Qui è dove se fossi serio inizierei riassumendo il lungo fenomeno della bikesploitation, da Kenneth Anger a Roger Corman, Al Adamson, ecc… mentre se fossi basico mi aggrapperei fortissimo a Easy Rider (il basico doc ha già scritto un bel pezzo intitolato “I 10 film da vedere per prepararsi a The Bikeriders” che consiste in Easy Rider al numero 1 e gli altri 9 pescati al volo a sentimento da Google, e ha fatto 200 milioni di accessi).
Sono invece tragicamente sincero e ammetto che per me il film di motociclisti per eccellenza è Forza d’urto. Non ci posso fare niente. Mi dite “gang di motociclisti” e io penso a un bisteccone dell’Oklahoma con nazi-mullet conciato come la parodia glam dei Judas Priest, gente che si mette le lattine di birra sulla testa e se le fa sparare via col mitra, caschi in regalo che contengono la testa del precedente proprietario, frullati misti per drago di Komodo domestico, funerali vichinghi.
Ne so pochissimo di questa cultura, insomma, e attendevo con ansia che The Bikeriders mi intrattenesse con una bella lezione.
Per prepararmi avrei potuto ripassare un altro dei miei cult, il mitico Stone, quello per cui presero delle vere gang per rimpolpare il cast e finì che nella scena della megarissa si menarono davvero mandandosi all’ospedale. E invece ho finito per ripassarmi Svalvolati on the road L’infiltrato con Charlie Sheen. Com’è? È come guardare qualcuno che ha voluto provare una versione seria di Forza d’urto, ovvero sostanzialmente l’unica cosa al mondo a confronto della quale Charlie Sheen sembra la versione seria.
SIGLA!
The Bikeriders non c’entra niente con L’infiltrato o Forza d’urto.
Ispirato dall’omonimo libro di Danny Lyon che ha documentato le avventure dei Chicago Outlaws dal ’63 al ’67, il film di Jeff Nichols non parla di eroici e tamarrissimi poliziotti più o meno efficacemente sotto copertura, ma si propone di raccontare la prima generazione di gang di motociclisti, quelli… puri? Diciamo quelli che facevano un po’ meno criminalità degli altri. Quelli che quando è arrivata una seconda generazione di motociclisti hanno iniziato a dire “no guardi noi eravamo dei fuorilegge signora mia, menavamo gente, bruciavamo locali, imbruttivamo la polizia, ma lo eravamo meno di così, noi eravamo nobili, mica questi pischelli che hanno portato il degrado e ucciso il romanticismo dell’essere violenti entro una soglia diversa”. Qualcosa del genere.

Heyyy
Ci vuole dell’arte a raccontare queste storie epiche.
Scorsese ci riesce costantemente a occhi chiusi. Altman era un altro maestro di film corali, anche se decisamente meno adrenalinici. Gli altri, chi più chi meno, arrancano. Messi davanti a storie complesse, composte da diversi personaggi osservati lungo un arco di alcuni anni, tanti finiscono per perdersi e non sapere che direzione prendere.
Jeff Nichols ha un paio di idee chiare.
Intanto, la voce narrante dev’essere quella di Kathy, interpretata da Jodie Comer. È una scelta forte considerando che quella più classica era ancorare tutto sul corrispettivo di Danny Lyon, il giovane outsider documentarista, specie visto che anch’egli è incluso come personaggio (lo interpreta Mike Faist di Challengers).
All’inizio del film Kathy entra in un pub, invitata da un’amica, e lo trova imballato di motociclisti. Inizialmente dice “sono a disagio, sono tutti degli animali” e se ne vuole andare. Poi però ne vede uno bono (Austin Butler) per cui rimane. Salta fuori che è il più animale di tutti, un vero caso psichiatrico. Cinque settimane di ellissi dopo, se lo sposa. È una buffa e voluta “contraddizione” che segnala il fascino ambivalente dell’argomento del film ma anche, purtroppo, i problemi che non riuscirà a superare.
