Esiste una legge di natura che dice che, se tu sei americano, difficilmente potrai fare gli inglesi al cinema, ma se invece sei inglese ti faranno fare un sacco di americani. Pochi attori hanno osato spezzare questa regola – Robert Downey Jr., Emma Stone – con risultati alterni. In genere agli inglesi viene più facile fare l’accento americano piuttosto del contrario, o forse sono solo puttanate diffuse dai sudditi di Sua Maestà, notoriamente puntigliosi sulla lingua inventata dai loro fieri antenati bevitori di tè col latte. Anche perché, a ben vedere, non è che a tutti gli attori britannici venga benissimo l’accento americano: più semplicemente, ci sono attori che sono bravi con gli accenti e altri no. Pierce Brosnan è tra questi ultimi. Pierce Brosnan che tenta di fare il nativo di Biloxi è come un tizio in smoking che sorseggia un cocktail a un concerto dei Derozer: senti che c’è qualcosa di sbagliato a pelle, anche se non conosci la cultura o la lingua.
Perché, al di là dell’accento, Pierce Brosnan ha un aspetto che funziona bene solo in determinati contesti, e Fast Charlie non è uno di questi. Il film è diretto da Phillip Noyce, regista di Ore 10: calma piatta, Giochi di potere e Sotto il segno del pericolo, ultimamente ridotto a fare i disperati tentativi di lanciare saghe young adult (The Giver) e le serie TV. Alla sceneggiatura troviamo invece Richard Wenk, sceneggiatore della saga di The Equalizer. E qui già mi è esploso il cervello: Fast Charlie è tratto da UN ROMANZO, scritto da Victor Gischler. Non so chi sia (e scopro ora che ha scritto cicli di The Punisher), ma non mi stupisce: trarre un film da un romanzo dovrebbe essere quanto meno sinonimo di una sua certa dignità, ma qui è come se avessero deciso di adattare un gialletto trovato in allegato a Oggi nell’edicola di una località balneare qualsiasi. In Fast Charlie non c’è NIENTE di originale, un angolo narrativo poco esplorato, un punto di vista inedito, uno straccio di idea che lo elevi, seppur per cinque minuti, dalla massa di prodotti identici.
Ma forse è colpa dell’adattamento, diamo al povero Victor Gischler il beneficio del dubbio. Dopo tutto Richard Wenk non è certo il più sveglio della cucciolata, considerando che ci ha anche regalato il remake de I Magnifici 7 e il kebab come piatto tipico della costiera amalfitana. Ma a questo punto distribuiamo le colpe: non so esattamente cosa abbia spinto Phillip Noyce a dirigere questo film, ma qualunque cosa fosse è scemata dopo pochissimo, perché chiaramente qui non c’è un residuo di gioia in quello che fa.
La trama! “Fast” Charlie Swift (clever: “swift” è un sinonimo di “fast”) è il più classico dei fixer e lavora da tutta la vita per Stan Mullen (il grande James Caan nel suo ultimo ruolo), affettuoso e saggio boss della mala di Biloxi (non sentite anche voi l’odore della mafia di una volta? Quella con un codice morale, che non spaccia la droga ma ammazza solo la gente che se lo merita? Che brave persone i mafiosi di una volta, mica come queste brutte nuove generazioni), ormai affetto da demenza. Charlie se ne prende cura come un figlio devoto e continua a risolvere per lui i piccoli problemi che, quotidianamente, un povero boss locale si trova davanti. Quando un boss rivale fa piazza pulita della simpatica banda di guasconi al servizio di Stan, una famiglia mafiosa tutta matta e felice, persone semplici che volevano solo fare i criminali in pace, a Charlie non resta che allearsi con l’ex moglie di un gangster che lui ha ucciso (Morena Baccarin, sempre sia lodata) per vendicare la strage degli innocenti.
