Partiamo dal presupposto che questo non è un film per tu– no cavolooo, questa se l’è già giocata Stanlio due settimane fa. Dannato Stanlio, me la pagherai. Ok proviamo così. Avete presente quando venite su questo blog di cinema da combattimento per leggere commenti irriverenti a film disimpegnati e invece dall’altra parte dello schermo c’è tipo Greta Thunberg ma più sexy (io) che vi attacca una pezza su qualche tema sociale importantissimo tipo il razzismo o le violenze di genere e qualcuno di voi (non tutti, non la maggioranza, ma indubbiamente qualcuno) la prende malissimo e ci scrive che non siamo più quelli di Mi fist? Ecco, non dico che siamo in quel sottogenere lì, ma non dico neanche che non siamo in quel sottogenere lì.
I Saw the TV Glow è un horror, in mancanza di un’espressione migliore, particolare che parla a un pubblico estremamente preciso per età, allineamento politico e – lo dico? sto veramente per dirlo? su questo sito? – identità di genere. Ad alcuni non piacerà, ad altri sfuggirà il punto e qualcuno si sentirà tagliato fuori in modo così netto e inappellabile che non mi sento neanche di farlgiene una colpa, ma sono assolutamente convinto che sia un film importante. Di cui vale la pena parlare e di cui si parlerà. E voi, che in questo scenario vi trovate per qualche motivo a una cena radical chic su una terrazza romana, seduti tra un assessore alla cultura e un secondo classificato al premio Strega, con la Peroni 75 e la maglietta dei Black Sabbath stupirete i vostri commensali dicendo “ah sì, so di cosa parli, ne ho letto su I 400 Calci”.
No, cancellate quest’immagine. Se di I Saw the TV Glow si parlerà, non sarà su una terrazza romana, tra polverosi esponenti dell’ancien régime e custodi della cultura alta intesa nel senso più antiquato possibile. Innanzitutto perché è un film che fa riferimento a un demografico completamente diverso: molto più giovane, molto più fluido e infinitamente più sul pezzo. Se ne parlerà, più probabilmente, negli equivalenti online di scantinati umidi e male illuminati dove un tempo si sarebbero organizzati dei fight club. Su TikTok e nei canali Telegram o su qualche social che non conosco perché sono troppo vecchio. Nei circolini underground, nelle newsletter femministe e nei cineforum queer (ok, ora lo sto facendo apposta per spaventarvi). Se ne parlerà, e in realtà se ne sta già parlando, come del figlio di Twin Peaks: The Return e del Donnie Darko dei Gen Z, due robe che fino a un attimo fa erano “la novità” e invece mannaggia al cazzo come passa in fretta il tempo signora mia.
È anche possibile non fare nessunissima fatica con questo film, berselo come acqua fresca, appassionarsi e addirittura riconoscersi in grossa parte della storia che racconta, specie se roba come Donnie Darko e la terza stagione di Twin Peaks sono la vostra tazza di Coca Cola con l’aspirina. Ma il mio lavoro qui è mettere le mani avanti e se avete presente il precedente film di Jane Schoenbrun, We’re All Going to the World’s Fair, uscito nel 2021, è anche legittimo mettere in conto una certa inaccessibilità/inaffrontabilità di fondo. Per capirci: We’re All Going to the World’s Fair è un film a budget inesistente ambientato quasi interamente nella cameretta di una ragazzina e nel boschetto dietro casa, ha due attori e non succede praticamente niente per circa un’ora e venti. Racconta la storia di un’adolescente che va in fissa con un creepypasta e poi le cose prendono una piega strana. Due volte l’ho visto e due volte mi sono addormentato. C’è una parte che è esplicitamente ASMR (incredibilmente, non è lì che mi sono addormentato). Ci sono dei camei di veri YouTuber legati all’ambiente delle leggende metropolitane e della challenge che se le fai dopo tre giorni muori. È una riflessione sull’alienazione, sulla solitudine, sugli effetti tutti pazzi (e ancora tutti da studiare) su chi nasce e cresce in un mondo composto al 90% di internet e sullo scarto a volte incolmabile tra identità e identità online.
Ora qualcuno potrebbe obiettare che questa non doveva essere una recensione di We’re All Going to the World’s Fair, grazie, lo so, ma mi serviva per settare il mood. E a proposito di mood: sigla!
