Per vari motivi che non vi sto a spiegare, è un momento un po’ complicato della mia vita, pieno di problemi, preoccupazioni, paranoie e pirlate di questo genere. Per controbilanciare la negatività ho rivisto un sacco di vecchie commedie divertenti ma garbate, ho fatto tante passeggiate e bevuto delle gran tisane. Poi, per verificare lo stato delle cose e gli eventuali miglioramenti della situazione, ho recuperato Megalomaniac, presentato nel 2022 a vari festival (tra cui il TOHorror), uscito per qualche giorno in sala negli Stati Uniti e ora… no, nulla, in Italia non ce n’è ancora traccia se non in home video, a meno che non foste a Torino due anni fa. Insomma un film che non ha lasciato granché il segno al di là delle reazioni da festival, ma che meriterebbe una piccola riscoperta – sempre che vi piaccia l’idea di stare male costantemente per cento minuti densissimi e rarefatti insieme (giuro che è possibile).
Cioè: Megalomaniac è un film di stare male. Stanno male i protagonisti, stanno male le loro vittime, e stai male tu che lo guardi e pensi che forse vorresti essere altrove a fare altro, tipo andare in giro in monopattino, oppure cambiare la testina dello spazzolino elettrico, o magari panificare. È una roba cupissima senza una traccia di ironia, che è stato paragonato a Martyrs del quale però non ha neanche la carica rabbiosa e vendicatrice. Stando alla descrizione fornita dalla stessa produzione, è “un film sul peso del patriarcato e sull’illusione del manicheismo”. Ora non voglio certo smentire chi il film l’ha pensato, realizzato, confezionato e messo sul mercato, ma io queste cose ce le ho intraviste sì e no, e solo perché mi erano state suggerite. Megalomaniac è un film di stare male, il resto è più o meno accessorio.
Megalomaniac è una roba di serial killer. È vagamente ispirato alla vicenda del macellaio di Mons, che è sostanzialmente lo Zodiac Killer belga: ha ucciso un sacco di gente e nessuno ha mai scoperto chi fosse. “Gente” significa poi “donne tra i 20 e i 40 anni”, ma è un dettaglio che ci interessa relativamente, perché il simpatico Karim Ouelhaj non ha intenzione di parlarci di lui ma dei suoi due figli: lui prosegue il lavoro paterno ammazzando donne a caso, lei vive in casa da reclusa tranne quando esce per andare a lavorare (fa le pulizie in un posto squallido). Lui pare uscito da un film di Lynch, lei è una cosplayer piena di disagio di Elisabeth Moss. Vivono in una magione gotica zozzissima e male illuminata e parlano poco, lentamente e in maniera apodittica. Il film è sostanzialmente questo. SIGLA!
Davvero: uno pensa a cose tipo “la trama” quando guarda un film, ma qui siamo dalle parti di Henry, pioggia di sangue in quanto a destrutturazione e ricostruzione dell’oggetto cinematografico sotto forma di collage di scenette collegate tra loro solo dai due protagonisti. È anche un film circolare, Megalomaniac; routinario. È il racconto della vita di queste due persone che passano il tempo a star male e a far star male il resto del mondo. Le location sono sempre le stesse, le situazioni anche: si apre con un omicidio brutalissimo e gratuito e mostrato in tutto il suo orrore compiuto dal fratello Félix, e questa roba ritornerà una, due, mille volte nel corso del film. Prosegue con uno stupro sul posto di lavoro, del quale è vittima la sorella Martha, e anche questa roba ritornerà, con tutte le variazioni più squallide e luride che vi possano venire in mente. C’è un’assistente sociale che ogni tanto fa visita ai due per controllare che vada tutto bene, e indovinate un po’?, le sue visite punteggiano tutto il film.
Non che manchi un minimo di abbrivio, non che non ci sia uno sviluppo anche leggero della situazione: in sostanza, Félix scopre che cosa succede alla sorella ogni volta che va al lavoro e decide di agire, di proteggerla, di fare il fratello maggiore. E anche lì: è chiaro dove si andrà a parare, perché credo che il discorso di sopra sul manicheismo sia tutto qui, cioè, i protagonisti sono anche i villain ma forse nel film ci sono dei veri villain che sono pure peggio di un serial killer erede di serial killer e di sua sorella squinternata. In altre parole, fanno tutti schifo. È un film di gente che fa schifo, e di stare male. Credo di averlo già scritto.
Ma il punto è che queste banalità da scuola di cinema tipo “la sceneggiatura”, “gli snodi narrativi”, “la costruzione della tensione” non interessano al nostro amico Ouelhaj, che si è invece laureato all’Accademia dell’Impatto Visivo e punta tutto su come ha girato questo film, più che su quello che vuole raccontare. Ci butta dentro un po’ di tutto: se il modello è il classico film di serial killer, con momenti quasi documentaristici che seguono l’assassino con occhio distaccato mentre fa le sue cose orribili, c’è anche una forte tendenza a buttare tutto sull’horror più classico, con visioni, incubi e creature spaventose che si nascondono nel buio fino a che non ne escono facendoti cacare sotto. C’è pochissima azione, anche nel senso di movimenti di macchina: è tutto molto statico, quasi una collezione di quadri di merda (in senso buono) fatti apposta per farti vedere quanto sia bravo il regista a comporre l’inquadratura, ma anche a comunicare quanto ciò a cui stiamo assistendo sia orrendo, putrido, squallido, marcio, [aggettivo da trovare simile ai precedenti].
