Sigla!
httpv://www.youtube.com/watch?v=k7Ji33jwW8A
il 2014 segna il trentennale di un sacco di film pazzeschi, alcuni filmoni scelti del 1984 ve li abbiamo fatti vedere con la 400tv, per Ghostbusters poi abbiamo tirato su un casino che levati. Ma il 2014 segna anche il quarantennale di un film che qui sopra è strano trovare, Frankenstein Junior appunto, che debuttava nelle sale proprio nel 1974.
Quarant’anni portati benissimo ed un solco molto importante nel modo di pensare al cinema – non solo alla commedia. Nonostante sia un bel film è endemicamente fuori dal nostro radar come opera; ma l’operazione che svolse e i suoi riferimenti sono meritevoli di eccezione e quindi di un piccolo approfondimento qui sopra in occasione dell’anniversario.
Vi premetto – per amore di imparzialità – che non sono mai stato un fan esagitato di Frankenstein Junior, per intenderci quelli per cui è il film più importante del Cinema e lo citano a memoria ridendo convulsamente per battute che, quantomeno in italiano, per me non sono sempre così pazzesche; anzi, molte mi risultano un po’ forzate, soprattutto rivedendolo a mente fresca dopo tutti questi anni e dopo averlo confrontato con la versione originale. Gran lavoro di adattamento eh, una missione eroica e suicida, però ha dei grossi limiti. Ho riso francamente di più per altre cose ma poche volte ho visto costruire così intelligentemente l’apparato umoristico, per molto tempo ad ogni visione capivo qualcosa di nuovo e per quanto non ridessi di pancia mi divertivo molto.
Mi ci sono voluti anni di visioni sporadiche per capire quanto fosse un’operazione cesellata e colta, quanto fosse un film incredibilmente ben pensato, di quanto amasse cose che anche io amavo e ne parlasse con cultura. Come commedia ad uso ridere ha continuato a piacermi il giusto, forse perché l’imprinting del “morire dal ridere” ormai era stato rovinato, ma sicuramente imparai ad amare la stratificazione di livelli di lettura e di linguaggi di cui il film è fatto, scoprendo che il grosso di quelli che ne morivano dal ridere e mi stigmatizzavano lo facevano un po’ per per convenzione, perché coglievano poco dell’operazione attuata dal film. Insomma io mi riguardo Frankenstein Junior non per ridere ma perché me la voglio spassare con l’enorme gioco postmoderno che il film mette in piedi. Sul postmoderno vi avevo già tediato in occasione di Le avventure di Rocketeer, quindi vi rimando lì e ci vediamo quando vi siete rinfrescati la memoria.
Fatto? Andiamo allora.
Oggi giocare con i generi nella commedia, parodiandoli, è un gioco quasi al ribasso. Dopo la perfezione delle prime scorribande di Zucker-Abrahms-Zucker, codificato il genere, si è andati su di un encefalogramma abbastanza piatto che è a conti fatti poco più dell’equivalente di un namedropping in una conversazione noiosa o una sbornia di “ho scovato il dettaglio!” tipo Dove è Wally. Dopo quasi quarant’anni di commedie demenziali basate sulla satira e citazione dei titoli del genere che il film vuole parodiare, un film come Frankenstein Junior ci appare ancora di più evidente nei suoi meriti: lì dove i suoi eredi più o meno diretti creano degli aggregati di gag scollate e abbastanza fini a se stesse, è un film-film; un film che ha una trama ed una sua struttura coerente, che è una commedia ma che per come è pensato avrebbe potuto essere tutto quello che voleva, perché è un film del suo genere con tutti i crismi formali tranne il tono. È appunto un’operazione postmoderna efficacissima e, come per un Indiana Jones, è talmente coesa e ben pensata da diventare genere a sé, quasi da sostituire il genere a cui si rifà: molte persone che ho conosciuto non avevano quasi mai visto i vecchi horror della Universal ma grazie a Frankenstein Junior sapevano a naso come dovevano essere, un po’ come fanno molti con Indiana Jones ignorando, chessò, i racconti di Doc Savage. Chiaramente il genere di riferimento è l’horror degli anni trenta e quaranta, che era stato già al portato alla commedia nei cinema con lo spassoso film di Gianni e Pinotto Il cervello di Frankenstein, dove però si gioca la carta della farsa e lo si fa in contemporanea con gli anni del genere rendendo la cosa più simile ad alcune parodie un po’ instant dei nostri Franco e Ciccio.