Con I Saw the TV Glow Schoenbrun fa un grosso passo avanti e un grosso passo indietro. Quello indietro è temporale: dall’oggi che più oggi non si può di World’s Fair, in cui i temutissimi Gen Z spadroneggiano incontrastati, si passa ai mitici spensierati clintoniani anni 90 delle VHS, dei televisori a tubo catodico e degli adolescenti ugualmente inquieti ma con una fotografia leggermente diversa. Quello in avanti è produttivo: nel 2021 il copione di I Saw the TV Glow finisce tra le mani di Emma Stone che decide di finanziarlo con la casa di produzione che ha fondato assieme al marito, la Fruit Tree. Pochi mesi dopo sale sul carro la A24 e a quel punto diventa chiaro che non si tratterà più di un filmetto indie da pochi spicci, ma di un filmetto indie con un botto di spicci, una distribuzione con tutti i crismi, un posto assicurato ai festival più fighetti e abbastanza street cred da attrarre nomi come Justice Smith e Phoebe Bridgers.
I Saw the TV Glow inizia nel 1996 quando Owen (Ian Foreman) incontra per la prima volta Maddy (Brigette Lundy-Paine) nei lugubri corridoi della Void High School (VHS). Non si conoscono, hanno due anni di differenza – a quell’età in cui due anni sono la distanza abissale che separa un bambino da un giovane adulto – ma legano immediatamente grazie alla passione per la stessa serie tv: uno show per ragazzi un po’ horror e un po’ d’avventura e un po’ tanto gay-coded che va in onda in seconda serata e si intitola The Pink Opaque. Serie che in realtà Owen non ha nemmeno mai visto perché, a 13 anni, i genitori non lo lasciano stare sveglio fino a tardi (una sottigliezza che risuonerà in chi è cresciuto con genitori matti o esageratamente apprensivi) ma di cui è bastata la pubblicità alla tele per folgorarlo (un’altra sottigliezza che ci ricorda di quando eravamo bambini e i programmi “dei grandi” che non avevamo il permesso di guardare diventavano nella nostra immaginazione la roba più audace e oltraggiosa mai concepita).
Passano un paio d’anni e Owen è abbastanza grande da essere interpretato da Justice Smith ma non ancora abbastanza grande da guardare la tv fino a tardi. Così è Maddy che registra per lui ogni nuova puntata di The Pink Opaque e gliela passa furtivamente sotto forma di videocassetta, nel primo caso accertato in epoca moderna in cui “videocassetta” è effettivamente una videocassetta e non un eufemismo per “scaricare illegalmente i torrent”. Owen guarda e riguarda gli episodi di The Pink Opaque in religiosa contemplazione e di nascosto dal padre che ha posto il veto sulla serie definendola un telefilm da femmine – e se da un lato questo cementifica la stramba ma bellissima amicizia tra lui e Maddy, dall’altro non fa che alimentare la sensazione di Owen che in lui qualcosa non vada.
Owen e Maddy sono anche, per la sorpresa di nessuno, due emarginati da manuale. E non l’emarginato figo che sta sulle sue ma per qualche motivo tutti a scuola conoscono e ne sono un po’ spaventati e un po’ affascinati (sto guardando te Donnie fucking Jake Gyllenhaal sguardo penetrante Darko), ma proprio quei ragazzi che gli altri ragazzi schifano per paura che anche solo incrociandone lo sguardo gli attacchino l’aids o, peggio ancora, la sfiga. The Pink Opaque è il loro rifugio, valvola di sfogo, ossessione, momento di rivalsa, unico spiraglio di luce fluo in un’esistenza per il resto grigia e dolorosa, a scuola come a casa: Maddy vive con un patrigno violento e una madre assente, Owen con una madre che lo infantilizza e soffoca di attenzioni, mentre suo padre è il cantante dei Limp Bizkit.
Fin qui tutto normale. È il classico racconto di formazione le cui regole prescrivono che a un certo punto la realtà farà irruzione nel mondo di fantasia che questi ragazzi si sono creati. Un evento drammatico romperà la loro routine costringendoli a fare i conti coi propri demoni e infine a crescere. Solo che non succede.