Vi ho raccontato la trama. Non lo faccio sempre, ma stavolta, lo ammetto, era necessario per raggiungere il numero minimo di battute, perché a parte questo non c’è molto da dire su Fast Charlie. È un film svogliato e noioso, ma a dirla tutta un po’ di speranza nel primo atto l’avevo: al di là di un incipit da puro DTV, con un inizio in medias res stravisto e senza alcun particolare guizzo di regia (il film inizia che inquadrano Pierce Brosnan spaesato in una discarica, in piano americano, con l’orizzonte a metà strada come John Ford ha detto a Spielberg di non fare mai), Fast Charlie imbrocca un tono forse involontariamente comico/surreale quando introduce la suddetta famiglia mafiosa mentre festeggia il compleanno del boss, in un disperato tentativo di evocare atmosfere alla I Soprano, e se non altro c’è Pierce Brosnan che, pur restando un pesce fuor d’acqua, tenta di infondere un po’ di gravitas al suo personaggio. C’è poi la “tenera” (spero sia la parola giusta, l’ho dovuta cercare sulla Treccani) storia d’amore tra Charlie e Marcie, che si incontrano nella situazione più improbabile eppure si piacciono subito. Peccato che poi il film decida di castrare qualunque pulsione sessuale e di non mostrare non dico qualche centimetro di pelle, ma manco un bacetto innocuo: Brosnan e Baccarin passano tutto il tempo a farci capire a parole quanto se la intendano, e alla fine (SPOILER?) si ritirano insieme in una villa nella campagna toscana, ma senza nemmeno sfiorarsi per tre secondi. Il bello è che Noyce ci marcia molto su questo fixer anzianotto a cui non par vero di potersi fare una turbognocca molto più giovane di lui – e che le ci stia pure! Tutto questo serve a presentarci Charlie come un essere umano che, al di là della sua infallibilità di killer, è fragile e insicuro. Ma se poi non arrivi al dunque, si sfocia in un territorio di affetti platonici tra attrazione sessuale repressa e rapporti padre-figlia che mi fa rabbrividire al solo pensiero.
A parte questo, un paio di morti ben fatte e un accenno di umorismo tutto sommato decente, Fast Charlie è una perenne zona grigia di mediocrità: Charlie, come dicevamo, è un killer infallibilissimo, sempre un passo avanti a tutti, il che prosciuga la tensione da qualunque scena d’azione. Voi mi direte: “Si ma pure John Wick è infallibile!”. Vero, però lì almeno ci sono le arti marziali, qua siamo più in territorio hard boiled classico e, se mi presenti un protagonista anziano e sulla carta fallibile, poi non me lo puoi rendere l’unica persona intelligente e capace in un universo di scagnozzi senza cervello. Una regola classica dell’action è che l’avversario debba essere per forza più potente dell’eroe, altrimenti che gusto c’è? Qui non c’è un singolo avversario in grado di tenere testa o fare realmente paura a Charlie. E, anche quando scocca l’ora della vendetta, tutto si risolve in uno stallo noioso senza il minimo spargimento di sangue.
Non c’è carnazza, non c’è molta violenza (ce n’è più all’inizio che alla fine, il massimo peccato capitale per questo tipo di film), non c’è gioia, e arrivando non ho visto neanche l’ampio parcheggio di Biloxi, Mississippi. Non è che Fast Charlie sia solo un’operazione di riciclo di denaro sporco? Questo spiegherebbe almeno l’immagine positiva dei mafiosi che il film cerca disperatamente di venderci.
Unieuro quote:
“Basta! Questo cinema è insoddisfacente.”
George Rohmer, i400Calci.com
Cento punti per aver citato i Derozer.
Branca Day!
E altri 100 per aver citato Tapparella.
L’idea del film come metodo di riciclaggio di denaro sporco è bellissima.
Come tutti i film di Steven Seagal da 15 anni a questa parte
“Mi chiamano Fast Charlie”. “Mainagioia!”
Ho riso fortissimo… sono una persona semplice.
A parte questo, se lo fanno su Netflix o simili un’occhiata glie la do comunque solo per affetto nei confronti di Brosnan
Brosnan grandissimo in The Matador, secondo me il film della vita, purtroppo poco calciabile
Sostituite il ‘fingere di essere americano’ con ‘fingere di essere apache/russo/italiano/eschimese’ ed avrete la trama di un qualunque film di Steven Seagal…
Il buon SS si è talmente calato nella parte da essere diventato un fan di Putin, il quale gli ha dato la cittadinanza russa. Così non deve più fingere.
Ahah, tutto semplice e spassoso. Mi hai messo voglia di vederlo.
Funziona ancora il mulo?
ma un ritorno di Pierce nei panni di Bond la fine dei suoi giorni?
diretto da Nilan?
ah eh ih…
che ne dite?
*Nolan