L’ horror classico, quello in bianco e nero insomma, quello della Universal ma anche di altri studios americani e non, come la Hammer, nel 1974 aveva più di quarant’anni ed era invecchiato agli occhi dei contemporanei sicuramente più di quanto lo sia Frankenstein Junior ai nostri occhi; ma nonostante questo era ancora un’importante fetta di mercato, non soltanto cinematografico. Nonostante la sua età ragguardevole, i tempi e i linguaggi completamente cambiati, l’affetto degli statunitensi verso i mostri classici dopo quattro decadi era ancora incrollabile. In un certo senso possiamo dire che la golden age dell’horror classico non tramontò mai per cinquant’anni circa.
Al di là della reiterazione dei personaggi classici in film più o meno riusciti dagli anni quaranta agli anni settanta, l’immaginario originale, proprio con i Karloff e i Lugosi, era ancora una miniera d’oro e prima che i Cramps e i Misfits portassero la caricatura musicale dell’horror classico in una direzione di disincanto e violenza inaspettate, i mostri del bianco e nero popolavano placidamente la vita degli americani molto da vicino: nei drive-in di tutta la nazione così come nelle prime TV via cavo o nelle programmazioni della notte fonda, i film classici continuavano a imperversare: riviste come Famous Monsters of Filmland, pur coprendo le uscite cinematografiche contemporanee, ininterrottamente continuavano – e tutt’ora continuano – a parlare di Lon Chaney Sr e Jr, ai bambini venivano regalati i kit dei mostri da montare della Aurora e i fratelli più grandi avevano gli hot rod e tutta la “Kustom Kulture” legata ai motori che riproponeva i mostri in chiave grottesca e cartoon per poi rilassarsi tutti assieme in famiglia guardando La famiglia Addams o i Munsters in TV. Tre generazioni di giovani americani si sono gioiosamente spaventati e sono cresciuti con i mostri classici: la generazione della guerra, i baby boomers e poi i loro figli. E attorno a questa consolidatezza, che possiamo paragonare alla Disney classica come estabilishment e trasversalità, è fiorito per decadi un mercato solido. Un’onda lunga che è arrivata fino alla mia generazione – quella degli anni settanta – che giocava con i pupazzetti Mego dei mostri Universal ed aveva il portapranzo di Dracula. Pensateci: per un ragazzino della fine degli anni settanta, merceologicamente, c’era indifferentemente da scegliere con lo stesso gusto tra un gadget di Guerre Stellari, uno di Spazio 1999 ed uno di un film dell’orrore di cinquanta’anni prima ambientato nell’ ottocento. Pensate che tra gli appassionati di horror quei film degli anni trenta continuavano ad avere un seguito gigantesco – non ironico, appassionato – nello stesso periodo in cui usciva in sala Non aprite quella porta. Pazzesco eh? Il fantasma dell’opera piaceva a Glenn Danzig così come a gente che aveva più del doppio dei suoi anni; questo per farvi capire la forza che quei film ancora avevano, in primis propriamente come opere e ormai anche indotta da una consolidazione culturale gigantesca.
L’operazione di Brooks quindi avvenne in un contesto molto preciso, non stava facendo un operazione così d’essai come possiamo pensare se crediamo che facesse un’opera di citazionismo di cose vecchie e dimenticate: per quanto distante nel tempo, era materiale molto presente nella cultura popolare del tempo e non solo nella memoria.
