– Siamo nella classica situazione della legge di Murphy!
Pausa.
– Lo sapete, no, qual è la legge di Murphy?
Pausa.
Pausa.
– Dovreste essere abbastanza vecchi da conoscere la legge di Murphy!
Pausa.
Pausa.
Pausa.
– La legge di Murphy è la seguente…
Pausa.
– Se qualcosa può andar male… … … lo farà.*
I due sceneggiatori si guardano: “bon, quattro minuti sono coperti, quanti ne mancano per raggiungere la durata lungometraggio?”
SIGLA:
Armor è un film a basso costo. Molto basso.
È uno dei famigerati prodotti di Randall Emmett, che è un personaggio di cui avrei voluto parlarvi da una vita e ne approfitto per sintetizzarvela adesso: avete presente tutti quei film che sembrano poverate assolute dalla trama iper-generica ed escono direttamente in homevideo praticamente a sorpresa, ma vantano nel cast nomi insospettabilmente grossi? Pensate all’ultima fase di carriera del povero Bruce Willis, o gli ultimi film di Mel Gibson che non avete manco sentito nominare, certe impresentabili cazzate con John Travolta o addirittura con John Malkovich e Robert De Niro. Tutti titoli in cui le star sembrano poco convinte già dal poster: se poi li andate a vedere, spesso scoprite che in realtà compaiono per pochi minuti, o se ci sono per un ammontare decoroso di screen time hanno puntualmente la fazza del ricattato in confusione, costretti a recitare un copione come un ostaggio che legge le deliranti richieste di un criminale.
Randall Emmett – a parte il raro occasionale colpo di sgurz per il quale si è ritrovato a dare man forte a qualche buon film, e addirittura a Scorsese per Silence e The Irishman – ci ha fatto una carriera su quel tipo di roba, ed è a lui che si rivolgono le star in debito: l’offerta consiste nell’impegnarsi per un giorno o due al massimo, in cambio di una quantità sproporzionata di contanti. È un purgatorio in cui fai una roba matematicamente inguardabile, ma vieni pagato bene e mantieni lo status di “star”. E poi non ti chiedono manco di promuoverlo, quindi magari un giorno ti rialzi, arriva una roba tipo Creed, e puoi sostanzialmente far finta di nulla che queste cose le sanno solo i completisti pazzi come noi e quelli che passano il giorno a fare doom scrolling su Amazon Prime. Ho sempre sperato che Sly riuscisse a finire la carriera senza dovercisi affidare, ma in realtà questa non è manco la prima volta: era già successo – potete indovinarlo da soli – con Backtrace e con i due sequel di Escape Plan.
Armor è un esempio spettacolare del prodotto medio di Randall Emmett.
Avete visto il trailer?
Mostra una sola location, che dipinge la premessa di una banda di malviventi che vuole rapinare un furgone blindato bloccandolo su un ponte, e poi sostanzialmente solo due scene: il furgone che viene arribaltato da una splosione, e il furgone che viene buttato nel fiume.
E qui la legge di Murphy entra in azione: ci sono in effetti, sostanzialmente, soltanto quelle due scene.
Il resto sono chiacchiere: occasionalmente qualche proiettile che vola, un paio di cazzotti.
In pratica assistiamo a Sylvester Stallone che viene coinvolto in un contratto losco, organizzato male, pieno di falle maldestre, in compagnia di dilettanti allo sbaraglio che si sentono stocazzo, e finisce per guida il tutto visibilmente controvoglia nella speranza che la sua esperienza sia sufficiente a portarla a casa e fare un mucchio di soldi facili. E per coincidenza, questa è anche la trama del film.
La sceneggiatura, più che brutta, è estremamente disperata: un esercizio nel portare a casa in pochissimo tempo un “action” pieno zeppo di incredibili limiti finanziari/logistici.
A qualcuno è venuta l’idea stronza di incentrare un film interamente su un assedio su un ponte: tocca rimpolparla al massimo dell’economia.
Ad esempio, tocca perdere la prima mezzora sul rapporto tra i due tizi che guidano il blindato: padre (Jason Patric) e figlio (Josh Wiggins), legati da un trauma che a un certo punto si prenderà un quarto d’ora di flashback là dove ad altri film basterebbero circa otto secondi.
E poi tocca sorvolare violentemente su tutto ciò che complicherebbe la situazione e non si ha tempo di risolvere:
- il piano consiste nello speronare il blindato alla bersagliera finché non sembrano finire sul ponte quasi per caso;
- nessuno chiama i rinforzi;
- nessuno, e ripeto NESSUNO passa per quel ponte per ORE, anche solo attirato da spari/splosioni (o il blindato in ritardo di consegna);
- i cattivi sono preparati solo a metà per una sparatoria, nel senso che sono armatissimi e indossano giumbotti antiproiettile ma nessun elmetto, e due vengono seccati subito perché serve a movimentare i procedimenti;
- la tristezza di vedere Rambo in persona che, dopo decenni passati a farci credere di saper seccare interi eserciti da solo, non riesce a far fuori Jason Patric e suo figlio manco in sei contro due, ve la lascio tutta quanta.