Maddy sogna di scappare di casa, chiede a Owen di seguirla, ma lui non ha il coraggio. Maddy lo fa lo stesso, da sola. Da un momento all’altro sparisce senza lasciare traccia e per qualche strana coincidenza pochi giorni dopo anche The Pink Opaque viene cancellato, non prima di aver mandato in onda un bastardissimo ultimo episodio con cliffhanger che lascia il pubblico incerto sul destino delle due protagoniste. Passano quindi altri dieci anni e la vita di Owen procede quasi identica a prima. Sua madre è morta, e lui è rimasto a vivere con il padre, sempre più laconico e minaccioso, nella casa della sua infanzia. È passato dal trascinarsi svogliatamente a scuola al trascinarsi svogliatamente a un lavoro di merda. Non ha amici, non ha una vita sentimentale, The Pink Opaque è ancora, per qualche strano motivo, al centro di tutti i suoi pensieri.
È a questo punto che Maddy si rifà viva, con una rivelazione che mette in discussione tutto ciò che Owen ha sempre creduto, o forse conferma un sospetto che ha sempre avuto, o forse entrambe le cose.
All’estremo opposto di Stranger Things e dei suoi tragici emuli che celebrano gli anni 80 come se fosse l’unico decennio in cui sia mai successo qualcosa di bello o interessante, tutto si può dire di I Saw the TV Glow tranne che glorifichi gli anni 90. Schoenbrun lo dice con molta chiarezza: sono spettrali e inquietanti come la suburbia in cui è ambientato il suo film. Fanno cagare quando non fanno cagare sotto. L’aggettivo “lynchiano” per una volta non è usato a casaccio: i riferimenti sono evidenti e del resto non si può prescindere da chi ha passato quel decennio a raccontare l’orrore, esistenziale e architettonico, dei quartieri residenziali con le villette a schiera. Questo non significa che non si possa essere, al tempo stesso, responsabilmente nostalgici quando si tratta dei prodotti culturali di quell’epoca, in particolare la musica e le serie televisive, e i loro vetusti supporti e sistemi di riproduzione — quel modo di fruirli e di condividerli ancora tutto analogico che oggi, nel bene o nel male, non esiste più.
A questo proposito, è impossibile non riconoscere in The Pink Opaque un pastiche che ha Buffy the Vampire Slayer come fonte di ispirazione principale: ne prende in prestito la struttura, i toni, i temi, persino il font dei titoli e un’attrice, Amber Benson, che fa un brevissimo cameo!
Certo, a Buffy si mescolano suggestioni del filone “horror per bambini” come Piccoli brividi e Hai paura del buio?, più il già citato Twin Peaks e, sconosciutissimo da noi, lo strambo The Adventures of Pete & Pete (i cui protagonisti, Danny Tamberelli e il jimmybobico Michael C. Maronna, fanno anche loro un inquietante cameo), senza contare il gigantesco debito nei confronti degli Smashing Pumpkins (si veda il video di Tonight, Tonight per capire da dove vengono “Mr. Melancholy” e i suoi scagnozzi) – ma è abbastanza chiaro chi è la star.
E non è un caso che Schoenbrun vada a pescare proprio lì. Di Buffy si parla spesso come una serie fondamentale perché, parliamoci chiaro, ha praticamente inventato un linguaggio, un modo di scrivere la televisione (ma non solo) che sopravvive ancora oggi nonostante la cultura del binge-watching stia facendo di tutto per cancellarne ogni traccia. Potreste non aver mai visto Buffy e comunque aver visto Buffy perché la maggior parte della roba che esce adesso è debitrice di Buffy. I miei cinque episodi di Buffy preferiti? Grazie per averlo chiesto. Esclusi tutti quelli più matti, in cui si vedeva che gli autori volevano fare i fenomeni tipo il musical o l’episodio muto, perché sono bellissimi ma non sono davvero rappresentativi della serie, direi:
- l’episodio in cui gli incubi diventano reali
- l’episodio in cui tutti gli adulti si comportano come adolescenti
- l’episodio sulla fine del mondo ma dal punto di vista di Xander
- l’episodio in cui lo sfigato della scuola fa un incantesimo per diventare popolare
- l’episodio in cui muore la mamma di Buffy
Non ho mai scritto niente di creativo in vita mia ma sono abbastanza sicuro che potrei tenere un corso di scrittura creativa e farla franca semplicemente parlando di Buffy.
