
“Sì pronto ciao sono io, sono Trent, lo sai chi ti saluta un casino?”
E dunque eccoci qui, un’altra volta, a parlare di una produzione originale Shudder, un film piccolo e sperimentale, passatista ma non nostalgico, un thriller che thrilla in un modo tutto suo, non per forza ricevibile, sto dicendo che potrebbe anche farvi cagare, ma quantomeno interessante e personale. Si chiama Dead Mail e mi ha fatto venire in mente tre cose apparentemente scollegate.
Il primo è questa ormai vecchia cazzatona che recensii io stesso su questo sito e che si chiama ATM – Trappola mortale. Ricordo che al tempo lo pubblicizzai sui miei social raccontando l’aneddoto che una delle mie paure più ataviche e sceme insieme era quella che la mia carta rimanesse incastrata nella fessura del bancomat perché ci metteva troppo tempo a uscire, in sostanza ho la fobia del “Ritirare la tessera entro 30 secondi”. Mi è venuto in mente perché uno dei protagonisti di Dead Mail di mestiere fa il detective della corrispondenza perduta, utilizzando tutte le sue risorse intellettuali e l’aiuto di un hacker norvegese per rintracciare i destinatari di pacchi di valore il cui indirizzo è stato cancellato dalla pioggia o altre sfighe simili. Ero convinto che la paura del bancomat che esce troppo lentamente fosse molto specifica ma devo dire che il simpatico Jasper mi batte.

MVP #1
La seconda cosa che mi è venuta in mente è che c’è questo videogioco che si chiama Sunless Sea nel quale una delle location è l’isola di Nuncio, abitata esclusivamente da postini, con spiagge che vengono lambite da centinaia di bottiglie con un messaggio dentro e i sotterranei dell’ufficio postale che nascondono un immenso labirinto nel quale è conservata tutta la corrispondenza perduta di Londra. Questo per dire che evidentemente la faccenda delle lettere perdute e del loro misterioso destino, pur rimanendo incredibilmente specifica, esercita un certo fascino su un numero di persone pari almeno a 2, che è circa il doppio di quanto mi aspettassi.
Infine, c’è che Dead Mail mi ha ricordato più volte Henry, pioggia di sangue. Con meno, ehm, sangue, meno violenza, meno stupri e tutto sommato anche un filo meno di disagio, ma entrambi i film sono storie che parlano di ossessione e dei limiti oltre i quali ci si spinge per soddisfarla. Entrambi i film sono anche storie anni Ottanta, e se quello di John McNaughton lo era per una mera questione cronologica, quest’opera seconda di Joe DeBoer (il terzo fratello) e Kyle McConaghy sceglie quel periodo per ragioni narrative, e lo racconta senza un’oncia di nostalgia o mitizzazione. Bravi! SIGLA!
Dead Mail è una storia di ossessione ed è girato di conseguenza. Il cold open è classicissimo ma efficace: un tizio legato e sanguinante scappa strisciando dalla cantina di una casa e si trascina fino alla più vicina casella postale, dove riesce a infilare un bigliettino altrettanto insanguinato prima di venire colpito alla nuca da una figura misteriosa. Il prosieguo è ancora meglio, arriverei persino a usare il termine “fulminante”. Siamo in un ufficio postale, e due signore stanno svolgendo il loro bizzarro lavoro di recuperare lettere e pacchi il cui indirizzo è illeggibile e provare a ricostruirlo e far arrivare la missiva a destinazione. Quando nelle loro ricerche trovano un oggetto di valore, lo portano nel segretissimo sotterraneo dove lavora Jasper, lo Sherlock Holmes della posta perduta.
È qui che scopriamo che DeBoer e McConaghy amano i primissimi piani, soprattutto sbilenchi, e i montaggi da thrillerone applicati a qualcosa di incredibilmente mondano come lo smistamento della posta. Jasper riceve una catenina e comincia a indagare: legge la lettera allegata, sottolinea passaggi che possano dare riferimenti geografici, comincia a telefonare in giro per l’America per restringere ulteriormente il campo, si affida persino al succitato misterioso amico hacker norvegese che giuro è veramente un hacker norvegese che vive in una cantina buia e in perenne penombra motivo per cui non lo vediamo mai davvero in faccia. Tutto raccontato a botte di dettagli, di particolari, di minuzie visive che vengono inquadrate con un gusto quasi documentaristico. Ogni cosa che succede in Dead Mail, e non solo nell’ufficio postale, ci viene mostrata molto da vicino, e l’effetto sta esattamente a metà tra la pornografia e il disorientamento.

