Come ogni anno, torna EXTRA sci-fi festival, la cui quarta edizione si svolgerà a Verona dal 13 al 29 marzo 2025. Per l’occasione abbiamo pensato di rispolverare un grande classico della fantascienza, Incontri ravvicinati del terzo tipo, che verrà proiettato durante il festival il 14 marzo.
Diamo un po’ di contesto, dicendo una cosa che sembra ovvia ma forse non lo è: nella filmografia di Steven Spielberg, Incontri ravvicinati del terzo tipo è il film che viene dopo Lo squalo. Non è un dato di poco conto: Lo squalo esce dopo Sugarland Express, debutto alla regia cinematografica di Spielberg (Duel era un film per la TV), e improvvisamente lo trasforma nel regista più richiesto di Hollywood. Così, dal giorno alla notte, Spielberg non è più solo un promettente esordiente con all’attivo diversi film per la TV ed episodi di serie televisive, noto per la sua grande inventiva, praticità e abilità di lavorare con gli attori, ma è il regista del più grande successo della storia del cinema. All’improvviso, gli occhi di tutti gli executive di tutti gli studi hollywoodiani sono puntati sul suo film successivo. E Spielberg che fa? Gira una fiaba ottimista sugli alieni.
Tutti si aspettavano un altro blockbuster d’azione e non è che Spielberg per un po’ non ci avesse provato: la prima versione del film si intitola Watch the Skies, poi, con il coinvolgimento di Paul Schrader alla sceneggiatura, diventa Kingdom Come. A questo punto è una spy-story bondiana incentrata su un ufficiale dell’Air Force che lavora come debunker per il Progetto Blue Book, finché non ha un incontro ravvicinato e convince il governo a organizzare il primo contatto con gli alieni. Dopo varie stesure dello script, a cui lavora a un certo punto anche David Giler di Alien, Spielberg capisce di non voler raccontare la storia di un uomo in uniforme, convinto che lo spettatore medio non sarebbe riuscito a identificarsi (raccontalo a Roland Emmerich e Michael Bay!), ma quella di una persona comune. Riscrive da capo il copione di suo pugno, uno dei rarissimi casi in cui un suo film è interamente scritto da lui, e decide di ispirarsi alle sensazioni che gli regala l’ascolto di “When You Wish upon a Star”. Poi trova la sua persona comune in Richard Dreyfuss, che sul set de Lo squalo aveva fatto apertamente campagna per essere scritturato, assume l’astronomo e ufologo J. Allen Hynek (già nel Blue Book) come consulente, e il resto è storia.

La storia (e Lance Henriksen).
Già qui mi preme sottolineare un concetto: ci pensate al fatto che, a metà anni ’70, le teorie di complotto erano questa roba qua? Oggi si va in cerca del deep state e della depravazione più abbietta tra le alte sfere governative (curiosamente sempre dalla parte liberal), all’epoca i complottisti guardavano al cielo sperando di vedere qualcosa muoversi tra le stelle. Incontri ravvicinati del terzo tipo intercetta un cambiamento radicale nella percezione dei visitatori dell’oltrespazio: non più violenti invasori, ma potenziali amici. La storia avrebbe dato ragione a Spielberg – non nel senso che nel frattempo abbiamo conosciuto gli alieni, nel senso che il film ebbe un enorme successo e portò a un altro successo ancora più enorme, E.T. – ma allora c’era qualche dubbio: Spielberg non poteva sbagliare, doveva portare a casa un risultato degno de Lo squalo. Eppure, proprio quest’ultimo gli aveva assicurato carta bianca e un controllo inaudito sulla lavorazione, per un autore che all’epoca delle riprese aveva appena 28 anni.
