Nessuno si aspetta che un horror di seconda fascia sia scritto da William Goldman, ma certe convenzioni e scorciatoie mi fanno morire.
Ad esempio: questo film inizia che deve giustamente introdurci un gruppo di personaggi.
Come lo fa?
Ce li descrive. Cioè, letteralmente. Nel senso, proprio a parole.
Stanno tutti attorno a un falò e, invece che raccontarsi storie horror, giocano a votare i tratti caratteriali di ognuno di loro tramite domande tipo “chi è il più introverso?” “chi è il più pazzariello?” “chi è quello coi valori più sani?”. Proprio così: una serie di figurine immobili a cui associamo una descrizione da annuario scolastico, giusto un pelo più elaborata di come ve l’ho messa.
Poi si rende conto che forse come stratagemma è troppo sottile e incompleto, e allora che fa? Fa che i protagonisti trovano i tarocchi del male, una di loro li legge agli altri uno alla volta e voilà: abbiamo l’intero profilo psicologico di ognuno dei protagonisti, senza che li abbiamo visti fare letteralmente nulla.
Questa parte dura esattamente 16 minuti, e sono 16 interi minuti in cui se stavate origliando l’audio dalla stanza di fianco ne sapevate esattamente quanto chi stava davanti allo schermo.
Poi compare il titolo (davvero, dopo 16 minuti su 92 totali).
La domanda importante è: qual è il trucco per intenerire invece che innervosire quando fai una roba del genere?
Ad esempio, non avere pretese.
I tarocchi del male (lo so che non è questo il vero titolo italiano, ma volete mettere?) è il primo horror mainstream che vedo da parecchio tempo che nella premessa pare un relitto di 25 anni fa, e poi – sorpresa! – è davvero strutturato e gestito come un relitto di 25 anni fa, come se fosse stato scritto subito dopo Final Destination e poi ibernato fino a oggi dove nessuno ha avuto tempo di “elevarlo” o “conjurizzarlo”.
È anche di una spanna uno dei film più scemi e sbrigativi che io abbia visto in sala di recente, ma hey, il mio mestiere è raccontarvi com’è e poi voi decidete autonomamente se la cosa vi dà fastidio.
Partiamo dall’idea?
Un mazzo di tarocchi maledetto che se lo usi ti compaiono le figure delle carte personificate davanti e ti ammazzano è un’idea talmente gnocca che non ci credo che qualcuno non ci avesse già pensato non dico oggi o nel 2000, ma anche tipo negli anni ’80.
E infatti – Shyamalan Twist! – questo film è tratto da un libro del ’91. Un libro di “Nicholas Adams” (tra virgolette perché non è una persona ma uno pseudonimo collettivo) chiamato “Horrorscope“. Questo mi mette in crisi, perché ora non so più se come titolo italiano del film avrei preferito I tarocchi del male o Orroroscopo, invece che l’incomprensibilmente generico La profezia del male. Certo che però anche questo è un segno dei tempi. Secondo me nel ’91 nessuno avrebbe avuto problemi a chiamarlo Orroroscopo – oggi invece lo puoi fare solo se sei a) la Asylum o concorrenza oppure b) un aspirante autore intelligente che interpreterà il titolo con ironia post-moderna e cercherà piuttosto di spiazzare il pubblico con personaggi sorprendentemente tridimensionali e una morale complessa dimenticandosi però di metterci le scene con l’oroscopo dell’orrore.
Non l’ho ovviamente letto questo libro, ma faccio un’enorme fatica a credere che funzionasse su carta se devo giudicare da quello che ho visto a schermo. O è così, o è stato completamente ignorato. E infatti – Shyamalan Twist n. 2! – esce fuori che è stato completamente ignorato. Il libro originale parlava di un serial killer che ammazzava le vittime seguendo il segno zodiacale, così, senza elementi soprannaturali.
Boh. A partire dal fatto che io una storia del genere più che Orroroscopo l’avrei chiamata, che ne so, The Zodiac Killer, sono sempre più confuso.
Quindi la situazione è questa: qualcuno compra i diritti di un libro, poi ne cambia completamente il concept e… A che serviva il libro a quel punto? Serviva al fatto che non c’avevi voglia di inventare i personaggi e il loro oroscopo? Notevole.
