Ci ricordiamo tutti come è andata, no? The Nightingale è stato presentato a Venezia e finita la proiezione per la stampa un coglione è saltato su a urlare “Le brutte intenzioni, la maleducaz Puttana! Vergogna! Fai schifo!” all’indirizzo della regista Jennifer Kent. Perché tanta ostilità? Onestamente, dopo aver visto il film, non capisco; pazienza, ne parlerà la storia del cinema. Resta il fatto che l’opera seconda di Jennifer Kent è emotivamente potente e politicamente complessa, e benché non sia esattamente una visione agevole (durante i primi screenings la gente si precipitava fuori dalla sala di fronte alle scene di stupro, girate inquadrando esclusivamente il viso della vittima – ora dite quello che volete, ma se una regista riesce a far volare fuori gli spettatori inquadrando un viso femminile, già per questo è geniale) merita di essere esaminata. Intanto, riprendiamo il discorso che ho già fatto ai tempi di Midsommar: l’opera seconda è sempre più difficile dell’opera prima (o della prima che ti ha fatta conoscere al grande pubblico). Cosa fai? Se Ari Aster pavidamente ha scelto di continuare imperterrito nel solco tracciato da Hereditary, la prode Jennifer Kent, che è una regista migliore di Aster e ha, come dicevo in passato, palle ovaie d’acciaio, dopo The Babadook ha fatto le seguenti cose:
– Comprato i diritti del primo film per assicurarsi che non se ne facciano remakes. Eccheccazzo.
– Resistito alle avances di Hollywood. Eccheccazzo!
– Studiato il periodo della Black War, cioè la colonizzazione inglese della Tasmania, e il ruolo dei galeotti irlandesi che venivano spediti dall’altra parte del mondo a scontare la loro pena diventando, di fatto, “proprietà” di qualche pezzo grosso inglese; nel caso delle donne, il loro “padrone” aveva ovviamente accesso ai loro corpi.
– Riportato alla luce il palawa kani, lingua aborigena quasi scomparsa, con l’aiuto del consulente aborigeno Jim Everett, da lei umilmente e onestamente ingaggiato per tutta la durate della produzione del film.
– Scritto e diretto un film durissimo, così pulito, scarno e senza compromessi che uno (tipo il coglione di cui sopra) rischia di non accorgersi del capolavoro che ha di fronte.
Sigla!
Il film è stato accusato di manicheismo e di eccessiva, gratuita brutalità: gli inglesi sono troppo cattivissimi, il tenente Hawkins ammazza e stupra chiunque gli capiti a tiro, i suoi soldati non si tirano indietro ad imitarne le gesta (e se lo fanno, muoiono male molto presto). Che strano: fossero stati l’Esercito Confederato, o le SS, o le Tigri di Arkan a compiere le stesse atrocità sullo schermo in un contesto diverso, nessuno avrebbe alzato un dito. Ma fra il pubblico non specializzato in Storia dell’Impero Britannico c’è ancora questa beata illusione che il colonialismo inglese sia stato antipatico, sì, ma beneducato, col tè delle 5 e le partite di cricket. Palle. Gli inglesi, come noi expats europei cominciamo lentamente a renderci conto (e non è niente, ma niente in confronto al passato), sanno essere razzisti e sadici con chiunque non riconosca il loro exceptionalism e il loro entitlement. In questo film di tratta di Irlanda, donne e aborigeni, ma se riuscite guardatevi anche Gwen: filmetto imperfetto, un po’ mal diretto, ma assolutamente realistico nel ritrarre il trattamento riservato dagli inglesi ai gallesi; segno che finalmente, anche questo regno frantumato di pazzi schizofrenici sta cominciando a guardarsi dentro.
The Nightingale è un film profondamente coraggioso e meravigliosamente bilanciato perché, pur essendo un film storico incentrato su questioni di sopruso umano basato su diritti politici, riesce a non trasformarsi in un “film di denuncia”, a non cadere nelle trappole didascaliche di chi vuole convincerti della propria tesi: Kent ti mostra una situazione e lascia a te il compito di trarne le conclusioni. Né fa sconti per ingraziarsi la critica femminista, anzi; a parte la protagonista Clare, che segue la classica parabola del rape & revenge, la regista dipinge due personaggi femminili minori come carne fresca usa e getta; lo fa non per polemica gratuita, ma per esigenze di realismo.