Quando diresse il suo Frankenstein Junior, Mel Brooks aveva quasi quarant’anni egli stesso, era praticamente della prima generazione che aveva potuto vedere al cinema le meraviglie in bianco e nero della Universal essendo in età scolare nei primi anni trenta e l’impatto che ebbe il cinema della vecchia Hollywood e in particolare il cinema horror su di lui fu deflagrante. Parliamoci chiaro: la roba degli anni trenta e quaranta fu completamente avvincente e affascinante per me da ragazzino, che comunque li ricevetti in maniera ormai istituzionalizzata\musealizzata, figurarsi per chi ci entrava in contatto per primo e di pancia. Mio padre, che è del 1934, se interpellato a riguardo spalanca gli occhi e ripete come un mantra “Ah, Karloff… Karloff, che paura… Che bello Karloff…”, con una sincera emozione evidentemente frutto di un’esperienza che segna il cuore.
E il cuore di Brooks come quello di tutta la nazione era segnato da una travolgente passione per quella Hollywood di divi, mostri e chiaroscuri, una vecchia Hollywood che citerà in tanti suoi film, dal western classico in Mezzogiorno e mezzo di fuoco, il cinema muto con L’ultima follia di Mel Brooks fino al cappa e spada à la Erroll Flynn con Robin Hood: un uomo in calzamaglia, ma che mai fisserà con mano così sicura come con Frankenstein Junior.
Sorvolando sull’ovvio fatto che è un film che decide stilisticamente di essere in bianco e nero – per niente ovvia come operazione, nel 1974- per sovrapporsi agli originali in maniera più evidente possibile, è chiaro il rifarsi alla saga di Frankenstein in maniera molto attenta.
Ai primi due Frankenstein di James Whale, dicono facilmente i più avventati, ma rispondo io che sono ancora di più l’omaggio al terzo sequel di Rowland Lee – Il figlio di Frankenstein del 1939- e al meno conosciuto quarto film della saga – Il terrore di Frankenstein del 1942- a caratterizzare il titolo.
Perché il protagonista del titolo è Frankenstein, e fin qua ci siamo, ma i rimandi oltre il classico del 1931 e La moglie di Frankenstein del 1935, sono svariati per una serie di elementi più o meno evidenti, più o meno rimaneggiati e più o meno recepiti in Italia dove l’operazione di linguaggio di Brooks trovava di sicuro un pubblico meno fidelizzato e pronto a coglierli.
Oltre alle figure iconiche del “la Creatura” e de “lo scienziato che la crea”, abbiamo l’Igor di Marty Feldman, che è un misto tra il meschino nerovestito assistente gobbo Fritz del primo Frankenstein con l’ irsuto Ygor, il sadico e storpio ladro di cadaveri, l’ amorale assassino interpretato da Bela Lugosi in Il figlio di Frankenstein.
Igor invece causa problemi non per indole malvagia ma per goffaggine, e dove ne Il terrore di Frankenstein il cervello malato è quello dello stesso Ygor che viene messo con l’inganno nel cranio della creatura inerme per dare sfogo alla sua malvagità, qui il cervello messo nella creatura è problematico perché Igor , che viene mandato a trafugarne uno – come Fritz nel primo film – per coprire il suo errore ne fa mettere uno a caso dopo che ha danneggiato quello indicato facendolo cadere, cervello che si rivelerà bacato.
C’è poi l’ idea di fondo di un erede di Frankenstein, con tanto di baffetti, che si ritrova a passare sulla sua pelle la maledizione del suo predecessore come in Il figlio di Frankestein, senza contare il rimando praticamente urlato del titolo stesso del film che ci riporta alle dinamiche di parentela e sequenzialità del film del 1939 nei confronti di quello del 1931.
