Un film apparentemente innocuo, incentrato intorno all’immagine dei sorrisi inquietanti, fa un casino di soldi al box office e diventa un inaspettato fenomeno. Per il sequel, lo stesso autore decide comunque di non farsi influenzare, ribaltare tutto, e aggiungere canzoni. Dove l’ho già sentita? (SIGLA!)
No, non scappate, Smile 2 non è un musical, ma il personaggio protagonista è una famosa cantante pop (che NON È interpretata dalla figlia di Shyamalan, ve lo prometto).
E no, non è nemmeno un film dove l’autore decide di contraddirsi e inimicarsi i fans dando loro fastidio apposta.
È semplicemente il film di qualcuno che – succede molto raramente – si è guardato indietro, ha detto “ammazza la monnezza che ho fatto”, e si è messo con calma a riprogettare tutto da capo, cercando stavolta di sfruttare il concept come si deve.
Più che allo sfortunato (mettiamola così…) sequel di Joker, questo inaspettato sviluppo della saga di Smile mi ha ricordato a suo modo Winnie the Pooh – Blood and Honey: il primo film era brutto forte, pigro, meccanico, disconnesso, frettoloso, sbagliato, ma aveva comunque incassato una cifra fuori dalle previsioni; per il secondo, invece che dire “ha funzionato, non tocchiamo niente”, hanno avuto il coraggio, l’onestà e orgoglio di riguardare la situazione con calma, rendersi conto dei punti deboli, ripensare e aggiustare quasi tutto. Entrambe le saghe, di fatto, gestiscono il sequel come un nuovo inizio che tratta il primo capitolo come se fosse una specie di bozza provvisoria. Questo di solito succede quando un film non funziona, non quando è un successo oltre le previsioni.
Smile 2 parte subito facendo la voce grossa: un lungo piano sequenza, stavolta ottimamente gestito, che inizia sei giorni dopo la fine del primo film per unire i puntini tra i vecchi e i nuovi personaggi. Apro una parentesi: (vi ricordate quel paio d’anni in cui bastava che qualcuno facesse un piano sequenza, uno qualsiasi, e veniva considerato un genio funambolico dell’arte del cinema? Ci avevamo fatto una rubrica apposta per aiutarvi a ridimensionare un attimo la questione, e infatti è successo che oggi li fanno cani e porci e non se ne accorge più nessuno. Scommetto che ce ne sono stati svariati migliori di quello famoso di True Detective, ma non ho controllato. Chiudo la parentesi: ).
Comunque: l’idea di Parker Finn, regista/sceneggiatore, è mollare subito la trita e noiosa struttura j-horror classica fondata sull’indagine di un personaggio positivo ingenuo, cosa che aveva riempito il primo film di un 80% di momenti blandi, meccanici e mortificanti. Al suo posto, una cosa molto più ovvia e intensa: la metafora della salute psichica ballerina, e dei sorrisoni forzati, portata alle sue più ovvie conseguenze e applicata alla vicenda di una popstar problematica che non riesce a bilanciare vita e lavoro, tra Perfect Blue e Black Swan passando per la vicenda di Liam Payne, di inquietante attualità.
Non c’è nessun ret-con: la cosa più furba che aveva fatto il primo film era spiegare timidamente solo il minimo indispensabile e lasciare il campo aperto a qualsiasi idea migliore successiva.
Il secondo film mette in campo un personaggio con un passato bello denso: Skye Riley, una pop star di fama internazionale reduce da problemi di abusi di sostanze varie, e da un anno di riabilitazioni dopo essere stata coinvolta in un incidente stradale in cui ha perso la vita il suo moroso, il famoso attore Paul Hudson (ogni richiamo a Pablo è grossolanamente voluto, immagino, con le dovute differenze). Skye ha il peso di: un trauma da superare; dover tornare a macinare soldi per sorreggere la mini-industria che le si era creata dietro; doversi riprogrammare possibilmente una vita più sana ed equilibrata; una serie di sensi di colpa di varia natura per il suo comportamento passato; le conseguenze puramente fisiche del suo grave infortunio, non ancora del tutto superate all’insaputa del suo staff e della madre-manager.
Ciliegina sulla torta, Skye viene colpita dalla maledizione della sfiga abominevole che sta al centro del franchise, in circostanze tra l’altro di cui non le conviene raccontare in giro.
Et voilà: non spaventatevi, capisco che la direzione sembri quella di diventare improvvisamente un grande metaforone con un po’ di horror intorno ma no, Smile 2 non si è trasformato in un film della A24. Mantiene ancora tutto il suo armamentario iconografico senza vergognarsi, inclusa la sua collezione di jump scares, ma semplicemente gestisce tutto in modo più organico sforzandosi di fare quello che tutti i film migliori dovrebbero fare: costruire una storia capace di catturare l’attenzione anche senza la svolta horror, e applicarci sopra quest’ultima per far precipitare le cose e amplificare la suspense.
Il merito però, va detto, più che a uno script che occasionalmente inciampa ancora in passaggi un po’ troppo meccanici, va in gran parte all’intensissima Naomi Scott. Un buon 70% del film è sulle sue spalle, ed è suo il compito non banale di inscenare un personaggio che susciti comprensione ed empatia, ma non per forza da sostenere/assolvere fino in fondo.
E il resto è di Parker Finn che, in entrambi i suoi ruoli di sceneggiatore e regista, dimostra ispirazione e idee molto più chiare. Se il primo film era mostruosamente generico e si reggeva interamente sulle visioni allucinate che richiamavano l’immaginario creepypasta, questo può contare su una base molto più solida e ha meno bisogno di strafare, integrandosi meglio senza smorzare l’impatto bello tosto dei momenti allucinati.
