Vi presento Sibert, come quella del cartone animato.
Sibert ha più o meno 37 anni, mi è stata regalata quando ero piccolo così e da allora è sempre rimasta al mio fianco dovunque io sia andato. Ora viviamo insieme in un gradevole appartamento che lei domina dal suo posto d’onore sopra l’ottomana, una parola che mi ha insegnato mia nonna e che porta con sé tutta una madeleine di spaventose bambole di porcellana e orologi a cucù, simboli di terrore infantile dai quali Sibert mi ha sempre protetto e continua a farlo.
Da piccolo avevo anche una paura fottuta del buio. Ma seria, paralizzante, di quelle che ti fanno rimanere a letto con la vescica che scoppia in attesa che filtri un raggio di sole dalle persiane, un’altra parola che mi ha insegnato mia nonna (io le chiamavo “tapparelle”). E non mi è passata una volta andato in doppia cifra con l’età, eh; è andata avanti fino al liceo e oltre, e ancora oggi se sto dormendo in un luogo che non mi è familiare mi capita di provare un brividino di terrore – piacevole, oramai, un piccolo film horror istantaneo – ogni volta che devo attraversare un corridoio buio che porta al bagno e al sollievo. È per questo che mi porto sempre in giro la piccola Sibert, anche adesso che sono alla soglia dei quarant’anni: le voglio tantissimo bene e non vorrei mai che le capitasse qualcosa di brutto, e so che lei è sempre lì per me, per proteggermi e volermi bene come nessun’altra entità terrena o infera ha mai fatto.
Vi racconto tutto questo perché ho appena finito di vedere Benny Loves You e mi sono tornate a galla tutta una serie di fantasie e anche paure di quando ero ancora alto come un soldo di cacio, qualsiasi cosa significhi (vuol dire “una vecchia moneta che vale pochissimo e con la quale ti ci compri al massimo una fettina di cacio”). Si potrebbero scrivere, e immagino si siano scritti, libri su libri sull’umanizzazione degli oggetti e sulla tendenza ad attribuire caratteristiche tutte nostre a roba inanimata; c’è chi dà il nome alla macchina, chi non si separa mai dal suo coltello a serramanico di nome Cindy, e ovviamente ci sono i peluche, i giocattoli, che hanno una vita quando non li guardiamo e che soffrono se li abbandoniamo – avete presente, no? Ci hanno fatto tutta una serie di film di un certo successo. Per cui prima di venire fatto a fette nel sonno mi sembrava corretto rendere omaggio alla vera e unica padrona del mio cuore, una foca di peluche.
Benny Loves You, primo parto sulla lunga distanza di Karl Holt che l’ha scritto, diretto e interpretato, è come sarebbe stato Toy Story se Woody e Buzz fossero stati serial killer invece di eroi. Almeno sembra. All’inizio. Poi cambia, e prende direzioni inaspettate; dopodiché torna sui suoi passi, forse, o forse si inventa qualcosa d’altro. È un film imprevedibile e sorprendente, comico e ultraviolento, fin troppo sgargiante con i suoi ralentì e le inquadrature fighette che però per una volta vanno benissimo perché sono tutte a servizio di una storia che è contemporaneamente uno slasher, una commedia horror tipo Shaun of the Dead, un metaforone sul passaggio nell’età adulta, una romance piccante e un film che vi farà guardare alle aspirapolveri con occhio nuovo. SIGLA!
Jack è un tizio sfigatissimo, come gli ribadisce il film a più riprese. È un trentacinquenne che vive ancora con la famiglia perché ha paura di crescere e prendersi le sue responsabilità, che di mestiere disegna giocattoli per un’azienda gestita da Ron, un tizio con i baffi più irritanti della storia del cinema, e che sul posto di lavoro viene sempre messo sotto e umiliato dal collega Richard, suo concorrente per il posto di lead designer e più genericamente persona fastidiosa.