Sempre da Il figlio di Frankenstein arriva uno dei personaggi più divertenti, il monco e guercio ispettore Kemp, che è una trasposizione divertita dell’ ispettore Krogh del film originale e che a differenza di questo non è mutilato di guerra, ma lo è come risultato di una sua vecchia colluttazione con il vecchio mostro di Frankenstein molti anni prima. Come pure la dinamica del violino usato per calmare la Creatura è proveniente direttamente da Il figlio di Frankenstein in cui Ygor, avendo recuperato la creatura dopo la sua presunta sconfitta, ha imparato, citando apertamete la favola de Il pifferaio magico, a soggiogarla e a condizionarne le azioni spingendola a compiere omicidi per suo conto suonando determinate melodie con un flauto. È da La moglie di Frankenstein che arriva invece l’incontro con il vecchio cieco, come dallo stesso film è presa la trasformazione di Elizabeth nell’iconica moglie della Creatura con la tipica acconciatura a Sansonì.
Questi sono alcuni dei riferimenti molto tangibili ed indentificabili nei film d’origine; c’è poi una quantità ingente se non maggiore di dettagli d’atmosfera, di tono ed estetici, del genere intero: il succitato uso del bianco e nero o l’utilizzo delle scenografie volutamente artificiose che originariamente erano frutto in parte dei mezzi, ma che erano anche utilizzate al meglio per creare una fotografia espressionista fatta di tagli di luce e silohuette, che pure in Frankenstein Junior ritornano. E ci sono le nebbie fumose che avvolgono il suolo, originariamente per non dover ricostruire una brughiera intera ma che poi costituisce una cifra stilistica tra le più note del genere: è evidente l’attenzione nel piazzare in scena gli elementi scenografici presi direttamente dai vecchi set, a volte letteralmente; forse non tutti lo sanno ma il laboratorio del giovane Frankenstein è realmente in grandissima parte quello utilizzato nelle scene del film del 1931, rendendo la filiazione cinematografica coerente in tutti i sensi.
E poi ci sono più sottilmente gli ammicchi ai dialoghi impostati dell’epoca, il rifacimento della gag del “walk this way” presa dalla commedia brillante del 1936 Dopo l’uomo ombra; c’è l’affettuoso irridere la melodrammaticità teatrale di certe soluzioni dei vecchi film per sottolineare qualcosa di lugubre con la gag ricorrente dei cavalli imbizzarriti al nominare la terribile Frau Blucher, gag che dopo alcune volte diventa un tormentone surreale che sortisce l’esatto contrario degli originali; o le transizioni tra una scena e l’altra esattamente come nei film della Universal, con le dissolvenze al nero e gli iris out rendendo come vi dicevo il film più che un omaggio a certo cinema, un film fatto praticamente della stessa sostanza di questo, solo con un fine diverso.
Isolando elementi e scene minuto per minuto Frankenstein Junior si rivela, insomma, un’opera molto più articolata e sentita di quanto venga normalmente percepita – ovvero come una semplice commedia parodistica – e lo è stata prima di tutti.
In occasione dei suoi quarant’anni, concludendo, non vi invito a rivederlo ma a fargli e farvi un regalo più sentito: andare a ricercare, se non lo avete mai fatto, tutte le cose che sono a monte del film e a scoprire le situazioni, i linguaggi e i film a cui rende omaggio, a rivedere ovviamente Frankenstein e La moglie di Frankenstein ma anche a scoprire i due bei film successivi, ingiustamente snobbati da molti e secondo me assolutamente basilari per il Calcista. Anziché sterilmente rivedere (di nuovo solo per il gusto di citarlo per l’ennesima volta a memoria) un film che in italiano si perde molto e che senza tutte le chiavi di lettura si gode solo in parte, buttatevi in una caccia al tesoro: il film che vedrete alla fine della caccia scintillerà sotto una luce nuova e ne constaterete con maggiore gusto l’ottimo invecchiamento.
DVD-Quote suggerita:
“Una buona occasione per scoprire meglio un film che si credeva sempre di aver capito”
Darth Von Trier, i400calci.com
Complimenti Darth ottimo pezzo davvero.