La sentite proprio già dalla foto che sta dicendo “mm-mm”.
Dico “non solo nell’ufficio postale” perché ovviamente il cold open viene immediatamente ripreso: il bigliettino insanguinato finisce non si sa come (lo si scoprirà molto dopo, in una scena che mette a tacere ogni possibile critica tipo “ma questo non ha senso!”) proprio nelle mani di Jasper, che viene prima respinto, poi incuriosito, infine trascinato in quel buco nero di disperazione e chiodo fisso che è il secondo atto. Nel quale il povero Jasper scompare dalla scena per tre quarti d’ora buoni: una volta spiegata la situazione, Dead Mail fa un passo indietro e comincia a raccontare la storia di Trent, il misterioso rapitore, e Josh, il rapito.
A proposito di robe molto specifiche, e dell’assenza di nostalgia: Josh e Trent hanno una passione in comune, quella per i synth artigianali, solo che il primo ha talento nel costruirli, il secondo solo tanto entusiasmo, e appena intuisce che il suo partner ha cominciato a prendere contatti con il Giappone per fare il salto di qualità nel suo artigianato sbrocca, e chiude Josh in cantina con i suoi strumenti. È tipo Misery non deve morire, o Misery deve suonare se preferite. Il tutto raccontato con questo ritmo paludoso e sgranato tanto quanto l’immagine, e come dicevo prima senza un grammo di nostalgia.

C’è più nostalgia degli anni Settanta in certe immagini che degli anni Ottanta in tutto il resto del film.
Gli anni Ottanta servono come sfondo temporale per evitare di rovinare subito questa storia di rapimenti con menate relative a smartphone, GPS, telecamere di sicurezza e tracciabilità. Ma a proposito di tracce, non ce n’è alcuna di quello che negli ultimi anni è diventato il modo standard di raccontare quel decennio: non ci sono camerette con i poster dei nostri film preferiti, né biciclette, né piccoli ridenti paesini di provincia, non ci sono walkman o colori fluo. È anzi tutto grigio e verde, buio e cupo, squallido in quel modo universale che non grida per forza “anni Ottanta!” ma solo “la gente fa schifo!”. È un’ambientazione raccontata con sobrietà e senza tentazioni mitopoietiche, e d’altronde né i synth costruiti a mano né le lettere perdute dell’ufficio postale fanno parte del “pacchetto Eighties” che sta mandando in bancarotta creativa un’intera industria che si è fissata con quegli anni.
C’è anche, in Dead Mail, una certa originalità nel modo in cui è costruita la vicenda. Non parlo solo del fatto che il film è un sandwich, con il primo e il terzo atto che fanno da fette di pane intorno a quel bel prosciuttone che è il secondo atto tutto ambientato a casa di Trent e nella sua cantina, ma anche e forse soprattutto del modo in cui vengono gestiti i personaggi, della fine che fanno e del peso che in fin dei conti avranno all’interno della storia. Arrivo persino a dire che ciascuno dei tre atti ha un protagonista diverso, e il gioco è farli incontrare e scontrare in occasione del gran finale.

Gli anni Ottanta come non ce li ricordiamo.
Che poi, parlo di “gran finale” ma il bello di Dead Mail è anche che, quando meno te lo aspetti, ti spara in faccia tutto l’understatement di cui è capace, e rifugge tutte le soluzioni più semplici perché più esplosive. Più di ogni altra cosa, questo film è la storia del pazzo pazzissimo Trent, uno dei “cattivi” più sfuggenti e complessi che mi sia capitato di vedere in un film di genere da parecchio tempo a questa parte. E Trent fa le sue cose, le sue scelte, che non per forza coincidono con quello che un pubblico assetato di sangue si aspetterebbe.
E va bene così, anche e soprattutto perché John Fleck, una carriera da piccolo caratterista al cinema e in TV, è gigantesco nei panni di questo strano tizio (omosessuale ancora nell’armadio? Forse, è una delle ipotesi, Dead Mail sta molto attento a non fornire risposte inequivocabili) con la fissa per i synth. Vedetela così: se non stessimo parlando di un film uscito su Shudder ma di qualcosa di anche solo vagamente tangente al mainstream, Fleck si meriterebbe una nomination agli Oscar. Aspettatevi quindi di vederlo tra i candidati agli unici premi cinematografici che contano.

