Che anno è stato il 1984, signora mia? La risposta la sapete già: ammirevole, per tutta una serie di ragioni che non sto qui a rispiegare altrimenti famo notte, per cui do per scontato che negli ultimi mesi siate stati tutti attenti. Ma il 1984 è stato importantissimo anche per un’altra ragione, di cui finora non si è parlato. Una ragione storicamente fondamentale ma in retrospettiva anche molto triste: è l’anno che segna la fine del poliziesco in Italia. “E me lo dici così, caro George Rohmer, che dopo mi piglia tutto un magone che non riesco a scrollarmi di dosso neanche ascoltando un disco dei Goblin all’incontrario ed evocando lo spirito di Demetrio Stratos sacrificandogli un capretto?”. E come te lo devo dire, caro lettore? Certe cose bisogna dirle papali papali, ché la realtà va affrontata di petto, per brutta che sia.
È il 15 agosto 1984 quando esordisce nelle sale italiane Delitto al Blue Gay, l’ultimo film del secondo ciclo di avventure del maresciallo Nico Giraldi, alias “Er Pirata”, alias la versione sbirro del Monnezza (Nico NON è ufficialmente il Monnezza, checché* ne dicano i Vanzina, ma insomma, siamo lì) e Bombolo. Si tratta del sesto episodio della serie “Delitti”, se contiamo anche Assassinio sul Tevere, e dell’undicesimo in generale, se contiamo a partire da Squadra antiscippo del 1976. In mezzo ci sono otto anni cruciali per il genere del poliziesco all’italiana, passato nel frattempo da degno erede del western in quanto genere action popolare per eccellenza a parodia di se stesso. Otto anni intensi, vissuti pericolosamente a bordo di moto, alfette e ambulanze lanciate ai duecento all’ora nel mezzo di centri abitati o superstrade (true story), in barba alle forze dell’ordine e spesso alla coerenza narrativa, ma animati da una forza creativa che cancellava ogni difetto in nome dell’adrenalina e del sano divertimento. Otto anni per affossare per sempre non solo un genere, ma un’industria. Come cazzo hanno fatto? È presto detto: il modello produttivo italiano è sempre stato follemente bulimico, appena si vedeva che una formula funzionava la si riproduceva alla nausea fino a saturare il mercato. È lo stesso meccanismo che ha segnato il tramonto del western italiano e ne riparleremo. Ma prima concentriamoci un attimo sul film in questione.
Delitto al Blue Gay non è un bel film. Non è nemmeno, a conti fatti, poi così calcistico. Quando ho proposto al Capo di trattarne nello Speciale 1984 avevo già in mente di sfruttarlo per parlare del tramonto del poliziottesco, ma speravo anche di riuscire a cavare qualcosa dal film stesso. Invece si è rivelata un’impresa impossibile: di azione, in Delitto al Blue Gay, non ce n’è manco per scherzo. Sì, ok, ci sono giusto un paio di scene clou di inseguimenti o scazzottate, ma proprio all’acqua di rose. Come ha scritto qualcuno, il Mereghetti mi pare ma non ho voglia di controllare perché già mi vergogno abbastanza per aver citato il Mereghetti, la transizione da poliziesco a cinema-barzelletta era compiuta. È vero: basta guardare Delitto a porta romana, di qualche anno prima, per vedere come, benché anche lì si trattasse di un gialletto più che di un poliziesco, c’era molta più voglia di spaccare tutto anche all’interno di una struttura che non sfigurerebbe in una fiction di Rai Uno. C’era più ritmo, più convinzione e, inutile negarlo, le battute facevano più ridere. Quando Nico si intrufola nel party dell’alta società milanese e finisce per intonare La società de’ li magnaccioni davanti alle signore eleganti un po’ schifate e un po’ arrapate, c’è dentro tutta l’anima di un cinema fatto dal popolo e per il popolo, c’è l’essenza stessa di Nico/Tomas Milian e l’indole working class che ha ereditato da Serpico.
