Trama: attrice succhia il cazzo allo dimonio in cambio del successo. Sottotrama: attrice interpreta un’attrice che interpreta un’attrice. Nota: la sottotrama è anche più interessante della trama, ma i registi Kevin Kölsch e Dennis Widmyer decidono di non approfondirla, e da una parte è un peccato, dall’altra in effetti mettono già un bel po’ di carne al fuoco – specie per un film indipendente e a basso budget. Ma andiamo con ordine: Sarah Walker (Alexandra Essoe) e i suoi amici da anni (perché nessuno, in quel gruppo, è esattamente di primo pelo) tentano inutilmente di fare fortuna a Hollywood; Sarah è frustrata e cede alle lusinghe di un lynchianissimo, viscidissimo produttore (Louis Deszeran) che le fa le solite promesse in cambio di una pompa. Come lo spettatore ha già capito dal minuto 1 ma la povera Sarah no, il produttore e i suoi aiutanti sono in realtà accoliti di una setta satanica; Sarah si ritrova affetta da un fastidioso caso di morbo della non-morte, o meglio della putrefazione come in Thanatomorphose, che la spinge a massacrare gli amici in cambio di una non meglio specificata “rinascita” comprendente successo, soldi, bellezza, tutto il solito armamentario dei patti faustiani.
La trama non è esattamente delle più originali, ma quello che rende Starry Eyes interessante è che è un film tremendamente pessimista: per i cosiddetti “buoni” che cercano di fare carriera con le loro forze non c’è scampo, sono eterni perdenti e/o fancazzisti che aspettano, aspettano, aspettano la buona occasione vivacchiando e facendo lavoretti alienanti. Dall’altra parte ci sono le persone “normali”, quelle che si fanno strada onestamente nella loro piatta medietà e che tentano per lo meno di non diventare aguzzini: per esempio Carl (Pat Healy, uno dei vari ottimi caratteristi che punteggiano il film) il gestore del fast-food dove Sarah si guadagna da vivere; Carl sa benissimo che le sue cameriere odiano il lavoro, i costumi umilianti, i clienti buzzurri – ma sa anche che senza un bravo guaglione come lui rischiano di finire in mani persino peggiori, come infatti capita a Sarah, per cui può permettersi di scrivere le regole che vuole lui, per tutte loro.
Chi fra voi lettori ha qualche ambizione artistica di qualsiasi tipo probabilmente già si riconosce in Sarah: lei e i suoi amici sono il simbolo di una buona fetta della nostra generazione, quella colpita dalla crisi, quella cresciuta a suon di speranze che poi si è vista bruciare davanti agli occhi, quella che deve scegliere fra farsi sfondare il culo per poter sfruttare il proprio talento o farsi sfondare l’anima e il cervello dai lavori alienanti che permettono di fare la spesa al Lidl e andare in vacanza a Marina di Ravenna. Eh. Alla fine è comprensibilissimo che Sarah abbia voglia di scappare dalla cumpa che la circonda: bravi ragassi sinceri e carini, per carità, ma che coglioni a fette; il limbo mediocre in cui gli altri ormai si sono rassegnati a vivere non è esattamente il posto per lei. Peccato che la sua fretta, il suo misto di rabbia, snobismo e insicurezza la renda vulnerabile, e quindi facile carne da macello per i satanisti.
Chissà quanto di auto/biografico c’è nel film delle vite di Kölsch e Widmyer, che fanno cinema insieme da vent’anni, con tanti bei soggetti morbosi, qualche buona occasione ma senza particolare gloria; e chissà se proprio Starry Eyes, presentato con successo al SXSW, è la loro occasione per svoltare. L’attrice Sarah recita molto di più quando tenta di ingraziarsi registi e produttori con irritanti frasi fatte che quando fa i veri provini; e tanto più recita una parte (“Sono perfetta per questa parte!”) col produttore che più inquietante non si puote, tanto più smotta verso l’inferno. In realtà il metaforone Hollywood = setta satanica di ricconi è la parte meno riuscita, e resa più banalmente, del film; ma i rapporti complessi, a volte sinceri, a volte ipocriti fra i ragazzi sono gestiti con grande sicurezza e coerenza, e la freschezza bohémienne di certe sequenze verso la fine è divelta a colpi di coltello e di manubrio. Merito di un cast indovinatissimo (Alexandra Essoe è molto bella e molto brava, mette anima e corpo nella sua metamorfosi) e di dialoghi taglienti – anche se in effetti non si capisce perché nessuno, vedendo la povera Sarah conciata come una tossica all’ultimo stadio, non si decida a chiamare l’ospedale.
