C’è qualcosa di più estivo dei film di arti marziali old school? I più classici e semplici film di menare anni ’80-’90?
Rispondo io perché non posso aspettare che commentiate, e mi dò una risposta di comodo: no.
Seguiteci, quindi, attraverso questa breve carrellata: il nuovo di Chuck Norris, il nuovo di Van Damme e una clamorosa reunion di vecchie glorie ci aiutano a chiudere i conti più o meno bruscamente con il passato, mentre una nuova (non) giovane speranza lascia una luce accesa in fondo al tunnel…
Dopodiché, come ogni anno, noi andiamo in vacanza per un paio di settimane. La 400 LIVE prosegue come se nulla fosse, ma le recensioni tornano il 19 agosto. A presto!
Pronti via:

The Chuck Norris.
Tutto mi aspettavo dal 2024, tranne di recensire un nuovo film con Chuck Norris. Ha 84 anni! Ottantaquattro!!! E che ruolo fa? Il maestro saggio? L’ex-guerriero in pensione? Il fruttivendolo? No: IL CYBORG. Ve lo giuro. Chuck Norris interpreta un cyborg che per ragioni oscure è stato progettato a forma di Chuck Norris a 84 anni.
Agent Recon è il prodotto della mente effervescente di Derek Ting, attore/sceneggiatore/regista/produttore con pochissimi soldi ma tanta cieca determinazione. Vi basti sapere che Agent Recon è il terzo (il terzo!) capitolo di un franchise che avete tutto il diritto di non conoscere. Derek, che ovviamente si paga i film da solo (non controllo nemmeno), inizia nel 2017 con Agent, storia supereroistica/militaresca tra amici, e prosegue con Agent Revelation in cui ottiene i servigi di nientemeno (…) che Michael Dorn (Worf di Star Trek) a cui fa interpretare “Alastair”, lo scienziato più intelligente del mondo. Scopro tutto questo adesso: ero convinto che il cyborg fosse a forma di Chuck Norris a 84 anni perché Alastair l’aveva creato a sua immagine e somiglianza, e invece Alastair era comparso anche nel film precedente interpretato da un tizio fisicamente piuttosto diverso da Chuck. E vabbè.
Agent Recon, con le sue complesse elucubrazioni morali e intricati scenari fantasiosi sempre unicamente rappresentati a parole, è un film che ti porta istintivamente a pensare alla roba di Neil Breen. Se non altro, dopo aver riflettuto bene, ci si distingue in modo positivo. Innanzitutto Derek Ting è effettivamente giovane, atletico e di bella presenza, più che credibile come protagonista se non fosse che ha il carisma di un extra a cui normalmente chiedono di stare zitto sullo sfondo. Derek sembra generalmente più modesto di Neil Breen, a partire dal fatto che, nonostante sarebbe risultato sicuramente più credibile, non scrive scene di sesso per se stesso e non fa vedere le chiappe. Ha anche qualche spicciolo in più: si tratta di un prodotto confezionato in modo semi-credibile, che trova il suo pregio maggiore nel furbo utilizzo di spettacolari paesaggi naturali della Santa Clarita Valley spesso ripresi dall’alto con un drone. E dev’essere sicuramente anche un bravo ragazzo: non solo ha convinto Chuck Norris a tornare dalla pensione, ma è riuscito a ingaggiare persino il buon Mark Singer e a farlo recitare in modo tutt’altro che svogliato. Ma a parte quello, l’impressione è di vedere una versione ancora più economica – ma per qualche motivo più ambiziosa e pretenziosa – di un Asylum. Amatoriale, estremamente ripetitivo, spesso ridicolo ma mai abbastanza da non annoiare, convinto comunque di doversi chiudere con stimoli tematici (di dubbio interesse) per un ulteriore sequel.
Da parte sua, Chuck ha una lunga e faticosa scena di dialogo per poi diventare, nel pre-finale, la star d’azione occidentale più anziana ad essere utilizzata per una scena di combattimento di arti marziali (ma tenete le pretese atletiche a zero).