Quello che viene fuori da tutto questo è un film che, se non fosse per i roboanti effetti visivi di Douglas “2001: Odissea nello spazio” Trumbull, le epiche musiche di John Williams, gli spettacolari set di Joe Alves, senza contare i design di Ralph McQuarrie e Greg Jein e gli animatronics di Carlo Rambaldi, sarebbe un dramma intimo sul disfacimento di una famiglia. Incontri ravvicinati del terzo tipo non è solo questo, ma è anche questo: uno dei film più personali di Spielberg insieme a E.T. e The Fabelmans. Come questi ultimi, contiene una serie di elementi che sfiorano l’autobiografia, a cominciare dalla famiglia in crisi composta da padre, madre e tre fratelli, due maschi e una femmina, esattamente come in E.T. (dato curioso: nella realtà Spielberg ha tre sorelle minori). Sappiamo bene che il regista era stato segnato in giovane età dal divorzio dei genitori, e che ci avrebbe messo un bel po’ a recuperare il rapporto con il padre. In E.T. la separazione è già compiuta, qui invece si racconta proprio la crisi matrimoniale. Ma, attenzione, qui sta la parte coraggiosa e matura dell’operazione: Roy Neary, il padre di famiglia che vede gli UFO e va fuori di testa, comincia ad avere visioni e fa impazzire tutta la famiglia, non viene mai demonizzato. Anzi! Il punto di Incontri ravvicinati, che verrà poi sviscerato in E.T., è che solo chi riesce a mantenere il contatto con il proprio bambino interiore è in grado di vedere le cose magiche della vita – da qui i riferimenti costanti a Pinocchio. Questa spinta alla ricerca della felicità personale, o per meglio dire questa ambizione alla meraviglia, ha la priorità su ogni altra cosa. Spielberg comincia a fare i conti con il divorzio dei suoi in maniera adulta, cercando di trovare una chiave di lettura per interpretare suo padre e capirne le scelte anche dolorose.

“Pronto, Freud?”
A un blockbuster d’azione e adrenalina, Spielberg contrappone dunque un film d’autore molto personale, pur non dimenticandosi che la gente paga il biglietto per lo spettacolo. E di spettacolo ce n’è più che a sufficienza, specialmente in un terzo atto ambientato alle pendici della Torre del Diavolo in Wyoming, ma girato completamente al chiuso in un immenso ex hangar dell’Air Force in Alabama, anche qui come risposta allo stress delle riprese in esterni de Lo squalo. Un controllo assoluto di ogni elemento della messa in scena, da parte di un autore che, come Alfred Hitchcock, può essere definito un grande direttore d’orchestra.
Non è un caso che la musica abbia sempre avuto una parte molto importante nei suoi film: John Williams ha detto che lavorare con Spielberg è un piacere, perché è uno che dà sempre valore alla colonna sonora e costruisce le sequenze al montaggio esplicitamente per darle grande spazio. Tutto l’inseguimento finale di E.T. è stato modificato svariate volte al montaggio per adattarlo al pezzo scritto da Williams, non viceversa. In Incontri ravvicinati, la musica assume addirittura il ruolo di linguaggio universale, è essenziale per costruire un vocabolario comune tra umani e alieni. Quelle cinque note composte da Williams, e scelte dopo mille tentativi quasi a caso, trascendono il concetto stesso di colonna sonora per diventare parte stessa della narrazione, dirò una brutta parola, diegetica.

Ci sono anche Apollo Creed e i Devo.
Tutto converge verso un messaggio di speranza che ci servirebbe davvero tanto anche oggi: la rappresentazione degli alieni come amici è qualcosa di esplosivo, perché nasce in un’epoca in cui la frustrazione del Watergate e del Vietnam era ancora vicina, la Guerra Fredda era in grande spolvero e un muro divideva letteralmente l’Ovest dall’Est. La fantascienza parla sempre dell’oggi, di noi e di come percepiamo l’altro, e questa mano tesa al diverso segnala che Spielberg già pensava oltre le barriere. Senza contare che, certamente per necessità tecniche ma tant’è, l’astronave aliena è popolata da creature molto diverse tra loro, suggerendo un cosmo diversificato e, altra brutta parola, inclusivo, che Star Wars avrebbe poi abbracciato e portato al successo planetario. Incontri ravvicinati non rappresenta solo il primo contatto tra umani e una diversa specie aliena, ma tra umani e una galassia che ha fatto propri i lati migliori della globalizzazione. È l’America che dice: dobbiamo smettere di guardare solo al nostro orticello e aprirci al mondo esterno. Una filosofia in netto contrasto con i rigurgiti autocratici degli ultimi anni.
