Allora, vorrei evitare il solito pippone sul cinema italiano, però una sintesi dell’ovvio va fatta.
La sintesi dell’ovvio è che di film di arti marziali in Italia se ne fanno pochissimi, e quei pochi che si fanno sono tutti progetti disperati a costo ridicolo che si buttano nell’oceano della distribuzione lasciandosi trascinare ciecamente dalla corrente, sperando che un sasso li fermi o una mano li raccolga.
Sostanzialmente, l’ultimo progetto di arti marziali italiano degno di nota (a modo suo), è stato Il ragazzo dai pantaloni rosa dal kimono d’oro. No? Pensate come siamo messi. Io l’ho sempre odiato Il ragazzo dal kimono d’oro, però è anche vero che non lo riguardo da quando avevo 10 anni e magari oggi mi piacerebbe. Del resto è un Fabrizio De Angelis, autore della mitica trilogia di Thunder. Ed è tra gli ultimi rappresentanti di una categoria e di una filosofia che poi sono sparite. E poi mi fa riderissimo non tanto che il protagonista fosse un giovane Kim Rossi Stuart, ma che “Maestro Kimura” fosse interpretato da Ken Watanabe che però non è l’attorone a cui state pensando che ha fatto L’ultimo samurai e Inception, ma un omonimo. Che sfiga dev’essere portare lo stesso nome di uno molto famoso, ma prima che quell’altro diventi molto famoso, per cui la cosa vi porta zero vantaggi?
Perché questa roba è sparita, mi chiede un gentile lettore di nome Fabrizio? Domanda legittima, che storici, filosofi e scienziati affrontano e analizzano da tempo immemore. Il motivo va sicuramente cercato almeno in parte in come siamo passati da Per un pugno di dollari a Il ragazzo dal kimono d’oro, ma questa è esattamente ciò su cui non ho intenzione di dilungarmi in questa sede.

Se avete domande mandatemi un sms
Ci sono diversi approcci con cui si può aspirare a rinfrescare il cinema italiano, e quello di Mainetti dopo tre film è abbastanza chiaro: si prende il genere, e lo si fa per bene.
Lo si prende, lo si tratta con passione, ma lo si tratta soprattutto con rispetto e senza timidezza.
Lo si affronta da due lati.
Uno è quello di piazzare il genere in Italia, giocando un po’ a “e se quel tipo di storie capitasse da noi?”. Lo chiamavano Jeeg Robot ci presentava un Tevere inquinato di quella sostanza che normalmente si trova nei canali degli Stati Uniti d’America o del Giappone, entrando in contatto con Claudio Santamaria invece che con lo Spider-Man di turno. Mi sovviene in questo momento come i supereroi americani siano spesso accidentali, frutto di errori, misteri insondabili o reazioni biochimiche imprevedibili, mentre in Giappone preferiscono precise spiegazioni scientifiche, aliene, o al limite magico-folkloristiche, ma questo è materiale per un altro articolo. Mainetti si era interessato al più classico degli eroi per caso, e un tuffo nel Tevere era la spiegazione più logica – signor sindaco di Roma, so che ci legge, si faccia le sue riflessioni e si chieda perché non le hanno proposto Under Rome.
L’altro consiste nel prenderlo sul serio, ma non nel senso di raccontare necessariamente storie tragiche e deprimenti, bensì di realizzarlo rispettandone le regole, conoscendone la storia e le convenzioni, e imponendo standard alti. Non è l’approccio “proviamo, suvvia, che mi dicono che è roba che fa soldi”, e non è nemmeno l’approccio “vabbè, facciamo del nostro meglio e speriamo che vinca la simpatia”. È l’approccio con cui si guarda cosa fanno quelli che giocano in prima fascia e, al netto di un budget inferiore che va ovviamente usato giusto, ci si pone quell’obiettivo: fare cose che dalle nostre parti non si fanno più ma farlo senza complessi di inferiorità, per strappare complimenti che stiano in piedi da soli e non siano accompagnati dalla postilla “per essere italiano”.

