
You heard of shirtless Hemsworth, are you ready for accappatoioful Malkovich?
C’è che a me questo Opus, questo filmino, questo filmetto, questa cazzatina con poche pretese nonostante sia firmata A24 e già da questo (e dai colori della foto qui su) avete capito molto su di lei, questa commedia-musical-horror dove l’horror arriva ahinoi buon ultimo, che vuole fare il verso a Midsommar ma con il pop al posto del folk con tutte le conseguenze tematiche e d’atmosfera del caso, quest’opera prima volenterosa, imperfetta e soprattutto innocua, a me insomma questo Opus sta simpatico.
Che non vuol dire che sia “un film simpatico”, i film simpatici sono altri, quelli con Dwayne Johnson tendenzialmente sono film simpatici, con Ryan Reynolds, con Chris Pratt, immaginatene uno con tutti e tre insieme. Un film simpatico ti strizza l’occhio, ti carica una gag e la rilascia guardando in camera, riempie di faccette ogni suo vuoto. Opus è semmai un film che fa simpatia, ma la fa a me, eh? per una serie di combinazioni più o meno irripetibili, un mix di ingredienti che anche con una singola modifica sarebbe risultato indigesto pure a me.

Uno di questi ingredienti è Juliette Lewis.
È un film di culto nel senso che parla di un culto, del concetto di stardom, dell’universo pop e di quello dell’informazione che ci orbita intorno; di giornali, redazioni, colleghi, eventi stampa. Intuite dove voglio andare a parare? Di tutti i film ombelicali che mi potevano capitare da recensire, non mi aspettavo che ne comparisse uno che parla proprio al mio ombelico. Lo fa in un contesto vagamente satirico più che esoterico, con un’attrice protagonista che era già nel mio film preferito del 2023, un paio di miei personali feticci e un clamoroso John Malkovich, che si diverte talmente tanto nel ruolo del predicatore pazzo che stavo pensando di proporre al Senato di Valverde di istituire, per i prossimi Sylvester, il premio John Malkovich all’attore che si diverte di più nel suo ruolo sopra le righe.
E sì, è più una commedia che un horror. Anzi, è pochissimo un horror, e l’inquietudine e il senso di minaccia incombente dei suoi colleghi più tematicamente vicini è sostanzialmente assente. È un feel good folk horror. Un pop horror, quindi, appunto. Con poco di horror (l’ho già detto), un po’ di ricerca estetica su canoni già noti e facilmente associabili al genere di riferimento, e tanto, tanto attorismo. Magari sto solo invecchiando e l’imminenza dell’apocalisse mi spinge a essere più indulgente. Ci ragiono mentre mi sparo la SIGLA!
C’è questa roba che si fa nel giornalismo cinematografico e di spettacolo in generale, ovunque sia potenzialmente coinvolto un TALENT insomma, che si chiama junket, un termine in grado di suscitare terrore e raccapriccio in chiunque ne conosca il significato recondito. I più semplici li fai da remoto, e sono ovviamente esplosi dopo il 2020: ti piazzi su Zoom, ti metti nella tua bella sala d’attesa con altre centinaia di persone da tutto il mondo, dopo un tempo imprecisato è il tuo turno e a quel punto hai dai due ai cinque minuti per fare tutte le domande che riesci alla persona che hai di fronte. Per tutto il tempo, la persona dell’ufficio stampa ti pressa in chat con un conto alla rovescia. Quantomeno è roba che puoi fare indossando i pantaloni del pigiama.
Quando il o i TALENT sono in Italia (o nel tuo Paese di provenienza se ci leggi dall’estero, Fabrice), può capitare di ripetere l’intera esperienza ma di persona, con quindi meno pigiami e più puzza di sudore. Anche perché spesso queste interviste vengono anche riprese, per cui il poveraccio o la poveraccia di turno si fanno tipo sei ore sotto questi riflettori luminosissimi e caldissimi e ora della fine del junket hanno perso i chili che Christian Bale ci mise un anno di digiuni a buttar giù per L’uomo senza sonno.

Il videoinvito al junket è offerto da BOB del discount.
Poi ogni tanto ti va di culo e questi eventi avvengono in loco – su un set, un teatro, un palazzetto, uno studio di registrazione, dovunque sia che i TALENT decidano di presentare la loro nuova opera, o i suoi lavori in corso. E allora finisci nel vero dietro le quinte, vedi come funzionano davvero le cose, ti fai idee. O dovresti: la maggior parte di questi eventi sono ovviamente blindatissimi, NDA e tutto quanto, e soprattutto curati – ti facciamo vedere e sentire quello che decidiamo noi, il resto non esiste.
Al netto della segretezza sono eventi divertenti anche per i loro aspetti collaterali, non ultimo il fatto che capita quasi sempre di viaggiare con uno stuolo di colleghi e colleghe che coprono tutto l’arco parlamentare e creano un ecosistema piccolo ed effimero, una bolla nella bolla popolata da maschere carnevalesche: il direttore di testata anzianotto ma ancora fascinoso, che si diverte a flirtare con le ragazze dell’ufficio stampa e prima di salire sull’aereo si toglie l’anello; la giornalista televisiva un po’ attempata ma sempre panterosa, prontissima a lamentarsi di ogni cosa compreso il direttore di testata; uno o due stagisti caricati per far numero; il podcaster con la barba; la influencer che ti guarda come le automobili guardavano i carri trainati da cavalli.