Qui, invece, al massimo ci sono un paio di battute in rima pronunciate da un Milian visibilmente stanco e sfibrato (infatti l’anno dopo era già in America), e qualche doppio senso sui froci. Il primo istinto sarebbe di dire che sono battute “scorrette”, ma non sarebbe accurato. Certo, qualcuno potrebbe offendersi ma andiamo, c’è gente che oggi si offende anche se i protagonisti di un film di supereroi sono tutti bianchi. Gli omosessuali ritratti in Delitto al Blue Gay, che deriva il titolo dal nome di un locale dove avviene il delitto su cui Giraldi indaga, non sono tanto più stereotipati di quelli di Il vizietto e alla fine Nico si affeziona anche a uno di loro (e viste le recenti dichiarazioni sulla sua bisessualità contenute nell’autobiografia, ora capiamo che non era poi così strano).
“Ma allora perché, esimio George, hai voluto parlare di ‘sto film se è brutto, non fa ridere e non è neanche calcistico?”. Per le ragioni che esponevo poc’anzi: è lo spartiacque di un’epoca. Magari non intenzionalmente, nel senso che se la formula avesse continuato a funzionare probabilmente ne avrebbero fatti altri (e per poco Giraldi non tornò in una serie televisiva), ma ciò non toglie che lo sia. Non fraintendetemi: già da tempo la produzione di poliziotteschi era clinicamente morta. Poliziotto solitudine e rabbia, il più tardo e crepuscolare tra i polizieschi con Maurizio Merli, era del 1980 e sul finire degli anni ’70 le correnti collaterali, cioè i polizieschi comici con Milian e Bud Spencer e i lacrima movie con Mario Merola, si stavano già dividendo la carcassa. Ma il 1984 di Delitto al Blue Gay è senz’altro la data da segnare sulla lapide: dal 1985 in poi gli sporadici tentativi di riportare in vita il genere non avrebbero più incontrato i favori del pubblico come nella Golden Age. E dopo una breve Silver Age, durata appena un lustro, siamo passati direttamente alla Shit Age e al tracollo totale del sistema. Gli anni ’80 ci avrebbero regalato solo qualche brutto film sulla mafia e l’ultimo baluardo del genere made in Italy, ovvero gli horror di serie Z cagati fuori da gente come Lamberto Bava, Fulci e pochi altri, ormai spompati e drenati di ogni gioia di vivere.
Vorrei però saltare i discorsi nostalgici fini a se stessi che troppo spesso fa chi loda in maniera a volte anche irrazionale il bel cinema di una volta vs. il cinema italiano brutto e noioso di oggi. E dico due cose: primo, che forse è un bene che film come Delitto al Blue Gay abbiano affossato il sistema, perché in quei film già si percepiva il germe delle fiction che infestano oggi le serate delle reti generaliste e Baphomet solo può immaginare dove saremmo finiti se qualcuno non avesse saggiamente tirato la catena. Un incubo di famiglie felici-anche-se-casiniste, di bambini saggi oltre i loro anni, di adulti cazzoni ma alla fine simpatici, di gay stravaganti ma senza pretese di destabilizzare la famiglia tradizionale e di plot gialli che farebbero vergognare la cugina della signora Fletcher. In Delitto al Blue Gay c’è già tutto questo. Il maresciallo Rocca non sarebbe mai esistito senza il maresciallo Giraldi – dopo un’opportuna ripulita, si intende. Perché, se non altro, Nico non ha mai smesso di tradire la moglie, neanche nel castigatissimo Delitto al Blue Gay.