Anch’io non sono un fan, mi divertì moderatamente quando lo vidi la prima volta ma tutt’ora mi innervosisce chi lo cita perchè il più delle volte è gente che “quel film che fa morire dal ridere” solo per sentito dire da altri.
Studiare un po’ ciò che è venuto prima mi sembra un’ottima maniera per riscoprire F. Jr ma anche quei filmoni che hai citato, in cui io ahimè sono fermo soltanto al primo.
Mi pare giusto ricordare come molte gag riuscite siano state rubate o citate in film successivi, tipo l’uomo dalla mano di legno (mi pare di ricordare Maurizio Micheli in una situazione del genere)
bellissimo pezzo e bellissimo film!!
lo riguarderò magari oggi -scoprendo quindi elementi nuovi- che da me c’è un tempo da lupi (ululà!)
fregherà un cazzo a nessuno ma la sequenza che mi fece scompisciare di più -forse perché figlio di ferroviere- sono le fermate del treno!! New York!!! -stacco- Transylvania!!
Con la coppia marito-moglie che litigano uguale in entrambi i posti
Hai colto nel segno Darth, grazie. E l’ho sempre vista esattamente come Ryan Gossip. Infatti l’ho solo rivisto una volta una decina di anni fa, sull’onda del solito ” no dai guardiamo FJ che ci scompisciamo” e dato che avevo un bagaglio cinematografico di poco superiore a quando lo vidi la prima volta verso gli 11 anni mi strappò qualche sorriso e non molto altro, mentre mio padre, forse proprio perchè memore di quel cinema anni ’30 qualche risatona vera se la fece. Recuperare i vecchi Frankenstein e rivederlo in quest’ottica sarà una novità. Grazie ancora
Mamma mia che bel pezzo, una roba così mi ripaga di tutte… no veramente non mi ripaga di un cazzo perché ogni giorno che Dio manda in terra da qui escono condensati di cultura e amore per il cinema che levati però, ecco, oggi mi sono sentito proprio trasportato. E poi quando un pezzo non ti fa venire voglia di vedere il film di cui parla ma altri 5 o 6 allora vuol dire che sta funzionando parecchio bene.
Vabbè ora mi organizzo e nell’inverno me li vedo uno per uno.
@darth carissimo, in Danse Macabre, saggio definitivo sulla letteratura filmica dell’orrore, Stephen King dedica un capitolo intero a Frankenstein Junior, accusato di aver fatto cadere la maschera di tutti gli archetipi dell’horror moderno,di aver fatto una rivoluzione semiotica strutturale insomma. Il Re ci ha azzeccato in pieno, e anche la tua splendida rece, altro che le cabins in the woods e Joss Whedon.
Ottimo pezzo davvero! Il Figlio di Frankenstein e Il Terrore di Frankenstein mi mancano, devo recuperarli.
Che poi in effetti uno ci pensa e si rende conto che il famoso scambio “lupo ululà” in italiano e’ ammazzato e totalmente nonsense rispetto all’inglese:
Inga: Werewolf!
Dr. Frederick Frankenstein: Werewolf?
Igor: There.
Dr. Frederick Frankenstein: What?
Igor: There, wolf. There, castle.
Ho sempre riso forte anche in italiano, ma mi sono anche sempre chiesto il perché.
Mano sicura…bel colpo!
@Nanni: sinceramente, in quel frangente, ho sempre riso, più che per l’inizio, per la conclusione della gag (“…eccululà!”)…
Nun ce sarà il gioco di parole su werewolf, ma non mi sembra così storpiata.
Vabbèh.
Bellissimo pezzo, da cui si evincono l’amore e la competenza dell’autore riguardo i film che hanno ispirato questa pellicola.