A questo che si prende una semplice bastonata gli va anche bene
La città proibita prende lo schema di L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente – una furia dalla Cina arriva a Roma per risolvere questioni criminali che hanno a che fare con un ristorante – e poi racconta una storia tutta sua, dove le inevitabili svariate influenze sono riconoscibili ma opportunamente frullate e rimescolate.
I primi 10 minuti raccontano la premessa: due sorelle crescono clandestinamente in Cina durante il periodo della One Child Policy, con la piccola Mei costretta a rimanere costantemente nascosta. Quando, ormai ventenne, la sorella maggiore sparirà in un brutto giro, Mei andrà a cercarla menando le mani a più non posso per scoprire che fine ha fatto. I primi dieci minuti, prima che inquadrino la prima via sull’Esquilino con un tizio in scooter che dice “ahò mortacci”, includono una megarissa in cui la protagonista fa fuori diversi scagnozzi nella cucina di un ristorante usando diverse cose che le capitano a tiro, alla Jackie Chan. Non vi dicessero che è un film italiano, non vi verrebbe manco in mente di sospettarlo. Mainetti è andato a scovare una giovane stuntwoman cinese, Yaxi Liu, alla ricerca mirata di una ragazza che fosse davvero cresciuta con le arti marziali, per poi affiancarle un action designer esperto come Liang Yang. È roba di livello serio, con diverse trovate mica male, superiori a certa roba anonima con le immancabili luci al neon viola che ha preso a comparire ultimamente sulle piattaforme. Poi certo, c’è questa scelta precisa di affidarsi quasi unicamente a cinesi quando si tratta di scene di menare che ha il suo perché, non solo a livello di storia ma anche a livello di impatto immediato: un cinese che fa arti marziali non lo devi spiegare. Da persona che in 15 anni ha avuto occasioni di parlare con diversi marzialisti italiani che si fanno un mazzo tanto per sfondare nel genere e per farlo si ritrovano a dover girare il mondo, riuscendo anche a mettere su un curriculum di alto livello, dispiace che si sia persa un’occasione di showcase nostrano.

Esiste ufficialmente un film di kung fu con Marco Giallini, e sostanzialmente sono già contento così
Esattamente come in Lo chiamavano Jeeg Robot, c’è però anche una parte di storia umana che non è solo quella di Mei ma quella di Marcello (Enrico Borello), il cui padre si era innamorato della sorella di Mei scatenando una serie di inghippi che coinvolgono Wang (Shanshan Chunyu), proprietario di un ristorante cinese, lo strozzino Annibale (Marco Giallini) e la madre di Marcello (Sabrina Ferilli). Il destino che accomuna Mei e Marcello li porterà a innamorarsi… vabbè che ve la racconto a fare questa parte. Il compito è più difficile che in Jeeg Robot, perché se là il focus era interamente su Claudio Santamaria come unione tra i generi, qui l’incontro tra i due protagonisti è praticamente l’incontro tra due film diversi che si dovranno amalgamare. La cosa importante da sapere è quindi che la loro storia d’amore non fa venire l’allergia. E che non fa scappar da ridere come quella di Misteri dal profondo, che mi ero guardato un po’ anche per farmi una scorza. Anzi: l’intesa tra un naturalissimo Borello e Yaxi Liu, spaesata ma intensa come personaggio richiede (Mainetti sa quando un dilettante funziona proprio in quanto dilettante), regge benone. E sono cose che servono, perché – sembra strano a dirsi ma è sempre giusto ricordarlo – più vi importa dei personaggi più vi godete le botte. C’è poi quello che si può ormai riconoscere come un tormentone di Mainetti, ovvero le velleità da cantante pop di personaggi improbabili. E c’è un discorso sulla vendetta che si incarta in una missione sempre più coraggiosa di questi tempi… Trovare un equilibrio che funzioni tra il non voler mandare beceri messaggi reazionari e il mantenere le emozioni alte in un climax cinematografico non è una cosa semplice.