L’altra idea chiara di Jeff Nichols è la seguente: Austin Butler è un bono irresistibile, una copertina di Cioé semovente, un real life Zoolander che in quanto tale dovrà interpretare la figura idealizzata per eccellenza del motociclista definitivo. È il classico uomo che vorresti essere e/o farti. È quello che parla poco ma ti fissa con una blue steel costante. È quello che vive per andare in motocicletta e tutto il resto è secondario. È quello pronto a morire per difendere i suoi colori anche in situazioni futili, e quello che inizia le risse anche quando ha capito male e non ce n’era bisogno. È quello misterioso e solitario con tanti traumi interiori di cui non parla mai, che ti fa scattare immediatamente la sindrome da infermiera e/o il bisogno della sua approvazione. Come dicevano i Doobie Brothers nella sigla di Forza d’urto: “Dangerous / That’s why you love it”. Nel bene e nel male è platealmente ricalcato su Jan-Michael Vincent in Un mercoledì da leoni, ma meno disperato e ancora più idolatrato.

Tequila!
Il resto, ahimé, non decolla.
Nichols passa senza soluzione di continuità dal romanticismo alla normalizzazione: ci tiene a un certo distacco per dipingere una quotidianità che si contrapponga al mito senza minarlo, ma anche a restituire brividi che regalino qualche momento di cinema. Passa da un personaggio all’altro sforzandosi di cercare esseri umani tra gli stereotipi, ma trovando solo qualche figurina abbozzata e finendo soprattutto per perdere il filo di qualsiasi discorso e risultare più episodico che altro. A turno, tutti i personaggi principali spariscono in favore di altri impedendoti di seguire una sola sottotrama soddisfacente: Kathy viene occasionalmente abbandonata in favore del leader Johnny di Tom Hardy, distraendoti da come la narratrice si sta adattando alla nuova vita; Johnny viene abbandonato per seguire il Benny di Austin Butler che si caccia nei guai, e perdi un vero senso di come la gang sta crescendo da fenomeno locale a impressionante forza nazionale; Benny viene abbandonato perché c’è Michael Shannon nel cast, e che fai, non vuoi dare un paio di monologhi a Michael Shannon? Poi hai il già citato biografo Danny, hai il Brucie di Damon Herriman, il Cal di Boyd Holbrook, il Funny Sonny di Norman Reedus. Ha un suo arco il Cockroach di Emory Cohen (ve lo ricordate? Era Burzum in Lords of Chaos). Ha un arco e persino un background il pischello di Toby Wallace (ma non un nome). Ci si perde, insomma, tra un punto di vista confuso e informazioni enunciate ma mai davvero mostrate, e l’unico buon guizzo è quando Nichols inizia a trattare il rapporto tra Kathy, Benny e Johnnie come sostanzialmente un triangolo amoroso. C’è anche tanta omosessualità latente nelle gang tutte pelle e double denim, mi ha spiegato una storica band norvegese.

Zed is my Marlon Brando
Come si rende quindi l’esperienza tutto sommato piacevole nonostante i problemi?
Facile: gara di recitazione.
Nel dubbio, Nichols si è circondato di gente solida a cui non deve spiegare niente se non che vuole qualcosa di non ovvio, di credibile, di umano e non stereotipato, a parte Austin Butler. E a parte Norman Reedus, che pare il fantasma di Peter Fonda e da lì è impossibile schiodarlo.
In quel campo, Jodie Comer stravince: l’unica, effettivamente, capace di convincerti di avere un personaggio anche se non è vero.
Tom Hardy, il favoritissimo della vigilia, si deve invece accontentare del terzo posto. Il suo Johnny vorrebbe trasudare carisma naturale, vorrebbe essere l’uomo che ha già visto tutto e non deve chiedere mai, ma il risultato – nonostante la strana parlata smangiata e nasale alla Bob Dylan – sta tra l’annoiato e il supponente. Nei momenti migliori è una replica smorzata dei suoi gemelli Krays in Legend; nei peggiori, gli leggi in faccia la delusione di non avere niente di più succoso con cui giocare. C’è una scena nello specifico che colpisce, un dialogo tra lui e Austin Butler. È una delle scene chiave del film, di quelle che ti immagini portino la clip ai talk show: si sta discutendo del futuro della gang. Austin fa la blue steel e tanto gli basta per bucare lo schermo; Tom deve contrastarla usando il potere della recitazione e lo vedi in difficoltà, mentre combatte con dialoghi banali e cerca di jazzarli ed effettarli in qualsiasi maniera pur di riprendersi lo schermo da Austin in versione poster in cameretta di 15enne. Alla fine della scena, pur avendo avuto in mano l’80% del dialogo, Tom ha perso e lo sa.