Ciò detto, altrettanto importante è l’impatto che a cavallo tra gli anni 90 e 2000 Buffy ha avuto sul pubblico. Ci sono state ovviamente serie più popolari e più di successo di Buffy ma non me ne viene in mente nessuna, oltre forse a Star Trek, che sia stata in grado di unire sotto un’unica bandiera così tanti sfigati, freak ed emarginati. In Buffy, per qualche motivo, si riconsocevano tutti: nerd brufolosi che giocano a D&D, metallari, fattoni, goth kids e ogni altro sottogruppo da liceo americano, raggiungendo infine persino la comunità queer, che forse per la prima volta nella storia della televisione si è sentita vista e rappresentata da qualcosa di così cool e mainstream.
Non fatico a immaginare Jane Schoenbrun, persona trans e non-binaria, che a 15 anni guarda Buffy e si trasforma nel meme di Gerry Scotti che dice
Avrei voluto scrivere ancora un sacco di cose, per esempio sugli attori, in particolare Justice Smith (che riesce ad essere credibile nei panni di una persona che spazia dai 15 ai 40 anni di età e tira fuori un’interpretazione pazzesca a partire dalla voce), o sulla scelta, molto televisiva, dell’intermezzo musicale che ci tira fuori dal film per catapultarci, a scelta, al Bronze di Buffy o nella Roadhouse di Twin Peaks, con le esibizioni diegetiche di Sloppy Jane e King Woman. Ma si è fatta una certa, è ora di vuotare il sacco e affrontare la questione centralissima del film che sono riuscito in qualche modo a schivare per 200 mila battute: I Saw the TV Glow parla dell’essere trans. Stavo per scrivere che “è una metafora di”, ma poi mi è venuto da ridere – il film si apre letteralmente con il protagonista che passeggia sotto un’enorme trans flag.
Abitare un corpo che non si riconosce come proprio? Vivere imprigionati in una menzogna piccoloborghese e chiedere scusa per il semplice fatto di esistere? Mhhhh, a quanto pare non stavamo parlando veramente di due ragazzi appassionati di una serie tv.
Come faceva Matrix attraverso le arti marziali e le pistole pew pew, la parabola di Owen e Maddy racconta, con il linguaggio del teen drama, del racconto fantastico e poi dell’horror, il percorso complessissimo, pieno di ostacoli, per un cazzo sicuro e diverso per ogni singolo individuo, che intraprende (o non intraprende) chi ha un’idea di sé che non corrisponde all’immagine che restituisce lo specchio. E di come l’arte – fosse anche un telefilm sui mostri in seconda serata su Italia1 – può salvarti la vita o rovinartela.
Questo discorso può, e in questo caso ha indubbiamente a che fare con il concetto di identità di genere, ma non per forza, non solo. Chi può dire di aver vissuto ogni secondo della propria vita in modo 100% autentico? Chi può dire di non essere mai stato spaventato dal cambiamento? Chi, alla fatidica domanda “ti piacciono i maschi o le femmine”, non è mai stato tentato di rispondere “mi piacciono i telefilm”?
A costo di suggerire una cosa potenzialmente pericolosissima, e cioè a un mucchio di maschi etero di appropriarsi di uno spazio pensato per le persone trans, sono abbastanza convinto che un film come I Saw the TV Glow possa parlare a tutti.
Maddy è disposta a mettere in gioco tutto per entrare in contatto con la versione più vera di sé, a voltare le spalle a ciò che è sicuro e familiare e fare un autentico salto nel vuoto senza sapere se quello che la aspetta dall’altro lato dello specchio sarà facile o piacevole. Owen no. Entrambe pagano un prezzo altissimo. Schoenbrun non dice chi ha ragione e chi ha torto, ti chiede cosa faresti al posto loro. Mi sembra una domanda che vale la pena di farsi, di tanto in tanto, a prescindere da quanto si è a proprio agio con la faccenda dei pronomi.
VHS-quote:
“La mia serie tv che non esiste preferita”
Quantum Tarantino, i400calci.com
La recensione più lunga nella storia dei Calci.