Non ho idea di quali piani ci siano per il franchise, ma in fondo non sarebbe male renderlo sottilmente antologico, con ogni storia incentrata su personaggi dal background diverso e le allucinazioni che si adattano al nuovo tono. Ad esempio: Parker Finn ha annunciato qualche settimana fa un remake di Possession con Robert Pattinson – una sparata senza il minimo senso, se chiedevate a me. Oggi alla luce di Smile 2 suona un pochino meglio, ma mi pare comunque ancora parecchio azzardata. Però ho la soluzione: dai retta a me Parker, fallo pure il film, racconta pure di una coppia in crisi con la moglie che strippa per motivi ignoti/sovrannaturali e va in overacting a livelli ultragalattici se ci tieni, ma cambia il titolo e chiamalo Smile 3. Bastano due ritocchini, e nessuno si fa male. Come la vedi?
Streaming-quote:
“Il tuo sorriso è come il sole. Giallo.”
Tuono Pettinato, Corso di fumetti dozzinali
“”in circostanze tra l’altro di cui non le conviene non raccontare in giro.””
Mi consenta, Magister:
<> , dico…che magaro è italiano più correggiuto.
Scusi.Grazie.
Sorrisone per la cita in calce a Tuono <3 <3 <3
La frase corretta tra gli incisi era: ” in circostanze, tra l’altro, che non le conviene raccontare in giro”
Me l’ha cancellato nel caricarlo
:)
1) “gestiscono il sequel come un nuovo inizio che tratta il primo capitolo come se fosse una specie di bozza provvisoria. Questo di solito succede quando un film non funziona, non quando è un successo oltre le previsioni.”
Mi viene da dire che possa dipendere sì da un certo coraggio ma soprattutto da un budget più ampio (tipo Evil Dead 2), sbaglio?
2) Ma per caso hanno buttato dentro Smile di Chaplin/Cole?
3) Perfect Blue capolavoro, visto al cinema quest’anno durante l’evento speciale. Purtroppo, qui è assente a conferma forse di una certa diffidenza verso l’animazione calcistica però io continuo la mia garbata battaglia contro i mulini a vento (avete coperto Slam Dunk, per carità giustissimo, ma era un’eccezione meritevole. Questo è super calciabile!) (Scusate ora la smetto, non voglio fare l’Uomo Fumetto dei Simpson che accampa pretese sull’intrattenimento gratuito).
1- No, quei casi alla Evil Dead 2 o Desperado ne approfittano per dire la stessa cosa ma molto meglio, qua tengono le pochissime regole che si erano già dati ma cambiano proprio approccio.
2- Non me lo ricordo
3- Slam Dunk è dell’anno scorso, Perfect Blue è del ’97…
Magari è Strange Darling?
@Nanni, un altro esempio può essere Venerdì 13, il primo film era incentrato sulla madre e l’apparizione di Jason nel finale doveva essere quasi una chiosa, nessuno si aspettava la maschera da hockey e tutto quello che sarebbero stati i film successivi
No, hanno solo fatto evolvere il villain ma è sempre lo stesso film.
Vabbè, ma “Perfect Blue” si può coprire con una bella retrospettiva su Satoshi Kon, la cui limitata filmografia, per quello che ho visto, è abbastanza calciabile.
C’è da dire che l’uso di fare un sequel più sviluppato usando il primo film come semplice bozza ha una lunga tradizione nell’horror. Succede proprio quando fai un successo inaspettato con pochi soldi e te ne danno tanti per fare un sequel come si deve, l’esempio più famoso è Sam Raimi con Evil Dead
P.S.: visto adesso, Gigos mi ha preceduto
Io avevo apprezzato il primo film, ad esclusione del finale, abbastanza raffazzonato, ma il senso di inquietudine che permeava i 3/4 di Smile e il tema simbolico dei traumi psichici che si auto-replicano mi aveva convinto.
Vediamo se questo secondo episodio non manda tutto in vacca.
L’unico errore del primo film fu di non usare Caitlin Stasey come protagonista invece di farla morire all’inizio come una Drew Barrymore qualunque.
(Era protagonista del corto, ok, ma la Stasey non basta mai).
in compenso in questo c’è direttamente Drew Barrymore…
Ho visto il primo -e non sono ironico giuro- non mi ricordo neanche cosa c@##o si ridano questi, cioé, non ricordo “il sorriso” cosa c’entri. Non ricordo come moriseero i personaggi e perché. Lo avevo affittato proprio perché la vostra prima recensione qualcosa di buono ci trovava (no oer farvi le pulci eh, magari ne diceva malissimo e neanche l’avevo letta bene…), e dire che fosse dimenticabile é fargli un complimento.
Bel film, tra un c.a.z.z.o. e un v..a.f.f.a.n.c.u.l.o e un f.o.t.t.i.t.i, sono anche riusciti a inserire 4 linee di dialogo…
Ma sai raga che quasi quasi preferisco il primo?
“Non ha bisogno di strafare”…..inserire la scena in clinica, quella in macchina che SIVABEH e la ridicola voce demoniaca (che non ricordo se c’era nel primo). Praticamente tutto quello che viene dopo l’ultima scena in appartamento (fantastica) trasuda tryhard da tutti i pori. E forse la cgi del mostro è più evidente con tutta quella luce.
È vero, è The ring ma senza cazzi di spiegare la mitologia del demone. A me, passando sopra alle furbate giustamente sottolineate da Nanni, è piaciuto e neanche poco, notevole la scena con i fan nell’appartamento.