E insomma c’è stato questo periodo tra i ‘70 e gli ‘80 in cui la gentrificazione non era ancora selvaggia, e certi posti evocativi erano in realtà poco raccomandabili, specie dopo una certa ora. Times Square a New York, specie l’adiacente 42esima strada, era uno di questi; l’Hollywood Boulevard a Los Angeles era il suo equivalente all’estremo opposto degli USA. Criminalità spicciola, prostituzione, e questa sua strana vicinanza in entrambi i casi col mondo del cinema – un sacco di sale da una parte, in gran parte dedicate ai b-movies e al porno, e il cuore stesso dell’industria del cinema dall’altra, con il famoso marciapiede di stelle.
Iniziano a proliferare i film che si piazzano esattamente a metà strada tra Scorsese e Stallone, fra la New Hollywood di Taxi Driver e gli action più glamour alla Cobra. I film sulla Buoncostume, prima che la Buoncostume per eccellenza, grazie a Michael Mann, diventasse quella videoclippara di Miami.
È un sottogenere identificato e codificato, ma che non gode di un’etichetta universalmente condivisa (qualcuno lo chiama “sleazecore”) e che, se non fosse stato per il mercato homevideo all’epoca ai suoi albori, non vanterebbe nemmeno veri successi commerciali se non consideriamo i film ai suoi due estremi – Hardcore di Schrader ad aprirlo, Omicidio a luci rosse a chiuderlo – che però sono entrambi aticipi e tangenziali (uno soprattutto un dramma, l’altro soprattutto un omaggio a Hitchcock). Se il discorso vi intriga, vi abbiamo già sviscerato tutto in una apposita diretta.
Però ecco, pur essendo un grande fan di Vice Squad e della trilogia di Angel, in questa epoca in cui gli anni ‘80 sono talmente identificati con Stranger Things che ora escono direttamente omaggi a Stranger Things, avevo rinunciato al fatto che qualcuno ancora se lo ricordasse.
Ma, colpo di scena, entra Ti West.
Dopo una lunga pausa nel purgatorio della tv, Ti West torna di colpo al cinema con X.
Personalmente mi intriga senza sconvolgermi, ma è il tipo di operazione che serve a tenere vivo il cinema: qualcosa che trova un aggancio minimo per ottenere finanziamenti (in quel caso era l’ennesimo slasher alla Texas Chainsaw Massacre), ma poi si occupa di temi che non seguono nessun trend del momento (il desiderio sessuale, specie in relazione al punto di vista estremo dell’industria del porno), per sentirsi libero di deviare in direzioni imprevedibili e svelare diversi assi nella manica.
Ti West, di cui uno dei marchi di fabbrica cinematografici più riconoscibili consisteva nello stalkerare ragazzette carine e infilarle in situazioni pericolose, trova una musa in Mia Goth e insieme a lei prepara al volo un prequel di X a costo talmente basso che la A24 glielo produce prima ancora di aspettare le reazioni a X. Pearl costruisce un horror su riferimenti stilistici ancora più improbabili: i melodrammi di Douglas Sirk. Non chiedetemi di essere esperto pure di quelli: la cosa principale è che Ti segue di nuovo una ragazzetta carina, ma stavolta è lei stessa ad essere la “situazione pericolosa”. Per una volta, Ti riesce a mettere il suo stile ultrapreciso al servizio di una performance, e non solo della riproduzione di un immaginario. Pearl è una bomba: va a Venezia, riceve i complimenti pubblici di Scorsese e, oltre a consacrare Mia Goth come la cosa più simile che abbiamo oggi a Bette Davis, ripiazza definitivamente Ti West sulla mappa dei registi horror da seguire.
MaXXXine viene annunciato poco dopo: stavolta un sequel sullo stesso personaggio di X, chiude comunque la saga più improbabile dei tempi recenti con un’operazione pensata per essere tranquillamente fruita in ordine sparso e indipendente, di nuovo appoggiata su coordinate stilistiche completamente diverse.
Sinceramente: a fare 2+2 coi film precedenti, la destinazione di MaXXXine era ovvia.
Sia cronologicamente che tematicamente.
Maxine insegue il sogno che aveva Pearl prima di lei e, dopo essere diventata una star del porno, cerca di scavallare nel cinema mainstream come una Marilyn Chambers/Traci Lords e, in un mondo in cui se sei abbastanza famoso ammazzare qualcuno non ti ostacola la carriera (saluto sempre Vince Neil ogni volta che ne ho l’occasione), niente e nessuno la può fermare. A parte, al limite, un serial killer che sembra averla presa di mira.