Questo è uno scenario che in un qualsiasi altro film di Sly sarebbe stato risolto in un minuto e mezzo con un assalto dritto e senza fronzoli. Non c’è verso che Sly abbia trovato questo progetto anche solo vagamente interessante. Il fatto che interpretasse un villain – per appena la terza volta in carriera dopo Anno 2000 – La corsa della morte (1975) e Spy Kids 3 (2003) – era puro specchietto per le allodole. Il suo personaggio è un criminale generico, descritto su un post-it e senza alcuna caratterizzazione particolare, al cui confronto Tulsa King sembra la nuova stagione dei Sopranos.
“Nanni ma non ci spieghi sempre che non esistono i buchi di sceneggiatura ma esistono solo–” sì Fabrizio, è sempre la stessa faccenda, il problema non sono i buchi in sé ma che bisogna saperli coprire. Il cinema è un gioco di prestigio, come raccontò una volta Christopher Nolan con uno spiegone di due ore e 10 (per coincidenza il suo film migliore).
E il punto è che questo film aveva zero speranze di coprirli.
Non c’erano proprio i soldi e, in generale, le condizioni.
Non succede niente per cui, quando non è direttamente una messa in scena goffa a puntare il dito sui problemi, hai comunque tutto il tempo per far vagare la mente a pensare a queste cose.
Non succede niente! Non esiste che una gang del genere dia il tempo a Jason e figlio di barricarsi nel blindato, e una volta che lo fanno è tutto un “uff, uscite dai, pretty please” “no non mi fido!” e, dopo un paio di tentativi veramente tiepidi per sfondare, il piano diventa “aspettiamo che rimangano senz’aria” mentre sia loro che soprattutto gli spettatori si rigirano i pollici.
Le cose più costose di questo film credo che siano, in ordine decrescente:
- lo stipendio di Sly;
- l’acquisto di un furgone blindato del ‘98 che poi va esploso e buttato in fiume;
- lo stipendio di Jason Patric;
- gli effetti digitali con le bollicine per quando Jason Patric è sommerso in acqua, perché costavano meno che convincere Jason Patric a sommergersi in acqua;
- lo stipendio di Dash Mihok.
“Ma Nanni ma ci sono un sacco di film costati persino meno che però hanno rimediato con talento e creatività e–” tempo, Fabrizio, il più delle volte hanno soprattutto TEMPO. Se non di girare, quanto meno di progettare.
Questo invece non è il tipo di roba che ha tempo di dire “questa scena è un mortorio di luoghi comuni, mettiamoci lì con calma e scriviamo dei dialoghi/personaggi più interessanti”. Questo è il più classico dei progetti che inizia e finisce ogni sforzo con il grosso nome che è riuscito a ricattare per un paio di giorni, e per il resto ha l’unica ambizione di andare giù senza disturbare nessuno come un bicchiere d’acqua liscia, risultando indigesto solo a chi a un film chiede un minimo sindacale di gusto, fossero anche solo le bollicine. L’unica cosa che fa bene è fermarsi a un’ora e 28.
Sul cast c’è poco da dire.
Sly è abbastanza depresso. Va di puro mestiere naturale, ma è visibilmente combattuto: riscrivere la sua parte, come fa normalmente in tutti i film a cui partecipa, o tapparsi il naso, rischiare la dignità e farla così com’è pur di tornare a casa il prima possibile? Qui sembra scegliere la seconda opzione. Non gli interessa.
Jason Patric di Ragazzi perduti e Speed 2 è il vero protagonista del film, quello che deve reggerlo dirigendosi platealmente da solo mentre il regista Justin Routt (prima regia dopo 13 anni, terza in totale, niente in mezzo) lo guarda come René Ferretti guarda Sergio Brio in Boris.
Dash Mihok – sì, prima ho sorvolato ma ora vi spiego chi è, non è nessuno, ha avuto un ruolo minore in Romeo + Juliet 30 anni fa e poi ha fatto 82 episodi di Ray Donovan, ma aveva il nome gigante nel trailer manco fosse Dolph Lundgren – è l’unico che trova la spinta morale di fare ogni tanto qualche faccetta e gli occhi da pazzo.
Statene alla larga.
Imparate a riconoscere il nome di Randall Emmett, e state alla larga da tutto quello che tocca (a meno che non sia diretto da Scorsese).
Streaming-quote:
“Comunque ho preferito dare una possibilità a questo piuttosto che a Red One”
Nanni Cobretti, i400calci.com
* questo dialogo è davvero nel film, pausa per pausa.
Dash Mihok è un Grandissimo.
“…minutaggio! minutaggio!!! MINUTHAGGIOHHH!!!” (cit.)
Spinto dalla curiosità su quale delle uniche due opzioni possibili fosse Dash Mihok (il Montecchi grossone e buonone o il Capuleti insopportabile che viene preso a borsettate al primo scontro a fuoco) ho googlato e a parte avere la conferma del dilemma, il primo articolo che ho trovato è stato “Dash Mihok On How Tourette’s Syndrome Shaped His Career”, incredibilmente fra le due cose che gli vengono attribuite nel titolo la più improbabile non è la Tourette.
