Immagina un futuro, tutt’altro che impossibile, in cui puoi comprarti un pupazzo a forma di persona, impiantargli un bel cervello in AI, e farlo diventare il tuo moroso o morosa. Ok?
Immagina che sia proprio a forma di persona: il cervello in AI impara i tuoi gusti e ad auto-modellarsi e adattarsi al tuo carattere e/o esigenze.
Immagina che sia proprio a forma di persona nel senso che te lo puoi pure trombare.
“It’s easy if you try”, come diceva… come si chiama, lì, l’ex-marito di Yoko Ono. Non mi viene mai il nome, lo conosco perché seguivo lei.
SIGLA!
Non è il concept più nuovo dell’Universo, eh? Così su due piedi mi viene in mente Ana de Armas in Blade Runner 2049 ma hey, l’abbiamo capito tutti come funzionano i film con le AI, giusto? Sono gli stessi film che fanno da almeno 40 anni sugli androidi. Sono proprio loro, pari pari, hanno solo rimpiazzato “androide” con “AI” nel titolo e/o nella sceneggiatura e voilà: sembrano nuovi e moderni, di colpo “raccontano l’attualità”, “fanno riflettere sulle insidie del presente”. Apro una parentesi: (sto scrivendo un reboot di Terminator in cui il membro della resistenza Kyle Reese torna indietro nel tempo nel 1984 per ammazzare il regista/sceneggiatore “James Cameron”, responsabile delle idee che stimoleranno la creazione di Skynet, che a sua volta manda indietro un cyborg per proteggerlo. Chiudo la parentesi: ).
Abbiamo già visto questo horror un sacco di volte: pupazzo robotico viene acquistato per tenere compagnia, pupazzo robotico – per svariati motivi che possono andare da “circostanze eccezionalmente sfortunate” a “lo sceneggiatore non ha la più pallida idea di come funziona un computer” – fraintende il concetto di “compagnia” a livelli estremi, pupazzo robotico diventa violento e irrecuperabile, gli umani devono scappare e difendersi.
Companion però ha in mente un buffo ribaltamento della situazione: e se vedessimo tutto dal punto di vista del robot con l’AI? E se, nel momento in cui puntualmente “impazzisce”, non fossero gli umani a dover scappare da lui ma lui a dover scappare dagli umani?

“This is fine”
Prima che vi preoccupiate troppo: no, non è un film che vi vuole spiegare che anche i pupazzi robotici sono una categoria svantaggiata dai rapporti di potere e che quindi bisogna imparare a non abusarne e a trattarli alla pari evitando gli stereotipi. Però Drew Hancock, regista e sceneggiatore all’esordio con un lungometraggio, non è scemo e si rende conto che tramite il personaggio di un robot umanizzato dall’AI può comunque inscenare dinamiche interessanti e raccontare di come certe persone, mettiamola così, “interpretano i rapporti di coppia”. Quello che dice è: se vi comprate un robot che sostituisca funzioni che rientrano normalmente nel campo affettivo/personale, il modo in cui lo trattate – o il fatto stesso, da un certo angolo, di sentirne il bisogno – rischia di svelare molto su che razza di persone siete. O meglio: in tutti i primi 15/20 minuti, prima che la natura artificiale della protagonista Iris venga esplicitata, la parte “divertente” è quella in cui gli indizi sono appena accennati e il suo padrone Josh sembra un normalissimo stronzo distaccato e condiscendente. Il modo in cui lui la tratta come una specie di accessorio acquista successivamente un senso, ma il giochino sta nel fatto che sul momento non stranisce perché non troppo diverso da come certe persone trattano i propri partner come accessori. Sta nel fatto che per lui, non dover pensare ad Iris come a una vera persona, sembra una liberazione e una soluzione a un problema.
Companion ha un sacco di idee, e la migliore per quel che mi riguarda è quella di uscire dalla solita rappresentazione dei robot come umani aridi e inespressivi e anzi, va quasi all’opposto: l’AI imitativa di Iris la rende iper-espressiva in modi raffinati, le dona passione, dei tic, persino delle insicurezze. Sophie Thatcher (viene da Yellowjackets, l’avete vista in The Boogeyman e Maxxxine, la rivedrete in Heretic) è spettacolare. Il suo ritratto inizialmente accarezza la sfera della neurodivergenza – per fortuna un potenziale pantano tematico da cui il film, comunque preso da mille altre direzioni, si distacca il prima possibile.

Annusare una pesca, classico simbolo di [inserire qui]
È chiaro che a Hancock interessa sia divertirsi con questa specie di scenario all’inverso di M3gan, sia che non vuole trascurare del tutto le occasioni di metafora, e che vuole nel contempo tenere sotto controllo ogni dettaglio (ottime le scelte musicali, incluso il suggerire che il nome della protagonista venga dall’omonima ballad dei Goo Goo Dolls).
Il risultato ha due facce.
Da una parte lo script non è sempre impeccabile: il proverbiale “acquario” non è troppo definito, il “pericolo tecnologico” interessa solo fino a un certo punto e pertanto non è dipinto in modo raffinatissimo, e in almeno un paio di momenti le scelte sono troppo schiave di altre esigenze (Josh e Iris ad esempio si avventurano in un lungo dialogo-spiegone sulla natura dell’AI che, per quanto ci si sforzi di giustificarlo diversamente, è a unico beneficio dello spettatore). Vengono colti diversi spunti tematici ma nessuno è particolarmente approfondito, che però tutto sommato è forse un bene visto che ogni osservazione e frecciatina sembra il frutto di ragionamenti sulla premessa piuttosto che necessariamente il vero motore di ispirazione.
Dall’altra ne giova il ritmo: tante idee significa svoltare spesso prima di piantarsi troppo sullo stesso scenario, e mantenere la visione movimentata, fresca e piacevole. Come puro thriller condito di commedia nera, Companion fila liscio che è un piacere.
Alla fine sembra un lavoro consapevole dei propri limiti, che frena prima di avventurarsi troppo in là, ma che senza strafare offre comunque intrattenimento simpatico, e nè stupido nè banale. Fosse così il prodotto medio…