Ron ha una strana balbuzie che lo colpisce solo quando prova a pronunciare la lettera “F”, il che gli rende complicato dire “fucking”; Richard crede di essere Prince e gira sempre con in braccio un’aspirabriciole. Questo per dire che Benny Loves You è un film inglese, che quando vuole fare ridere, è a metà tra il surreale pythoniano e la preclara idiozia di roba tipo Little Britain, oltre ovviamente a guardare anche a Pegg, Wright, Frost e tutta la compagnia del cornetto. E Benny Loves You vuole far ridere spesso: Holt popola tutto il film di personaggi deliziosamente cretini, e li immerge spesso in situazioni altrettanto cretine, tranne quando decide di far scorrere il sangue e fare il miglior horror con i giocattoli cattivi dai tempi di Puppet Master: The Third Reich.
La storia è che i genitori di Jack muoiono in uno stupidissimo doppio incidente domestico, e il nostro si ritrova con un mutuo sulle spalle, nessuna idea di come gestire la propria vita e una precaria posizione lavorativa, che potrebbe portarlo a una promozione come al licenziamento. Decide quindi di comprare un audiolibro di autoaiuto, di quelli che ti dicono che sei il più forte e che puoi spaccare tutto e che ti insegnano come fare a ribaltare la tua vita in pochi giorni – tipo una Marie Kondo interiore, ma con quel piglio motivazional-militaresco che o ti fa uscire dal torpore e ti rende un Maschio Nuovo o ti trasforma in un crudele omicida, e nessuna delle due ipotesi è auspicabile.
Ora, il momento fondamentale di questo percorso di uscita dal bozzolo è ovviamente quando Jack decide di buttare via Benny, il suo orsetto di peluche preferito, il suo migliore amico, che lo segue da quando è piccolo così e lo protegge dai demoni che vivono nel corridoio; Benny si arrabbia e prende vita, ed è assetato di sangue. Ma prima di arrivarci volevo prendermi qualche riga per esaltare il modo in cui Holt gestisce tutto quello che precede e gira intorno a quest’idea dell’orsacchiotto assassino che ti rende la vita un inferno. Jack è un c.d. bambinone, una di quelle persone incapaci di gestire la quotidianità e le incombenze di una vita normale, fatta di mutui, bollette da pagare, polvere da raccogliere e piatti da lavare. Per lui è tutto spaventoso: parlare con il capo, ridiscutere le rate del mutuo, è tutto un enorme metaforico film dell’orrore che Holt gira come tale, trasformando un colloquio di lavoro nella scena di un thriller tutto chiaroscuri e gente che ti strilla in faccia e ti tratta come un cane, infarcendo ogni scena di linguaggio, di grammatica visiva presa da altri pezzi di horror e applicata alla paura dell’età adulta, delle lavatrici e della spazzatura da buttare.
Tutti questi bei ragionamenti sono in realtà concentrati nel primo atto del film; poi Benny prende vita, le questioni esistenziali vengono un po’ messe da parte e Benny Loves You comincia a macinare risate e interiora. Prima sembra che Benny voglia vendicarsi di Jack; poi diventa chiaro che Benny vuole solo essere amato, e proteggere Jack dalle cose brutte della vita, come fanno i giocattoli a cui sei tanto affezionato – e lo dimostra decapitando il tizio dei mutui e apparecchiando quel delizioso tableau che vedete più in alto. A questo punto Jack alza, sempre metaforicamente, le braccia al cielo e decide di accogliere Benny nella sua vita, e il film si trasforma in una dolcissima buddy comedy, un Ted splatter nel quale Jack deve tenere a bada gli istinti peggiori di Benny e insegnargli a stare al mondo. E ovviamente le cose non funzionano come dovrebbero, e Benny Loves You ritorna a essere un film di orsetti assassini, prima di mutare, all’incirca a metà film ci tengo a sottolineare, in qualcosa d’altro ancora, ma sempre pieno di budella.
Le budella sono un elemento fondamentale di tutta l’operazione. Grazie a una misteriosa ed esoterica combinazione di pupazzetti carini e di CGI ben nascosta, Benny Loves You riesce a essere credibile anche in quanto film di ammazzamenti creativi compiuti da uno spaventoso orsetto rosso. E con “creativi” intendo seriamente creativi, roba da premi Sylvester, da esultanza selvaggia in piedi sul divano; c’è un sacco di gente che muore male, e nonostante tutta la carineria e le fighettate e la slomo e le inquadrature strambe e la sovrabbondanza di momenti simpatia Holt non perde mai di vista il cuore del film, che è per l’appunto la gente che muore male con l’orsetto intorno.