C’è questa fissa nel film di far mangiare la gente con le mani, e sono sicuro che ha un qualche senso ma non l’ho ancora individuato.
Dopodiché, volete le cose brutte? Ce n’è una in particolare, ovvia prevedibile e scontata: Dead Mail dura un’ora e quaranta e avrebbe anche potuto fermarsi ai novanta minuti canonici, e tagliuzzare un paio di sequenze nelle quali il film si limita a girare a vuoto e ripetere cose già dette. Basta, tutto qui, non ho altro di male da dire su questo film vostro onore. Se non ribadire un’ultima volta che se siete in cerca di disagio e atmosfere sospese e tensione crescente ma non per forza esplosiva, Dead Mail è il thrillerino che fa per voi. Se poi vi dovesse fare cagare, oh, io vi ho avvertito che c’era questa possibilità, siete voi che non mi avete ascoltato.
Quote
«Henry, pioggia di buste»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
“mi ha fatto venire in mente tre cose apparentemente scollegate”
Visto il tema confidavo che almeno una delle tre fosse il fenomenale Going Postal del geniaccio Pratchett, e invece nulla, peccato. Per chi non lo avesse mai letto (ovviamente in originale visto che non lo hanno mai tradotto, per fortuna), è ora. Mi ringrazierete poi.
Grazie, non mi era venuto in mente ma avrebbe dovuto, capolavoro.
Ci hanno fatto anche un adattamento TV, una quindicina d’anni fa.
L’adattamento tv è bellissimo.
L’adattamento tv è eccezionale per la recitazione, con un Lord Vetinari strepitoso (Charles Dance, un fuoriclasse), e una Claire Foy gnocca clamorosa. Purtroppo hanno rimaneggiato un pò troppo il testo originale per i miei gusti. Ma comunque assolutamente da vedere. Per fortuna lo si trova anche sul tubo.
Gli adattamenti TV di Pratchett (quello, Hogfather, Il colore della magia) sono tendenzialmente tutti tra il buono e l’ottimo, recuperateli senza dubbio!
Going Postal e Hogfather sono obbligatori, grandissima recitazione con attori di altissimo livello, Il colore della magia proprio non l’ho retto, ancora non mi spiego perché abbiano scelto un Rincewind ultrasettantenne, assurdo. D’accordo che nei libri non ha un’età ben definita, ma è comunque abbastanza giovane, nell’adattamento è completamente fuori età. Ma perché?
Piuttosto divertenti anche gli adattamenti animati di Soul Music e Wyrd Systers. Meriterebbe moltissimo anche una trasposizione di Moving Pictures. La scena finale di King Kong a parti invertite mi fa ancora ridere ogni volta che la immagino. Pratchett era un grande, e meritava un credito che però avrà solo tra qualche decennio. Purtroppo funziona così.
Ma a me sta storia della terra piatta (una pizza), sopra quattro elefanti, su una tartaruga che viaggia nel cosmo mi fa impazzire. Spazio..ultima frontiera….
In realtà è la descrizione del mondo nella mitologia induista. Pratchett pescava idee ovunque, se erano abbastanza assurde per i suoi scopi.
Si, hai ragione, ha preso da altre culture e mescolato il tutto. Ma che bella Fantasia! Il mio animale guida, come si dice, è l’Elefante, me lo sento… quindi Ganesh. E ancora: Sspazio, ultima frontiera….
Ieri mi sono visto tutto “Love, death + Robots”, quarta stagione.
LINEA DELLO SPOILER.
C’è un episodio che si chiama “Close Encounters of the Mini Kind”. Una sorta di Guerra dei mondi vista dal microscopio dove noi umani siamo sotto analisi. Arrivano gli alieni, lottiamo…loro vincono. E un buco nero inghiotte la terra. Poi la telecamera si allontana fino a vedere tutta la nostra galassia.. E della nostra fine si sente.. una scoreggina. Pruut. Fantastico
Mi hai venduto sia il film che il videogioco Sunless sea.
Se poi ti piace (non è scontato, è un gioco molto strano e ti deve piacer leggere) gioca di corsa anche il sequel, Sunless Skies, che per certi versi è anche meglio.
hello, delicious friend!
Alcune idee potrebbero pure essere interessanti ma è sicuramente il film con cui mi sono più annoiato quest’anno. Lo hai detto, alle volte gira a vuoto e ripetenle cose ma per non ripeterle doveva durare molto meno di 90 minuti perché è estenuante. Poi, magari problema mia, di una banalità disarmante e molto, molto prevedibile. Tranne il finale che è semplicemente una roba brutta. Scusatemi.
L’ho visto. Surreale. Ho apprezzato la colonna sonora, la fotografia tremolante, i colori. Anche l’occhio sui dettagli. La storia mi intrigava. Ma: il tipo che aiuta Jasper non si sa chi è, e soprattutto come fa a fare ciò che fa, ed è l’unico motore per far procedere il film. Una soluzione facile. Il finale anticlimatico fa cagare. Quindi, anche no.
hello, delicious friend!
C’era un romanzo di Clive Barker in cui un tizio lavorava all’ufficio posta inevasa d’America, coglieva il NESSO fra ogni singola lettera smarrita e diventava onnipotente.
Chiunque incontrasse voleva fargli un pompino e operava miracoli neri piazzandosi nudo in posizione del loto e richiamando psichicamente vermi, scarafaggi, scorpioni e ogni altra possibile bestiaccia affinché gli brulicassero sui genitali finché eiaculava.
Si stabiliva in una città di provincia e faceva uscire dai teleschermi gli attori delle soap che chiavavano le casalinghe.