Meno ambizioso ma più compatto di Freaks Out, meno fulminante ma più adrenalinico di Lo chiamavano Jeeg Robot, La città proibita è un film che conferma i punti di forza di Mainetti. Il gusto che rimane in bocca, alla fine, sta tra cose tipo The Villainess (ma meno pirotecnico) e un certo stile alla Besson (ma meno tamarro).
Soprattutto, però, è un ottimo film di menare.
Basta, così, senza postilla.
Locandina-quote:
“Avanti, questa è lotta cinese pura”
Nanni Cobretti, i400calci.com
P.S.: guardatevi la nostra intervista in diretta a Mainetti
P.S. 2: dai, facciamolo questo universo condiviso, giriamo questo sequel dove il ragazzo dai pantaloni rosa inizia a indossare anche un kimono d’oro. Poi nel terzo diventa direttamente Jared Leto.
Lo so che è un cinema a cui non frega più niente a nessuno, ma il miglior marzialoso italiano è “Il mio nome è Shangai Joe” di Mario Caiano del 1973, uno degli ultimissimi spaghetti western degni di nota. Lo limita un finale un po’ buttato lì imposto da problemi produttivi (per certi versi simile a quello di “L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente”) e un protagonista che si inventava le mosse, ma è bello violento e nella sua semplicità anche avvincente. Soprattutto in confronto a “Il ragazzo del kimono d’oro” sembra un kolossal diretto da King Hu e sceneggiato da Tarantino, che infatti lo ama e non in chiave trash.
Già ero fomentato per vederlo, ora devo assolutamente organizzarmi.
Ho amato “Jeeg”. “Freaks out”, però, mi aveva lasciato perplesso (non si capiva che tipo di film voleva essere- ottimi spunti, ma totalmente incoerente. Poteva essere un bel film per famiglie, non avesse messo un nano che si fa le seghe e due furries che scopano- per altro, scene assolutamente gratuite). Si vedeva che aveva subito parecchie traversie a livello di produzione. Questo lo vado a vedere di corsa!
concordo sul nano, scelta totlamente priva di senso.
Penso spesso alla carriera di Giorgio Pasotti, quello era un marzialista mancato che non c’era nessuno in Italia capace di usare… Con quella faccia poteva diventare un piccolo Van Damme de noantri, e invece lo hanno messo a fare le muccinate. Qualcuno sa qualcosa della sua carriera in Cina e del perché l’abbia interrotta?
Questa cosa di Pasotti inizia a diventare una specie di leggenda metropolitana. Nel senso: sì, le sue origini sono da esperto di arti marziali stanziato a Hong Kong e su IMDb si contano quattro piccoli ruoli, ma è tornato in Italia nel ’98 e da allora non ha fatto un solo film di menare che sia uno. A un certo punto, secondo il mio modesto parere, se una cosa ti interessa veramente, il modo di farla in 27 anni lo trovi. No? Un giorno bisogna che glielo andiamo a chiedere.
Porca puttana!
Se fossi stato al corrente del suo background marziale glielo avrei chiesto, invece di guardare il culo di Ambra…
Si vede che non gli interessava così tanto, altrimenti poteva restare all’ estero. A parte che per me ha una faccia da schiaffi, altro che jvd.
Magari, se al posto dei pantaloni rosa indossava il kimono (anche rosa, perchè no), non si ammazzava. Kobra Kai docet.
Sì ammetto di non aver visto Il ragazzo dai pantaloni rosa, se non si fosse intuito.
Manco io, ma il fatto di cronaca a cui è ispirato è noto.
Non da me che non mi sono nemmeno informato sul fatto che fosse ispirato a una storia vera…
Le premesse ci sono tutte, l’unica cosa su cui ho tantissime perplessità è la Ferilli
La Ferilli non mena nessuno, se è questo che ti preoccupa. Ma a parte quello, lei e Giallini hanno due ruoli che sanno fare a occhi chiusi.
La Ferilli fa il suo e lo fa bene.
Mi sa che abbiamo finalmente trovato il regista per realizzare “Suore di menare” e “Suore di menare 2”.