Benvenuti al junket.
Questa menata autobiografica mi serve in realtà per dire che Ayo Edebiri (comica di eccezionale talento che qui forse per la prima volta nella carriera si propone anche come donna affascinante e seducente) in Opus vive esattamente una di queste esperienze: non capisce esattamente come, ma viene invitata insieme al suo capo al listening party dell’artista Afred Moretti, la più grande popstar degli anni Ottanta e Novanta, scomparso nel nulla ormai da trent’anni. Il suo ritorno sulle scene si intitola Caesar’s Request, ed è scritto e prodotto (come il film, d’altra parte) da Nile Rodgers.
Qui ammetto che è un po’ dove mi è esploso il cervello, nel senso: un film su una popstar che ritorna sulle scene che coinvolge Nile Rodgers. Che non ci mette solo i soldi: la colonna sonora è sua. I pezzi che John Malkovich/Moretti esegue live durante il film li ha scritti lui. Oddio, “scritti”… immagino che abbia aperto il cassetto degli inediti passabili, un cassetto grosso come la Lombardia, e abbia pescato tre pezzi a caso, e chi si lamenterebbe mai di un dono del genere? Opus è un film molto musicale, e vorrei anche vedere. I pezzi sono tremendi, eh: paccottiglia pura, neanche troppo orecchiabile o infettiva. Ma quello che il film vuole fare non è proporci grande musica ma prendere quel mondo, e chi ci gira intorno inteso come stampa e dintorni, e costruirci sopra una storia di cultismo e sacrifici umani.

LE FREAK
C’EST CHIC
LE JOHN
C’EST BONNE
non lo so scusate non parlo francese
Ovviamente c’è qualcosa di strano e inquietante nella comune quasi-hippy che Alfred Moretti ha fondato quando è sparito dalle scene, e che segue gli insegnamenti di una misteriosa religione antichissima ed esoterica che, come molte altre cose in Opus, non viene approfondita granché. Scopriamo che esiste e che ha uno scopo, ma quale? E che. ve lo devo dire io? Fatto sta che Mark Anthony Green mette in scena un film che sta sul filo del rasoio tra il folk horror classico e la commedia degli equivoci, con giusto quel filo di violenza latente utile a non farlo essere solo un film che fa ridere.
C’è qualche buona trovata, una in particolare che coinvolge una poltrona a sacco. Ci potrebbe essere dietro un discorso interessantissimo sul fatto che il pop, le popstar e le loro vite sono in fondo un’altra forma di narrazione folk intesa come popolare che porta quindi alla nascita di tradizioni miti e leggende, sto dicendo che il fatto che Paul McCartney sia morto e sia stato sostituito da un sosia è folk horror. Ma a Opus di questa roba non frega nulla, lui è interessato prima di tutto ai personaggi e agli attori che li interpretano, e solo in second’ordine all’azione e al terrore.

“Che palle, quindi è uno di quei film lì?”
È esattamente uno di quei film lì. Quei film altri che usano l’horror per essere altro. A difesa di MAG c’è da dire che non sembra uno di quelli che maneggia la materia con aria schifata perché non è elevata a sufficienza: non so se voglia essere un regista horror, ma in quei rari e preziosi momenti in cui decide di farlo, Opus non precipita nell’abisso dell’incompetenza come capita spesso in questi casi, ma anzi ti fa un po’ rosicare che non si lasci andare a sufficienza.
Perché poi se chiedete a me è quello il grande, per qualcuno insuperabile difetto di Opus: è un film un po’ innocuo. Diverte, intrattiene, strappa sorrisi e applausi, ma non turba, non disturba, non perturba. Ma proprio che non gliene frega nulla di farlo. Vogliamo dire che quantomeno in questo senso è onesto? Sono sicuro che farà incazzare parecchia gente, e non escludo che senza la serendipità dei momenti autobiografici anch’io l’avrei trovato profondamente antipatico. Invece è il contrario. Sono stronzo io?
Quote
«Sono stronzo io?»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Sicuro che Christian Bale perse chili per “Memento” e non per “L’uomo senza sonno”?
Sì era come dici tu, scemo io, correggo subito, grazie!
Quindi sono finiti anche i tempi in cui dire “Ha recitato il film in accappatoio” era sinonimo di “era lì solo per l’assegno”?
Dopo “Il Grande Lebowsky”, recitare in accappatoio è sinonimo di “stai interpetando il ruolo della tua vita”.
Carina la trovata di marketing per cui Moretti ha anche l’account su Spotify :D
https://open.spotify.com/intl-it/artist/3ktQgk9MvFpkUTLIC9QYra
1) “Essere John Malkovich vuol dire anche pagare il mutuo di John Malkovich.” cit.
2) La Juliette Lewis di quella foto avrei giurato che fosse Kathryn Hahn.
3) Uuh, ma è Tony Hale quello? Comico sottovalutato, una delle colonne di quel gioiello di Veep.
“John Malkovich! Anche tu in questo film?” ^___^
Grande citazione <3
Brofist, LaMotta!
No ma dài è davvero Gary! Mitico!! Ma che occhio hai?!? 😂
Qui solo per dire che sono sufficientemente sicuro di aver visto Bottoms ma di non ricordare assolutamente nulla
A livello di innocuità siamo dalle parti di Blink twice?
Per ora, ad aprile, il film scritto peggio che abbia visto.
Che dire, John Malkovich è un grande.
Per il resto, è il solito esercizio di postmodernismo fighetto e vagamente snob sfornato dalla A24
Ma Stanlio non aveva detto di essere un scienziato?
Ti stai confondendo con il divulgatore scientifico e romanziere Gabriele Ferrari, che gli assomiglia parecchio, ma non abbastanza da ingannare l’immigrazione di Valverde che lo ha già respinto tre volte.
Molteplici ingegni, costui! Nonché nerd da competizione, in verità!