In secondo luogo, e qui forse mi attirerò le ire di chi ha portato avanti una rivalutazione alle volte scriteriata dei generi italiani, l’industria cinematografica italiana così com’era non sarebbe andata da nessuna parte. Smettiamola di prenderci per il culo. Se da un lato l’industria italiana era sana, nel senso che produceva generi diversi e in grande quantità, dall’altro non si prendeva quasi mai rischi e non osava come, ad esempio, si faceva e si è sempre fatto negli Stati Uniti. Al contrario, trovata una formula la si sfruttava fino a che il pubblico non ne poteva più e poi se ne cercava un’altra. In USA questa si chiamava exploitation e ricopriva solo una percentuale della produzione di genere, da noi invece le due cose coincidevano quasi totalmente. E per carità, finché la cosa ha funzionato, benissimo, ci siamo goduti trent’anni di peplum, western, horror, gialli e polizieschi e in mezzo a tanta merda ci sono rimaste anche tante perle. Ma appena l’ultimo filone redditizio si è esaurito, ciao: lo stormo di cavallette non ha trovato altro terreno fertile e allora siamo finiti a raccontare storie di preti detective e nonni sbarazzini. Se si fosse spesa più cura e attenzione nel creare un sistema più variegato, anziché tentare sempre e solo la strada più facile dell’emulazione, forse oggi non ci troveremmo in queste condizioni.
Chiudo citando una scena di Delitto al Blue Gay che è emblematica di tutto ciò: Nico deve introdursi a Cinecittà per indagare su un regista tedesco forse implicato nel delitto. Per farlo, si finge “generico del cinema” e indossa un’armatura da antico romano sopra la sua tuta blu d’ordinanza. È una scena davvero stupida, ma fa sorridere di un sorriso amaro: perché evoca la bellezza di un’epoca scomparsa, ma allo stesso tempo sembra dirci “Lo sappiamo che tutto questo sta per finire e lo vogliamo immortalare proprio per non dimenticare”. Viva il 1984, viva Nico Giraldi, viva Tomas Milian, viva la figa.
DVD-quote:
“Per non dimenticare”
George Rohmer, i400Calci.com
*Hahaha, “checché” in un pezzo su Delitto al Blu Gay, capito?!?
P.S.: non vorrei avervi depresso con questo articolo, perciò per non fare la figura del party pooper vi lascio con una sigla finale che è tutta una delizia. Play that funky music, white boys.
httpvh://youtu.be/QY_y67EE62w
W la figa, sempre.
‘ A commisa’! Io intendevo una pizza napoletana!
Comunque, “Delitto al Blue Gay” è quasi decoroso. se paragonato ad alcuni precedenti tipo “Delitto al Ristorante Cinese”.
Delitto al Ristorante Cinese è uno dei miei film preferiti, ao’!
Grazie, spero tornerete a parlare del cinema di genere italiano, magari di qualcuno degli horroracci di fine ottanta!
Ma a furia di sfruttare la commedia senza dare alternative,non morirà anche quella?
Dovrebbero fare come la Sega con la sfortunata console Dreamcast pur sapendo che era spacciata hanno tirato fuori giochi che hanno fatto da spartiacque quando non c’è più niente da perdere bisogna rischiare.
Si di recente ho visto questo horror di serie z IL TRENO(1989).
Comunque i registi Fulci,Lenzi solo adesso sono rivalutati.
La commedia italiana non è già morta?
A me fa molto ridere quando la gente parla del pecoreccio anni ’70 ’80 con disgusto, come se fosse merda, quando invece spesso erano film che facevano semplicemente più ridere rispetto ai vari vacanze di natale degli ultimi vent’anni
Mai divertito con il commissario Giraldi. Gli unici momenti divertenti sono quelli con bombolo, altrimenti film da dimenticare per quanto mi riguarda.
@ Barone. La scena dell’inseguimento e del congelamento è roba da galera.
Grandissimo pezzo George!!! Sempre apprezzato i polizziotteschi con Giraldi, (grasse risate insieme a mio papà quando ero bambino) tranne appunto questo e Delitto al Ristorante Cinese (che se non sbaglio era quello precedente) che si vedeva proprio che erano ormai tutti svogliati!
Ps: lo spirito di Demetrio Stratos è uno dei personaggi del mitico He-Man vero? Però non mi ricordo il nome…
Stratos. Per l’appunto
@Bennett: esatto, è Stratos. Thanx!