DARKNESS OF MAN [IMDb | Trailer]

Jean-Claude Van Damme il suo sguardo da mille tragedie
Abbiamo già avuto modo di parlare della fase finale di carriera di Jean-Claude Van Damme, inaspettata per molti versi. Il suo volto vissuto è diventato di colpo espressivissimo al naturale, mentre le rocambolesche vicende di vita privata lo hanno portato sempre più verso ruoli malinconici e deprimenti in maniera old school, più pessimisti di quanto ci si aspetterebbe dall’effervescente star di Double Impact, ma sempre con un romanticismo old school molto europeo di fondo. Questo film, fin dal titolo programmaticamente pessimista, è un hard boiled bello nero: Jean-Claude interpreta un ex-agente Interpol che, preso dai sensi di colpa per la morte di un’informatrice, accetta di adottarne il figlio teenager come ultima promessa onorevole che dia un senso alla sua cinica vita. Le cose non vanno benissimo, ma vanno persino peggio quando il regazzino entra in un brutto giro.
Produttivamente parlando, Darkness of Man fa poco per distinguersi dall’accozzaglia degli ultimi film depressi di Van Damme, al di là dell’accumulare una serie di comparsate insospettabili: c’è Kristanna Loken di Terminator 3 nei panni di una prostituta dal cuore d’oro; c’è Cynthia Rothrock nei panni di un’infermiera (davvero il primo incontro fra due leggende di arti marziali come lei e Van Damme consiste in “sento ancora un po’ male alla schiena” “allora mi raccomando prenda le pastiglie”?); c’è Shannen Doherty nel suo ultimo ruolo al cinema; c’è il rapper Sticky Fingaz, Spencer Breslin di Faccia a faccia, Zack Ward di Postal e il figlio di Nicolas Cage; c’è, ve lo stragiuro, Eric Roberts che appare tre secondi per ordinare un burrito e poi non farsi più rivedere – una roba che non so se candidare ai prossimi Sylvester come Miglior Comparsata o Miglior Maccosa.
Più va avanti più mostra comunque un certo inaspettato impegno e rispetto del genere, non per forza cose belle ma almeno cose inaspettatamente coerenti, specie le scazzottate in cui Van Damme non fa l’eroe acrobatico ma più il classico picchiatore stanco che le prende e le dà in maniera pesante e compatibile con la sua età, come se Nick Nolte avesse lo sguardo di Alain Delon e l’ormai lontano background atletico di Rudolf Nureyev.
Van Damme ha annunciato di volersi ufficialmente ritirare dal cinema e di farlo idealmente con un ultimo film di arti marziali pieno di vecchie glorie, ma dovesse cambiare idea e chiudere con questo sarebbe tutto sommato dignitoso e meglio di tante delle sue ultime prove.
