A voi LE BASI, la rubrica in cui stabiliamo e blocchiamo le fondamenta del Cinema da Combattimento in modo da essere tutti in pari. Ci avete chiesto di completare la filmografia di John Milius includendo anche i film “minori”: vi accontentiamo. Buona lezione.
Nella primavera del 1877 il grande guerriero dei Cheyenne del nord Wooden Leg, che combattè contro Custer nella celebre battaglia di Little Bighorn e prese parte a quella delle Black Hills, concordò la sua resa.
I Cheyenne del nord furono una delle ulime nazioni native ad arrendersi e intraprendere quello che venne chiamato “Trail of Tears”, il “sentiero delle lacrime” lungo il quale le tribù viaggiarono per essere rilocate nelle nuove riserve, lontano dalle loro terre d’origine.
Wooden Leg fu uno degli ultimi grandi guerrieri ad arrendersi, lo fece onorevolmente e ragionevolmente per il bene della sua tribù, avendo visto che una ulteriore resistenza avrebbe portato solo altra morte inutile. Concordò nuovi territori dove stabilirsi e cercò una mediazione con l’esercito degli Stati Uniti d’America, negli anni di pacifica e proficua successiva collaborazione collaborò come scout con l’esercito contro le storiche tribù rivali dei Crow e divenne un giudice degli Stati Uniti presso il suo popolo.
La sua storia, consegnataci dalle cronache del suo amico Dr. Thomas Marquis in quel libro meraviglioso che è “Wooden Leg: a warrior who fought Custer” oltre ad essere un eccezionale documento storico e antropologico sulla vita dei nativi delle praterie è anche la cronaca di tutta una serie di cose che aiuta a fare luce sul rapporto ambiguo e assolutamente non scontato che intercorse tra le nazioni native e i bianchi, soprattutto l’esercito degli Stati Uniti. Rapporto che molti danno per scontato ma che non lo è. Una serie di cose che aiuta quindi a vedere sotto la luce giusta un film particolare come Geronimo di Walter Hill.
Geronimo fu nel 1886 l’ultimo grande guerriero indiano ad arrendersi, a differenza di Wooden Leg era del Sud degli Stati Uniti, un Apache dell’attuale New Mexico e più precisamente un Bedonkohe o Chiricahua, dato che sotto il nome comune di Apache vanno varie tribù native del sudovest degli USA. A differenza di Wooden Leg, Geronimo caparbiamente combattè fino all’ultimo e finì braccato, arrestato ed esiliato irreversibilmente. Storicamente gli Apache erano una popolazione molto bellicosa, nota per la ferocia in battaglia e compatibilmente con questa connotazione Geronimo agì di conseguenza. Curioso destino per un uomo il cui vero nome in Chiricahua, Goyathlay, significava “colui che sbadiglia”.
Combattè contro i Messicani prima, con l’esercito americano poi e alla fine con tutti e due assieme, senza mai arrendersi e conquistandosi oltre il timore anche il rispetto di chi lo braccava. La sua vicenda è emblematica di quella succitata ambiguità: prima nemico, poi pacificato avendo accettato di provare a vivere in una riserva, di nuovo nemico una volta trovata inaccettabile quella vita e fuggito dalla riserva e poi una celebrità del suo tempo durante il suo esilio in prigionia di guerra e ormai vecchio, celebre al punto di sfilare in parata assieme a Roosvelt. Questo spirito è riportato con fedeltà nel film di Walter Hill che narra gli eventi a ridosso della sua cattura nel 1886, nella cosiddetta “Campagna di Geronimo”.
Ora: se avete familiarità con Walter Hill saprete che non è un regista che ama servire buoni e cattivi in piatti distinti, sono sempre sfumati i connotati di chi-è-cosa, perché è un regista che spesso porta sullo schermo dei conflitti e nei conflitti va così. Stessa cosa per Milius, col quale spero invece abbiate più che familiarità arrivati a questo punto della rassegna.
I due li avevamo visti già collaborare in una puntata precedente con Ricercati: ufficialmente morti e qui si ritrovano un lustro dopo ad affrontare di nuovo il tema -con la maggiore maturità che un film storico comporta- di due uomini caparbi che si affrontano, che tutto sommato si rispettano ma che la vita ha messo uno contro l’altro irreparabilmente.
Un film di facce giuste per i ruoli questo Geronimo:
Wes Studi nel ruolo dell’indomito apache titolare.
Gene Hackman nei panni del generale Crook, veterano ufficiale propenso alla pacificazione e guidato da un grande rispetto per gli Apache, presso i quali è chiamato “Grey Wolf”.
Jason Patric nel ruolo del perfettino pragmaticamente americano ma decisamente filo-indiano sottotenente Gatewood.
Robert Duvall nel ruolo dello scout ferocemente anti-indiano Al Sieber.
Matt Damon nel ruolo del pivello sottufficiale Davis, attraverso le cui memorie il film viene raccontato.
