Scusate, di Blumhouse’s Truth or Dare.
Vi copincollerò ora qui sotto una serie di frasi tratte dalla mia recensione di Auguri per la tua morte:
Auguri per la tua morte, in altre, terribili parole, è un film carino ma innocuo, o se preferite divertente ma misurato; intrattenimento garbato ma senza eccessi. Volete esperire nuovamente gli anni Novanta? Eccoveli riconfezionati alla grande e senza un’oncia di disagio.
Tutto sommato per questa volta può andare ancora bene così, basta che poi non venga fuori che davvero era solo l’inizio.
Vi scriverò ora qui sotto una singola frase tratta dalla mia imminente recensione di Truth or Dare:
Porca puttana era davvero solo l’inizio.
Sapete qual è questa volta il modello di riferimento, il classicone nostalgico che viene ripescato dal cestone delle memorie e rivitalizzato per questi tempi di smarfon e snapciat?
Gli horror post-Scream, prima di tutto Final Destination.
Sono serio, il nuovo film bassobudget grandincassi di casa Blum è un horror adolescenziale che parla di un gioco letale e della morte che viene silenziosa come un’alce e ti uccide in modi creativi che guardano più a Benny Hill che a House on Haunted Hill (mi serviva per il giochino dell’assonanza, non prendetela troppo sul serio). È un classico dieci piccoli indiani horror in cui capisci subito chi sarà la final girl perché la inquadrano così ed è mora
e che gioca secondo una serie di regole che da un lato rendono ogni svolta di trama (e ogni morte) prevedibile e telefonata, dall’altro vengono infrante senza criterio quando serve per portare avanti la trama senza alcun rispetto per la coerenza interna, riducendo così ulteriormente la tensione ed eliminando ogni sospensione di incredulità.
È anche un film estremamente educato, violento e catartico come una webcam puntata su un branco di gattini e che si vede quindi costretto, per scatenare un po’ di empatia e coinvolgimento nello spettatore, a puntare tutto sui suoi personaggi. Perfetto, direte voi, il gioco maledetto in questione non è mica obbligo o verità? Lo dice il titolo! È chiaro quindi che Jeff Wadlow punterà molto, forse tutto, sulle infinite possibilità di conflitto e drama insite in un’attività che ti costringe a confrontarti con la dura verità o a compiere gesti folli e studiati dai tuoi (presunti) amici per metterti in difficoltà e umiliarti pubblicamente.
E in effetti Jeff Wadlow lo fa!
Lo fa malissimo però, rovinando anche l’ultima speranza di redenzione per Obbligo o verità, un film che dovreste andare al cinema a vedere solo se per qualche motivo siete fan di Pretty Little Liars.
L’ho scritto davvero, veniteci a patti. Sigla!
Comincia tutto così: ci sono
Non è vero, in ossequio alla tradizione comincia tutto in medias res con una tizia pazza che entra in un supermercato nel deserto, borbotta cose e poi dà fuoco a una poveraccia che passava di lì per caso.
Poi, però, sempre nel solco delle vecchie usanze, si stacca sull’oggi, e sulle nostre protagoniste.
Quindi, comincia tutto così: ci sono due ventenni semisvestite su un letto che chiacchierano, e si dicono cose tipo «you are my best friend forever xoxo» «this is our last springbreak» «this is the last time we can have fun together» «let’s go to Mexico with our friends we will HAVE FUN WINK WINK». Sono frasi che ho sentito centinaia di volte, raramente però le ho sentite al di fuori dei confini di PornHub. La Mora, Arya Stark Lucy Hale, si chiama Olivia ed è quella altruista e di buon cuore, interessata solo a fare del bene e a far felici gli altri. L’altra, Kate Hudson fattona Violett Beane, si chiama Markie ed è festaiola e immorale: non a caso è Bionda!
