Da adolescente, Shinya Tsukamoto legge il romanzo autobiografico Fires On The Plain di Shohei Ooka e decide di trarne un film; ma i tempi non sono maturi. Una decina di anni fa in Giappone si comincia a riparlare di guerra, di esercito giapponese da mandare in missione all’estero per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e Tsukamoto decide che i tempi sono maturi abbastanza; ma non lo sono le sue finanze. Una decina di anni e qualche progetto alimentare dopo, Fires On The Plain viene girato semiclandestinamente con una troupe ridottissima (il solito stile Tsukamoto) ed esce in sala in Giappone proprio mentre il Parlamento approva la legge che consente all’esercito di tornare a combattere sullo scacchiere internazionale.
In realtà il romanzo di Ooka era già stato portato sullo schermo nel 1959 da Kon Ichikawa. Tsukamoto ha dichiarato che non voleva per forza girare un remake dell’originale bensì creare un’opera capace di svegliare la coscienza collettiva – specialmente quella dei giovani, per i quali la Seconda Guerra Mondiale è soltanto un argomento astratto su cui i libri di storia scrivono pagine e pagine.
La versione originale di Fires On The Plain era già stata un discreto pugno nello stomaco a base di atrocità fisiche e psicologiche, anche e soprattutto a causa della vicinanza storica degli eventi narrate, ovvero la ritirata dell’esercito giapponese, abbandonato da tutti, attraverso la giungla delle Filippine nel 1945: il soldato semplice Tamura fa da testimone alle assurdità e alla disperazione dei commilitoni, costretti dalla fame a cibarsi del proprio corpo o di quello altrui. L’urgenza politica del progetto di Tsukamoto sopperisce alla distanza storica degli eventi narrati e fa passare in secondo piano il fatto che ci sono sono molti punti in comune fra i due film, entrambi molto fedeli alla fonte letteraria. La bellezza innocente del paesaggio (contrapposta all’orrore in modo simile, ma con molta più leggerezza e meno manicheismo, a La Sottile Linea Rossa di Malick) non aiuta, anzi è solo un covo di larve e sanguisughe pronte ad attaccartisi in faccia. Il nemico è invisibile, i suoi attacchi sono casuali e improvvisi come quelli di una divinità annoiata che scaglia fulmini per divertirsi. I soldati sono carne viva e/o putrescente; le loro membra, così some la loro dignità e sanità mentale, sono ridotte a brandelli. La cornice storica è da un lato ben evidente nei dialoghi fra i soldati, ma dall’altro è data per scontata e perciò universalizzata: il film, pur rimanendo chiaramente bellico, diventa paradossalmente un Kammerspiel immerso nella natura in cui i protagonisti fanno cose orribili l’uno all’altro.
Ai tempi, il film di Ichikawa aveva scatenato reazioni scioccate nei critici, pur essendo agli occhi contemporanei molto più morigerato e stilizzato. Ma Shinya Tsukamoto non si è mai fatto problemi con la mostra delle atrocità né con la plasticità dinamica dei corpi, e qui firma il suo film più violento ed esplicito, opprimente e senza scampo, dove anche i tempi morti sono carichi di orrore. Durante il Q&A dopo la proiezione, il regista ha dichiarato di avere cominciato seriamente a realizzare Fires On The Plain appena dopo aver girato Vital: entrambi i film sono variazioni sul tema del corpo morto, della carne straziata, esplosa e inerte; ma mentre Vital è elegiaco e rispettoso, Fires On The Plain è un monumentale attacco all’anatomia e alle funzioni corporali; pur senza cadere nelle trappole del compiacimento o del sadismo, e persino mantenendo una per nulla scontata essenziale economia della messa in scena, il film confeziona un catalogo di tutto ciò che di orribile può succedere alla nostra fragile fisicità. Non c’è l’esaltazione grandguignolesca del torture porn, ma c’è posto per uno straniante momento slapstick in cui Tamura viene colpito di striscio da un proiettile, vede un pezzo di carne che gli si stacca dalla spalla, lo acchiappa e se lo mangia al volo.
Nessuno cone Tsukamoto è maestro nel comunicare la pazzia dei suoi personaggi, l’ultimo barlume di ragione che lotta per non spegnersi; tutti i sensi dello spettatore vengono convogliati in un tour de force cinematografico che ci costringe a identificarci con Tamura e i disgraziati dead men walking che lo circondano. Come già succedeva in Vital, il sound design fa incetta di rumori corporali, urla, rantoli e ne distilla le frequenze più disturbanti. Queste si fondono con la colonna sonora in una delle migliori tessiture techno-noise mai create da Chu Ishikawa (storico collaboratore di Tsukamoto), con improvvise aperture di musica vocale tanto rituale quanto alienante, specialmente nella lunga sequenza della strage notturna.