Incontri ravvicinati del terzo tipo è anche, come spesso accade nella filmografia di Steven Spielberg, un’ode al cinema come forma d’arte nobile, pura narrazione visiva, acquario ben consolidato. La presenza di François Truffaut nel cast è emblematica in questo senso: il suo sorriso sprigiona tutto il sense of wonder infantile che il cinema rappresenta per Spielberg, e Truffaut stesso racchiude in sé tanto di quel cinema da farne quasi un elemento meta-cinematografico, una specie di monito per lo spettatore. Quasi a dire: sì, questo è cinema in tutto e per tutto, non è una storia vera, è una parabola, una fiaba e va presa così.

La Spielberg face definitiva.
Eppure io credo che, pur con tutta la sua fascinazione per la narrazione lineare classica e un’idea fortemente commerciale e popolare di cinema, Spielberg sia uno degli autori più onesti, sinceri e profondi che si siano visti in cento anni di cinema, e questo film, che unisce due anime all’apparenza contrapposte – cinema popolare e cinema d’autore – dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che questa contrapposizione in realtà non esiste. Esistono solo le storie: belle, brutte o noiose poco importa, l’importante è che sappiano dire qualcosa di noi.
Come sempre, noi de i400Calci saremo in prima linea a EXTRA sci-fi festival, per presentare alcune delle proiezioni più attese. Per saperne di più, vi rimandiamo al sito ufficiale e alle pagine social di EXTRA:
Facebook | Instagram | Telegram
VHS quote:
“Na-na-na-na-naaa”
George Rohmer, i400Calci.com
Poi e’ arrivato Carpenter che ha patito l’influenza di questo e del piccolo cucciolo di alieno fissato con le interurbane, a detta sua.
Ma che ha fatto capire che gli alieni, quando arriveranno, saranno cattivissimi. E che noi saremo troppo impegnati a starci sulle scatole a vicenda, per poter fare qualcosa per fermarli.
Ma hai ragione, manca un po’ di quel sano quanto ingenuo ottimismo di una volta.
Ci vogliamo leggere una metafora della modernità contemporanea? : gli alieni sono i social e gli smartphone, la rivoluzione digitale, che avremmo potuto utilizzare per il bene, intercettando il suo impatto, se non fossimo stati troppo occupati a starci sulle scatole a vicenda.
Però la vera risposta a Spielberg di Carpenter è Starman, che è una crasi tra Incontri e E.T. e, pur con una sfiducia ancora maggior verso la società e il “governo bastardo”, non è che dicesse cose poi tanto diverse.
Quoto Tommaso, non foss’altro che Starman è -anche cronologicamente- assai più vicino a E.T. e Incontri Ravvicinati che non Essi Vivono, in cui gli alieni sono una metafora socio-politica di tono decisamente più marcato.
Rece gigantesca. Mi sono quasi commosso.
Grazie!
Concordo. Grazie per avermi dato una chiave di lettura migliore di Spielberg di quella che mi ero fatto
Questo film l’ho sempre amato. Lo dico a costo di suonare puerile: è ottimista, è positivo, non può farti alcun male. E nonostante questo riesce a non essere né scemo né stucchevole, è ben diretto e soprattutto ben montato, a quasi cinquant’anni di distanza riesce a non annoiare (so di aver detto una cosa brutta ma oggi è così: i film vecchi ci risultano tutti inspiegabilmnete noiosi). E ora mi è venuta voglia di rivederlo…
Secondo me qualunque film (non importa quanto datato o lento) visto in una sala cinematografica difficilmente annoia.