È un film corale, in cui ci sono tante anime e tanti personaggi, ognuno col suo motivo per essere lì e ognuno col suo motivo per volersene chiamarsene fuori, ognuno con i suoi motivi per detestare l’altro e ognuno con i suoi motivi per rispettarlo, tutti suscitano sentimenti contrastanti.
L’esercito degli Stati Uniti frammentario nelle sue anime come è: i burocrati e grandi ufficiali da Washington che miopemente vogliono l’eliminazione a tutti i costi del “problema indiano” e i militari sul campo che hanno il polso della questione e hanno imparato a rispettare il loro malgrado avversario.
Così come all’interno di questi ci sono ulteriori contraddizioni: Robert Duvall che come il suo precedente personaggio Miliusiano Kilgore in Apocalypse Now è lì per fare quello che deve fare senza particolare accanimento, quindi stana il nemico ma ha rispetto per chi combatte con onore e nelle fila della cavalleria e al suo fianco c’è il leale e fedele scout apache Mangas e nonostante sia decisamente per la repressione degli indiani non esiterà a prendersi una pallottola per salvare l’onorevole scout.
Allo stesso modo i nativi hanno anime diverse, dagli apache mansueti e che vogliono una pace duratura e proficua con i bianchi al manipolo di ribelli di Geronimo che coraggiosamente e cocciutamente si ribellano, con violenza, minacciando la salvaguardia e futura tutela anche dei pacifici. E non mancano sia i dissapori all’interno della stessa tribù che le schermaglie con quelle vicine, facendoci sentire come anche il mondo indigeno non aveva un solo volto, spesso appiattito nella narrativa dietro la maschera del “buon selvaggio” tanto quanto dietro quella dell’avversario feroce e senza volto.
Walter Hill per questa pluralità di punti di vista voleva infatti che si chiamasse Geronimo’s War, proprio perché il protagonista non è il solo Geronimo ma il vasto e multicolore contesto in cui visse gli ultimi anni da uomo libero.
Girò il film nei luoghi di John Ford e tutto il film è un omaggio alla composizione dell’inquadratura fordiana, così come i personaggi in fondo un aggiornamento di quelli del suo Fort Apache, quello di John Wayne in testa. E nel citare uno dei suoi maestri si diverte evidentemente tantissimo, con inquadrature magniloquenti e disegnatissime ambientate per l’appunto nelle stesse location di Ombre rosse dello Utah meridionale ai confini con l’Arizona, il Moab. Una nota curiosa: Matt Damon, qui ai suoi inizi, mollò Harvard per girare questo film e dedicarsi del tutto al cinema.
È un film complesso, in cui ovviamente la sceneggiatura di Milius glorifica Geronimo ma lo fa mostrando lo smagliato contesto in cui il suo eroismo feroce ebbe motivo di esistere. Un film con un eroe atipico, di cui non si mitiga la ferocia ma perché la sua ferocia fu nulla a confronto dell’epilogo tragico della questione indiana e della sua gente. In alcuni momenti mi ha ricordato A distant trumpet, film del 1964 che vede dei combattuti ufficiali dell’esercito disertare pur di mantenere i patti presi con i Chiricahua in uno dei film più revisionisti e idealisti della sua epoca. Ma qui per l’idealismo non c’è spazio c’è solo l’amarezza della cronaca e nessuna pillola viene indorata, un’ottica così particolare che spiazzò il pubblico e la critica, tutti spaesati di fronte ad un film con pochissimi punti cardinali morali, che non concede terreno a nessuno degli archetipi del western anche revisionista e che probabilmente per questo non ricevette il giusto riconoscimento. Le tribù native apprezzarono invece la voglia di obiettività del film, per ambo le parti, a segno di un’apertura verso gli altri che continuano ad avere in misura maggiore degli americani ancora oggi.
Il film si chiude ovviamente con la summenzionata cattura di Geronimo e la sua deportazione nell’Oklahoma di Wooden Leg assieme agli altri Apache, pacifici e non, incluso persino chi aveva servito come Mangas sotto l’esercito degli Stati Uniti, venendo meno alle promesse di integrazione post resa. Come già detto a differenza degli altri della sua tribù a Geronimo verrà sempre negato di tornare nella sua terra, come estrema punizione per la sua non pacifica resa. A ricordarci che pagina vergognosa fu c’è a riguardo proprio una frase del vero George Crook:
“Di tutte le cose orribili di questa guerra la più ignobile è stato il non mantenimento della parola data agli Apache”
Nonostante il tono epico del nostro John sia un po’ messo da parte in favore dell’affresco storico, Geronimo è un film assolutamente suo, con personaggi suoi e dialoghi non da meno. Come sono tutte sue le piccole ma nitidissime digressioni antropologiche che mostrano la vita dei popoli dei deserti. Il rispetto con il quale venne approcciata la narrazione di questa storia è rivelato da un curioso anneddoto di lavorazione: prima della lavorazione venne chiesto ad uno sciamano di intercedere attraverso un rituale con l’anima di Geronimo onde chiedergli il permesso per girare il film. Il primo giorno di riprese tutto dovette essere fermato a causa di una tempesta di sabbia, che però venne interpretata dallo sciamano come un segno favorevole, una manifestazione benaugurale della forza indomita di Geronimo.