For the times – they are a-changing…
The Bikeriders, più che come film, funziona come vaga panoramica, o come lungo trailer di qualcosa che per qualche motivo francamente sterile non sono riusciti a vendere come stagione prequel di Sons of Anarchy.
Non so cosa stia succedendo di recente: si è perso il feeling delle due ore? Non sembriamo più capaci di riconoscere cosa si riesce davvero a raccontare in quella durata. Negli ultimi anni ho visto un sacco di serie che avrebbero potuto tranquillamente essere un film, e diversi film che avrebbero dovuto essere una serie per cui, come The Bikeriders, finiscono per mandarti fuori che ne sai ancora pochissimo della storia, del contesto e dei personaggi che vorrebbero raccontarti – The Iron Claw è un altro esempio. Due ore non sono poche, mannaggia la maledizione: perché cincischiare così tanto? A quel punto tanto vale allora qualcosa come Priscilla di Sofia Coppola che almeno lo sai già in partenza che vuole solo immergerti in un’atmosfera eterea per descrivere la noia esistenziale dell’ultra-ricchezza.
Ma tant’è.
Vi saluto, e torno in cameretta a sognare di sposare Austin Butler: secondo me col mio amore riuscirò a cambiarlo.

(via The Onion)
Poster quote:
“BRUM BRUM!”
Nanni Cobretti, i400calci.com
Praticamente una bomba inesplosa.
Per me gang di bikers è Forza d’urto e Strade di fuoco (ma pure Harley Davidson e Marlboro Man).
P.S. cuoricino per Zed.
e tutti i film in cui i bikers prendono un fracco di legnate? in cima “Bronx” con Chazz Palminteri che si passa a pettine tutta una banda perchè gli ha versato la birra sul pavimento
Esatto: sottogenere in cui fanno da elemento di contorno. Prendono mazzate e/o si ritrovano con le moto che da parcheggiate si spatafasciano a terra (per spinta ed effetto domino o causa monster truck e simili che ci passano sopra).
Madonna ragazzi, Forza d’urto, Zoolander, la gif di Zed, Harley Davidson e Marlboro man….
Mi avete fatto la settimana.
Vi amo forte e duro (per citarne un’altro)
* un _ altro. Niente apostrofo.
Mi dai un colpo al cuore perché tutto sommato ci credevo: il tema mi ha sempre incuriosito (soprattutto in quel periodo storico) ma a parte i classici non si trova davvero mai nulla di rilevante. Lo vedrò turandomi il naso
Merita merita, è un gran bel film… vai a vederlo senza pregiudizi e ti divertirai.
Non sono per niente d’accordo. É un film molto bello e non facile. Forse chi ha scritto la recensione non l’ha capito o si aspettava u film d’azione
Quindi il secondo posto del podio è occupato da Butler?
Ti confermo che ho seguito la logica cartesiana secondo la quale se scrivo che Jodie Comer è prima e che Tom Hardy è terzo e che Tom Hardy perde contro Austin Butler, di conseguenza Austin Butler si può considerare secondo.
Austin Butler buca lo schermo, é magnetico e carismatico e questo detto da tutti i registi e gli attori che hanno lavorato con lui. Il suo sguardo parla
E che cazzo dice?
humma.
La prima parte è un pochino più lenta, ma via via il film cresce. Riesce anche a farti interessare ai personaggi di contorno grazie a gente come Michael Shannon e Norman Reedus.
La Comer come dite voi vince tutto, interpretazione superba, ma a me ha convinto tutto, anche Hardy l’ho trovato centrato, riesce a dare una dimensione realistica al personaggio.
È fatta bene anche la storia di sfondo dei ragazzini che porteranno al confronto finale.
È un gran bel film
Concordo
Norman Reedus in TWD va in moto, nel videoclip di Lady Gaga va in moto, in Death Stranding va in moto, qui va in moto… secondo me dovrebbero fargli fare un reboot di Il Falco della Strada e sarebbe il suo ruolo della vita.