Nessuno, in questo film, è un personaggio totalmente positivo: l’usignolo Clare (Aisling Franciosi) è irlandese, è bianca, quindi è razzista di default. Lei e la guida aborigena Billy (Baykali Ganambarr), che la accompagna nella sua missione di vendetta, si avvicinano solo quando capiscono di avere un nemico comune, altrimenti continuerebbero ad odiarsi. L’aborigeno Billy, dal canto suo, non è uno stinco di santo e ammette tranquillamente che la sua gente ammazza le mele marce della società senza pensarci troppo; il suo vero nome è Mangana, ovvero “merlo” in lingua aborigena, e fra l’usignolo e il merlo nascono alcuni momenti musicali che non sono catartici come ci si aspetterebbe. Entrambi sono vittime del sistema politico dei colonizzatori, entrambi vengono trattati alla stregua di oggetti, entrambi hanno punti di forza che permettono loro di sopravvivere. Quanto al perfido tenente Hawkins (Sam Claflin), è uno psicopatico che chiaramente si porta dietro dei problemi nel suo vissuto infantile, si veda il rapporto con l’orfano Eddie e la sua conclusione nel sangue. La grandezza di Kent sta nel presentare i complessi e stratificati rapporti di potere fra i tre, usando tre lingue (inglese, gaelico e palawa kani) e senza scadere nelle Oppression Olympics che sì, avrebbero reso il film manicheo.
In realtà il film è punteggiato di momenti di debolezza, o addirittura di tenerezza incongrua e molto umana: dal soldato che invoca la madre mentre viene trucidato da Clare, alla stessa Clare che non riesce a sparare quando finalmente trova il suo bersaglio sotto tiro, alla gratuita e inaspettata gentilezza di un colono che invita i due fuggiaschi alla propria tavola (non prima di avere zittito la moglie, scettica, con un bel “shut up, woman”). Il tema del film, in effetti, è la ricerca della compassione; non c’è mai contatto fisico fra Clare e Billy, e per fortuna Kent non ha la malaugurata idea di far nascere una storia d’amore fra i due, ma la loro complicità di vittime in cerca di riscatto riscalda la terra desolata, impregnata di sangue e di dolore, su cui camminano. Quella stessa terra che Kent fotografa senza fronzoli e senza lirismi, in un claustrofobico formato 3:4, quasi a volerne negare la bellezza perché non c’è molto di bello da vedere, qui.
In breve: è un film calcista? Sì. Poteva durare di meno? Sì. Importa qualcosa? No.
DVD-quote:
“England’s not that mythical land of Madame George and roses”
Cicciolina O’Connor, i400Calci.com
Ottimo pezzo su un film che da parecchio voglio vedere. La Kent e` una regista dura, spietata, ma che sa infondere calore e debolezze nei suoi personaggi.
Giusto per dire come la coglionaggione pervada la società: giusto ieri su Facebook (il luogo per eccellenza del disagio e del ritardo cognitivo, soprattutto in Italia), un gruppo di sedicenti amanti del cinema legati a una storica trasmissione di Rai3, si difendeva Roman Polanski dalle accuse di strupro, solo perché in quanto artista può fare un po` quel che cazzo gli pare… Roba da falciarli tutti con un mitragliatore.
Scusa, non ho facebook, ma quella trasmissione la seguo anch’io e mi viene un dubbio: non è che al posto di difendere Polansky (sarà una persona orribile, ma, per quanto fastidio possa dare questa cosa, resta un grandissimo artista), difendevano la sua opera da chi voleva negargliun riconoscimento (che, viva dio, non dovrebbe implicare giudizi morali su chi l’ha filmato)?
Premesso che reputo Polanski uno dei migliori registi della storia del cinema, il problema della sua vicenda non è “separare l’artista dal giudizio morale”, il problema è che è stato condannato e non ha mai scontato la pena.
D’accordo, ma lì è un problema di diritto internazionale relativo all’estradizione. E’ un buon motivo per cui il suo film, se davvero meritevole, non debba essere premiato?
Io credo di no. La vita è ingiusta e, spesso, gli artisti sono delle merde. Ciò non significa che le loro opere debbano essere condannate alla damnatio memoriae.
Fosse così dovrei buttare i miei vinili dei Burzum.
Ah, no, sono anch’io assolutamente contro la damnatio memoriae, però il buon Burzum in carcere c’è andato :) Il non aver scontato la pena di Polanski fa semmai riflettere su quanto il suo crimine sia ritenuto implicitamente “trascurabile” dalla comunità artistica, credo sia quella la cosa grave.
