Poco più di dieci giorni fa si parlava del con il Mario Brega di Tel Aviv, una discesona nei meandri della parte più grottesca e assurda della società israeliana attraverso il vengeance movie. Insomma un filmone di vendetta che dice tantissime cose mostrando la parte più pornografica del vendicarsi, non la poesia della caccia o lo struggimento romantico della ricerca ma l’infamia dell’esecuzione. Ecco non ve l’avevamo detto per non impressionarvi ma i film che nel 2013 hanno fatto questo tipo di lavoro sono due (in realtà ve l’avevamo detto ma nei commenti, un easter egg per i più duri e puri). Blue Ruin è l’altro. Che cosa significhi esattamente il titolo nell’economia del racconto io non l’ho capito, per me non centra una beneamata mazza, se lo capite voi bravi. Poi me lo spiegate.
Ad unire Big Bad Wolves e Blue Ruin non è solo la ricerca della parte meno epica e piacevole della vendetta ma anche un approccio molto distante. Niente partecipazione diretta o spirito di identificazione, anche Blue Ruin si fonda su un generale disprezzo del protagonista attraverso l’umorismo, non un eroe dalle pure intenzioni ma un deficiente poco capace e molto ridicolo. Ma andiamo con ordine e smettiamola di parlare di un film paragonandolo ad un altro fatto da un’altra persona, in un altro paese, per altre ragioni e più o meno contemporaneamente.
Ciò che già mi acchiappa dopo pochi minuti di Blue Ruin è il suo partire in media res (lo fa anche BBW, ma lo giuro questa è l’ultima volta che li metto a confronto) con un barbone (capelli lunghi e sporchi, barba selvaggia, vestiti logori) che vive nello schifo e fruga nei rifiuti a cui la polizia deve dare una notizia. In paese lo sanno tutti perchè lui si è ridotto così e ora che c’è questa notizia da dargli il rischio è che succeda qualcosa di brutto, quindi la polizia lo porta in centrale solo per dirglielo con calma. Sta per uscire di prigione l’uomo che ha ucciso i suoi genitori e (lo capiamo) gli ha fottuto l’esistenza. La reazione non è terribile come si aspettavano tutti ma tornato a casa il barbone fa quello che fanno le persone nei film per mostrare a tutti che sono cambiati radicalmente: doccia, taglio dei capelli e della barba, vestiti buoni. In pochi attimi diventa una specie di impiegato delle poste, un uomo in camicia con la riga da una parte.
Il film inizia qui, con la trasformazione da freak in uomo che più comune non si può e cioè in macchina per la vendetta.
Quante armi servono per vendicarsi? Quale grado di sopportazione del sangue? Quale conoscenza della balistica? Quante sono le persone delle quali occorre sbarazzarsi per considerare una vendetta terminata? Da chi si comincia? Ha senso vendicarsi se non si spiega alla vittima il perchè? Quanto si deve essere sicuri delle proprie motivazioni?
Il lungo percorso, i fallimenti comici e la riuscita violentissima dei tentativi di vendetta, quello che chiamano e le conseguenze per il protagonista sono un unico lungo riproporre queste domande puntigliose e dettagliate. E’ quel tipo di minuziosa pianificazione che svela l’assurdo e la follia dietro il gesto. Non pare folle vendicarsi dell’omicidio di un parente ma quando cominci ad analizzare cosa implicare fare tutto ciò l’impresa assume i connotati senza senso che realmente ha. Si chiama mettere in dubbio non solo un’idea ma tutto un cinema che l’ha promossa e farlo con le armi dell’action migliore (nell’ultima parte c’è una sparatoria con armi sotto i divani, lì nell’antro del male che è epica).
Il brav’uomo che ha scritto, diretto e fotografato il film è Jeremy Saulnier (IMDb mi suggerisce aver realizzato già un altro film chiamato Murder Party, che brava persona!), non ha fatto il classico B movie, nè ha la voglia di fare quel che si faceva una volta con i film di vendetta, cioè dare soddisfazione. Quando la vittima va a ribeccare l’assassino della moglie o l’eroe solitario vaga per decenni con in mente solo l’idea di vendicare la morte della figlia quello che quei film facevano era frustrare lo spettatore fino al gran finale in cui nella maniera più soddisfacente possibile si scatenava l’applausone con una morte efferata dell’incarnazione del male. Palingenesi, catarsi, soddisfazione, bestemmione purificatore e tutti a casa.
