Ouija è un film interessante. Lo è perché è la riproposizione tangibile, concreta, materiale del mito di Frankenstein nel mondo del cinema. Un tentativo di creazione dell’essere perfetto attraverso la ricomposizione chirurgica e scientifica di brandelli di altri corpi. Un prodotto scientificamente studiato per piacere.
Nella musica il fenomeno è già stato ampiamente sfruttato ai tempi delle boyband. Nell’arte figurativa Damien Hirsch ne è al momento il più fulgido rappresentante. Nella letteratura la programmaticità artistica di Émile Zola ne aveva già gettato i fondamenti. Nel mio stomaco, e in quello di molti amici all’ascolto, ciclicamente si ripropone sottoforma del panino “delizia”, quello la cui ricetta segreta varia di volta in volta sulla base di ciò che si può trovare in frigorifero e non ha ancora assunto le tonalità del grigio putrefazione. Ed è proprio il panino “delizia” la metafora più pregnante se si vuole parlare di Ouija. È ancora vivido in tutti infatti il ricordo di ciò che segue il primo morso: curiosità, apparente soddisfazione, sorpresa, nausea, disgusto, secchezza delle fauci, difficoltà di respirazione, coma, morte. Ouija non fa differenza.
Ma andiamo ad analizzare.
Iniziamo dal titolo: Ouija.
Ouija è il nome proprio della tavola predittiva che abbiamo avuto modo di conoscere in tanti film. Un aggeggio, la cui genesi risale agli inizi del 900 e poi commercializzato dalla Parker Bros. (quella del Monopoly per intenderci), con lo stesso fascino esoterico dei board game in cui mettevi la cassetta VHS e facevi quello che ti diceva il tipo a schermo. L’unico vero orrore dell’intero gioco era scoprire che, dopo la prima partita, l’interesse scemava in maniera drammatica e ti trovavi un fermaporta da 60mila lire sul groppone. (Per tutti i registi all’ascolto: se fate un film su tali giochi, magari con la cassetta che cambia e prende vita, vi mando gli avvocati in casa.)
httpv://www.youtube.com/watch?v=4-7PjjRqSUQ
[intanto qui sopra trovate il video integrale di Atmosfear, semmai vi fosse rimasto il tabellone di giuoco e vogliate riprovare le emozioni d’infanzia senza dover recuperare un lettore di VHS]
Il nome Ouija, al netto delle sensazioni giapponiche che la sonorità della parola potrebbe evocare, è in realtà la composizione della parola “sì” in francese (Oui) e tedesco (Ja). Niente oriente. Niente fratelli Pang. Niente spettri cattivi. Solo il Commissario Cordier e i parrucchini desaturati di Horst Tappert. E questo già parla chiaro sui due elementi cardine di questa pellicola: la modularità e la passione immotivata per l’oriente.
Ma ritorniamo al film. Ovviamente il centro dell’intera vicenda è la tavola predittiva che si rende protagonista della più canonica delle canoniche ghost stories. Qualcuno usa la tavola, evoca per errore uno spettro malvagio, lo spettro fa dei morti a vanvera, si cerca il modo per liberarsi dello spettro. Ci si riesce. Finale. Ricomparsa a sorpresa dello spettro. Altro finale.
Se leggendo la trama vi sono venuti in mente almeno 12 remake americani di horror nipponici non vi preoccupate: è così. Ed è in questo che Ouija si gioca il primo parallelismo con Frankenstein: è fatto di cadaveri. Tutto quello che vediamo nella pellicola, dai tòpoi narrativi, alle inquadrature fino alla gestione della tensione, è roba vecchia di almeno 14 anni. Pezzi di cadaveri relativamente freschi. Ma sempre cadaveri.