Il resto del gruppo, che parte per festeggiare lo spring break in Messico nonostante le obiezioni della Mora che vorrebbe rimanere a casa a studiare, è un altrettanto perfetto mix di diversità e stereotipi: c’è Brad L’Orientale, che essendo quello meno carino del gruppo è anche Il Gay così da poterlo togliere dall’imbarazzo della sua inadeguatezza estetica e regalargli invece una bella storyline progressista incentrata sul rapporto con il padre omofobo. C’è Lucas Il Manzo Bianco Romantico, una specie di cosplayer di David Boreanaz che in quanto tale diventa immediatamente il centro di gravità del rapporto tra Mora e Bionda e, quindi, dell’intero film, e tutto ciò senza dover fare sostanzialmente nulla a parte girare per i set con la sua fazza da manzo. C’è Tyson L’Altro Manzo Bianco, così i maschi non si sentono in inferiorità numerica, che è il Bianco Troll, quello con la faccia da alt-right che si esprime a oneliner e sarcasmo e non piglia mai nulla sul serio; Tyson sta con Penelope La Latina, che si capisce che è un’immigrata perché la sua unica caratteristica distintiva è quella di essere un’alcolista. Poi c’è Ronnie; Ronnie è lo sfigato arrapato. Ronnie non serve a granché.
Questa sorta di foto di gruppo dell’adolescenza vista da un quarantenne parte dunque alla volta del Messico per ballare e sbronzarsi. Le prime tensioni cominciano durante la parte del ballare: la Mora è infatti cotta del Manzo Bianco Romantico, il quale però sta insieme alla Bionda, la quale, essendo immorale, invece di cagarlo preferisce scendere in pista a ballare la salsa sul cazzo di qualche affascinante sconosciuto, con grande scorno della Mora che però, come diceva quella canzone lì, essendo Buona parla alla sua ragazza e la convince a ritornare da lui. Quanta tensione eroticormonadolescenziale! Per fortuna che la Mora viene rimorchiata dall’Affascinante Sconosciuto, un tizio per nulla inquietante che propone al gruppo di abbandonare la pista da ballo e spostarsi in un monastero abbandonato e semidistrutto dalle bombe che sorge in cima alla collina lontano da ogni altra forma di civiltà.
Potrei andare avanti così per migliaia di parole eh, potrei farvi tutto il film. Mi interessa però che abbiate capito di che razza di prodotto stiamo parlando. È così banale, così già visto, così prevedibile. «Ma Stanlio» obietterete «non sarà mica il primo horror bello in cui la parte dove non si muore non è bella ma il resto lo è talmente tanto da perdonargli ogni cosa». Certo che no, il problema è che qui non è bello neanche il resto.
Non vi rovino alcuna sorpresa, visto che sta già nel titolo e che l’ho già scritto sopra, se vi dico che nel monastero i sette + uno ragazzi cominciano a giocare a obbligo o verità. Nel giro di due turni (con bacio lesbo incluso, ovviamente), però, l’Affascinante Sconosciuto salta su e dice «ahah lol vi ho buggerato, ora anche voi fate parte del gioco e se non rispettate le regole morirete», e fugge via.
Comincia così il remake di Final Destination. I sette tornano a casa, e alla loro vita, un po’ scossi ma tutto sommato OK, poi cominciano a percepire inquietanti presenze e sottili premonizioni, tipo quella volta che uno di loro sta passeggiando e sul muro compare la gigantesca scritta rossa fosforescente TRUTH OR DARE?. Dapprima i Nostri se ne fregano, ma il gioco è persistente, e pian piano cedono tutti: c’è chi sceglie obbligo, chi sceglie verità, chi rispetta le regole, chi non le rispetta e quindi muore. Solo che le regole cambiano ogni tot per adeguarsi al resto della storia, per gestire la quale Wadlow si traveste da giocoliere e comincia a palleggiare quattro o cinque subplot diversi senza approfondirne quasi nessuno e facendo ogni tanto cascare a terra una pallina, scrollando le spalle e commentando «eh».
È quasi ammirevole la dedizione di Wadlow alla totale anarchia narrativa e il suo rifiuto di qualsiasi cosa che assomigli a un ritmo. Nella sua frenesia di raccontarci le storie di questi sette idioti che non ne azzeccano una e scelgono sempre la cosa sbagliata, Obbligo o verità schizza in tutte le direzioni tipo flipper, aprendo e chiudendo porte, a volte scappando dalla finestra, infilando nel mucchio cose più o meno a caso tipo una vecchia suora messicana muta che comunica scrivendo con un pennarellone nero.