O potrebbe fare topo moto
Forza d’urto è uno dei miei film preferiti. Visto e rivisto non so più quante volte. È il film che consiglio ogni volta che qualcuno me lo chiede. E devo tutto a voi e allo speciale su Craig R. Baxley. Grazie mille.
A me è piaciuto molto e non ho percepito la discontinuità di cui parli.
Devo anche dire, però, che avevo una conoscenza pregressa delle vicende di queste gang per via di varie letture fatte secoli fa (una su tutte: Hell’s Angels, cioè la prima vera pubblicazione di Hunter Thompson, quello di Paura e disgusto a Las Vegas, che praticamente andò a fare il Gonzo Journalism in mezzo a quelli come Funny Sonny) e quindi non ho avuto difficoltà a seguire l’evoluzione da “aggregato di pazzi furiosi con tendenze criminali, ma tutto sommato simpatici” a “mafia su ruote”. Penso anzi che il mostrare questo passaggio con sincerità e schiettezza, senza glorificazioni né sentimentalismi, sia la vera forza del film, perché quello è il nocciolo della “storia vera” al netto delle vicende personali dei protagonisti.
Il mondo che ricrea con costumi, trucco etc. poi è eccellente: cioè, parliamone, ci sono scene in cui puoi sentire la puzza di ascelle alla birra e olio esausto che esala dai corpi dei motociclisti.
E l’intreccio, le relazioni fra i personaggi, il triangolo, per semplice che sia, funziona proprio per la scelta del pov e la bravura degli attori.
Nota finale, l’ho visto in italiano e ho apprezzato molto il doppiaggio, a parte la voce del doppiatore di Tom Hardy che sono abbastanza sicuro non sia il solito. Una scelta che ho trovato pessima invece è stata quella di mantenere le voci originali della scena de “Il selvaggio” che Johnny sta guardando alla tv, per poi metterci dei sottotitoli. Capisco che potesse esserci di mezzo una questione di diritti, ma per dio ridoppiatelo, non se ne sarebbe accorto nessuno.
È fondamentale a mio parere il personaggio di Bruce, la cui morte rappresenta alla perfezione la fine del periodo “innocente” del gruppo.
Poi è fatta benissimo la parte della festa in casa coi nuovi arrivati reduci dal Vietnam ed il pestaggio di Cockroach
Verissimo, per altro la cesura del Vietnam è stata riciclata in tutte le salse dalla New Hollywood in avanti senza mai perdere di forza, e anche qui viene impiegata ottimamente in modo discreto e silenzioso, ma efficace.
Meno forte ai fini dello sviluppo ma secondo me fondamentale per il climax sono tutte le scene del picnic che ruotano intorno a Funny Sonny: da quando arriva a quando c’è l’ambigua minaccia al personaggio di Boyd Holbrook, dialoghi semplici e centrati, interpretati alla perfezione.
Infatti poi nel finale Kathy parla anche di quello per rimarcare il passaggio da un’epoca all’altra dicendo proprio che l’arrivo di Funny Sonny da un altro club è diventata una cosa impensabile secondo le nuove “regole”.
Io invece ho yrovato il doppiaggio di Jodie Comer molto piatto ed inespresso. Visto in lingua originale e lei é fantastica. Ha studiato l’accento di Cincinnati per due mesi ed ascoltato a ripetizione i nastri con la voce della vera Kathy. Il doppiaggio non tende giustizia al film e lo tende noioso e piatto, senza inflessioni né intonazione nella voce e cadendo nell’accesso romano più di una volta
Allora, devo darti ragione sul fatto che la voce di Jodie Comer sia eccessivamente piatta e strascicata, penso sia stata una scelta dettata dalla necessità di dare al suo personaggio quelle caratteristiche di provincialità e “sempliciottismo” che riesce a rendere molto bene, l’aggravante sta però nel fatto che la sua è anche la voce narrante in alcune scene e di conseguenza finisce per “appiattire” più del dovuto.