Ecco: Megalomaniac sembra un po’ una raccolta di aggettivi, o una pagina del dizionario dei sinonimi e contrari. Ti fa rivedere ossessivamente le stesse cose, aggiungendo ogni tanto questo o quell’elemento utile a portare avanti il discorso generale, ma con la flemma di chi non ha in realtà molte cose da dire. Intendo proprio numericamente: il più grosso difetto di questo film è quello di essere monotono (e anche monotòno), di rimestare sempre nello stesso torbido perché in fondo vuole raccontare giusto un paio di cose, ma si diverte a farcele vedere e rivedere con una morbosa attenzione al dettaglio.
Appena terminata la visione di Megalomaniac sono uscito a prendere un po’ di sole e a respirare l’odore dei prati dopo la pioggia. È un film opprimente e completamente privo di qualsivoglia momento di positività; un film dove non si ride, dove nessuno è mai felice, un film di stare male, di gente che fa schifo e di conseguenza fa solo cose schifose (sono sicuro di averlo già scritto). È violentissimo e molto grafico, gratuito nella misura in cui lo è qualsiasi film con protagonista un serial killer inventato (che quindi non può neanche nascondersi dietro il “ma è cronaca!”) e che ci tiene a farti vedere tutti i suoi omicidi con dovizia di particolari. Procede un po’ a caso, ondeggia, si ferma, ma è tenuto insieme da un bello strato di fango, sangue e schifo. Ah, e ha un finale che, se non spettacolare o divertente, è quantomeno catartico, a modo suo.
Non lo rivedrei mai più nella mia vita, ma questo è un altro discorso.
Quote
“Belgio: non sono solo patatine fritte”
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Allora, recensione ottima, ma…
…ma da medio-depresso cronico da una vita, da un po’ di anni sono arrivato alla conclusione che il pessimismo senza scampo sia speculare all’ottimismo piu’ beota. Se non peggio, visto che e’ altrettato facile e schematico, ma in piu’ ti lascia l’ipocrita (e falsa) percezione di essere piu’ intelligente degli altri, di aver capito qualcosa in piu’. Quindi niente, un tempo mi ci sarei fiondato su un film del genere, ora inizio a pensare di essere troppo vecchio per queste stronzate.
E aggiungo che personalmente pure questa specie di “epica nera” sui serial killer ha rotto il cazzo e pure da un bel pezzo.
VPN + Shudder , oppure (scelta consigliata se avete già Prime) VPN + Amazon Prime US.
Confermo quanto scritto in recensione. Film nerissimo, depressissimo, negativissimo, senza speranza.
BUT:
Dipende da con che attitude lo si affronta:
1. “Penso che il mondo faccia schifo al cazzo, la mia vita faccia schifo al cazzo” —> si esce da quasi 2 ore di visione con un sorriso sul volto (morale: c’è di peggio al mondo e la mia vita non fa così schifo)
2. “Penso che il mondo sia un posto meraviglioso, che gli esseri umani e la vita siano il dono più grande che Dio ha fatto al pianeta Terra” —-> si esce da quasi 2 ore di visione depressi e pronti a rimettere in discussione ogni vostra convinzione.
Per fortuna io porto avanti con onore la filosofia n°1 e me lo sono quasi goduto, nel suo schifo.
P.S.: Martyrs c’entra poco o nulla, è solo un paragone che è stato fatto su Reddit dall’archetipo anonimo di internet.
Aggiungo che probabilmente ho visto la versione tagliata (Prime, 1 ora e 40 minuti). Leggo in giro che il film presentato ai festival era di quasi 2 ore.
Dai Stanlio, vedrai che il periodo passerà e ci saranno giorni più lieti!
Ti mando un forte e virile abbraccio
Dicono che il Belgio sia un posto di merda.
Dopo Bullhead (La Vincente Ascesa di Jacky – Ah ah!) e questo, mi sa che ci credo.
Daje Stanlio.
Per me i disagio movies sono sempre interessanti, e sopratutto se il periodo è nero mi aiutano a sciogliere un po’ di malessere e a diluirlo in un male più universale. Mischi bene, ti fai una bella bevuta di schifo del mondo e poi vomiti fuori tutto.
Comunque cercherò di recuperare il film, che sembra bello peso come piace a me
Stanlio quando butta difficile pensa che c’e’ addirittura chi ti vuole bene per procura, tipo una coppia di Bologna che aspetta sempre di vederti su Twitch per accendersela. Davvero: solo la prima volta che t’abbiamo visto non eravamo pronti e ci siamo rimasti un po’ male; non e’ piu’ successo. Tanto bene. Firmato: Le Due Marmotte
No dai, raga, dice che è pieno di pare e menate, mica che è in depressione, oh!
Comunque in gamba Stanlio, ti (vi) vogliono bene un sacco di sconosciuti, figurati i tuoi bro.
Coraggio Stanlio, spero che tutto si sistemi.
Visto un annetto fa e girato a quasi tutti i miei conoscenti.Preso nel giusto verso sto film merita un botto.
P.s. ce l’ho anche nel telefono, pronto a girarlo su telegram.
Amici, amiche, volevo solo dirvi grazie del sostegno <3
Dai,Dai,Dai, con enorme intensità, Stanlio.