Vado domani a vederlo ma dalle tue righe traspare una recensione malinconica. Quasi che ti fossi trattenuto a dire più apertamente le cose che non vanno. Ma probabilmente è solo una mia impressione.
Sinceramente non ci ho trovato cose che “non vanno”. Al limite forse speravo in qualche guizzo in più, che lo puoi intravedere quando dico che Freaks Out era più ambizioso. E forse ci manca un Marinelli che in Jeeg Robot si mangiava tutto. Però mi sembrano tutti paragoni ingiusti, questo è un film con altri obiettivi e altre esigenze.
Oh, una delle conseguenze a lungo termine del lavoro che ha fatto Marinelli in Jeeg Robot è che l’ha assunto pure Hideo Kojima. Voglio dire che stiamo parlando di una prestazione che non capita proprio tutti i giorni.
Il lavoro che ha fatto su M è stratosferico.
Mi preme capire (a ognuno il suo kink) se si conferma il valore diegetico della felpa con cappuccio come lasciapassare tra immaginari. Da un paio di pic viste in giro mi pareva di sì.
Ho letto altrove che Mainetti ha ammesso che semplicemente gli piacciono molto le felpe con cappuccio, quindi può involontariamente essere? Ma se intendi nel senso di collegamento diretto tra cineuniversi, no.
Vado a vederlo stasera
Se mi votate proibisco le parole
Diegetico
Turnitorante
Resilienza
Slatetizzante
Grazie
Bob
1) Ma è utile
2) Se intendevi tonitruante, la sento solo ogni tanto nelle recensioni di Frusciante
3) Questa sì è ridicola e deve morire, come fastidio sta giusto un gradino sotto il famigerato piuttosto che disgiuntivo
4) Anche slatentizzare non mi pare inflazionato, salvo quando si parla di droghe leggere e disturbi mentali…
Film che mi ispira molto, anche se ho sempre un po’ paura di come siano le scene d’azione e di quanto sia presente la parte romantica. Ma ehi non può essere peggio dell’ ultimo Captain america o della schifezza di Diabolik.
I suoi film precedenti mi sono piaciuti ma un film di menare richiede anche maestranze e fazze diverse.
Io desidero molto convintamente un prossimo lungometraggio Manettiano con J’Avege de noartri che faccia di questi tre lavoroni già presentati dei prequel per un Team Up con in nipoti dei Freaks, Mei e Santamaria. E Giallini che mette insieme la batteria. Ecco.
Dopo che ho passato tipo metà pezzo a descrivere come è stata approcciata la parte di menare e chi l’ha curata???
Si si, ho letto! È una sorta di idiosincrasia/paura sui film d’azione italiani, nonostante che tu abbia ampiamente sottolineato chi ci ha lavorato dietro 😅. Appena mi passa l’influenza comunque andrò a vederlo anche perché ne hai parlato bene, è solo che a livello inconscio qualche timore sul genere fatto in Italia post bud e Terence mi sorge sempre. Anche perché puoi chiamare gente competente ma magari la produzione dall’ alto cassa certe idee perché le ritiene poco spendibili suo nostro mercato. Non dico però che sia questo il caso ed anzi non posso non fidarmi del maestro Nanni (visto anche i gusti simili)!
Comunque spero che resti un po’ al cinema e che non facciano come per altri film interessanti (al di là che siano riusciti benissimo o meno) che vengono distribuiti due giorni che mi sa che sto weekend con l’influenza non andrò a vederlo ma vorrei vederlo la settimana prossima allora e i cinema in zona mi hanno fatto più di una volta degli scherzi con le proiezioni
Io desidero molto convintamente un prossimo lungometraggio Manettiano con J’Avege de noartri che faccia di questi tre lavoroni già presentati dei prequel per un Team Up con in nipoti dei Freaks, Mei e Santamaria. E Giallini che mette insieme la batteria. Ecco.
Un film di romani con i romani fatto da romani che tuttavia andrò a guardare perché non sembra fatto da romani
Er cinema in Itaglia se fa’ a Rroma, stacce. Fratè.