Per il resto ribadisco che secondo me il doppiaggio è riuscito molto bene, non ho percepito accenti o regionalismi incidentali, i dialoghi sono fluidi e vanno dal buono al brillante, con un paio di battute memorabili (di nuovo la scena davanti al fuoco con Funny Sonny), il ritmo è ben sincronizzato perfino sui primi piani etc. etc…
Poi oh, lo dico senza vergogna: non amo i film in lingua originale perché nonostante il mio C1 non riesco mai a fare a meno dei sottotitoli, e per me i sottotitoli sono la morte del cinema (soprattutto se in una lingua diversa da quella parlata), ergo preferisco sacrificare la voce originale degli attori che passare tutto il tempo a leggere, amen.
La mia impressione è che la Comer sia stata doppiata in quel modo e con quel tono per rendere l’idea della chiacchierata informale/intervista che narra il film. In quel senso funziona
Intervengo solo per sconsigliarvi filosoficamente di giudicare quant’è riuscito un doppiaggio se non si ha idea di com’era l’originale, specie perché questo film è tipo 90% interpretazione vocale molto particolare da parte di praticamente tutti.
Non sono del tutto d’accordo, va bene che il doppiaggio ha come principale obiettivo quello di adattare il contenuto di un’opera da una lingua x a quella di destinazione senza stravolgerne il significato (ma nel 2024 possiamo dirci ragionevolmente sicuri che questo scopo non venga tradito), però ritengo del tutto plausibile apprezzarlo secondo alcuni parametri obiettivi che siano, per riassumere, la bontà del risultato finale. D’altronde restituire l’interpretazione vocale di attori parlanti inglese (con i millemila accenti, intonazioni, cadenze etc.), o francese, o giapponese è un’impresa vana e, aggiungo, non necessaria, nemmeno nascondo di aver sempre apprezzato l’uso di accenti italiani per doppiare inflessioni dell’inglese perché è stato per decenni il metodo migliore per restituire differenze culturali o d’estrazione di personaggi che altrimenti perderebbero in dimensionalità.
Comunque il mio era solo un apprezzamento generale per dire che tra la tanta robaccia che si sente negli ultimi anni nel doppiaggio, tra calchi e idiotismi tradotti letteralmente e neologismi riportati pari pari in inglese senza nemmeno tentare la forma del prestito, il doppiaggio di questo film è quantomeno fluido e ascoltabile, praticamente invisibile.
E aggiungo per chiudere che negli ultimi anni ho visto tanti film doppiati quanti in lingua originale, e molti in entrambe le versioni, e semplicemente ho scelto di mettere in secondo piano l’interpretazione vocale e rinunciare in prima battuta alla o.v.
Hans, sinceramente non regge. Il doppiaggio è un adattamento. Puoi sicuramente dire che hai apprezzato o meno il risultato finale in relazione alle immagini e dire cose tipo “mi è sembrato piacevole/coerente”, ma il suo scopo principale rimane quello di restituire il più possibile le stesse intenzioni della fonte: se non le conosci, stai letteralmente giudicando un’opera arbitrariamente diversa e basta. Rinunciare a dover leggere i sottotitoli è comprensibile e legittimo se non si può fare altrimenti, però riguardo ad analizzare film e interpretazioni bisogna accettare di essere in questo modo in balia dell’ignoto.
Ma certamente, quello che intendevo dire è che la visione doppiata di The Bikeriders è apprezzabile perché risulta fluida e priva di stonature sgradevoli, ho espresso pareri sul doppiaggio delle voci e non sull’adattamento in generale proprio perché non ho visto l’originale.
Però bé… dire che un film doppiato sia un’opera arbitrariamente diversa dall’originale lo trovo eccessivo. Ci sono decine e decine di cose che si possono apprezzare in un film e almeno 4-5 importanti quanto e più dell’interpretazione vocale degli attori, e lo dico consapevole di quanto scrittura, direzione e interpretazione dei dialoghi abbiano incrementato il proprio peso negli ultimi anni.
Personalmente (e sottolineo: parere mio) un film doppiato è soltanto un po’ diverso dall’originale, in quantità variabile a seconda del peso delle scene dialogate e della fedeltà dell’adattamento.
Per me questo rappresenta un ottimo compromesso, se però tu consideri un film come un’opera unica e indivisibile comprendo anche il tuo punto di vista.