Che poi di nuovo, non stiamo parlando di William Goldman: stiamo parlando di un tascabile del ’91 e di una di quelle strutture old school in cui i protagonisti sono un pugno di fotomodelli senza personalità più quello simpatico ed eccentrico che movimenta un minimo il dialogo. Hanno letteralmente comprato i diritti di un’opera per copiarne le parti peggiori, solo – immagino – per lo scrupolo di non usare ChatGPT.
Incidentalmente, il simpatico eccentrico è l’unico mezzo nome di tutto il cast, ovvero… Siete pronti? Volete sapere chi è l’unica fazza conosciuta di tutto il cast? Il centro carismatico della vicenda? Il nome di maggior lusso, e quasi sicuramente quello che ha preso più soldi? Ve lo dico? È Jacob Batalon. Come chi è??? Jacob Batalon! È coso, dai! Il miglior amico di Spider-Man nei film della Marvel! Quello simpaticissimo che dice sempre le cose sconvenienti al momento sbagliato ma è contemporaneamente un giovane genio dell’informatica capace di hackerare persino le meraviglie tecnologiche di Tony Stark col suo portatile della Acer!
Jacob Batalon interpreta un personaggio chiamato Jeff Comic Shoulder. No scusate: “Paxton”. Paxton a un certo punto dice che ascolta i podcast di true crime, che è letteralmente l’unico aspetto del film che lo data al 2024 – nonché il segno che Jacob è stato quasi sicuramente lasciato libero di improvvisare, al grido di “vai, sei il nostro Robin Williams!”.
Vi dirò di più: ho capito perché il film tutto sommato, pur essendo scemissimo, non mi stava dispiacendo: capivo quello che dicevano i personaggi! Non c’era nessun riferimento o atteggiamento che mi buttasse fuori dall’atmosfera e mi facesse sentire fuori posto. Vi faccio un esempio: qualche mese fa ho guardato Bottoms, l’ho trovato molto divertente, ma i personaggi erano talmente lontani dalla mia sensibilità che mi pareva di guardare un film giapponese. È un’altra generazione. Questi invece nel loro essere stereotipi datati mi erano familiari a tal punto che ci ho messo un po’ ad accorgermi perché mi sentivo insolitamente a mio agio con dei personaggi giovani. Questa cosa ovviamente non gioca minimamente a mio favore, né soprattutto a quello del film.
Orroroscopo – che è un Sony, mica la produzione indipendente dei tuoi amici – è un film insolitamente sbrigativo. Di solito la robaccia horror che arriva in sala ha altri problemi.
Vi faccio un ultimo esempio che mi è piaciuto: conosciamo tutti il luogo comune della strana minaccia soprannaturale che colpisce i protagonisti di un film i quali a un certo punto per capire come sconfiggerla si rivolgono o a una misteriosa figura onniscente o a una precedente vittima miracolosamente scampata che spiega loro tutta la mitologia per filo e per segno, no?
Ecco, qua ho apprezzato molto che a un certo punto i nostri andassero a trovare Madame Spiegonia (Cloris Brosca Olwen Fouéré sempre più scream queen) e il film non cincischiasse manco un secondo cercando di darle un personaggio o creare un po’ di finta tensione.
– Salve Madame Spiegonia, volevamo chiederle dei tarocchi assassini…
– Andate via, non voglio saperne niente!
– Ma hanno ammazzato i nostri amici!
– Ok accomodatevi e prendete fuori il blocco per gli appunti.
Sette secondi netti di introduzione e Spiegonia parte a esporre tutta la pagina Wikipedia dei tarocchi del male senza divagare un istante, scavalcando tutto l’imbarazzo che normalmente si ha quando film simili si sforzano di pretendere che non si tratti di cliché puramente funzionali. Ho riso molto quando tra le precedenti “vittime misteriose” citano il caso di otto giovani reduci dal festival di Woodstock del ’69 perché, prima di dare la colpa ai tarocchi, io sinceramente avrei controllato che non si trattasse del famoso acido marrone.
Comunque, passiamo alle parti apprezzabili.
A me l’idea di base piace: è old school, ma è un template con del potenziale. Qualcuno ti fa i tarocchi del male, tu muori in modo ricollegabile all’oroscopo che ti è stato letto, ucciso dall’emanazione demoniaca della tua carta principale. Da fuori si tratta della famosa “morte estremamente rara ma plausibile”, con modalità di collegamento della sfiga inevitabile assimilabili a Final Destination; nel dettaglio, ogni carta è un demone a sé dal design molto carino, cosa che evoca suggestioni un po’ tra Nightmare e Hellraiser. Le scene di morte non sono nulla per cui gridare al miracolo, anzi, sono platealmente penalizzate dal voler fare un PG13 senza sangue, ma tutto sommato rimangono divertenti.
