OH! Ho una bella notizia!
Cosa? È da grezzoni iniziare un articolo giornalistico con “OH”?
Vabbè volevo chiamarvi, farvi girare, madonna che precisini, abbiate pazienza, non vi conosco tutti per nome…
Ci siete? State leggendo?
La buona notizia è: c’è il nuovo di Scott Adkins disponibile in Italia. Ed è uno di quelli belli!
SIGLA:
Ebbene sì, il titolo “Take Cover” mi ricorda un singolo dei Mr. Big del ‘96, ovvero ben cinque anni dopo che non solo loro, ma l’intero sottogenere in cui militavano in terza fascia, ebbe l’ultimo sussulto di rilevanza. Questo è il mio background.
Ma vi stronco subito l’entusiasmo: purtroppo il mio pezzo di oggi non è sui Mr. Big.
È su Scott Adkins!
Scott Adkins, la grande speranza del cinema di arti marziali la cui carriera si può riassumere con “l’uomo giusto al momento sbagliato”.
Scott sembra aver finalmente trovato un posto a Hollywood: non è manco lontanamente quello che merita perché Hollywood non apre più la porta a chi nasce come artista marziale prima che come attore, ma travestirsi da ciccione in John Wick 4 è effettivamente un gradino sopra il farsi menare dal Dr. Strange. Almeno è un vero film di menare.
In patria, in compenso, oggi Scott ha sufficiente potere contrattuale da dedicarsi a progetti piccoli ma in cui ha spazio adeguato per divertirsi. Costretto a battersi con avversari temibili ma soprattutto budget scarsi, ultimamente se n’è uscito con idee che vanno dal furbo (Avengement) all’anarchico (Accident Man – Hitman’s Holiday) al pazzo idealista (i due One Shot): questa di Take Cover, ad esempio, fa parte delle idee furbe.
La trama di Take Cover è la seguente: un cecchino e il suo socio vengono intrappolati in una stanza in cima a un grattacielo in vetro, dove quasi completamente privi di protezione verranno presi di mira da un altro cecchino.
Rileggetela: sostanzialmente, se consideriamo che una parete in vetro è un perfetto sostituto della proverbiale quarta parete, è un action che si potrebbe fare a teatro.
SIGLA:
Ops, scusate, l’avevo già messa, ma ci stava talmente bene dopo quel paragrafo che mi sono confuso.
Pensateci: c’è una metafora spettacolare dietro a una trama del genere. Mi sorprendo che la stessa idea non sia venuta a qualcuno come Soderbergh o a Shyamalan.
Immaginatevela a teatro: tu stai guardando una stanza, no? E gli attori in scena devono difendersi da un pericolo che viene praticamente dalla platea! Tu spettatore (forse il discorso non rende se non faccio anche gesti solenni mentre spiego) sei un simbolo, il simulacro dell’assassino che sta prendendo di mira gli attori sul palco, i quali devono riflettere sul loro ruolo paradossale e sulla funzione che ecc… no? Che cos’è un attore, se non un’entità fragile, esposta a un nemico spesso invisibile e pronto a punire il più impercettibile passo falso con colpi implacabili e letali? A dividerli con il mondo esterno solo un simbolico, effimero vetro trasparente (immaginate sempre gesti solenni), non a caso protetto unicamente da una tenda-sipario, che li mostra senza interruzioni nella loro costante vulnerabilità. E loro non possono uscire, perché fuori dalla porta c’è chi li sorveglia e li costringe a rimanere dentro: “the show must go on”. A teatro poi potrebbero fornire gli spettatori di pomodori che a quel punto diventerebbero diegetici, simboleggiando stroncature perforanti come proiettili, le chiazze di rosso che diventano sangue… tutto questo mentre Scott Adkins, col suo accento di fuori Birmingham, declama “Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.”
SIGL– ah no l’ho già messa.

Due personaggi in cerca d’autore
Ovviamente no, Take Cover non è niente di tutto ciò.
Non ha l’inquadratura fissa dalla parte della parete a vetri – non è pazzo – e non ha nessuna delle intenzioni che ho appena descritto (e che mi rendo conto potrei aver pensato solo io).
I motori che guidano Take Cover sono due:
- spendere poco;
- raccontare di un cecchino che viene preso di mira da un altro cecchino, trovandosi quindi di colpo come riflesso in uno specchio, una presa di (gesti solenni) una presa di coscienza che lo porterà ad analizzare se stesso, comprendere le conseguenze delle proprie azioni e responsabilizzarsi smettendo di essere pedina passiva di conflitti altrui bensì bla bla bla gne gne gne ecc…
Il punto 2 è vero.