Coming out?
Non sono una critica di cinema ma la tua recensione non c’azzecca col film. Austin Butler non é da poster per 15enni. Informati meglio perché siamo in migliaia fra America, Australia, Inghilterra e Irlanda ad apprezzare la sua innegabile bravura, evidente bellezza, sex appeal e magnetismo. E questo a detta di tutti gli attori ed i registi che hanno lavorato con lui, preciso maschi ed estero. Le migliaia a cui accennavo hanno tutte o quasi più di 50 anni!
Marina perdonami, ma esordire accusando la mia recensione del film di essere completamente errata quando poi ce l’hai soltanto con un minuscolo dettaglio – un complimento fisico a un attore! – per dire nemmeno che è sbagliato o fuori luogo ma soltanto che ti è sembrato riduttivo rispetto all’ampiezza della fan base, non mi pare il top. Ho frainteso?
Nanni, perdonami.
E se appena ti compiace, consentimi, Ti prego, di esordire a mia volta, incoraggiandoti, col consueto riserbo, proprio di una debuttante che si affaccia timidamente alla vita, a rilevare quanto sia inopportuno e finanche sciocchino soffermarsi quasi esclusivamente sull’aspetto fisico di Austin Butler, senza tributare il dovuto onore alla caratura attoriale che questo bel giovine secerne a ogni palpito delle gonadi.
Ti facevo di gran lunga più sensibile (ma anche più “estero”).
Vandal, non penso di aver fatto solo quello nel mio pezzo, ma ho sicuramente evidenziato come il ruolo stesso e il modo in cui è stato diretto richiedesse che quella parte fosse molto importante e lui efficacissimo.
Nanni, perdonami.
STAVO SCHERZANDO!
Non hai scritto nulla che non sia del tutto cristallino e (ahime) politicamente corretto.
S’io fossi Nanni, qual non son ne’ fui, scriverei schiette recensioni, le altrui paturnie lasserei (appunto) altrui.
Non è vero che sono stato politicamente corretto, alla fine ho scritto quella cosa che secondo me con il mio amore riuscirei a cambiare Austin che se ci pensi è molto arrogante ed egoista da dire, lui è perfetto così com’è e soprattutto non sono affari miei, è padrone di decidere per se stesso, ma come mi permetto
Nanni.
Perdonami.
Ma io ti ho anche inviato due mie foto.
Quindi, consentimi.
Una.
Sola.
Domanda.
COSA CAZZO HA AUSTIN CHE IO NON HO?
Si ma sto Austin come lo vuole il caffè?
Ahahah, alti livelli!
Quando leggo queste recensioni, e certi commenti, non posso che ricordare le ultime parole di mio padre, che furono:
“Non farlo, figliolo. Quel fucile è carico”.
Da motociclista , non harleysta ,fanatico di SoA l’ho trovato un buon film , nessuna apologia , glorificazione o romanticismo….e la capacità di raccontare il passaggio della prima fase degli MC da gang di disadattati ( ricordiamoci che siamo sempre nell’ america degli anni 50…bastava poco per uscire dalle regole asfissianti del conformismo a stelle e strisce) a mafia su due ruote è notevole. Sul trittico bdei attori principali non nulla da eccepire , sugli scudi tutti e tre
Ho commesso l’errore di leggere prima i commenti e mi aspettavo una stroncatura totale, invece la trovo una recensione più o meno condivisibile. A me in generale è piaciucchiato, ma non mi ha mai davvero entusiasmato. Il difetto più grosso, secondo me, è quello che descrivi come “informazioni enunciate ma mai davvero mostrate”. Ho patito soprattutto questa scelta di affidarsi spesso alle parole, abbandonando troppo di frequente la forza della narrazione per immagini.
Eric Von Zipper unico vero outlaw biker! Ma che ne sapete voi pischelli…
Per carità un milione di volte meglio sons of anarchy almeno risponde bene al mondo dei Baker questi di the Biker ride Mi sembrava di vedere a momenti svalvolati on the road Ma per carità io e la mia compagna delusi in più mi stavo addormentando un film noioso violento
Ma è meglio o peggio di una puntata dei Biker Mice da Marte?