Questo è uno degli aspetti più intriganti che MaXXXine recupera da X e mette al centro del racconto: come Angel (e meglio di Angel, che tutto sommato non ci vuole moltissimo), è uno slasher atipico che mette in primo piano non un avatar dello spettatore o un veicolo di vulnerabile, virginea e blanda rettitudine, ma un personaggio che per un motivo o l’altro – in Angel si trattava di una studentessa dall’insospettabile doppia vita come prostituta minorenne – reggerebbe un film anche senza bisogno di essere coinvolto in una situazione violenta.
Abbiamo avuto l’occasione di rivolgere un pugno di domande a Ti West, e le quote che vedete da qui in poi sono sue:
Ho sempre pensato che per rinfrescare il genere Maxine dovesse essere un personaggio, non solo un’altra vittima, o una scream queen o qualcosa del genere. Volevo che avesse una sua indipendenza e un suo scopo. Volevo che tutte le minacce che affrontasse nel film fossero reali e pericolose, ma volevo che anche lei fosse pericolosa e capace di difendersi, e non che strillasse e inciampasse ogni volta che viene inseguita. Volevo fare un film in cui reagisse. Le protagoniste degli slasher non devono essere sempre passive, e possono comunque essere protagoniste.
Ed è riduttivo, perché Maxine non è semplicemente “forte”, “non passiva”, come una Ripley o una Furiosa qualsiasi: è, a dir poco, controversa.
È arrogante, è piena di sé, è determinata/ossessionata, è aggressiva e non è facile averci a che fare.
Ha un passato violento subìto e restituito con gli interessi (i fatti di X) ed è sempre pronta a rifarlo quando serve – chiedere al tizio vestito da Buster Keaton che la minaccia in un vicolo.
Nella scena di apertura fa un provino per il ruolo da protagonista in “The Puritan 2”, dichiara apertamente di meritarselo, lo dimostra con una scena drammatica intensissima, e la richiesta di mostrare le tette non le fa nemmeno alzare un sopracciglio.
È il tipo di personaggio che potrebbe essere eroe o villain, a seconda delle circostanze o dei punti di vista. Al cinema è quasi sempre villain.
E allora basta metterlo nel posto giusto al momento giusto.
Non sono il tipo di regista che dà agli attori liste di film da vedere o album da ascoltare, a meno che non me lo chiedono, ma quando me lo chiedono sono felice di farlo. A volte chiedo se hanno visto questo o quello perché è ambientato nello stesso periodo, o perché ci sono movimenti di macchina simili a quelli che ho progettato. I film ambientati a Los Angeles sono un po’ un sottogenere a sé stante. Ci sono tanti grandi film ambientati a Los Angeles, specie quelli tendenti al noir, o quelli che mostrano la parte più malfamata dell’Hollywood Boulevard, che trovo molto rappresentativi dell’atmosfera di MaXXXine.
MaXXXine chiude una trilogia di sesso, violenza e ossessione per la celebrità, ma non è qui per raccontare chissà quali morali sconvolgenti: la parte divertente è prendere quel personaggio, renderlo tridimensionale e umano, metterlo in difficoltà e vedere come ne esce senza darle scorciatoie come una “redenzione”, che non siamo mica qua a fare Cruella.
È, di nuovo, lo show di Mia Goth: meno ostentato che in Pearl, ma sempre incredibilmente magnetico.
E Ti West la asseconda, tenendosi di nuovo occupato con un nuovo esercizio di stile ma stando sempre attento a mettersi in secondo piano rispetto alla sua protagonista – cosa che prima di Pearl non faceva. Ci mette la ricostruzione non per forza della vera Hollywood dell’85, ma di sicuro di quella che si vedeva nei film che all’epoca stavano in testa alle classifiche di videonoleggio, con il contrasto fra il glamour degli studios e i sordidi vicoli poco distanti, il marciapiede delle stelle calpestato dalle donne da marciapiede, gli strip club al neon con i Frankie Goes to Hollywood e personaggi consapevolmente sopra le righe (Kevin Bacon ma soprattutto Giancarlo Esposito). Ci mette il cinema “alto” e “basso”, le manifestazioni bigotte contro l’horror e la metafora facile ma non per questo meno suggestiva delle città finte negli Universal Studios. Ci mette i sogni che si infrangono a diversi livelli: le attrici rischiano costantemente la morte, che abbiano sfondato o meno, mentre gli attori falliti diventano poliziotti e Richard Ramirez semina il panico indistintamente.