Visto oggi alle 18 al cinema di savona ero solo voto 7 ma se tagliassero mezz ora senza toccare i bei combattimenti e quando c è la ragazza cinese meglio bob
Speriamo fosse solo perché un giovedì. Poi non so dove abiti, magari altrove c’è più giro
abito a Savona
Alle 18, a Savona, il target è “pubblico del FilmStudio”, “bambini” oppure “anziane signore che vanno a vedere Maria di Larraín”. Io andrò sabato o domenica sera, mi faccio già il segno della croce preparandomi ad uno slalom tra bimbiminchia e popcorn rovesciati in terra.
Fanno l intervallo per adora non lo hanno fatto bob
Mi sa che una buona fetta di lettori dei 400 calci è fatta di savonesi
@Nanni, sbaglio o è un film che punta parecchio (= molto sopra la media dei film italiani) sul mercato estero (leggasi Cina)?
Impressione mia, ma sicuro tu cogli meglio questi aspetti
È un film per sua natura esportabilissimo, si vende benissimo all’estero, non solo nel mercato asiatico.
Piaciuto molto, giusto un calo di ritmo finale, quasi necessario per unire le due anime del film.
Mettiamola così: sono curioso di vedere che effetto fa. È sicuramente esportabilissimo, ma dipende che accezione dai a “punta parecchio”, nel senso che come in Jeeg Robot qua Mainetti fa soprattutto un lavoro di prendere un immaginario che non è nostro e trovare i punti di contatto per renderlo digeribile a noi, piuttosto che il viceversa di operazioni come Gomorra.
@Nanni Cobretti
Devo dire che i cinesi non ci fanno bellissima figura in questo film. Sapendo quanto sono suscettibili da quelle parti, non è che rischia di trovarsi le porte sbarrate?
A me sembra che sia equilibrato e che ci siano buoni e cattivi da entrambe le parti. E poi, senza stare a spoilerare, pensa alle ultimissime scene del film.
Comcordo, e aggiungo anche come e dove si chiude il film ma non spoilero, in sostanza promosso a pieni voti e diciamo che Mainetti sono quello che i Manetti avrebbero voluto essere ma non saranno mai. Molte le citazioni,Il combattimemto finale ricorda molto l’ambientazione e le luci dei Mercenari con Va Damme quando (non) si mena con Stallone a fine film, bella anche se scontata la citazione non di menare a vacanze romane. Vai Gabriele non mollare sei l’avatar di quelli cresciuti a pane e tana delle tigri, quello che conosce le sette stelle e ce l’ha fatta, non mollare.
Uscito ora dalla sala. Devo dire che era entrato con aspettative moderate perché qualche recensione che ho trovato in giro fuori dal sito dei calci e qualche commento sui social che ho letto avevano riservato commenti abbastanza tiepidi.
Per me il film è senza mezze misure assolutamente bello.
C’è il solito mainetti che cerca di fare un cinema d’azione fondato sulla scuola nostrana della tragicommedia. il comparto tecnico delle scene d’azione è assolutamente di gran qualità sia in termini di esecuzione che di coreografia. La storia è molto più archetipa rispetto ai due film precedenti, allo stesso tempo è anche un film molto più equilibrato.
Come dice qualche commento qua sopra è un film che nonostante l’anima fortemente italiana potrebbe performare anche all’estero. Non vedo l’ora di rivederlo.
Bomba di film.
Ora però Mainetti deve farci un film di risse con italiani che si menano nella tradizione di Bud&Terence se vuole farci un favore
Lì dubito che ci sarebbe un pubblico.
Più di due ore filate via senza un filo di noia. Vfx presenti ma “invisibili”. Quasi nessuna/o “cagna maledetta”. Trama e finale non scontato. Per me è un grande SÌ.
Molto meglio la parte di menare che quella di tinellare, secondo un ignorante di mazzate, che comunque era in una sala semipiena che ha fatto dei grandi urli partecipati per ogni arto spaccato. Tutto molto figo, a parte i personaggi un po’ stereotipati e una storia, di conseguenza, non troppo avvincente a mio parere