Un giorno, nella Grande Enciclopedia della Storia umana, alla voce “Occasioni sprecate” ci sarà una foto de L’esorcismo – Ultimo atto.
Come vi aveva già raccontato Nanni durante una delle scorse live, L’esorcismo – Ultimo atto è diretto da Joshua John Miller, attore (ha interpretato, da bambino, Halloween III e Il buio si avvicina) diventato sceneggiatore (The Final Girls) e ora regista, nonché fratellastro di Jason Patric e figlio di quel Jason Miller* che forse (haha) ricorderete nei panni di Padre Karras ne L’esorcista. Non è tanto il curriculum, quindi, ma proprio il DNA che fa di Joshua John Miller un regista interessante per questo progetto.
A tutto questo aggiungiamo che il personaggio interpretato da Russell Crowe nel film si chiama Padre Gabriele Amorth Anthony Miller e che ha una figlia, Lee Miller (Ryan Simpkins), che sogna di seguire le orme paterne nel cinema, e il puzzo da opera semi-autobiografica è fortissimo. L’impressione che ci aveva fatto il trailer era che questo film prendesse spunto dalla vita personale di Jason Miller e famiglia per raccontare un horror ispirato alle leggende sui set di film considerati “maledetti” come, appunto, L’esorcista di William Friedkin, namedroppato nel film come anche Poltergeist e The Omen. Impressione confermata pienamente.
La prima parte de L’esorcismo – Ultimo atto (solito titolo italiano insensato, forse pensato per far credere che si trattasse di un sequel de L’esorcista o de L’esorcista del papa) è solida, poco da dire. Russell è sempre Russell, e qui fa la parte di un attore uscito da un brutto periodo di dipendenze (anche qui, Crowe è stato scelto non a caso per evocare elementi biografici) per via della morte della moglie. La sua fuga dalla malattia terminale di quest’ultima ha lasciato la figlia traumatizzata. Risultato: Lee, che è una di talento, si è fatta espellere dall’ennesima scuola e adesso è costretta a vivere col padre, che, causa la contrazione del morbo della morte mala da parte del protagonista di un horror in lavorazione, ha vinto suddetto ruolo e lo vede come un’occasione per tornare in pista. Nel film nel film (che si intitola Georgetown, come il quartiere di Washington in cui è ambientato, avete indovinato, L’esorcista), Anthony deve appunto interpretare un esorcista, e si lascia intendere che il film sia proprio un remake di quell’altro. Per via di una commistione di robe brutte, però, non ultimo il fatto che il regista (quella gran faccia da eterno stronzetto di Adam Goldberg) è un pezzo di merda che supera ogni possibile confine professionale per tirare fuori da Anthony la performance che vuole (c’è pure l’attualità!), Anthony cade in una spirale che sembra una ricaduta ma non è: c’è invece dietro proprio Molech, il demonazzo del film, che possiede l’attore IRL.
E fin qua tutto bene! Il film, pur non originalissimo, procede con l’andazzo giusto, la giusta atmosfera, evoca proprio quell’ambiguità e quel misto di orrore e dramma intimo che hanno fatto grande il film di Friedkin. Il rapporto tra Anthony e Lee funziona molto bene, si vede che c’è del risentimento, da una parte, e del senso di colpa, dall’altra, ma si percepisce anche quanto i due si vogliano bene e quanto Anthony, sbandata a parte, sia un padre tenero devastato dalla perdita. Fa piacere un tale scavo psicologico ed è ormai raro nell’horror, specialmente in questi prodotti medi. Mi sono detto: vuoi vedere che ho sculato e questo film è una bella sorpresa inaspettata?
E invece niente, raga. Che volete che vi dica: dopo una prima parte promettente, dopo cinque minuti di intervallo in cui la gente è andata a prendersi i popcorn, a pisciare, a bere un caffè perché il film già obiettivamente si stava un po’ spegnendo, tutta quella tensione lascia spazio al più generico degli horrorini, in cui Miller non è neppure capace di mettere a frutto l’elemento meta: dall’incedere lento si passa a Russell che fa brutto alla figlia e si accartoccia a mo’ di spiderwalk davanti a tutti, senza che l’episodio lasci il minimo segno. Il tutto si conclude nel terzo atto con l’esorcismo (hey, it’s the title of the movie!) più stravisto e banale possiate immaginare, con la conclusione più banale che sicuramente immaginate.