Non c’è l’ambizione di fare chissà quali discorsi profondi o inediti, e questo forse smorza un po’ il terzo atto che per qualcuno rischia probabilmente di arrivare caricato di aspettative eccessive, supportate da una trilogia spettacolare, tranquillamente unica, e un regista più raffinato della media che per una volta ha semplicemente seguito il flusso dell’ispirazione e non voleva per forza dare chissà quale finale definitivo.
Per quel che mi riguarda: se mi minacciate con una pistola alla testa e i tacchi a spillo sui gioielli, probabilmente vi dico che Pearl è un film tutto sommato di maggiore impatto.
Ma vi dico anche che questo è il mio preferito: fresco, liberatorio, fuori da qualsiasi trend, e capace di regalarci un personaggio che, persino più di Pearl, dovremmo conservare gelosamente.
Non so cosa farebbe Maxine oggi. Dovessi fare un altro film su di lei aspetterei che fosse un po’ più vecchia, per vedere che sta combinando. Ma sai, ho sempre pensato che i temi e i personaggi di questi tre film fossero piuttosto universali, e che indipendentemente dal fatto che le storie siano ambientate negli anni ‘70, o nei primi del ‘900, o negli anni ‘80, fosse comunque facile capire e identificarsi in quello che vuole la protagonista. Quello che succede nei tre film è molto specifico del tempo e del luogo delle storie, ma il personaggio no. Vederla oggi… Non ci ho pensato. Avrebbe a che fare probabilmente con internet, che al momento trovo meno interessante da filmare. Ma non si sa mai: abbiamo visto Maxine a 30 anni, potrebbe essere interessante raggiungerla più avanti e vedere cosa sta combinando a 50…
Voi andate dove volete, io rimango ad abitare qua e aspetto che torni quando vuole.
VHS-quote:
“Smettete di accettare saghe che non vi meritate”
Nanni Cobretti, i400calci.com
P.S.: ho la ferma convinzione che un film sulla Los Angeles zozza degli anni ‘80 non sia veramente a regola se non mette i Ratt in colonna sonora, e qui a un certo punto si sentono anche i Ratt, per cui non ho proprio nulla da recriminare…
Che articolo bomba, capo, complimenti. Mi hai spinto l’hype alle stelle, dopo che era già altissimo: avevo adorato i primi due (più X che Pearl, per i significati che portava). Di questo avevo letto commenti contrastanti, e la tua analisi rimette tutto in una prospettiva interessante.
Fun fact: hai notato (o l’hai fatto apposta) che tutta la prima parte del pezzo funziona benissimo anche se metti “Joker” al posto di “Maxine”? ;)
No, per un motivo semplice: MaXXXine si rifà a un intero immaginario, citando qua e là un sacco di titoli minori senza davvero ricalcarne neanche uno ma raccontando una storia e un personaggio tutto suo; Joker prende due tra i film più noti, “casualmente” diretti da uno dei registi più famosi di sempre, e li rifà uguali appiccicati a Batman tanto per avere un’ulteriore spinta marketing. Comunque grazie!
I testimoni di Geova sarebbero gli Hare Krishna della foto, o non ho capito io?
Sono io che ho pensato una cosa e ne ho scritta un altra, rivelando involontariamente una certa insensibilità religiosa. Correggo.
Anche a me è piaciuto tantissimo (pur ritenendo comunque Pearl superiore), l’unica cosa che forse mi ha stonato un po’ è stato
SPOILERONE
il “colpo di scena” sull’identità del killer, che in fin dei conti è un personaggio tanto importante per Maxine quanto irrilevante ai fini della storia, quindi lo ho trovato abbastanza anticlimatico: potevano dirci fin da subito chi era, così forse sarebbe stato anche più significativo per noi spettatori.