OT, guarda un po’ che c’è sul tubo…
https://www.youtube.com/watch?v=JuU0M2xBasc
@Ace, l’inizio non ha senso, Inga dice “lupo ulula”, Frederick ripete “Lupo ulula?” e tu spettatore ti chiedi “ma come cazzo parlate” gia’ prima che intervenga Aigor a dare il colpo di grazia. In inglese non succede, li’ ridi perché il “come cazzo parlate” e’ solo un equivoco di Aigor e ti coglie di sorpresa. Poi ovvio che il gioco di parole era intraducibile e poteva andare ben peggio.
“werewolf…” gag bellissima, seconda solo a quelle dell’ultima cena in La pazza storia del mondo.
Bellissimo pezzo, grazie.
il comunque odioso Cannarsi aveva azzardato “lì cantropi” “là castello” ed è stato scuoiato in pubblica piazza.
Ormai “lupo ululì castello ululà” è scritto che DEVE far ridere e basta. Perchè sì.
A me personalmente la battuta su lupo ululí ha sempre fatto piegare spontaneamente
over-doose
over-Kraft
:D
Sono contrario all’opzione di Cannarsi, aggiusta l’inizio ma rende insensata la fine. E in una gag e’ comunque piu’ importante la fine dell’inizio. “Lupo ulula’, castello ululi'” e’ diventata un classico anche in italiano perché decontestualizzata rende quasi piu’ che all’interno della scena, di base citi e ripeti la parte buona e ti dimentichi che e’ stata costruita in modo goffo.
“Lupo Ululì, castello ululà” è entrato nel mito. Sarà pure un nonsense riderci su, ma io lo faccio da sempre!
@ DARTH Grande Darth,hai consigliato ai fancalcisti una cosa che io stesso feci qualche anno fa. Comprai 2 cofanetti di film antichi,uno su l’uomo lupo e l’altro su frankenstein,tutti e 2 a 5 euro l’uno,un affarone. Dopo aver visto i film di frankenstein mi ricordai di quel film di Mel Brooks,l’avevo visto una sola volta e francamente mi aspettavo di ridere molto di più. Ma cazzo alla seconda visione fu come rivederlo per la prima volta,il cofanetto dei vecchi frankenstein l’avevo finito tipo 2/3 settimane prima e il ricordo era ancora fresco,e indovina un pò… mi fece pure ridere di gusto. A questo punto per completare il quadro me lo voglio sparare una terza volta sentendo le voci originali,mi è venuta la fotta.
Grandissimo pezzo, di un film che ho adorato fin da bambino.
Oltre a farmi scompisciare, mi ha sempre affascinato la sua vena folle e vagamente lunare. Davvero per anni da ragazzino avrei voluto abitare in un mondo in bianco e nero insieme al “Doktore”, Igor, Inga e alla Creatura. Più che personaggi per me sono dei vecchi amici.
Bellissimo approfondimento, grazie Darth!
E già che siamo in tema, vale la pena di ricordare il “damn your eyes!” “too late” tradotto poi con “ma questo è un malocchio!” “e questo no?” con tanto di ammiccamento verso lo spettatore di Marty Feldman.
Che oh, sarò stronzo io, ma è l’unica che mi diverte più che nell’originale!
Ragazzi complimenti per il pezzo fantastico e vi ringrazio perche èdavvero con tanto piacere che leggo i vostri articoli.Amo questo film sin da bambino mia madre universitaria lo vide al cinema se ne innamoró facendomelo vedere non appena ebbi l’etá per comprenderlo, ricordo ancora le risate per gag con Gene Hackman cieco che spacca il boccale di birra al mostro e la sua espressione(lo so sono una mente semplice).
Sull’adattamento non mi trovate del tutto concorde io sinceramente trovo ottimi sia i doppiatori che coloro che adattano i dialoghi e ritengo che con questo film sia stato fatto un gran lavoro sicuramente certe sfumature si perdono ma il tutto funziona egregiamente giusto la gag su Frau Blucher risulta incomprensibile ed involuta per il resto funziona.Ovviamente mio modesto parere
Concordo anch’io che sia la sapiente rielaborazione di quello specifico immaginario e non la qualità delle gag (non poi così eccelsa) a renderlo così amato.