Guillermo!
ChatGPT-quote:
“And I don’t want the world to see me
‘Cause I don’t think that they’d understand
When everything’s made to be broken
I just want you to know who I am”
Goo Goo Dolls, le400powerballads.com
Visto ieri! Divertente innanzitutto..
Diciamo una puntata alla Black Mirror piu lunga, fatta bene.
Lo consiglio da vedere a San Valentino senza dire nulla alla consorte ;)
A me è piaciuto parecchio, Sophie Thatcher è veramente la definizione vivente di “brava e bella” ed ho gradito molto sia i numerosi spunti sia il fatto che il loro sviluppo ultimo venga spesso lasciato allo spettatore.
Però forse il mio gradimento dipende anche dal fatto che ho SEMPRE considerato i computer persone migliori degli esseri umani.
D’accordone su tutto. La vera abilità di Mr. Hancock è proprio quella di fermarsi sempre a 1 cm dalla filosofia pura puntando tutto sui twist. Alla fin fine succede che ci si diverte parecchio. Peccato solo il marketing merdoso che fa passare il film per una roba ben diversa e più prevedibile: temo non gioverà.
“Ho fatto uscire John Lennon dalla Plastic Ono Band.”
“Sei un idiota, lui era il più dotato!”
Cit.
https://frinkiac.com/meme/S05E18/961293/m/IEJVVCBJIERJRCBHRVQgUEFVTAogTWNDQVJUTkVZIE9VVCBPRiBXSU5HUy4KIFlPVSBJRElPVCEgSEUgV0FTIFRIRQogTU9TVCBUQUxFTlRFRCBPTkUh
” mi viene in mente Ana de Armas in Blade Runner 2049″
E questo mi fa venire in mente un tizio che da queste parti ci tenne tantissimo a farci sapere cosa fa l’ UOMO VERO (già, scritto così, e non per ridere, o meglio, non consapevolmente).
Il tema noi/androide (coscienza/IA) è molto antico, probabilmente ancora prima del golem, che in epoca romantica diventa il mostro di Frankenstein, e il cinema l’ha fatto proprio dai suoi albori, celebrandolo in uno dei primi capolavori memorabili del grande schermo, Metropolis. Il cyberpunk ne è l’ultima versione e come tutti i temi centrali di genere è diventato una trappola, visto che proporre un approccio originale è diventato molto difficile. Dalla recensione mi sembra di capire che qui se la cavano spostando più volte la prospettiva prima di cascare nel già visto/sentito, con risultati dignitosi. Vedrò di procurarmelo, grazie dei consigli come sempre.
Una cosa ho capito, su questo tipo di film… funzionano meglio se l’androide è una fig@
Come tutti i personaggi femminili di tutti i film dai fratelli Lumière ad oggi.
Eh ma la fig@ androide ha un fascino particolarmente arrapante… vedi i vari ex-machina, wifelike, the machine…
Ripetete tutti da bravi con me:
*GINOIDE. GINOIDE. GINOIDE*
Ma perché, se tu costruissi un androide, indipendentemente dal sesso, lo faresti con i dettami del sessantenne sovrappeso? Già che fai…
Avevo visto la locandina di questo film al multisala, con tanto di dicitura “dai creatori di Barbarian”, la qual cosa è una buona credenziale: ho visto “Barbarian” proprio perché consigliato su questi lidi e l’ho molto apprezzato. Ulteriore riconferma che qui consigliate e trattate bene roba di qualità.
Sulla ripetitività del soggetto: abbiamo visto “Her” di Spike Jonze, quella puntata di Black Mirror con Hayley Atwell, ma per dirla tutta un software super intelligente che agisce in modo dannoso io l’ho visto anche in un original Disney channel movie di più di vent’anni fa con un programma di domotica che decide di diventare la madre di famiglia oleografica. Come giustamente puntualizza Nanni Cobretti è un topos che esiste da sempre nelle nostre vite, probabilmente nato nelle riviste pulp.
Questo film almeno sembra avere un tocco inusuale in merito.
Olografica volevo dire, benedetto refuso.
E comunque anche il topos del punto di vista dell’androide non è nuovo: c’è già stato “A.I.” Di Spielberg, ma leggere le frasi di Cobretti nel pezzo ho avuto molte suggestioni di Odin Eidolon, Lyla Lay e dei vari droidi di PKNA.
Decisamente, la narrativa sulle AI non è nuova e ha già molti topoi stabilizzati, è che adesso, per ovvie ragioni, è un momento storico particolarmente propizio per rimetterci mano.
PKNA, buongustaio.
@Nanni, dopo quest’infilata di sci-fAI, siete pronti per calciare Black eyed Susan
Alla fine l’ho visto… ottimo film, ben fatto. Ma dov’era Billy Butcher?
Peccato che il colpo di scena sia rivelato nel trailer finale.
Comunque a me è sembrato una via di mezzo tra Cherry 2000 e il dimenticatissimo Io e Caterina con Albertone.