END SPOILERONE
Per il resto ho apprezzato parecchio l’estetica molto definita ma ben lontana dallo stereotipo, almeno da quello dozzinale. E a questo proposito, lo stesso Ti West (ho avuto la fortuna di vedere il film e partecipare ad un Q&A con lui presente a fine visione) ha fatto un discorso molto sensato sul riprodurre un’epoca nel film e girare con la stessa grammatica usata nell’epoca di riferimento: un film sugli anni ’80 andrebbe girato il più possibile come si girava negli anni ’80, con quell’ estetica lì, con quel tipo di effetti speciali lì, con quei movimenti di macchina eccetera. Altrimenti manda in corto il cervello e ti porta automaticamente fuori dalla finzione. Personalmente l’ho trovato un discorso molto intelligente che mi ha chiarito in un attimo cosa non mi funzionava nelle altre mille opere recenti ambientate negli eighties e perché invece questo Maxxxine mi è parso immediatamente più coerente e piacevole.
Da notare che (oltre agli ovvi riferimenti ad Argento e Hitchcock) è decisamente più un giallo che un horror.
Siete sempre dei grandi! Aspettavo questo articolo da un po’.
SPOILER
Ho visto ieri il film e penso sia una bomba, solo una cosa non mi ha convinto: come dici tu Maxxxine è più che “non passiva”, ma controversa, arrogante ecc…
Non trovi però che in questo finale, contrariamente ai finali di X e Pearl, lei “faccia poco”? Nel senso che viene aiutata, si libera e poi, sì, si ritrova faccia a faccia con l’antagonista… mi aspettavo qualcosa di più attivo (un po’ come nella scena di “Buster Keaton”).
Magari è meglio così. Contrariamente sarebbe sembrata una roba un po’ troppo Tarantiniana, ma voglio buttare in mezzo questa riflessione.
È stato anche il mio primo istinto ma penso appunto che si volesse evitare la tarantinata.
Ue, vedi che é uscita pure la nuova opera della famiglia Adams, per la quale aspetto con ansia la vostra rece
Wait, what? Ne hanno fatto un altro???
Hell Hole
Super. Si può partire da qui e recuperare poi il resto?
Non fondamentale ma consigliato vedere prima X. Pearl si può considerare anche a parte.
Sappiate che quando so benissimo che certe domande vengono fatte e di conseguenza mi preoccupo appositamente di includere la risposta nel pezzo dicendo “operazione pensata per essere tranquillamente fruita in ordine sparso e indipendente” e voi però non la leggete, io soffro.
sprizzavo hype da qualsiasi micron del corpo e della sua ombra (anche solo pensando al meta-metacinema ibridato con la parabola di ramirez), ,ma la delusione ha finito con l’avere la meglio. stavolta west ha proprio stracannato e diciamolo pure, ha un bel po’ ha stracciato i marroni con sta manfrina dell’avidità di fama no matter what anche se era inevitabile che ci fosse un A + B = AB tra x e pearl (entrambi, nemmen dirlo, di ben altra dirittura estetica e emotiva). non gli negano alcuni momenti e passaggi che fanno inarcare il sopracciglio e ben sperare, ma son brevi parentesi e come la giri la giri dei tre è il più sgonfio e buttato via (anche mia goth, pur indiscutibilmente brava e bella, riposa sugli allori e non ha neanche la metà della metà del medesimo carisma rilasciato a megatoni in precedenza). pur risolvendosi in una sorta di hardcore misto omicidio a luci rosse misto c’era una volta a hollywood misto helter skelter misto angel killer misto eva contro eva – tutti a galoppante sbrocco (forse anche quel pelo troppo freddamente calcolato) non è sicuramente bello potente emozionante commovente né davvero cattivo come i due precedenti da cui prende le mosse, e anche i contentini splatter stanno in pari con le ultime bambinate di eli roth.
l’incubo e la paranoia dovute alle gesta di richard ramirez sono troppo tenuti sullo sfondo (grande rammarico su come tarantino si sarebbe giocato una carta simile), così per fare tappezzeria contestuale (stessa iniqua sorte la subisce il fenomeno dei nasty video). unico colpo davvero gobbo, l’avanscoperta in discoteca dove viene ridato lustro alla bellissima welcome to the pleasure dome , purtroppo non nella sua interezza: ma è uno di quei casi dove le immagini si appoggiano sulla musica ed è quest’ultima a fare muscolarmente il grosso del lavoro anziché viceversa. anche bette davis eyes usata per corredare i titoli di coda davvero un’apologia dello spreco.
un west in vistoso debito di ispirazione e corposità. vediamo che riserverà in futuro con – verrebbe da dire e sperare – una sterzata tematica non fosse che pare già in essere una quarta tranche.