THE LAST KUMITE [IMDb | Trailer]

Cynthia Rothrock chiarisce le gerarchie
Nato da una potente operazione di crowdfunding, The Last Kumite si propone esattamente come il film di vecchie glorie con cui ti immagini che Van Damme voglia finire la carriera, tranne che Van Damme non c’è. Si presenta con trasparenza come l’operazione nostalgia definitiva per chi è cresciuto con Senza esclusione di colpi e tutti gli eroi della kickboxing degli anni ’90 e c’è tutto per ricreare il film medio dell’epoca, a partire da un cast che include Kurt McKinney (Kickboxers – Vendetta personale), Billy Blanks (King of Kickboxers), Cynthia Rothrock (spero di non dovervela presentare), Matthias Hues (Arma non convenzionale), Mohammed “Michel” Qissi (Tong Po di Kickboxer) e suo fratello Abdel (Lionheart, La prova), e David Yeung (figlio del mitico Bolo di Senza esclusione di colpi). Ci sono persino le musiche di Paul Hertzog e Stan Bush, i responsabili di Fight to Survive. E per i più govani, un piccolo ruolo per lo youtuber Viking Samurai. Insomma, la situazione è chiarissima e non ha senso che io inizi a lamentarmi di questo come normalmente farei. Però… Uff… A un certo punto questa cosa un limite ce l’ha e due domande me le faccio lo stesso. Mi spiego: Michael Keaton che rifà Batman a 71 anni è tristissimo, ma sostanzialmente si tratta di coprirlo con un costumone ingombrante, far risplendere il suo carisma ancora intatto e lasciar fare il resto alla apposita controfigura. Ma è qui che certi atleti hanno il loro limite: guardereste, che ne so, Carl Lewis esibirsi nel salto in lungo oggi? Uno come Van Damme ha scoperto una nuova inaspettata sensibilità e tutto sommato gli si vuole bene anche se non fa più l’epic split, ma uno ad esempio come Kurt McKinney, 62 anni e un background non esattamente leggendario a parte il suo film più famoso, cos’ha esattamente ancora da dare? L’atmosfera generale è resa ancora peggiore da: 1) una trama che riesce a copiare quella di Senza esclusione di colpi ma cambiandola quel tanto che basta per avere ancora meno senso, e 2) il protagonista, Mathis Landwehr, è di una dimenticabilità pazzesca. Tutta la prima parte è stirata a livelli inverosimili, ma quando si arriva finalmente al torneo viene fuori finalmente non dico della qualità, ma almeno del genuino entusiasmo e un po’ di cuore. Probabilmente vi state chiedendo “Nanni, ma perché l’hai guardato?” e la risposta è che alla regia non c’era un pirla qualunque ma Ross W. Clarkson, direttore della fotografia dei film di Scott Adkins del periodo d’oro (Undisputed 2 e 3, Ninja 1 e 2): speravo che lo street cred avesse il suo peso, ma alla resa dei conti si dimostra in effetti soltanto poco più di un pirla qualunque. Ad ogni modo, il mio personaggio preferito è il tizio che, pur essendo stato rapito, non leva mai la maschera da wrestler messicano.
LIFE AFTER FIGHTING [IMDb | Trailer]

Il nostro nuovo amico Bren Foster
Qui arriviamo alle note positive e vi presento Bren Foster, un tizio dal curriculum incredibile ma dalla carriera inspiegabile. Campione australiano di tae kwon do, una vita passata a esibirsi e specializzarsi in trick acrobatici senza senso (una volta l’hanno chiamato a dare dimostrazioni direttamente al National Geographic), fotogenico (pare Mel Gibson sotto steroidi) e carismatico il giusto, ha una filmografia che per qualche motivo misterioso lo ha visto impegnato soprattutto in soap operas e ruoli non action. Roba da non credere. Potreste averlo visto al massimo in seconda/terza fila in due cosacce dello Steven Seagal tarda fase, o in Blu profondo 3 se siete maniaci di DTV improbabili, o nei panni di Mad Max nel videogioco di Mad Max. L’aneddoto ridicolo, raccontato in un’intervista per The Art of Action di Scott Adkins, è che lo pigliano per la serie tv militarista post-apocalittica The Last Ship sulla pura base delle sue prestazioni attoriali, finché il produttore non gli chiede se per caso sa anche combattere e Bren pensa stia scherzando. Dopo aver rivelato il suo curriculum integrale, guadagnandosi diverse scene di menare prontamente inserite in sceneggiatura, Bren pensa che sia il caso di