Pallosa come poche, ma che quando arriva al punto spacca i culi e la quarta parete.
Bravo Quantum.
Però se avessi avuto bisogno di pisciare durante la lettura, e non avessi voluto interromperla, mi sarebbe toccato utilizzare una bottiglia di plastica.
sono abbastanza sicuro, senza neanche andare a controllare, che quella di luotto su 1941 sia più lunga e più pallosa. non so come reagire dall’idea che tu non possa/voglia interrompere la lettura per pisciare, ma penso che ne sarò lusingato
Dovresti, infatti.
Ottimo lavoro (in luce e ombra).
:)
Non sono sicuro sia una cosa bella, ma sono appena andato a ricercarmi (e a rileggermi) la recensione di 1941, perchè non me la ricordavo.
Probabilmente le rece di Fury Road e Hateful Eight sono più lunghe ma erano anche scritte a più mani.
Fun fact: il pezzo su Fury Road contga ad oggi un increibile totale di 1030 commenti! Per mettere le cose in prospettiva, il famigerato pezzo di Jackie Lang sul primo Diabolik (chi c’era se lo ricorda) ne ha solo 376.
allora o affrontiamo la cosa da professionisti e qualcuno inizia a tirare fuori degli spreadsheet e dei grafici o questa discussione non ha senso
Bello fino a metà poi, per me, si affloscia totalmente. Il messaggio mi è arrivato chiaro ma mi è parso che fosse una di quelle cose più belle da raccontare che effettivamente da guardare. Almeno per tutta la seconda parte (da dopo il pub, diciamo). Mi ha lasciato la sensazione di sentirsi più intelligente di quello che effettivamente è perché si può parlare di temi importanti ma poi deve esserci anche il film. Un peccato.
mah secondo me invece arrivati a metà i soldi erano finiti e si sono detti “che problema c’è, tutto il terzo atto facciamo che è lei che parla”. è una scelta demenziale ma lei è bravissima e per qualche motivo funziona
Insomma. Se il meglio del film è a metà, secondo me, c’è proprio qualcosa che non va.
“Mi ha lasciato la sensazione di sentirsi più intelligente di quello che effettivamente è perché si può parlare di temi importanti ma poi deve esserci anche il film”.
Insomma, un tipico film della A24
Ah, ma lui è il bimbetto di Let The Right One In – la serie.
Roba inutile recitata bene.
Maaa..cos’ha di calciabile? È un eccezione tanto meritevole da star qui? Poi se ha un valore ok, perchè non ho capito l’attinenza con le vostre tematiche. O è tutto nel finale non spoilerato?
beh… se sta qua evidente l’abbiamo ritenuto meritevole 👀 è horror. chiamalo se vuoi horror psicologico, o d’atmosfera, o esistenziale. il solco, come detto nella rece, è quello di twin peaks 3
Mi hai convinto a recuperare Buffy, del quale ho pochissimi e frammentari ricordi di quando mi capitava nello zapping pomeridiano che precedeva la mezz’ora del pomeriggio dedicata ai compiti.
Poi vedrò anche il film, che sembra effettivamente interessante.
Non farti fregare dalla prima stagione che, secondo me, è abbastanza una merda. Poi, senza preavviso, il livello si eleva dal cortile di casa alle vette olimpiche.
e invece io ti dico che la prima stagione non è male. i limiti che ha sono quelli di budget e dell’essere inevitabilmente ancora molto acerbi, ma le idee sono già tutte lì
Mmmmmm….
