Vi ricordate quanto ero incazzata quando ho recensito la prima “fatica” di Nicolas Pesce, quella schifezza insalvabile di Gli Occhi Di Mia Madre? Rileggetevi il pezzo e capirete con che pregiudizi mi sono avvicinata a questo Piercing. E se proprio volete anche vedere il film, capirete che Nicolas Pesce ha letto la mia rece e mi ha ascoltata! Bravo!
Punto 1: il sangue. Nel suo primo film, dicevo, Pesce riusciva nel mirabile intento di mettere in scena una storia basata su carne e sangue, e di farla sembrare anemica. Il sangue era pallido e poco credibile. Qui invece il regista decide di girare a colori, con una palette elegante e squillante, e di insistere su tanto bel sangue scarlatto. Bravo!
Punto 2: gli attori. Di nuovo, dicevo, nel film precedente gli attori erano tutti cani malati di cimurro, qui invece Mia Wasikowska e Christopher Abbott (con un occhio fermamente fisso sul loro assegno) fanno un buon lavoro con quei cazzo di personaggi scemi che quel cretino di regista gli ha appiccicato. Brav no, basta scherzare. Bravo un cazzo. Discreto, semmai, e unicamente grazie alla mia rece. Però insomma, io faccio quello che posso, ma se l’allievo non si applica…
Reed è un povero sfigato di successo, con mogliettina e figlioletta, che per sfogare la frustrazione e un terribile senso di colpa sta meticolosamente progettando il delitto perfetto ai danni di una prostituta a caso; la mogliettina è comprensiva e lo appoggia nell’impresa. La prostituta prescelta, però, si rivela essere una psicopatica che cambia le carte in tavola: da quel momento, i due protagonisti si scambiano ripetutamente i ruoli di vittima e carnefice in un gioco sadomaso fino al finale aperto perché vurriammai che bisogna trovare un espediente narrativo definitivo.
L’idea deriva da un racconto di Ryu Murakami che non ho letto ma che è effettivamente interessante; mi dà l’idea di quella letteratura contemporanea che urla “Fateci un film, Cristo! Vedete quanti spunti fighi sto affastellando? Dai, sbrigatevi!” e il Pesce volenteroso di turno abbocca. Solo che Pesce, povero lui, non riesce a far rivivere l’interesse della parola sullo schermo; come nel caso de Gli Occhi Di Mia Madre, pensa che una trama valida lo esoneri dal lavorare sul lato filmico di essa: e la sceneggiatura, inevitabilmente, diventa una minchiata. Noiosa, incoerente, senza motivazioni, senza sostanza, tanto ci sono i suoi amicici del Sundance che gli danno un’altra pacca sulle spalle (e lui che intanto pensa “Chissà che cosa scriverà Cicciolina Wertmüller stavolta?”. Beh, Nicolas, ora lo sai. Dai, non piangere che ti sto aiutando io più dei tuoi amici fighetti, e pure aggratise).
Quindi, al di là della bellissima fotografia di Zack Galler, al di là delle bellissime miniature dei titoli che non c’azzeccano un cazzo ma fanno figo, cosa rimane? Innanzitutto rimane un bel gruzzoletto che Pesce investe nel farsi prestare le colonne sonore di vari Gialli italiani (dai cazzo, quanto avrà speso per usare il tema di Profondo Rosso?), in teoria perché lui sostiene che anche questo film è un Giallo che omaggia i Gialli – in pratica perché Pesce ha i soldi e li spende in modo scemo come i sultani che si mettono in casa la tigre addomesticata o sfrecciano sulla Lambo placcata oro 18K.
Rimane anche un’idea di sessualità e di BDSM che è quanto di più retrivo si possa immaginare nel 2019 – cioè è perfettamente al passo coi tempi, che sono moralisti, censorii, paralizzati e paralizzanti. in questo bignami freudiano, la follia di Reed deriva dalla sessualità straripante della madre a cui lui, sentendosi castrato, si rapporta col modus fallico sbagliato; ecco una buona scusa per far su un po’ di sequenze di allucinazioni con gente che tromba vestita di latex integrale! Ragazzine truccate da troie! Body horror con ferite palpitanti, urca che roba nuova!
Perché alla fine, Reed rifiuta sia la tranquilla sessualità coniugale sia quella “perversa”, non riesce ad attuare quella omicida: si trova bene soltanto durante la masturbatoria sequenza in cui mima l’assassinio di una donna inesistente; l’assenza del “corpo del delitto” è un’ottimo banco di prova attoriale per Abbott, è uno sfoggio di sound designing (non li nomino perché sono tanti), è un grido di intellettualità per il regista. Ed è la migliore sequenza del film, l’unica in cui davvero ho pensato di trovarmi davanti a qualcosa di eccitante, interessante e sincero. E invece era solo un Pesce lesso.
DVD quote:
«Preferisco la bistecca, grazie»
Cicciolina Wertmüller, i400calci.com
Non ho capito se Pesce dovrebbe essere contento per l’aiuto o scontento per il contenuto della recensione… X–D
Ma Ryu Murakami è parente di Haruki Murakami?
A questo punto, la prossima recensione di un film di questo regista deve essere obbligatoriamente intitolata “La memoria del Pesce lesso”.
lo avevo del tutto rimosso…
Non so perchè (e quindi non chiedete perchè) ma mi ero autoconvinto, e ricordavo, che il protagonista fosse il tizio col bozzo in faccia nei film di austin powers.
Booozzzzzooooooooooo
Decisamente noioso: un wannabe Hostel artigianale e intimista dove hostel funzionava su scala “industrial-commerciale”.
una critica costruttiva nei riguardi del regista: a pesceee, hai rotto er cazzo!
uei! visto qualche settimana fa, neanche mi ricordavo l’avessimo coperto. imbarazzante. il genere di roba che si dà le pacche sulle spalle da solo per quanto è edgy e kinky, a parte il fatto che non lo è. + sono ancora qui che mi chiedo che cazzo c’entrassero il tema di profondo rosso e le miniature. cose a caso for the sake of it.
Appena visto. Appena dimenticato. O almeno, voglio dimenticarlo.
I 25 minuti di titoli di testa e di coda sono belli.
cinema
la grammatica è che i film https://filminstreaming.me/animazione/ sviluppano il nostro pensiero per ognuno di noi…