meno.
      Del resto mi ritengo in buona compagnia, anche Hitchcock era di questo parere…

  9. Time Adkins 30/05/2024 | 12:01

    La metafora delle cover per il doppiaggio me la rivenderò molto spesso

    Rispondi
  10. The Mat(Bat) 30/05/2024 | 12:17

    Grazie me lo segno.
    Piccolo OT: io e un mio amico abbiamo avuto da poco un incontro ravvicinato con un piccolo gruppo di “aussie” dalla parlata biascicante e l’equipaggiamento standard (infradito, cappello scemo e birra in mano in metropolitana di paese asiatico dove NESSUNO beve o mangia in metro).
    Siamo stati gratificati da un “Parlate un buon inglese per essere italiani”. Non abbiamo avuto la prontezza di rispondere “pure voi per essere aussie!”

    Rispondi
  11. Gigos 30/05/2024 | 14:32

    Che poi spesso ho discusso con amici che rompono le scatole se propongo Furiosa in v.o. (un film con scene d’azione mute lunghe 10 minuti) ma guardano una montagna di anime rigorosamente in giapponese subbati.

    (Perfetta la scelta della sigla, parla di tempo ed è una cover).

    Rispondi
  12. Gino Rattuso 30/05/2024 | 15:42

    “Sono il primo non-brasiliano a viaggiare nel tempo” (cit. Homer Simpson)
    Loro due non m’ispirano troppo ma l’idea sembra originale e interessante. Comunque non solo i filmetti indie ma anche i film grossi mainstream non sono capaci di darsi delle regole sui viaggi nel tempo e poi rispettarle, si veda ad esempio Men in Black 3 che più lo guardi e meno senso ha…

    Rispondi
  13. Zavits 30/05/2024 | 16:52

    Amo i film e ttutteccose sui viaggi nel tempo e i paradossi temporali, ma ditemi, amici de i400calci, il livello di mifumailcervello quanto vale in una scala da HBO’sLost a Netflix’s Dark?

    Rispondi

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