È un problema? Sì lo è. Non tanto per la prevedibilità del film (che già…) ma per il fatto che quel tipo di storie oggi ha perso qualunque tipo di attualità. E qui si apre il macrotema della consapevolezza del horror come metafora della società che abbiamo già affrontato su queste pagine. Mi sono più volte chiesto il motivo dell’improvviso successo delle ghost stories d’impronta nipponica all’interno dei confini del vecchio e del nuovo continente (Europa + America). L’unica risposta che mi sono dato è: il senso di colpa. Tutte le storie importante (da The Ring a Rancore) parlano la lingua della colpevolezza: la maledizione nasce da un atto umano (un’improvvida evocazione piuttosto che un atto di violenza che scatena la vendetta dello spirito). Non è un serial killer in cui ci si imbatte per caso, non una maledizione che sconvolge la quiete della vita di una famiglia medioborghese (questo è invece IL TEMA UNICO di tutti i film horror post crisi economica, dal 2009 a oggi. Ma avremo modo di parlarne in futuro) e nemmeno l’epidemia che trasforma l’intera società facendone emergere i lati peggiori.
Tar il 2000 e il 2008, il senso di colpa nipponico (che riprende, sempre a mio avviso, l’epica del bushido come atto d’onore) è riuscito a far presa sulla società occidentale perché ne raccontava perfettamente lo status emotivo. Ci stavamo tutti comportando male, male in un modo molto pericoloso (l’intero atteggiamento della società ha dato vita alla peggiore crisi economica dal 1929 ad oggi) e ne eravamo inconsciamente consapevoli. Ma riproporre oggi questo tema significa arrivare completamente fuori tempo massimo e dare vita a una storia che non parla più del qui e dell’ora.
Al netto di questo, sempre in tema frankensteiniano, Ouija mischia anche altra roba presa qua e là dai film che “hanno funzionato”: la famiglia matriarcale disfunzionale (da Orphanage a Mama, sempre di quello si parla), porte che si aprono, fornelli che si accendono, ombre che corrono a 8 cm dalla macchina da presa, ma soprattutto il continuo, pernicioso ed esiziale ricorso ai momenti “spaventone” con la musica che sale e il botto con comparsa dell’immagine terrificante.
Ouija è fatto per piacere ed è così tronfio e sicuro nella sua costruzione scientifica da permettersi di indugiare in momenti di puro didascalismo narrativo (la porta si apre da sola, la protagonista si avvicina per chiuderla, dettaglio sulla chiave che gira), cliché prevedibilissimi (emblematica in tal senso la scena dell’impiccagione in apertura di pellicola) e un livello di gore preoccupantemente sotto la soglia di guardia anche per un infame PG13.
Quello che però fa male più di ogni altra cosa è l’assistere a 90 minuti privi di qualunque guizzo creativo tanto che il regista Stiles White, se di regia si può parlare, pare più uno studente del DAMS impegnato in una tesi compilativa dal titolo “Il Bubusettete nel cinema degli anni zero” (emblematico, sotto questo profilo, la scelta di dare una parte a Lyn Shaine, la sensitiva dell’Insidious di Wang, usata più come ipse dixit che per un’effettivo peso attoriale nella vicenda).
Se doveste andare a vederlo al cinema, o anche solo concedergli il beneficio di una visione casalinga, vi ritroverete di fronte a un film esageratamente datato, i cui paradigmi narrativi sono semplicemente vecchi come vecchi ormai sono i nomi lunghissimi delle band, il nu metal, le magliette della Rough Trade, i filtri lomo, il sushi, la street art fatta con i sottovasi e le bombolette spray, Teo Mammucari, la poetica del Bimby, i falsetti di Thom Yorke e le sparate di Scaruffi sui Beatles.
Produce Michael Bay.
DVD-Quote:
Una tesi compilativa su tutto ciò che il cinema horror è stato negli anni zero. E che fortunatamente non è più.
Bongiorno Miike, i400calci.com
meh! Un jimmy bobo per i titoli dei film? Come mai non e’ un ff?
Bravo! Ottima analisi di un film che comunque non vedrò mai.
Dovrei avere ancora Atmosfear da qualche parte in soffitta…
Commento solo per dire #teamAtmosfear 1 2 e 3 con le carte fatte da un mio amico.