E’ un po’ quello che invece non funziona in Dracula Morto e Contento, che invece era troppo focalizzato sul Dracula di Coppola anziché su iconografie più classiche (c’erano giusto le tettone che rimandavano ai film della Hammer) e non riesce a costruire un’atmosfera convincente. Un po’ come se Mel Brooks avesse girato Frankenstein Jr. molto più tardi sulla scia di quello di Branagh, chissà che ciofeca sarebbe venuta fuori.
Per dire, secondo me – sono serio – è molto più riuscito Fracchia contro Dracula, perché al netto delle solite gag di Villaggio c’erano pure parecchi tocchi di vero horror.
Recensione meravigliosa.
Anche io come molti ho visto il film (molti anni fa) senza aver conosciuto i classici horror. Però non c’è niente da fare, il film diverte lo stesso.
Sarà che comunque i luoghi tetri tipo il castello di Dracula e i mostri alla Frankenstein si conoscono comunque (forse per via di alcuni cartoni animati?) e quindi tanto basta per godersi il film. Poi ovviamente, come suggerisce Darth, per apprezzarlo completamente andrebbero conosciuti i film da cui prende spunto.
La traduzione in italiano della gag “werewolf” è secondo me geniale! Se ci pensate era impossibile tradurla perfettamente e un’opzione avrebbe potuto essere sicuramente eliminare la gag. La trovata dei doppiatori crea una nuova gag talmente d’impatto da diventare addirittura la battuta-simbolo del film.
A mio avviso funziona perché è spiazzante e si comprende solo alla fine, quando Igor dice “castello ululì”, mostrando che è il suo modo per dire “eccolo lì” o simile.
QUALE GOBBA?
@nanni et @Gigiake
non si deve ridere per forza. Se vi piace il non-sense bene, sennò non è il vostro umorismo e amen.
Detto ciò: a me, in inglese, questa battuta pare molto meno incisiva e memorabile che in italiano, così come in italiano altre battute diventano meno incisive e memorabili che in inglese.
hai ragione che schifi quelli come me, ma se io ci ho avuto il papà che invece di insegnarmi a parlare mi diceva cose tipo “rimetta a posto la candela” oppurre “se-da-TA-vo” oppure “si aiuti con questo” oppure “un salto niente male” oppure “morto di giornata” oppure “DON’T USE THIS BRAIN!!!” che ci posso fare?
poi è vero che visti come ci consigli tu vuol dire vederli con gli occhi della consapevolezza. e poichè sarà bellissimo lo farò di sicuro.
lasciatemi dire solo una cosa:
“-mai visti due così! -oh, crazie, doktore!!”
Bellissimo articolo.
Se non ricordo male la scena della bambina è molto simile a quella presente nel racconto Io, robot di Otto Binder ( http://it.wikipedia.org/wiki/Io,_Robot_(Binder) ) , altra rivisitazione del Frankenstein classico.
…”io e il dottore amiamo fare lunghe discussioni scientifiche… ce ne stavamo giusto facendo una…”
Il nitrire dei cavalli quando frau Blucher dice il suo nome è una citazione legata a Gebhard Leberecht von Blücher, feldmaresciallo prussiano che nella battaglia di Jena contro Napoleone lanciò anzitempo la sua cavalleria all’attacco contro il generale Gudin, con risultati disastrosi. E che i discendenti di quei cavalli ancora ricordano….
annaMagnanima, taffettà…
nicolas cagi, adesso – sniff – la lezione – sniff – è finita
Pezzone! Complimenti Darth. Il film mostra purtroppo i segni dei 40 anni, escludendo le varie gag che sono rimaste indelebili nell’immaginario collettivo, ha un ritmo moooooolto lento. Mel Brooks resta comunque un fottutissimo genio. Tuttora mi chiedo cosa cazzo gli abbia detto il cervello a voler fare dei film con Ezio Greggio