Ecco no, Jeremy Saulnier non vuole fare questo e che questo film non ci darà quel che ci aspettiamo lo si capisce quando il neo impiegato, nonchè killer alle primissime armi, va dalla sorella per darle la notizia che l’omicida dei loro genitori sta per uscire dal carcere. Sono in un fast-food e hanno un conversazione scritta e recitata benissimo, un crescendo drammatico non da poco interrotto da un ciccione che gli chiede di passargli la mostarda. Questo non è il cinema dei vostri genitori, non siamo qui per fare quel che vi aspettate, non siamo qui per darvi quello che volete. Siamo qui perchè tutto questo ha una forte componente di ridicolo e non mancheremo di sottolinearlo in tutti i modi.
Ecco, nonostante sia un bel filmone colmo di tutto quello che fa un vero thriller (c’è un grandissimo gioco del gatto con i topi in una casa vuota, reso grottesco dall’uso di una molto cool e molto poco funzionale balestra) il ridicolo è la parte determinante di Blue Ruin, che pur non disprezzando la tensione e l’efferatezza non dimentica mai come tutto questo grande atto del vendicarsi che il cinema ha promosso per decenni donandogli l’aura mitica dell’impresa eroica, beh è una cosa da deficienti. Non solo porta solo guai, perpetuando la violenza e trasformandola in altra violenza (che ne chiama a sua volta altra ancora) ma è anche un’impresa che implica un grado non indifferente di azioni ridicole. Specie se attuata da gente comune. Per questo c’è anche il miglior ex amico del liceo di sempre, un uomo fenomenale a cui ad un certo punto si rivolge il protagonista perchè si ricorda che una volta aveva la passione per le armi. Un passaggio epico in cui il meno strano dei due è quello che chiede: “Ehi ti ricordi di me, eravamo in banco insieme, che per caso hai dei fucili da prestarmi?”.
Io dopo BBW e questo film non guarderò mai più alla stessa maniera un film di vendetta e di questo gliene sono grato, perchè non c’è niente di meglio di film che ti cambiano la percezione che hai dei fatti e che segnano un punto così forte dal quale non si può tornare indietro che da quel momento continuare a realizzare i film come prima, semplicemente, suona antiquato e superato.
Dvd-quote:
“Non ho mai visto pisciare su una tomba con così tante buone ragioni”
Jackie Lang, i400calci.com
Grazie della segnalazione.
Da una QA con il regista una pseudo spiegazione del titolo:
manco lui sa che vuol dire….
“Un film così, di gente che spara con armi automatiche tenendole con una mano sola”
Ma soprattutto TENENDO GLI OCCHI APERTI !!
Complimenti alla signora. Veramente.
venduto dai.
Segnalo un blue movie di Alberto Cavallone…ricordo poco solo che c’entrava la merda…
Un po’ di editing avrebbe giovato parecchio al pezzo.
Ma la storia della “mostarda” è solo per trollare e strizzare l’occhio alla componente di ridicolo di cui parlate subito dopo?
L’editing non c’è su nessun pezzo, neppure un semplice correttore ortografico, credo sia una scelta editoriale, ma chissenefrùà. Venduto jackie, anche se ‘sta cosa del ridicolo per cambiare la percezione della vendetta l’hai ridondata un po’, va be’ che siamo craponi, però..
Devo dire che ho fatto una gran bella dormita guardando sto film
son riuscito a vederlo finalmente… CHE BOMBA! Alla mezz’ora la tensione era talmente alta che ho dovuto mettere in pausa 5 minuti per calmarmi. Poi ho retto fino alla fine gridando svariate volte allo schermo i miei preziosi suggerimenti
Visto ora.
Stupendo.
A breve recupero Green Room
Finalmente arrivo anch’io: gran film. Alla fine però l’amarezza era così tanta che sono andato a farmi un amaro.
Visto oggi con molto ritardo. Carino.
Visto l’altra sera. Decisamente meglio della media dei prodotti disponibili.
Per quello che può servire, riporto ciò che ho letto sul significato del titolo: stando alle dichiarazioni del regista, “Blue ruin” is an expression meaning “complete and utter ruin, desolation.” It’s a nostalgic, nihilistic, twilight state of being. This is the state in which Dwight permanently exists.
Personalmente aggiungerei che non è un caso che l’auto in cui vive il protagonista sia blu e ridotta a un catorcio. Tra l’altro, proprio questa macchina (o meglio le sue chiavi) è la causa scatenante del precipitare degli eventi.