GIOCONE
Da tempo ho deciso che la coppiata: ragazzini + camera a mano = boicottaggio a prescindere.
Past: mi dispiace se l’immagine ha tratto in inganno. Non è un found footage
Miike… tutto bene, tutto bello, ottimo articolo.
Ma la prossima volta che diffamerai il “Panino Delizia”, apice della cucina single occidentale, dovrò, temo, adire a misure estreme e di sommaria natura.
Scherza coi fanti…
Lo sapevi che con Atmosphere avresti dirottato tutti i commenti. Sarei curioso di scoprire che fulgida carriera ha poi avuto l’attorone del gioco. Per quanto riguarda il film non capivo perché lo pompassero così tanto. “Michael Bay produce” è la risposta.
La recensione è come al solito un ottimo lavoro…ma se scrivevi solo “roba invecchiata male girata come fosse nuova” mi sa che il messaggio passava lo stesso XD
Atmosfear lo vende un mio amico su Ebay,nella scuola superiore che frequentavo abbiamo fatto quella cazzata della tavoletta perchè i fondatori erano sepolti in una cappella li vicino,infatti di notte le sette facevano i riti,i muri erano piene di scritte innegianti a Satana e le bare sfondate con le osse in giro.
Vi segnalo che ieri sera c’era iin prima tv in chiaro Un ponte per Tokyo con Dolph Lundgren è il regista era Isacc Fiorentine un vostro favorito.
Brutto brutto in modo assurdo. Però se producessero la replica in legno della tavola la comprerei volentieri.
Scaruffi ci ha insegnato a pisciare sugli idoli. Poi, magari, ascolti i Beatles e ti piacciono pure tanto (com’è successo a me). Ma lo ringrazio per avermi dato lo strumento critico del “chissenefotte”.
mboh, non son d’accordo col discorso sul senso di colpa applicato alla new wave dell’horror asiatico. a me sembravano storie (alcune belle, altre meno) che univano l’elemento tecnologico alla mitologia spettrale folkloristica, dando vita a un nuovo genere. è l’elemento esotico che ha fatto presa in occidente, mica il senso di colpa..
Non avrei dovuto leggere la recensione, vado stasera a vederlo e partiro’ col broncio. Piaciuta molto, comunque.
L’ipotetico horror con gioco da tavolo e VHS posseduti lo andrei a vedere volando, e messo in mano a qualche tamarro passatista a la Wingard sarebbe pure una bomba.
L’unica cosa che mi viene da dire è “Davvero Brutto”. Tutto il resto è superfluo.
commento un attimo e poi torno a leggere se no poi mi dimentico: esiste già il film su un videogioco e non parlo di dead or alive, bensi di quel film anche un pò carino con edward furlong che si chiama brainscan: il gioco della morte.
Sta cagata gira in streaming da oltre 1 mese ma fà già cagare soltanto dalla cover. Atmosfear dopo mezz’ora ti eri rotto il cazzo pesantemente e cmq nella versione anni 90 non c’era sto 20enne raccomandato con le faccette ma un anzianotto + rispettabile. Inutile specificare che il buon vecchio Brivido ci si puliva il culo con sto coso
#teamdelusidaatmosfear :)
quando al liceo facevamo le sedute spiritiche (su, su: le avete fatte anche voi) da me si disegnava la croce sul retro della tavoletta ouija che usavamo allo scopo di non evocare presenze demoniache.
@Schiaffi: guarda che è proprio questo quello degli anni 90 che sul finire del gioco veniva invecchiato con del make up indecente.
[ho paragonato con la scatola del gioco in mio possesso risalente appunto al periodo]
miike, ma invece un horror serio figlio dei nostri tempi qual’è?..c’è?
@Miike io avevo questo ma doppiato ita e nn è la stessa persona https://www.youtube.com/watch?v=IcWL8rqPpMw
Scaruffi uber alles, l’uomo che per elogiare un disco usa sempre e comunque espressioni come “baccanale”, “danza orgiastica”, “psicodramma” e “pow wow”
Gran bella recensione, l’idea del senso di colpa all’origine di molti horror negli anni post-crisi economica mi resterà senza dubbio in mente.