Il problema del “celebrare l’opera e non l’artista” è che non porta vantaggi solo all’opera, ma anche e soprattutto all’artista. I premi portano vantaggi economici e di potere a chi li riceve, direttamente (premi in denaro) e indirettamente (per fama). Per questo separare l’opera dall’artista è un po’ una cavolata quando si parla di premi e di riconoscimenti
Damnatio memoriae…che concetto affascinante.
Anche qualora Polanski sforni capolavori uno via l’altro (cosa che spesso fa), non va premiato: dovesse anche cacare oro, a un uomo adulto che fa sesso con una tredicenne non va tirbutato alcun riconoscimento, se non quello di essere una merda.
Corri a bruciare i dischi di Micheal Jackson
Non ho scritto che le opere di artisti che umanamente sono delle merde (o quantomeno delle persone discutibili) non vadano apprezzati. Ho detto che non vanno premiati. Mi pareva di essere stato chiaro. Vedo volentieri i film di Polanski e se capita ascolto Michael Jackson, ma non stringerei la mano a nessuno dei due.
E francamente non capisco perchè sia difficile distinguere un’opera d’arte dall’artista qualora questi sia un pedofilo. Chiunque sia incline all’indulgenza nei confronti di quest’abominevole categoria è una testa di cazzo. E il mio non è un giudizio sulla persona (ognuno ha i cazzi propri da smaltire nella vita) ma una condanna senza appello dell’atto in sè.
Dovresti scavare un po’ per stringerla a Jacko.
Che squisito senso dell’umorismo.
Bellissimo articolo, grazie, mi hai incuriosito ancora di più, specialmente dopo aver letto le deprimenti fesserie degli ipersensibili “woke” dell’internet.
ciao cicciolina, ho visto il film ad un festival e sono d accordo con te e continuo a non capire l uscita del “giornalista” a venezia. una delle scene che mi ha preso emotivamente,e sorpreso, e quando il gentile colono invita anche l aborigeno a tavola e poi lui piangendo grida :questa e la mia terra….
Lì ho pianto in maniera invereconda.
Come trasformare la “gentilezza” in un perfetto esempio di ipocrisia, sottolineando il diritto di essere trattati da pari in terra propria, senza ricorrere a dubbie “concessioni”.
Scena clou del film tra l’altro. Una bomba.
O’Connor?
Babadook era graficamente più intrigante ma la Kent è una grande regista e qui si empatizza che è un piacere: cosa alquanto rara nei r&r moderni.
3:4? che è tik tok?
Film durissimo, sporco, cattivo e irredento.
Però non capito perchè
Spoiler
La Kent si è tirata indietro nel momento in cui il cattivo deve pagare, risolvendo il tutto con un timido “shame on you” dapprima e in un secondo momento con la vendetta surrogata di Billy.
Forse voleva in qualche modo redimere la sua protagonosta?
È un gran film pochi cazzi
Concordo alla grande, visto e piaciuto mesi fa (incuriosito dalle furiose e ingiustificate polemiche a Venezia), la Kent mi ha convinto nonostante non fossi un fan del suo Babbodook (o Babba??) che non mi aveva proprio preso e mi aveva rotto abbastanza le palle….
A sto giro ci dà giù durissimo con la crudeltà verso tutti i più deboli (ed è la cosa che fa stare male) presentandoci un contesto storico misconosciuto ai più.
Cast perfetto con i due cattivissimi unici, Herriman fuoriclasse già nella serie Quarry, e con un Claflin tra i personaggi più odiosie spietati mai apparsi nella storia del cinema.
La Franciosi è fragile, combattiva e incantevole allo stesso tempo.
Finale in stile coeniano senza troppa speranza.
Tra i migliori dello scorso anno.
Se ripenso a quel coglione… madonna la rabbia. Comunque avevo sentito pareri contrastanti, ma dopo averlo visto devo dire che, seppur con qualche piccola riserva, l’ho apprezzato molto. Si conferma una regista con i controcazzi.
Cicciolina sempre la meglio. Bella recensione, lo vedrò sicuramente (Gwen pure), grazie.
Che squisito senso dell’umorismo.
che grande film, una seduta psicanalitica sul colonialismo di una nazione. grandissima Jennifer Kent