Delitto al ristorante cinese è castratissimo, ancora più di questo. Milian aveva deciso che non voleva dire le parolacce e che Nico avrebbe dovuto fare un voto alla Madonna. Un’idea che poteva essere una bomba se poi, a un certo punto, lo si fosse fatto esplodere come Bruce Lee quando gli rompono il ciondolo in Il furore della Cina colpisce ancora. Cosa che mi aspettavo per tutto il film quando l’ho visto la prima volta, ma che poi non succede.
Senza contare che i dialoghi devono averli improvvisati direttamente sul set: per dire, Venticello viene chiamato Bombolo in più occasioni. Di quel film si salva solo Thomas Milian che fa il cinese e che se la gioca per il premio “pisciamo sul politically correct” con il Teo Teocoli “marocchino” di “Una Vacanza Bestiale”.
Sul fatto che si chiami Bombolo per l’improvvisazione non credo, perché il film è stato poi doppiato e quindi c’è del dolo. O hanno tentato di cambiare il nome al personaggio perché tanto tutti lo chiamavano comunque Bombolo, oppure non gliene fregava più un cazzo.
Tsè tsè, ma esiste un Giraldi senza Amendola? Tsè tsè!
ok però questo film semmai segna il tramonto di un certo tipo di commedia che in realtà proprio in quegli anni risorgeva grazie ai vari verdone, troisi, nuti e i primi vanzina.
ecco la commedia è l’unico genere che in italia ha (quasi) sempre tenuto botta.
tolti i cinepanettoni che sono sempre uguali a loro stessi, il periodo più buio è stato probabilemte quando le chiavi sono state date in mano a pieraccioni. già ora zalone l’ha rimessa su livelli più accettabili.
però non mi dite che ce l’avete pure con mereghetti che per quanto mi riguarda ha sempre dimostrato tantissimo rispetto per i generi calciabili (ovviamente se rapportato al tipo di prodotto che è il suo dizionario) e spesso ci prende pure nei giudizi (cioè per dire insidious si becca un dignitossimo 2* e mezzo), a differenza di quella frociata inutile che è il morandini.
Delitto al ristorante cinese è uno dei miei preferiti della serie “delitto” tzé tzé
Tieni Rohmer, questa te la dedico:
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Ottima cosiderazioni, concordo su tutto.
Un altro tristo segno degli italici tempi sempre targato 1984 è “Non c’è due senza quattro”, l’ultimo tentativo di fare un classico film alla Spencer & Hill, ma anche quello ormai un film stanco e svogliato, arrivato fuori tempo massimo (eppure “Nati con la camicia” del ’83 era ancora brillante). Poi ci sarebbe stata solo quella tristezza fuori registro di “Miami Supercops” e sarebbe finito anche quel filone.
Zalone? Livelli più accettabili??
Comunque, sarei curioso di leggere qualche pezzo dei calci sul vero poliziottesco e perché no, anche sugli horror di casa nostra.
I Calibro 35 sono formidabili!!
Grazie, Munky, il sequel apocrifo! Per rispondere un po’ a tutti:
@ Samuel: non odio Mereghetti, è che citarlo ormai è come citare Red Ronnie se parli di rock classico.
@ Tommaso: sai che a me Non c’è due senza quattro piace invece? Lo trovo l’ultimo guizzo di Spencer e Hill, mentre Miami Supercops sì, è tristone.
@ Dr. Stranamorte: Hai voglia!
Sarebbe carino indagare quando la TV italiana è stata inondata da case di produzione dai suggestivi nomi tipo taodue, luxvide e porcoilclero.
solo una coincidenza? Noi di Voyager crediamo di no.
Ma appunto, una bella monografia sul poliziottesco? Tipo parlare della saga di Mark il poliziotto il ‘Callaghan de noantri’… e dello sbirro triste di Claudio Cassinelli. Dei Stelvio Massi, Massimo dalla Mano, Fernando di Leo.
Minchia quanti ricordi di televisioni private che li trasmettevano a raffica.