Il pezzo forte del film resta l’horror fisico: l’autolesionismo di Sarah, la decomposizione, le allucinazioni e il bagno di sangue finale che sancisce definitivamente il messaggio dei registi: a Hollywood i buoni non possono vincere mai. Un po’ come in Red, White and Blue (in cui comparivano due degli attori di Starry Eyes, la femme publique Amanda Fuller e lo hipster pasticcione Marc Senter) la storia cresce lentamente fino ad un’apoteosi slasher davvero catartica. Tutto bello, tutto soddisfacente, con un solo appunto: la copia che ho visto io è molto buia; forse il turbocapitalismo che sta uccidendo il mondo dell’arte non ha permesso a Kölsch e Widmyer di pagare un colorista decente? Peccato, sarebbe stato meglio far risaltare tutto quel sangue.
DVD-Quote suggerita:
“A Hollywood i buoni non possono vincere mai”
Cicciolina Wertmüller, www.i400calci.com
Proprio ieri mi segnalava questo film l’account di Chuck Palahniuk che malauguratamente seguo su facebook, come progetto da lui sostenuto nella fase iniziale su kickstarter. Malgrado questa sfiga, sembra roba buona e gli darò un’occhiata.
wow! io quando sento parlare di bagno di sangue catartico mi tuffo a pesce!!!
Una prof alle superiori che aveva lavorato come scenografa a una fiction ,mi ha detto che è vera la storia del divano del produttore o regista…….
Cicciolina, io non ho notato particolari problemi di luminosità (visto al cinema durante un festival), mi sa che t’ha detto sfiga con la copia. Oppure ho gli occhi bionici, può pure essere. :)
@giopep: sì, deve essere la copia. ho dovuto aggiungere tantissima luce a tutte le stills notturne che ho pubblicato nell’articolo!
@BlackPorkismo: credo che dipenda dai casi. Nel film, quando Sarah torna a casa sconvolta per avere ricevuto la prima proposta zozza a parte del dimonio, la sua amica risponde “Davvero? Ma succede ancora?”. Tendo a credere che, data la recente maggior pubblicità negativa data a questo tipo di ricatto, sia sempre più raro; il che non vuol dire che sia scomparso del tutto, ma forse accade solo a persone sufficientemente manipolabili, quali appunto Sarah.
@Darkskywriter: Kevin Kolsch in passato ha fatto anche questo documentario su Palahniuk http://www.imdb.com/title/tt0398273/?ref_=nm_ov_bio_lk3
secondo me è il film più sopravvalutato dell’anno, mi ha fatto pure incazzare vederlo fine alla fine. Malpertuis lo ha recensito alla grande con evidente cognizione di causa, io sono rimasto alla superficie di noia, deja vu, puzza di indie, gore appiccicato con lo sputo. Il film genera empatia verso il gruppo di cazzoni destinati ad essere vittime sacrificali, è questo l’unico effetto positivo, non so quanto involontario.
@Ciccolina Wertmuller era il 1998.
Manipolapoli sicuro ma anche una strada più facile per altri.
Appena visto. Secondo me interessante in tutta la prima parte non horror, con la costruzione di un personaggio credibile e di spessore al di là del cliché della camerierina che vuole fare l’attrice, ma poi frana in un epilogo di sanguinacci banalissimo. Gran disappunto per gli horror che ti fan pensare che se non erano degli horror sarebbe stato meglio, insomma.
Appena finito di vederlo! Ci tenevo a dire che e’ un filmone!
Visto anch’io. Niente da fare, i body-horror sono gli horror più paurosi. L’ho trovato ben costruito. In particolare mi hanno colpito la trasformazione di Sarah e la carneficina finale (davvero brutale e turbante). E’ da tanto tempo che non usavo la parola “disturbante” per un horror, e questo lo è dall’inizio alla fine. Niente jumpscares, solo quell’opprimente senso di disagio per tutta la sua durata.
Chapeau