Però Take Cover ha la decenza di essere prima di tutto un film d’azione che, mentre gioca coi propri limiti, deve tenere il ritmo alto e mostrare un numero sindacale di calci in fazza. C’è Scott Adkins, non Benedict Cumberb– esempio sbagliato, fatemi pensare a un attore di teatro che non abbia effettivamente preso Scott Adkins a calci in fazza – che ne so, Mark Rylance.
Se hanno mai per caso pensato a tutto quel pippone meta-narrativo che vi ho fatto qui sopra, hanno giustamente concluso che non ha il minimo senso, perché portare una storia del genere a teatro significa che per almeno metà spettacolo gli attori devono parlare tra di loro assediati dietro a un divano mentre tu non vedi una sega. Bravi.
Take Cover innanzitutto si diverte fortissimo coi dialoghi, e crea una bella e simpatica dinamica tra Scott e il suo compare interpretato da “Jack Parr” (non lo conosco). Come buddy movie, non è Tango & Cash ma funziona. Si sforza più della media.
Il motivo per cui l’azione finisca in un grattacielo, dove i nostri sono stati attirati con l’inganno per essere poi terminati tramite cecchino/drone/scagnozzi vari che fanno il proprio ingresso quando le prime due cose tardano a funzionare, non ha il minimo senso. Va accettato perché è la premessa del film, ma suona da subito eccessivamente complicato e pieno di falle. Pazienza.
Come tocco invece mi è piaciuto molto il fatto che una delle due escort che attirano i protagonisti nella trappola, per introdurre il proverbiale “arco di crescita emozionale”, dichiari a un certo punto di saper leggere il futuro e tiri letteralmente fuori una sfera di cristallo dalla borsetta. Detta così pare una cazzatissima, ma il film se la gioca con la giusta dose di autoironia.

Questa ad esempio è una tappezzeria che Wes Anderson ci farebbe un pensierino
Ma soprattutto – siete qui per questo – il ritmo per buona parte tiene bene, le scene d’azione sono nel giusto numero e le scazzottate sono toste. Non fatevi fuorviare da Alice Eve nel poster: ha una piccola parte, ma in un film di questo genere è un po’ come avere Kate Winslet.
Mi sono riguardato poco tempo fa Tower Block, una roba inglese a basso costo di quasi 15 anni fa su un cecchino che prende di mira gli abitanti di un palazzo popolare, girata dallo stesso tizio (James Nunn) che è poi finito a fare Eliminators e i già citati One Shot con Scott Adkins, e ve lo straconsiglio, è ancora una bomba: questo Take Cover non è suo, è dell’ex-stuntman Nick McKinless, e non è altrettanto micidiale ma funzionalissimo.
Non siamo insomma nell’ambito dei miracoli, ma siamo nell’ambito del “magari fossero tutti così”: onesto, volenteroso, che cerca di mettere tutti i pezzetti a posto bilanciando azione e personaggi un minimo curati, senza accontentarsi del minimo sforzo ma anche senza prendersi eccessivamente sul serio.
Dopo averlo visto mi sono fomentato e ho guardato pure Lights Out, che vede Scott Adkins in un ruolo secondario al fianco di un Frank Grillo in versione Lionheart, e mi ha rimesso subito le cose in prospettiva: quella sì che era una cazzata assolutamente generica e inutile, nonostante una premessa mica da buttare. Per cui sì, in mancanza di una nuova golden era e un’ondata di insospettabili capolavori come nella prima parte della carriera del nostro amico Scott, la roba come Take Cover va tenuta strettissima. Spero di avervi dato un buon consiglio per tappare una serata morta. Ciao eh? Ci vediamo stasera alla diretta Twitch se riuscite a passare, bella lì.
Streaming-quote:
“Uno, nessuno, centomila schiaffazzi”
Nanni Cobretti, i400calci.com
Ottimo pezzo che mi è davvero piaciuto leggere!
Il film me lo tengo in lista per una sera di queste.
Visto e apprezzato, molto divertente.
In effetti la sceneggiatura è buona, non ti fa venire voglia di passare subito alla scena d’azione successiva e, soprattutto, ti fa digerire il momento della fuga finale leggermente inverosimile XD
P.S.
Fin’ora il mio Adkins preferito è quello di Avengement.
Ad Adkins i buddy movies vengono bene, i due Debt Collector a me sono piaciuti molto
Perdoni Capo ma sarebbe fattibilissimo anche in teatro, basterebbe il palco ruotabile di 90 gradi a seconda della scena. Comunque si sarebbe visto di molto peggio e/o meno interessante come concept
Anzianzi…visto che è certo che tu abbia il wattsuppo di Scottone, proponiglielo subito TU e parti con una Tournè in stile Salvatores con l’Altissimo Obbiettivo di riportare i fanciulli a Teatro con la scusa della Violenza Calcistica in tutto lo Italico Stivale! Ogni tappa ospitate a sorpresa del cast originario e vasta scelta di recensori dei 400Calci. #Grano_Facile
ma se giri il palco si perde il gioco che la quarta parete del cecchino sono gli spettatori… mi si incasina tutta la simbologia!