E allora dispiace, perché sarebbe bello un ritorno a questi horror semplici e creativi di una volta, ma Orroroscopo ha proprio soltanto questo da offrire: un bello spunto, e poi un vago odore, un retrogusto piacevole, l’occasionale simpatica idea visiva, ma una realizzazione in generale povera e frettolosa. L’illusione che qualcuno finalmente proponesse il film giusto, ma non ne avesse i mezzi e infondo nemmeno troppa voglia.
Mi riguarderei questo piuttosto che Ouija, ma entrambi gli Escape Room piuttosto che questo.
VHS-quote:
“I see a Black Moon rising,
and it’s calling out my name,
I see a Black Moon rising,
and it causes so much pain.”
Tony Martin, blacksabbath.com
E ORA, LA LUNA NER LA LINEA DELLO SPOILER
Ancora non riesco a crederci che in una robaccia del genere abbiano voluto ricalcare il finale di Get Out con l’arrivo improvviso di Jacob Batalon. Non me ne capacito. Ho dovuto dirvelo perché mi serve supporto morale.
A quel punto i titolisti italiani avrebbero potuto giocarsi la citazione Fantozziana, fare una crasi e intitolarlo: L’Horroscopone. :-)
(nella mia testa “Jacob Batalon” è sempre pronunciato dalla voce di Andrea Roncato)
Lo vidi al cinema, il mese scorso, “Tarot / La Profezia del Male”; tardo esemplare (il Rrobe, come nel suo folgorante esordio sul Dyd Color Fest, avrebbe detto “Fuori Tempo Massimo”) del filone teen slasher-horror anni ’90-’00, mirabilmente re-inaugurato da “Scream” di Wes Craven nel 1996 e proseguito (con o senza elementi soprannaturali) da lui medesimo nonché dalle varie altre saghe, o one-shot, tipo “Urban Legend”, “I Know What You Did Last Summer”, “The Cutter”, “The Pool”, “Death Is Coming”, etc.
(Ok, scusami, Nanni, il concetto lo avevi già espresso tu, da pro; ma mi piaceva – e onorava – ribadire quelle che erano state proprio le mie impressioni a caldo).
Se fossi uno qualificato, io darei a “Tarot” la sufficienza piena giacché per intrattenere – direi – intrattiene, quantunque più ricco di stereotipi diegetici che di budget: ha dalla sua una quasi-protagonista, Harriet Slater, che buca lo schermo come una sorella minore, e più graziosa (ancorché vestita), di Emma Stone; una occultista londinese Madame Trelkovsky-like (seppur di meno venerabile età), che mi è sembrata piuttosto efficace; una sequenza macabra con “The Magician” delle carte, che pare uscita anch’essa dalla superba penna di Tiziano Sclavi…
P.S. – Però, in tema di Tarocchi, mi divertii di più appunto con Dylan Dog: “L’ultimo arcano”, scritto da Paola Barbato e disegnato da Nicola Mari (N. 234, del marzo 2006).
E ora, a precisa tua richiesta (di supporto morale) mi collego alla
LINEA DELLO SPOILER
La finale ricomparsa di P. ? Buon colpo di scena, secondo me: ci voleva proprio un elemento che alleggerisse, dopo tutta quella mattanza, e in modo peraltro abbastanza coerente con il ruolo salvìfico che era stato vaticinato al personaggio.
Capo, dì la verità che speravi fosse un disastro totale insalvabile per poter citare questo:
https://youtu.be/5hAjWNyz1VM?si=zXMtyJiSN7iYB4Ty
Capo, la citazione dei Black sabbath è inesatta, o meglio, la canzone è sempre dei Black Sabbath ma del disco del 1988 che si chiama Headless Cross, dove canta (e scrive) Tony Martin.
Ozzy a quell’epoca stava facendo i soldoni con la sua band solista.
P.S.
È appena uscito un cofanetto con tutti (meno uno) i dischi rimasterizzati e remixati proprio del periodo con Tony Martin, si chiama Anno Domini
Grazie, mi fa sempre piacere quando siete attenti