Leggo Sgurz, vado a controllare di avere ancora la videocassetta di Kamikazen.
Pausa
Sospiro di sollievo
Che tesoro
Lo rivedo ogni anno
Niente male Ray Donovan, l’ho seguita tutta ed è raro. Comunque mi sono segnato Emmett, grazie Nanni del tuo sacrificio per noi, ti si vuole tanto bene anche per questo
Mi associo ai ringraziamenti doverosi a Nanni per il suo sacrificio! Mi sa che è anche peggio di Backtrace…
Al vostro servizio
Ma anche il socio di Emmett, ovvero Furla, è nome da tenere bene a mente… Stesso identico modus operandi…
Mi chiedevo se avreste mai parlato di Randall Emmet.
Era da un po’ di anni che notavo un certo pattern “estetico” in tanti filmetti insulsi, e immaginavo ci dovessero essere dietro le stesse persone.
Poi ebbi conferma: si segnala che Il Post vi ha preceduto e ha fatto un articolo esaustivo su Emmett prima di voi.
Un po’ buffo, credevo che i primi ad operare un approfondimento sarebbero stati i Calci.
Su “Red One” siamo tutti prevenuti, forse 😇
Me lo ricordo il pezzo sul Post e ricordo che fu un sospiro di sollievo vedere che per una volta erano arrivati puntuali…
In tutto ciò però non ho ancora capito come questo Randall Emmett riesca a guadagnarci qualcosa da ‘sta roba
Da quello che ho capito, sono i classici film che fanno abbastanza soldi con il noleggio negli alberghi e motel degli States, o anche in mercati come l’Europa dell’Est o il Sudest asiatico. Poi costano noccioline, perché nome famoso a parte, utile da schiaffare sulla locandina e generare tale indotto, sono realizzati più che al risparmio. Essenzialmente loro non producono e vendono un film, ma un poster con faccia e nome di star del passato.
Vanno forte in streaming e gli vengono acquistati dalle piattaforme. Perché la gente preferisce vedere un film brutto con qualcuno che conosce che uno bello con nessuno che conosce.
Poi ci sono quelli come me che i film di Sly li vedono e prendono tutti anche le cagate come Backtrace, ma ci sono dietro motivi religiosi :-), per fortuna sono casi rari…
Purtroppo Randall Emmett sa che esistiamo…
ma a quale pubblico sono rivolti questi film? solo alla rivendita dei diritti per buttarli dentro cestoni di streaming?
Yep, quello.
se interessa, c’è un episodio di RLM che analizza la “Bruce Willis movie factory” e si parla un po’ anche delle dinamiche
https://m.youtube.com/watch?v=cd1eNS9HtXo
@Landis: messo in lista
So che è un prodotto televisivo e qui si parla di cinema, ma mi piacerebbe leggere il pensiero del signor Nanni e del resto dei 400 su Tulsa King
Grazie per la domanda. A me è piaciuto molto per 3/4 episodi, poi si sgonfia e procede di pura inerzia. La seconda stagione non l’ho ancora iniziata.
Prima stagione molto buona. Per me non si sgonfia affatto.
Si sgonfia invece la seconda, nonostante un Frank Grillo assai figlio di puttana.
Tulsa King è bello, niente a che vedere con questa cagata…
Si sgonfia, ma resta ampiamente nei limiti della dignità. E Stallone resta Stallone.
Completamente d’accordo con VandalSavage. Bello per un pò, poi si sgonfia ma sempre dignitoso. Stallone si vede che si diverte un mondo, e c’è una bella galleria di comprimari.
Io mi devo ancora vedere Tulsa King stagione 2. La prima stagione mi è piacuta molto. Sly ci stava dentro tantissimo. Taylor Sheridan ha fatto un bel lavoro.
Nella rece mi hai fatto venire in mente la Asylum: film di merda, imitazioni, costati un euro. E non ha mai perso un soldo. Si dovrebbe analizzare bene il fenomeno. Come fare merda e guadagnarci sempre?
Applicando il Metodo Corman senza avere manco un decimo del talento e della cazzimma del compianto Roger
La Asylum in confronto a Randall Emmet è la A24. E dico come caratura creativa, che di soldi ne hanno pure meno. Per il resto comunque il trucco è semplice: vendi i film prima di farli e li giri a meno di quanto li hai venduti.
Ho recuperato per caso la vostra recensione su triple Frontier di chandor è direi che sembra tutto su un altro piano rispetto a questo action dell’ uwe Boll dei produttori 😅 mi sa che recupero quello e salto questo.
Quello che non capisco di questi film è perchè semplicemente non inquadrino Stallone per due ore di fila alla scrivania mentre scrive a casa sua, nella sua villa, invece di inventarsi una trama moscia di un action senza senso… Soffrirò anche con questo film come ho fatto con Backtrace, ma mi tocca come è toccato a Nanni. Sly è sacro anche quando pecca e ci tradisce come in questi casi… Maledetto Randall Emmett!
Peccato. Peccato che Sly non abbia optato per “lasciare un bel ricordo” (la rinascita ripartita da Rocky Balboa) e sia finito di nuovo nel periodo D-Tox…