Pensando a questo ed alla bellissima citazione del mai troppo sopravvalutato Atmosfear corro in cantina a cercare la scatola di Brivido..
#TeamBrivido #TeamSchiaffi
#TeamBrivido pur’io
di brivido mi ricordo la pubblicità con il teschietto che si faceva cadere nel camino però non ci ho mai giocato.
Mi dispiace ma devo dissentire pressochè in toto dalla parte relativa al senso di colpa.
Il senso di colpa è una specialità della casa occidentale (specialmente nelle culture influenzate dal Cattolicesimo) e in Oriente non dico che sia sconosciuto, ma è staccato di parecchie lunghezze dal concetto di Vergogna (verso la collettività).
E comunque su “senso di colpa”=”bushido” non potrei essere più in disaccordo – suggerirei di andare direttamente alla fonte (il testo di Nitobe Inazō è disponibile anche in Italiano, e fa per il Bushido quello che Kuki Shūzō fece per l’Iki).
Da ultimo (ma qua ammetto di essere poco informato io, per cui potrei semplicement toppare) mi pare che nell’equazione “famiglia incolpevolmente travolta da eventi sovrannaturali”=”crisi economica” non saprei bene come collocare Amityville Horror e Poltergeist, che mi pare rientrino a pieno diritto nel genere, ma sono usciti in un periodo in cui non necessariamente c’era tutta ‘sta crisi, e sopratutto insieme a loro uscivano film horror che non ricalcavano necessariamente lo stesso schema.
A brivido grandi partite! T
Brivido devastante. Ma anche il primo Atmosfear mi ha regalato emozioni
oltre ad atmosfear pure brivido avete cacciato fuori…mancarone…
Sbaglio o la recensione ha cambiato titolo?
Gran bella recensione…un vero spreco per un film del genere.
Non che pensassi al capolavoro, ma m’hai comprato con Scaruffi sui beatles.
Brivido mi ha diertito fino ai nove anni, ad esser buoni. atmosphear ce l’avevano due miei compagnidelle medie, ci ho fatto tre partite e ancora lo ricordoncome il gioco piu noioso della storia. Di sedute spiritiche ne ho vistemfare una in tutta la mia vita. A londra. In vacanza studio. Avevo diciassette anni. Io e la mia fiamma della vacanza dopo dieci minuti di gente che diceva”bisogna fare cosi'” “bisoagna fare cosa’, ci siamo detti che forse era piu’ interessanre vedere il resto della casa. Una ventina di minuti dopo avevamo entrambi salutato la verginita’. Che ‘sto film fosse una pinta di guano con una mosca che ci galleggia dntro ra abbastanza evidente fin dal trailer, ma in effetti ultimamente i trailer non voglion piu’ dir nulla e quindi ringrazio il recensore per aver buttato via un’ora e passa della sua vita e avrmi potuto cosi’ assicurare che “si’: ‘stom film fa cacare quanto sembra, mica come quella casa nel bosco.” Non posso che ringraziare
Volevo solo aggiungere che il tablet per scrivere è una vera merda. Così, nel caso non lo sapeste e voleste accattarvene uno, io vi ho avvisati.
Non che mi sia piaciuto particolarmente come film, trovo però la recensione alquanto stupida e priva di significato. Forse è più prevedibile, insulsa e assurda di tutto il film. Mi sono più pentito di aver buttato via i 3 minuti per leggerla piuttosto che i 90 per aver guardato il film. Teo Mammucari citato nella recensione??? Sei matto e non sai scrivere. Fondamentalmente vorrei dare in mano a voi tot milioni di dollari e dirvi “ora fatemi un film del genere”… penso sia troppo facile parlare e giudicare senza dimostrare di saper fare altrettanto. La vedo solo come una forma d’invidia e di superbia che trovo assolutamente fuori luogo e ripeto che il film non lo considero un cult.