E sì che il loop dovrebbe essere semplice da gestire: ogni tanto, a turno, uno dei personaggi viene messo di fronte alla scelta tra obbligo o verità. La seconda serve per approfondire i rapporti tra personaggi, la prima quando bisogna far fuori qualcuno. E invece: in assenza di personaggi, ogni “verità” serve solo a spingere gli stereotipi un po’ più in là lungo la strada del maccosa. E in assenza di soldi e creatività, ogni “obbligo” serve solo a spuntare una casella e dire «OK, abbiamo morto pure questo».
Davvero, di per sé non ci sarebbe nulla di terribile nella confusione che regna sovrana tutte le volte che questi cartonati aprono bocca. È un horror adolescenziale a basso budget e basse pretese, nessuno si aspetta una versione teen di Carnage. Mi aspetto però, ci aspettiamo tutti, quantomeno delle idee o degli spunti interessanti quando si tratta di far morire la gente. Invece abbiamo moderazione, timidezza, educazione e neanche una goccia di sangue – è significativo che in quella che è senza dubbio la scena migliore del film, SPOILER quindi, venga inquadrata dopo trenta secondi una staccionata appuntita, che resterà immacolata fino alla fine della sequenza e oltre, fine SPOILER –, o anche: abbiamo un teen horror in cui le morti dei protagonisti sono un dettaglio secondario e un po’ buttato lì.
L’apice della sciatteria è nel modo in cui viene gestito il cattivo sovrannaturale di turno, e cioè: non viene gestito. È una sorta di demone onnipotente che può fare quello che vuole e sovvertire tutte le regole narrative e quindi la consistenza interna del film. Sembra che Wadlow e compagnia (ci si sono messi in quattro a scrivere questa roba) abbiano scritto il loro mostro e si siano poi arresi di fronte alla loro stessa creatura: «OK, non sappiamo come usarti in un modo logico e che non distrugga la sospensione di incredulità a ogni scena. Fai un po’ il cazzo che ti pare». E così il Demone di Obbligo o Verità (…) può essere un’allucinazione, può possedere una persona e parlare attraverso la sua bocca, può possederne cinquanta contemporaneamente ma forse quella era solo un’allucinazione, può fare i graffiti sui muri, può incidere le fàtidiche pàrole sul braccio di una delle sue vittime, può convincere chiunque ad ammazzarsi o ad ammazzare… e sceglie che cosa fare a seconda della situazione, a seconda di quello che funziona meglio per portarci verso la prossima scena dove la Mora e la Bionda litigano per il cuore del Manzo Romantico.
C’è poi questa scelta estetica un po’ della minchia di rappresentare le persone possedute dal demone come se fossero appena uscite dal video di Black Hole Sun, una battuta che Wadlow aveva peraltro inserito nella sceneggiatura originale salvo vedersela cassata al grido di «sei un vecchio di merda» e sostituita con «sembra un filtro brutto di Snapchat» (potrei dirvi delle cose su come il film gestisce i social e le nuove tecnologie ma temo di non averne la forza). È un’idea, come dicevo, un po’ della minchia, senza alcun impatto e che fa a tratti anche un po’ ridere, eppure è l’unica cosa a cui si appoggia Obbligo o verità per provare a fare un po’ di paura. Neanche i jump scare ci sono più: ci sono solo le fazze deformate. Buuu! Tremate! Abbiate paura! Non funziona, nessuno ha paura, e un horror che non fa paura né fa schifo né fa disagio né fa venire il voltastomaco per l’efferatezza della sua violenza è un pessimo horror.
Ecco, formulerò così il mio giudizio definitivo: Obbligo e verità è un pessimo horror. È anche un pessimo teen drama e un pessimo esempio di nostalgia fatta male. È, senza neanche fare troppa fatica, il peggior film targato Blumhouse uscito finora (o forse se la gioca con Exeter), e un brutto esempio di pigrizia e superficialità creativa ed estetica. Si salva giusto il finale, non perché sia efficace o chissà cosa ma perché è quantomeno spinto da una fortissima voglia di mandare tutto definitivamente in vacca nel nome del nichilismo, l’unica presa di posizione forte di quello che è altrimenti l’equivalente cinematografico di un brodino insipido.
«La verità è che non obbligherei nessuno a vederlo»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
C’é un motivo per conoscere Dave Boreanaz che non sia grazie a Bojack Horseman?