La recensione mi ha messo curiosità sul film, ma soprattutto mi ha fatto venire una voglia pazzesca di rewatch di tutto Buffy
L’unica cosa che mi ha fatto venire voglia di vedere il film è la presenza di Fred Durst
*La faccia di qualcuno che ha appena visto Colpo Grosso
Che in molti casi era DECISAMENTE meglio della madonna
A “mi piacciono i telefilm” e’ partita la standing ovation tra gli animaletti nel boschetto della mia fantasia e Quantum ha ribadito il suo ruolo di recensore della stra-madonna in un sito di recensori della madonna. Su I Saw The TV Glow posso scrivere che e’ un mese che controllo quotidinamente se qualcuno s’e’ preso la briga di farne dei sottotitoli italiani ma finora niente; controllavo perche’ We’re all going to the World’s Fair e’ un film che mi e’ entrato sottopelle e non fa che crescere e aspettavo con parecchia curiosita’ il prossimo dalla stessa regista… Quantum ne ha fatto un’ottima sintesi ma non poteva dilungarsi per motivi offtopici, quindi lo faccio io: Si va tutti al World’s Fair e’ un film che mi ha fatto bestemmiare AD ALTA VOCE per la sua lentezza e per tenermi sveglio (funziona!), ma si discosta da tanti oggetti simili perche’, banalmente, NON E’ STRONZO. Non ti viene mai il dubbio di essere preso per il culo o che il regista abbia riempito di vuoto il vuoto speculativo/comunicativo di cui soffre, no: e’ un film fatto palesemente col cuore da gente che ci tiene tantissimo a lanciare un messaggio DIFFICILE, e se non e’ certamente “calcistico” certamente non e’ neanche “intellettualoide palla al cazzo”.
>> Non ti viene mai il dubbio di essere preso per il culo
esatto, è proprio questo che me lo fa stare simpatico nonostante sulla carta faccia di tutto per farsi prendere a sberle.
su tv glow di consiglio di fare un tentativo coi sub in inglese, i dialoghi non sono poi così così complessi, gli si sta dietro anche con una conoscenza dell’inglese non stellare secondo me
>>”coi sub in inglese” porca miseria mi era scappato il collegamento con Twin Peaks porca miseria ma io me lo guardo ORA. Insolitamente… io… posso?! Adesso, 5:38 del mattino uno schermo enorme e assolutamente nulla o nessuno all’orizzonte per ore o km mo che figata. Quantum non potevi rispondermi meglio.
…mo che bellezza.
Che ti devo dire Quantum. Sei partito per farmi incazzare con i pronomi, e sei finito a scrivere un pezzo profondo e toccante che mi ha fatto venire voglia di vedere sto film. Perfetto il paragone con Matrix. Bravo bravo chapeau.
<3 (no homo)
Film troppo fighetto per i miei gusti ,ho preferito di tanto il precedente.
Ho recuperato sta bomba koreana https://m.imdb.com/title/tt21983200/
Sarebbe bellissimo se riusciste a recensirlo.
No vabbe’ film in coreano senza manco i sottotitoli italiani… no.
Non esageriamo. M’hai fatto perdere 5 minuti :)
much ado about nothing
Film poco calciabile, ma come dice giustamente Quantum “un film importante, di cui vale la pena parlare e di cui si parlerà”.
A questo punto però attendo il pezzo su Love Lies Bleeding, film calciabile, “importante, di cui vale la pena parlare e di cui si parlerà”.
quello lo copriamo di sicuro, dagli però il tempo di uscire in italia (a settembre, credo)
Grandi <3
Quantum ne imparum da ‘sto ragazzum!
Potevi però metterlo qualche link gustoso a questo mondo queerfreakfluo per migliore educazione di noi vere vittime, ostican!
Al più tardi quando hai citato l’omaggio a “The Adventures of Pete & Pete”, mi hai definitivamente venduto il film :-)
Tra parentesi: tra “Buffy” e “Pete & Pete” c’è un legame di nome Michelle Trachtenberg…
sì lo soooo, volevo scriverlo da qualche parte ma mi toccava aprire una parentesi nella prantesi nella prantesi che ci avrebbe portati ancora più fuori strada
Sì ma dove lo vedo sto film? Sono troppo sfigato per trovare qualcuno che me lo passi in vhs
ora si trova vod anche in italiano col fantastico titolo “Ho visto la TV brillare”
Mi sarò addormentato 5 volte nel vedere questo film.
Il tema lo avevo capito dall’inizio, sbattuto in faccia costantemente, tuttavia il seguito recente di Twin Peaks al confronto è lineare come un documentario di Alberto Angela che parla dell’acquedotto romano.
Detto ciò, e dopo aver visto chi diavolo fosse il regista (dopo una breve ricerca su google immagini ho capito tutto tutto), quello che mi ha lasciato questo film è un senso di preoccupazione per chi vive queste cose, nel senso che dovrebbero rivolgersi ad un professionista quando sono ancora in tempo, ho visto una mente pesantemente confusa e fuori binari.