È vero che l’esperienza della sala è radicalmente diversa da quella di divano&tv (dell’esperienza letto&telefonino non voglio neanche parlare) e sono d’accordo sul fatto che un film visto al cinema risulti sempre più coinvolgente.
Però non sono del tutto d’accordo con questa affermazione perché, anche in anni recenti, mi è capitato di annoiarmi a morte al cinema… così, di getto, butto lì “Babylon” di Chazelle e l’ultimo Star Wars di cui non voglio nemmeno ricordare il titolo come esempi di film che mi hanno fatto venire voglia di prendere e andarmene dalla sala per entrare nel primo bar aperto, cosa che non ho mai fatto perché fondamentalmente sono un taccagno e sentivo le nove carte del biglietto gridare vendetta.
Penso che l’effetto della sala venga stemperato dal numero di visioni, insomma, se vai al cinema molto spesso ti ci assuefai e finisci per vedere certi film per quello che sono: delle inutili, interminabili, spiacevoli e infelici seghe.
“i film vecchi ci risultano tutti inspiegabilmnete noiosi”
Ma parla per te
Che incredibile fazza da cinema, Richard.
Dannato George, mi hai fatto commuovere. Bella recensione, soprattutto molto sentita. Bravo
Grazie!
Visto colpevolmente tardi in una notte d’estate di comunque ennemila anni fa… negli ultimi x anni il genere sci più o meno ottimista è stato inghiottito dalle pigiamate e tutto quel di orribile che ne consegue…qualche eccezione meritevole con una visione abbastanza ottimistica e un briciolo di profondità..Arrival sul genere più dark, poi più sul commedy sicuramente anche solo per la scena iniziale strappalacrime ma anche per tutto il resto Valeryan, e seppur girato da quelloscoreggione di Abrams ma comunque partorito dal buon Steven, per il genere et Super8 , sottovalutato ma aveva tanto cuore a suo modo.
Questa la appoggio qui
https://www.youtube.com/watch?v=ZspOEa1CP4A
Questo film ha il merito di descrivere l’ottimismo come una cosa seria
Che bella frase, te la rubo!
Ricordo di averlo visto un’unica volta, in un’arena estiva all’aperto, prima metà degli anni ’80. Avevo già letto il libro, quindi nessun colpo di scena. L’ho trovato un film che si prendeva enormemente sul serio, tranne scivolare sul finale. Quando arriva l’astronave, il pianista suona il tema di cinque note e il disco volante gli risponde con una pernacchia sono scoppiato a ridere di un riso isterico e incontrollabile. L’amico con cui ero andato a vederlo mi prendeva a gomitate sibilando frasi del tipo “Smettila! Ci stanno guardando tutti!” ma io niente, non riuscivo a smettere di ridere. Era la cosa più ridicola che avessi mai visto. Alla fine ho smesso perché mi mancava il fiato. Il film non ho mai avuto voglia di rivederlo.
Da quel giorno sei andato al cinema da solo immagino
Realizzo ora che saranno decenni che non lo rivedo (ergo: provvedere), ma con questo film ho praticamente scoperto il cinema – non è un’iperbole, è stato davvero uno dei primi film visti e che mi ha mandato fuori di testa.
Domanda tecnica.
Perché non mettete più il link a justwatch in calce alle recensioni? Era di un’utilità pazzesca!
Una delle recensioni più belle che ho letto sui 400 calci (ed è un bel po’ che vi leggo con piacere).
Complimenti George è stata emotivamente coinvolgente sia per gli aspetti positivi e sia per le frecciate critiche puntuali e sacrosante.
Di questi tempi è confortante…
Per questo per me Spielberg è il regista più grande di tutti. Ha fatto anche dei film non riusciti, certo, ma è un percorso caratterizzato sempre da un’assoluta sincerità, e tutti comprendono quella che secondo me è l’essenza del cinema: ti fanno restare a bocca aperta. Alcuni una volta sola, alcuni tante volte, ma sempre almeno una volta.
Bellissima recensione George!