autoprodursi uno showcase come si deve, e si scrive e paga da solo questo Life After Fighting girato quasi interamente nella sua palestra di proprietà. Ora: come tanti progetti autoindulgenti è tendenzialmente prolisso e infila qualche personaggio di troppo privilegiando aspetti a cui non sa rinunciare a un film che fili via liscio. Ad esempio, Bren ci tiene a svuotare la vita da palestra di tanto inutile machismo per dipingere piuttosto l’amicizia, il rispetto, la bella atmosfera per i più giovani, la competizione agonistica sana. Su quest’ultima, in una sottotrama che coinvolge un campione rivale, Bren mette in scena quella che tra premessa, dialoghi, atmosfera, musica e se vogliamo essere impertinenti pure coreografie jiu-jitsu è la scena di arti marziali più simile a una scena di sesso che io abbia mai visto in vita mia. Come plot principale Bren casca sull’idea del traffico di minori ma, sebbene con fatica, glielo si può perdonare nel momento in cui chiaramente gli intenti non sono politici e si tratta soltanto di un modo ingenuo per non accontentarsi di semplici bulli ma affrontare cattivi cattivissimi che lui possa ammazzare male senza contraddire il suo messaggio di valori positivi. Quando si arriva alle botte, lo showcase è effettivamente impressionante e lo è da ogni punto di vista: tecnico, acrobatico, agonistico, coreografico. Il finale è una lunga serie di combattimenti in palestra (dove con un escamotage di sceneggiatura ha attirato i trafficanti), ma nonostante la location unica riesce miracolosamente a non essere ripetitivo per quantità e qualità di soluzioni messe in mostra tra agilità, aggressività e potenza. Leggerete in giro dichiarazioni tipo “il nuovo Scott Adkins!”, il cui entusiasmo è effettivamente giustificato, ma ecco la notizia tragicomica: Bren e Scott sono coetanei. Speriamo comunque che possa recuperare il più possibile il tempo perduto.
Fine della carrellata, ciao!
basta Chuck, ti prego
ti vogliamo bene, ma basta
Io non gli voglio bene, ma basta lo stesso!
Ahahah, non ho ancora finito la rece, ma come esimersi dal commentare?
Interessante come il termine “anziano” abbia fatto il giro e sia diventato la versione offensiva di “vecchio”; ma si appresti ad assumere una nuova connotazione post-ironica, oserei dire: anziana.
Il tutto, come sempre, grazie a Chuck!
Ma Bren Foster si chiama Bren perché i genitori erano fanatici di armi vintage della seconda guerra mondiale o è un nome d’arte evocativo che si è scelto lui in quanto fanatico di armi vintage della seconda guerra mondiale?
Sarò in minoranza, ma il Van Damme crepuscolare di questa fase finale di carriera lo apprezzo molto
Ho visto solo jcvd, consigli di recuperare altri di successivo nonostante che mi stia alquanto su come persona quel film mi piacque abbastanza.
@killing tranquillo fra, non sei l’unico
Chuck mi pare giusto resti in pensione, piuttosto, perché non fanno qualcosa su sua madre, che a 103 anni è ancora tra noi?
Ma che è, il sig. Burns?
>>> guardereste, che ne so, Carl Lewis esibirsi nel salto in lungo oggi?
in realtà, se fatto in modo appropriato – es, in un contesto gore/distopico alla Running Man – penso potremmo farci una valanga di soldi… “Guarda atleti celebri ma ora ultra-ottantenni fare quello per cui sono famosi e sfracellarsi male”
(ok, magari ci serve un titolo più catchy, tipo “Brittle Stars – a clash of (old) bones”)
Ad ogni puntata ci mettiamo anche la storia di redenzione: vecchio combattente, oramai rincoglionito e semi-dimenticato, risorge dalla depressione tramite training montage e spacca la faccia ad anonimo (ma giovane!) figurante in combattimento finale.
lacrime, sudore, Alzheimer e foto di anziani ripped (tipo quella di JK Simmons che lifta duro).
(accetto investitori)
@Landis Buzzanca
” vecchio combattente, oramai rincoglionito e semi-dimenticato, risorge dalla depressione tramite training montage e spacca la faccia ad anonimo (ma giovane!) figurante in combattimento finale. ”
Carina l’idea, ma te l’hanno già rubata. La vedrai realizzata il 15 Novembre su Netflix :)
ok, tempo di fare evadere il mio avvocato da quel campo di prigionia della Guyana francese…