È proprio bravo questo tizio neanche quarantenne di nome Karl Holt, non solo a vedere il lato più inquietante di certi giocattoli per l’infanzia – per quello bastano gli occhi – ma a shockare e disgustare, anche a spaventare, a non mollare mai il pedale del gore anche nei momenti più francamente idioti (e ce ne sono). È bravo pure a farci investire nei personaggi, in Jack ovviamente che è il bambino mai veramente cresciuto, il fanciullino di Pascoli che alberga dentro di noi, ma anche in Dawn, la collega di Jack brava in ingegneria, che poteva essere solo un generico love interest e invece è un personaggio esplosivo e che si ritaglia un ruolo centrale nel film con la pura forza del suo accento dei Dales e della sua voglia di spaccare tutto. È bravo in generale, e se adesso si mette a testa bassa e si impegna per migliorarsi ancora invece di crogiolarsi nella sua innegabile simpatia e brillantezza potrebbe regalarci tante soddisfazioni in futuro, e riportarci finalmente in Champions League.
Ora perdonate ma devo andare di là a coccolare la mia foca di peluche, vi lascio con la “quote che invita a distribuire anche in Italia questo film uscito in home video nel resto del mondo capito distribuzioni italiane?” suggerita:
Quote che invita a distribuire anche in Italia questo film uscito in home video nel resto del mondo capito distribuzioni italiane? suggerita
«Vi suggerisco di distribuirlo»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Visto che abbiamo avuto la pessima idea di accordarci ad ricconi (riccamente indebitati) e wannabe ‘merigani, mi sa che la Champions c’è la scorderemo anche l’anno prossimo, con Dawn o senza.
Il c’è è ovviamente un refuso del t9. So che si scrive “ciela scorderemo”
Sì sono vent’anni che scrivo e credo che questa sia la battuta invecchiata più rapidamente di sempre…
Scrivi da vent’anni ed è come fosse il primo. Non solo le battute invecchiano veloce, anche il cinismo arguto, figlio dei meme.
anch’io scrivo da vent’anni, ed è ancora come il primo giorno: non sono capace.
VIVA LA FOCA
Me ne sono innamorata all’ultimo Trieste Science Fiction Film Festival e sono contenta che finalmente se ne parli anche su I 400 Calci, perché significa che così il piccolo Benny non sarà più solo!!
L’ho trovato “carino”. Alla lunga il pupazzetto dà un po’ sui nervi con quel weee e le solite frasi ripetute. Ho trovato bello il combattimento di Benny col robottino colla sega circolare. Se però il messaggio è “impara a convivere col tuo lato oscuro e non cercare di rimuoverlo gettandolo nella spazzatura”, allora “Bad Mylo” lo aveva detto molto meglio. Piuttosto due notazioni: Claire Cartwright (Dawn) è una gnocca pazzesca, speriamo di rivederla; poi o mi sono distratto io o c’è un buco di sceneggiatura: ma che fine fa la tipa che si era nascosta nel solaio? Sarò tradizionalista ma non sopporto quando un personaggio anche minore sparisce dal film senza morire e poi boh, è frustrante. Anche perché lei mica sparisce dal film, sta tutto il tempo nascosta là, ma ripeto, può darsi che mi sia sfuggito qualcosa. Non entusiasmante ma ben fatto.
Credo che il punto sia proprio che se la “dimenticano apposta” in soffitta perché fa ridere. Cioè questa è talmente scema che Benny la intrappola lì e lei non si muove più dalla paura.
Dopo i titoli di coda ci si ricorda di lei…
Io l’ho trovato splendido. Non solo ha un perfetto bilanciamento di gore, tensione, cinismo e riderissimo, ma veramente non gli ho trovato un difetto uno. L’impressione è che si sia ricavato il massimo da ogni singola risorsa disponibile (e sono poche). Io gli ho voluto bene.