Il film si regge tanto sul ’80s style e sul carisma della protagonista (attrice con la faccia giustissima…)
Nel complesso, mi è sembrata quasi una operazione caricaturale, sia cinematograficamente parlando, che (in modo più superficiale) sui temi sociali che sottostanno alla trama.
Mi ha un po’ spiazzato (che non è un male) anche se il finale non mi è sembrato totalmente azzeccato.
@Nanni Cobretti + Mia Goth fans: non avevo mai capito cosa ci trovaste di tanto sexy nella Goth, con quelle sopracciglia inesistenti e quel naso da tartufi. Ma a Nanni, come a tutte le persone che sanno davvero scrivere, bastavano due parole: Bette e Davis. Chapeau.
Che schifo chapeau, chi cazzo l’ha introdotto in Italia? La ghigliottina ci vorrebbe.
Beh, se non ti piace il classico “tanto di cappello”, posso suggerirti il più finemente allusivo: “mi scapello in tuo onore”.
Mi raccomando di farne uso cum granu salis, o, come piace dire a me, avec grain de sel du mar.
Mi associo a Marina e Pasquale. Aggiungo un ritmo altalenante, ho sfiorato parecchie volte il tasto FFW del videoregistratore.
Comunque voglio SUBITO uno spin-off sull’impresario Teddy Knight.
Ti dirò.
Dopo due visioni, il mio giudizio è positivo: ma parto dal presupposto che l’opera sia una intenzionale “presa in giro” per lo spettatore, che probabilmente si attende un prodotto serioso (dati i due film precedenti).
Alla fine mi sembra una specie di omaggio assolutamente giocoso a Body Double di De Palma, che nel tempo è stato letto dalla critica come una satira sugli eccessi degli anni 80; qui la satira mi sembra portata ancora oltre, perché oltre ad una resa precisa, ma, proprio per questo, “macchiettistica”, di abiti, musica, location, del glamour di allora, vengono proprio ridicolizzati “tipi di personaggi” e “situazioni”, che negli anni 80 rendevano un film o una serie Tv “cool”. Come a dire “guardate come eravate comici, nel promuovere voi stessi con immagini finte e messaggi di vuoto ottimismo (lo spezzone del discorso in tv di Ronnie Reagan). Non so se fosse davvero questo l’intento dell’autore (peraltro l’opera vive comunque una vita propria nel veicolare idee e fornire spunti di riflessione), comunque suggerisco la visione: ho l’impressione che ci possano essere più livelli di lettura del film, di quanto in apparenza, e comunque l’estetica è notevole (specie per chi ama gli anni 80, ovviamente visti attraverso la lente distorta di MTV).
Ma solo io ho visto un gustoso omaggione a Chinatown?
Seconda visione (volevo mettere a fuoco alcune cosette).
Più gratificante della prima.
Stilisticamente gran lavoro: look’n’feel anni 80 notevole, siamo dalle parti del videoclip/MTC/Miami Vice più che del cinema di quegli anni (non quello di serie A, che era più sofisticato, non quello povero, che invece non aveva questa resa visiva). Sequenze musicali e video mica male (bellissima quella nel club).
Sembrerebbe un atto di amore verso gli 80es, non fosse che, nel contenuto, ho sempre più l’impressione che il film sia proprio impostato come una caricatura dei cliché dell’epoca. Lustrini, capelli cotonati, giacche con gli spallacci, i personaggi che gravitano intorno a Maxxxine ridicolizzati/ridicoli nel loro aderire a (brutti, con la sensibilità di oggi) luoghi comuni in vigore al tempo, situazioni (compresa la terribile sparatoria) che ricalcano fedelmente modelli e “coreografie” che oggi paiono maldestri e superatissimi…non so se l’autore voglia in fondo perculare il pubblico, o prendere in giro il finto spinto di quel mondo patinato e farlocco (citerei ancora gli effetti splatter che sono chiaramente volutamente eccessivi, tanto da indurre imho la reazione opposta di quasi comicità in certi casi). Non so che avesse davvero in testa il regista, ma comunque un film che lascia qualcosa, e non solo per i meriti stilistici…
Visto Maxxxine giovedì scorso alla serata “maratona” con X e Pearl. Ho apprezzato molto poter vederli in rapida succesione
*successione