Nettamente meno baldanzoso e aggressivo del Milius della prima parte della nostra rassegna, qui entra in una fase più riflessiva della sua carriera e si sposa benissimo con il Walter Hill del western crepuscolare de I cavalieri delle lunghe ombre e Wild Bill, un Walter Hill che firma un film politico senza infarcirlo di supponenza e muscolare senza appesantirlo con la boria.
Uno dei pochi grandi western degli anni novanta, probabilmente il più sottovalutato.
DVD-Quote suggerita:
“Uno dei pochi grandi western degli anni novanta, probabilmente il più sottovalutato”
Darth Von Trier, i400calci.com
Mi segnerò questo film come da vedere!
È un film che senza alcun timore affonda le radici nei luoghi e nei temi tipici del Western e soprattutto lo fa calando tutto nell’atmosfera tipica delle epoche che finiscono. Ovviamente anche qui nessuno ha ragione, o meglio chi ha ragione (da vendere) è stato superato dalla storia in maniera irrimediabile. Nessuno stato ottocentesco avrebbe potuto sopportare la presenza di gruppi così numerosi e armati che ne contestassero l’autorità in maniera tanto radicale. Peraltro avendone ragione piena.
Qui si parla del più forte che con le buone o con le cattive farà fare al debole quello che dice e dopo che il debole accetterà le condizioni capestro e unilaterali queste comunque verranno cambiate e rese ancora più dure. E nessuno potrà farci proprio niente.
Intendiamoci non lo metterei nemmeno fra i primi 5 di questa rassegna, ma più che altro perché abbiamo quasi sempre parlato di film grandissimi.
Purtroppo credo che uno dei motivi per cui il Western è in crisi sia l’impossibilità di utilizzare gli indiani. Come cattivi è impossibile visto che questa è l’epoca del politicamente corretto. Come buoni è impossibile perché il pubblico di riferimento non vuole riconoscersi in un perdente che è stato massacrato dai propri nonni. Del resto ormai l’americano medio ormai immagino che lo sappia e non gliene fotte più di tanto, oltretutto in cambio delle praterie gli hanno dato i casinò. Ad altri è andata persino peggio.
ecco, non sapevo che qui ci fosse lo zampino del nostro John, e devo dire che l’accoppiata con Hill proprio non è male
Ottima recensione.
All’epoca, pur già ammiratore incondizionato di Hill (anche di Milus ma non sapevo del suo apporto al film) confesso che mi deluse un poco. Lo trovai un po’ noioso ingabbiato com’era nella Storia con la maiuscola.
Con gli anni l’ho rivalutato alla grande, apprezzandone il tono virile e severo, come anche la coraggiosa anti-spettacolorità: la mancanza di catarsi, le scene di violenza velocissime e improvvise.
Non ho capito bene la frase “Val Kilmer che se ne frega e chiude gli occhi davanti alle razzie dei suoi uomini presso una casa abbandonata”… o avete confuso i film o avete dimenticato di dire che è una scena di “The Missing”, non di “Geronimo”
@Tommaso
Hai ragione, li ho rivisti a 24 ore di distanza uno dall’altro e ho confuso quella scena.
Correggo subito.
“The Missing” è un altro caso di cui vorrei parlare, tra l’altro.
The Missing mi garba assai!
Buon film , ma per quanto mi riguarda sarebbe stato potuto essere anche meglio i personaggi di Damon e Patric e concentrandosi sul personaggione del cacciatore di Duvall e dello scout indiano, con Hackman e Wes Studi(un peccato che, tranne in Heat, lo si veda solo in questi ruoli) a supporto.
Poi non vorrei dir cazzate, ma nell’intervistona per ign postata all’inizio della raccolta, ricordo che il john si lamentava del film perché poco fedele alla scenaggiatura, qualcuno ne sa qualcosa?
Filmone questo
@john matri: hai ragione. Che poi anche lui lavora poco, è un po’ l’equivalente nativo di trejo. Ma soprattutto, in mezzo a tutti i ruoli indiani suoi, è stato SAGAT
“sarebbe stato potuto essere”
oh cristo…
@senegal: dimenticanza imperdonabile, unaltro classicone da rivedere.
@Steve Senegal @John Matri: Lavora poco perchè, come lui stesso afferma, accetta prevalentemente ruoli di personaggi indiani (pur con qualche eccezione)
@munky bè sì, 85 credits come attore su imdb… sta lavorando poco