“Chi vive queste cose” spesso è costrettə a “vedere un professionista” anche contro la propria volontà, laddove non c’è né dubbio né confusione, solo per vedersi riconosciuta giuridicamente la propria esistenza.
Ho un po’ di commenti arretrati che non ho fatto nel 2024. Devo smaltirli e inizio proprio da questo che ritengo essere il miglior film del 2024!
Una cosa prima: per coincidenza, io ho visto “Donnie Darko” per la prima volta proprio una settimana prima della pubblicazione di questo pezzo. E mi dispiace andare in disaccordo con Quantum, ma mi è piaciuto molto. È stata una eccitante coincidenza vederlo citato qui a così breve distanza e come metro di paragone per questo film che dovevamo ancora vedere, e infatti me lo ha venduto.
Per la cronaca, ad conquistarmi di DD è stato il gusto molto “2001” : a differenza delle apparenze anemiche e pulite di oggi, gli attori giovani avevano un aspetto molto carnale, c’erano molti movimenti di macchina e esprimeva idee proprie sulla giovinezza.
“I saw the tv glow” l’ho visto a fine estate e l’ho trovato molto ammaliante! Concordo in tutto con la recensione: molto bello e con qualcosa da dire che l’autore/autrice conosce bene.
Ha dei momenti molto potenti e indelebili: quando il protagonista scopre in tv il mondo tascabile e urla “tu non sei mio padre”, o il finale con il ventre squarciato da cui emerge quel bagliore molto specifico. Viene messo in scena tutto con una forza impattante e visiva molto incisiva.
Scritto e illuminato bene.
Il pezzo di Quantum Tarantino è molto esplicativo sui temi del film e devo dire che tutto torna. Ovviamente non mi sono potuto trovare tanto nel discorso della transizione, e mi sono riconosciuto nel discorso delle videocassette e della serie tv alla Buffy con il gioco narrativo che mette in scena, con le vecchie cose che non ti sembrano più così belle e con il passaggio dal vhs allo streaming.
Non che mi abbia soddisfatto in tutto, mi sembra che la fine arrivi troppo presto e senza un ulteriore sviluppo del discorso che forse serviva, ma appunto “questo non è un film per tutti” e forse io mi concentro sull’aspetto sbagliato.
Spero vivamente di vederlo candidato ai Sylvester per le voci miglior film e miglior attorismo per Justice Smith, e sostenere con il mio voto.
Poi, parlando di influenze: si è detto molto delle cose che hanno influenzato questo film, David Lynch certo, e l’ovvio Buffy e i giochi narrativi del Joss Whedon dell’epoca. Una vicinanza con Donnie Darko.
E allora dico io, perché non dire che c’è un’influenza anche di Tiziano Scalvi?
Risposta ovvia: è altamente improbabile che l’americanə Jane S. conosca Dylan Dog e soprattutto Sclavi, e quindi direi che un’influenza sclaviana non possa esserci.
Però… rifletteteci…
Una puntata di una serie in cui, una volta tanto, l’eroe perde, e viene bandito in un regno magico. Solo che, in barba alle convenzioni, questa situazione non ci viene presentata dall’inizio, la scopriamo man mano e soprattutto ci viene presentata come “realtà primaria” la realtà finta, che in un episodio normale occuperebbe solo la parte centrale della narrazione. Il punto di vista è dalla realtà e dalla persona che in realtà non sono le protagoniste dello show. È come se l’autore/autrice avesse voluto espandere una parte di un episodio ipotetico di questa serie (televisiva o a fumetti), un gioco narrativo di chi conosce molto bene le storie e si chiede come sia la vita per le realtà e personalità parallele messe in ombra dalla vicenda principale, e il tutto presentato come un horror parapsicologico in cui il protagonista è un eroe che non serve a niente e che scopre una verità inaspettata su sè stesso.
Questo può perfettamente essere un numero di Dylan Dog scritto dallo Sclavi dei tempi migliori.
Non può esserci influenza ma sicuramente c’è vicinanza.
Se questa recensione non fosse mai stata pubblicata avrei investito diversamente il mio ticket di windtre per noleggiare gratis un film a caso.