A produrre, pensa te, c’è quel fuffarone di Kevin Williamson, che suppongo giri per Hollywood in cerca di progetti meta a cui apporre il proprio sigillo. Ma qui di meta, come dicevo, c’è giusto la premessa e il fatto che le cose che succedono succedono su un set (per altro, forse la cosa più figa del film, una villetta di tre piani ricostruita completamente), ma sono cose che sarebbero successe allo stesso modo ovunque, e il fatto che si tratti di un set cinematografico sembra più un vezzo che altro.
Una nota finale: nel cast c’è anche Sam Worthington. Zitto zitto, Sam si sta unendo a quella schiera di attori, tipo Nick Stahl e Kate Bosworth, che quando sono nel cast sai già che il film farà cagare. Non riesce a starmi antipatico, ma qua è veramente anonimo. Meno male che almeno c’è Russell Crowe con un magnetismo che basterebbe per due film, in un film che non se lo merita.
Ricorso al Codacons quote:
“Comunque meglio de L’esorcista: Il credente”
George Rohmer, i400Calci.com
* Residente, fun fact, a Scranton, Pennsylvania.
Menzione d’onore alla felpa di Russell che da sola dice tutto su come il nostro ha affrontato il progetto: confortevole, anonima e scazzata.
Su questo film ci sarebbe da aggiungere una cosa interessante, ovvero che è stato girato nel 2019, ma esce solo ora, anche negli Stati Uniti. Il che mi fa pensare che quando è stato finito ci si sia resi conto subito che era una cagata ed è stato ritirato fuori solo ora, cercando appunto di sfruttare il (relativo) successo de “L’esorcista del Papa”.
Perfettamente d’accordo sulla svolta di carriera di Sam Worthington.
Ah, mi ero perso questo dettaglio. Si spiega tutto. Grazie!
Ci mancherebbe!
A ‘sto punto è pazzesco come Russel Crowe abbia accettato L’Esorcista del Papa dopo che il suo precedente film di esorcismi manco era uscito.
Ha un agente davvero convincente.
Probabilmente ha accettato proprio perché pensava che ormai non uscisse più…
Vero. Non so come funzioni nel dettaglio, ma immagino che tanto lui il suo cachet lo riceva in ogni caso, che il film esca o no.
Dico più da un punto di vista professionale/artistico: si vede che era proprio motivato nel fare un film di esorcismi. Ne hai appena fatto uno che non è uscito, io avrei cercato altri progetti.
(Anche se si vede che ne L’esorcista de Papa s’è divertito abbestia. E come dire di no a qualche settimana di catering italiano?)
Ma porcodue io pensavo che fosse il seguito di quello in cui fa cucù alle suore
Neanche un vespino a sto giro?
In preda ad una insana voglia di masochismo lo andro’ a vedere stasera
Perche’ ?
Boh…
Ed eccomi qua : ho riletto anche la vostra recensione dopo averlo visto ieri sera : che dire sono d’accordo su tutta la linea.
Parte in maniera interessante e sembra tratteggiare bene i personaggi,poi da quando cominciano i fenomeni strani (ride ndr) Miller perde totalmente il film che va completamente in vacca in una seconda parte tra il noioso,lo scontato e il brutto.
Peccato perche’ i diversi ammiccamenti a l’esorcista erano moto carini (anche il lampione della casa – set e’ ricalcato sul modello di quello di Friedkin,il fonto del titolo del meta film “GEORGETOWN” e’ il medesimo del film di Friedkin e ovviamente la casa-set ricorda parecchio quella de l’esorcista compreso il lettoe la stanza fredda.
Poi appunto va tutto in vacca e la parte finale e’ una roba inguardabile : Crowe indemoniato consiste in due occhiaie neri .E basta.
Tra il primo è il secondo capitolo il primo è il top il secondo non mi è piaciuto molto .
l’ostentazione di russel nell’essere fuori forma e’ incomprensibile.
a prescindere dalla sua bravura,certe inquadrature potevano essere evitate,perche’ fanno risaltare il sovrappeso.