Considerato il clima politico ignavo in cui è stato concepito, Fires On The Plain può essere ascritto a quella pedagogia d’assalto di cui abbiamo parlato in passato. Sicuramente, per essere un film profondamente pacifista, è forse il più violento mai girato.
DVD-quote:
“Il più violento film pacifista mai girato”
Cicciolina Wertmüller, Il Miglior Sito di Cinema dai Tempi de i400Calci.com
Mesi e mesi che smanio dalla voglia di vederlo!
Mamma mia non vedo l’ora, Shinya non mi ha mai deluso (tranne con Tetsuo 3 che mannaggiallui è confusissimo!!) e questo sembra una vera bomba!!!
Scusa Cicciolina, volevo chiederti: paragonando questo ad altri film del nostro, lo consideri uno dei migliori? Per dirti, è meglio secondo te di Kotoko? (mi rendo conto che è una domanda un pò generica) Grazie!:D
Quanto cazzo è bello quel meme? E no, non dice “assumi giapponese”, o almeno non nella mia testa, per me rimarrà sempre Sono Giapponese!
Ne avevo letto qualcosa tempo fa perchè se non sbaglio ha girato qualche festival. Ma basta la dvd-quote per farmi venire la voglia.
Infatti hai ragione te,
dice proprio “Ma sono giapponese”.
Ma cosa ci facesse un giapponese con la maglia del Napoli
nel Duomo rimarrà un mistero
PEr carità….finchè si tratta di un bel film horror / splatter me lo guardo anche volentieri, ma la certezza che si tratti di temi fittizi aiuta nella visione… La messinscena della cruda realtà è una coltellata che secondo me , alla luce delle milioni di cose brutte e reali che gia’ c circondano, è una fitta che non ci meritiamo.
A me basta un film come Shindler’s list per stare male… Il cinema ok, deve anche far riflettere, ma cazzo , secondo me non deve colpire cosi’ allo stomaco..
Ma non c’è il rischio che una violenza così esplicita possa invece sortire l’effetto opposto in un film dal dichiarato spirito di denuncia come questo? Cioè che apra le porte al grottesco invece che al dramma?
Già fremo e tremo all’idea di vedere questa nuova opera dell’Immortale Maestro.
Diversamente da Al Bacino quello di Tsukamoto è l’unico “orrore” che guardo con passione, perché profondamente intriso di senso, mai gratuito e soprattutto senza autocompiacimento, insomma tutto l’opposto del genere horror nella sua banalità grandguignolesca.
Ho i due Tetsuo di Tsukamoto e visto anche Snake of june e proprio ieri ho visto Storia di una prostituta di Suzuki,che parlava di come era meglio morire in battaglia che essere catturati per i giapponesi,non gli interessa se eri ferito o svenuto se torni di fucilano.
Cicciolina uber alles come sempre, grande!
Bravissima a sottolineare il contesto nazionale nel quale è stato prodotto, sfuggito a molti e che ne fa non solo un film bellissimo, ma anche altrettanto importante per il Giappone di oggi. Anche se da brava voce dissidente, Tsukamoto non se lo incula nessuno là e il film è infatti uscito in maniera limitata solo quest’estate, a un anno di distanza dalla proiezione veneziana.
Comunque anche io ho visto il film di Ichikawa (bello anche quello) e avendo detto di non aver voluto fare un remake i film sono più simili di quello che pensassi inizialmente (sarà la fedeltà di entrambi alla fonte originale?), anche se ovviamente in quello del ’59 mancano i vari tocchi tsukamotiani disseminati qua e là.
@Imperatrice pucciosa: assolutamente no, la violenza mostrata provoca sempre schifo, o fa star male, gli intenti sono chiarissimi
Grande recensione Cicciolina! Ma c’è una data di uscita? Lo vidi l’anno scorso a Venezia e da allora ho sempre desiderato rivederlo.
La scena del massacro notturno per me resterà scolpita per sempre nella storia del cinema. Mai viste delle morti in un film così atroci, insensate, vere.
Ps: tuberi crudi.
..e la seconda immagine non potrebbe essere Friedrich? Dai, almeno un po’!
Ma se Tsukamoto avesse tratto ispirazione da una Shohei contemporanea qualunque?
http://beautifuldecay.com/2015/10/15/shohei-otomo-reveals-reality-japanese-culture-hand-drawing-traditional-fantasy-characters/
Ancora devo riuscire a vederlo e calcolando che Tsukamoto è per me uno dei migliori registi di questo pianeta la fotta, dopo aver letto questa rece, è ancora maggiore.
scrivo solo per dir che ho finalmente trovato il libro da cui è tratto, son contento