A me Angel è piaciuto più di Buffy. Specie l’arco finale
Buffy.
E credo che fosse nei Griffin la puntata dove Peter parla con l’aurora Boreanaz.
Bones.
Ho appena scoperto che NON è il protagonista di Cabal. Ma è uguale!
Mi par di capire che le protagoniste non mostrano nemmeno le tette, giusto?
A vedere le foto delle protagoniste mi verrebbe da chiedere: quali tette?
Nemmeno una e son pure belle manze.
Un inutile spreco.
E a memoria manco la tipica scena “mi alzo dal letto perchè è mattina e ho solo addosso un tanga ed una t-shirt di 3 misure più grandi”
Questa (bella) recensione è stata un po’ un concerto di Eelst. Io sono reduce dall’ultimo concerto di Eelst della mia vita, quindi la lettura mi ha reso un po’ triste.
SPOILER per chi volesse vedere questa munnezza.
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Tra l’altro ci sono dei buchi logici e delle cazzate di dimensioni apocalittiche, roba tipo il fatto che abbiano lasciato tenere alla figlia di un morto suicida la pistola con cui
il padre si è ucciso CARICA, oppure il fatto che l’intera premessa del film, il fatto che tu debba andare in questo fantomatico monastero per ingannare la gente e farla entrare nel gioco sia completamente distrutta dal finale in cui toh, basta che ci fai un video dentro.
Tutte le morti sono, ipotizzo involontariamente, comiche. Si passa da un tizio che si spacca il collo camminando su una palla da biliardo ad uno che si ammazza ficcandosi una penna nell’occhio.
Ma la cosa peggiore del film, al di là dei buchi logici, dei personaggi profondi come una pozzanghera e dell’effetto “speciale” è senza dubbio la Bionda.
Che invece di accettare il fatto che la gente intorno a lei debba dire la verità per restare in VITA se la prende sempre con maggiore intensità diventando quasi ridicola.
È una situazione di puro disagio continua in cui ovviamente c’è anche la scena di sesso assolutamente non necessaria in cui non si vede pressoché nulla e che puntualmente essendo un “”horror”” viene interrotta.
Che munnezza.
Si richiama agli horror novantiani post scream?
C’è motivo per richiamarsi a quella merda- salvo l’esaurimento dello stock di gomitatine?
Dalla descrizione mi sembra uno di quei film horror targati Netflix.. Come mai così tante parole per un film mediocre e brutto?
Perché sono un grafomane.
A proposito di fazze deformi, il video di “Going Under” degli Evanescence è molto più inquietante di quei cosi… no aspé, il video di “Che bella gente” di Simone Cristicchi è molto più inquietante, specialmente quando appare il prete!
Deve essere proprio innocuo e brutto forte ‘sto filmetto.
Ma che ti aspettavi Stanlio. Era chiaro fin dal trailer con quelle facce alla Scary Movie che il film era una cagatona per truzzi che pensano di essere fan dell’horror perché guardano un film in cui ogni cinque minuti spunta qualche demone in CGI che fa Bu. Ormai per ridere bisogna vedere un immigrato che sbaglia pronuncia o qualcuno che scorreggia, mentre per spaventare basta qualcuno che fa Bu. Ogni giorno siamo sempre più uomini delle caverne, cazzo.
Scusate l’off topic, ma Dogman lo recensite, vero?
Non che Lucy Hasle sia una gran passerona, anzi, ma a Maisie Arya Williams le garberebbe essere come ‘sta tizia……
passi la strunzeta dell’obbligo o verità horror, tanto ormai ogni idea cretina non sfruttata in precedenza (chissà perchè!?!?!?) va bene…ma come cristosantobenedetto si fa a vedere delle fazze ritoccate in quella maniera e pensare che possano minimamente anche solo inquietare…? dai, cazzo…che si pippano questi la paraffina…
p.s.
che comunque costato 3 mln incassi sui 90 mln…blum colpisce ancora…
Ma sono gli adolescenti medi di oggi: per sentirsi più sensibili guardano porcherie come 13, per ridere guardano video in cui un povero immigrato appena arrivato in Italia dice una parola con la sua “buffa” pronuncia. Per spaventare invece hanno bisogno si guardare film come questi, in cui c’è un mostro/demone fatto con una cgi scrausa che fa bu.