Si va in tour solo in anfiteatri e palazzetti dello sport e bam! Pubblico a 360°! Attento Antonio Rezza, c’è un nuovo sceriffo in città!
Così ti smarchi anche dagli abbonati delle stagioni teatrali (non per cattiveria ma hanno un’età media >70 e se guardano uno spettacolo troppo intenso si emozionano e gli prende il morbo della morte improvviso; sì è pubblicità gratis, sì l’INPS non disdegnerebbe, ma il team legale di Valverde ha già tanti altri problemi).
Nah, io al massimo voto per il gioco di specchi. È l’unica. Se no si rovina l’illusione.
Ma assolutamente, se adeguatamente dosato solo per alcune scene e con l’impianto principale ben saldo sul gioco “spettatore – cecchino”, magari opportunamente irrobustito da dialoghi ad ok, funzia che é un piacere.
Poi oh, se si vuol strafare anziché il perno sul palco si usa il telone trasparente e ci proietti sopra le parti quando giocano alle trincee.. BUM! Pure la multimedia experience.
@Nanni: il superpippometaforone teatrale tahdah è praticamente quanto ha letteralizzato Dupieux in Yannick – la rivincita dello spettatore, che a questo punto ti consiglio anche se non sempre e non tutto convince e funziona (forse davvero troppa sovrascrittura). @Gigos: Rezza può invece starsene a cuccia e risparmiare sudore e denari, il pubblico a 360° è roba vecchia di almeno 30 anni prima e porta il glorioso nome di Fura dels Baus.
@Giocher, non sono d’accordo, se si mischia si pasticcia. Questa è roba che dev’essere dogmatica intransigente o hai dato solo assaggini e non ne vale la pena. Però hey, se vuoi mettila in scena, basta che mi accrediti (e retribuisci) come “Original idea by Nanni Cobretti and Scott Adkins”.
@Marina: qua a Londra (e non solo) ci sono diversi piccoli teatri che hanno il palco fisso a 360°. E ho pure visto il famoso concerto di Prince del 2007.
Mentre leggevo la descrizione della messa in scena teatrale mi e’ venuto in mente, non so bene perche’ (nel senso che ho cercato fino a che ho trovato titolo e trama e mi sono reso conto che non c’entrava proprio niente) “Testimoni” con Alessandro Gassman e GianMarco Tognazzi.
Forse l’unico labile aggancio era che (se fossimo ancora nel 1996) magari loro due avrebbero potuto comprare i diritti per l’adattamento Italiano e provare a metterlo in scena.
Bello Tower Block, l’avevo visto proprio grazie alla vostra rece.
La didascalia della foto poteva anche essere “Due personaggi in cerca di cover”…
il film: me lo segno, ma non so se lo vedo – la recensione non conferma né smentisce che Scott faccia l’accento russo.
la sigla:
– facepalm #1: questi scappati di casa erano veramente considerati “un’alternativa agli Extreme”
– facepalm #2: vedere Billy Sheehan e Paul Gilbert fermi su un accordo per quattro minuti è stato fisicamente doloroso
– contro-facepalm: il cantante aveva dei male-bangs clamorosi, che spero tornino di moda (… magari nella trap? nessuno può impedirci di sognare)
Non ci crederete ma uno spettacolo dove “gli attori devono parlare tra di loro assediati dietro a un divano mentre tu non vedi una sega” potrebbe seriamente riportarmi a teatro…
Ti regalo una radio
Ma chi è sta zinnona?
Questa recensione mi tira fuori tre considerazioni:
1. “travestirsi da ciccione in John Wick 4” non solo era l’unica cosa guardabile di JW4 (vi scandalizza la mia affermazione? Venite pure a dirmelo in faccia. Ho sempre con me una Scalinata di Montmarte tascabile da cui farvi rotolare fino a che non morite di noia) è la dimostrazione che l’intuito o l’istinto di Chad Stahelski non sono sempre attivi, perchè non aver già lanciato uno spin-off o addirittura una serie che ci racconta di come Scottone ha scalato i ranghi dell’organizzazione a grasse cinquine in faccia è una svista colossale. The Penguin levati solo di torno!
2. “per almeno metà spettacolo gli attori devono parlare tra di loro assediati dietro a un divano”: VEDREI!!!
3. “Uno, nessuno, centomila schiaffazzi” potrebbe essere il vostro sub-site in cui parlate di “Altri Media di Menare”. Nel caso io mi abbono!
2. MA NO CHE NON VEDRESTI, SAREBBERO NASCOSTI DIETRO AL DIVANO