Ammettiamolo: ci si scioglie sempre un po’ di fronte a un film italiano ben realizzato che vada oltre il tinello di casa, delle cosche mafiose e dalla politica (che sono anche le etichette dei tre grandi faldoni in cui, solitamente, i dirigenti di Rai Cinema collocano i film prodotti). C’è sempre quella sensazione di un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per quel vecchio avvizzito e incateterito che è il cinema italiano e proprio per questo un po’ di sano “dai! dai! dai!” a pugnetti stretti ci si sente il dovere di dirlo. D’altro canto, dopo Lo Chiamavano Jeeg Robot, c’è la sensazione che il “corpo cinematografico italiano” (che comprende autori e operatori di settore, critica compresa) si sia fatto asportare una costola per fare quello di cui leggende raccontano fosse un passatempo di D’Annunzio e Marilyn Manson. Se non che, ogni tanto, ci si dimentica di farsi il bidet prima di proceder a tale sollazzo quindi alla fine un po’ è piacevole e un po’ fa schifo. Ma che volete? Meglio così che continuare a fare quella cosa agli altri: tanto più che all’estero, spesso, il bidet manco sanno cos’è. Ciò premesso iniziamo subito con il dire che Mine non è un film italiano. E con questo abbiamo già risolto buona parte dei nostri problemi, e soprattutto abbiamo reso tutta questa introduzione completamente inutile ma comunque piena di concetti che volevo esprimere (tra cui D’Annunzio e bidet).
Mine è un film di Fabio & Fabio, all’epoca Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, coppia di registi affermatisi nei primi anni 2000 con una serie di cortometraggi sci-fi che veramente, boh, non si sarebbe potuto chiedere di più. Anche e soprattutto se paragonato all’ambiente delle microproduzioni italiane dello stesso periodo per cui “fantascienza” era uguale a brutti accappatoi e brutte spade laser realizzate con i tutorial di Andrew Kramer per After Effect. Non credo di dover dire di più in merito alla biografia di Fabio & Fabio.
Mine è un film di Fabio & Fabio realizzato con una co-produzione italo-ispano-americana con un cast di attori che non sembrano essere stati ingaggiati con un’asta al ribasso (intendo dire: qui si avverte il fatto che ci sia DAVVERO un direttore del cast) e, incredibile a dirsi, non c’è nemmeno un cameo di qualche vecchio leone da schiaffare grosso in locandina. Intendo dire: più grosso del nome dei registi e del protagonista.
Se avete avuto la pazienza di guardare il trailer del film -che trovate comunque linkato a fondo della recensione- Mine è un film che parla di un soldato americano che dopo “Missione Abortita! Ripeto! Missione abortita!” piazza un piede su una mina e lì rimane.
Ed eccole qui le vocine garrule che si alzano: ma è come No Man’s Land! Ma è come quel film georgiano di cui non mi ricordo il titolo! (vi aiuto io: è Landmine Goes Click e l’ho recensito un anno fa) È come Piégé di Saillet che conosciamo in tre (rima baciata, rima fortunata)(più fortunata del film)(ma ci va poco). Vedete, a mio avviso, la gimmick “c’è un uomo bloccato in una situazione” non è altro che un escamotage narrativo come un altro. Forte, potente e già visto un numero notevole di volte. Intendo dire: tante più volte di quelle che ho citato qui sopra. Basta pensare a Il Gioco di Gerald di Stephen King. O la finestra sul cortile di Hitchcock. E chissà quanti altri. Per tale ragione è difficile, se non inutile, alzare il ditino: quello che fa il film non è l’ordigno esplosivo o il piede che c’è sopra. Ma quello che accade intorno a esso.
In Mine le cose che accadono sono parecchie, e qui mi ripeto, avvicinano questo film molto di più a Il Gioco di Gerald di King che a una delle altre opere citate qui sopra: c’è il rimosso che ritorna, i demoni da sconfiggere, il lisergico che apre porte, il senso di colpa e tutta una serie di altre cose che fanno di Mine un VERY VERY BIG METAFORONE. Ma solo dopo i 3/4 di pellicola. Prima di questa boa, quello che viene messo in scena, e viene messo in scena bene, ma bene ben bene (e grazie anche agli effetti speciali fatti con tanto amore), è la lotta per la sopravvivenza di un essere umano che si trova, per vicissitudini esterne, a percorrere molto rapidamente verso il basso la scala alimentare. Ora, io non so se siete mai stati in fondo alla scala alimentare: non è un gran posto, mi dicono, ma succedono un sacco di cose interessanti. Interessanti per chi guarda, si intende.
La prima cosa che balza all’occhio e che rimane come un buon sapore di caffè al mattino è la quantità di finezze narrative di cui Mine è pieno. Capiamoci: nei primi 15 minuti di film si assiste a una sparatoria, un inseguimento e a un amputato che (SPOILER), in pieno delirio, si spara in testa. Visto che, secondo le regole base del racconto teatrale, il modo per tenere l’attenzione dello spettatore è continuamente alzare l’asticella, dopo un inizio così l’unica cosa che Fabio&Fabio avrebbero potuto fare è iniziare a buttarci dentro cannibalismo, stupri e chiudere con Mario Adinolfi. Invece, ed è questa la cosa che mi ha colpito di più, acquisendo la lezione (volontariamente? Involontariamente?) del cinema giapponese di Kitano (ma non solo)(anche nel cinema di Oshima c’è)(mi pare), Fabio&Fabio inseriscono un elemento di umorismo slapstick le cui incursioni all’interno della storia hanno il ruolo di cambiare radicalmente il registro, azzerare il carico emotivo e così dare l’occasione di poter nuovamente colpire duro senza dover procedere con un escalation di efferatezze. È un po’ come l’abbraccio nella boxe. O come quando, durante una scazzottata, si è entrambi con fiato corto e uno appoggia una mano sulla spalla dell’altro con fare quasi rassicurante per poi sganciarli l’ultimo dal basso verso l’alto. Nella gestione di questo meccanismo, Fabio & Fabio sono perfetti.
Detto fuori dai denti: i primi 3/4 di Mine sono cinema maturo, consapevole e mettono in luce una maestria direttiva (anche nell’utilizzo delle inquadrature ravvicinate mai didascaliche) da tirarsi giù il cappello.
Poi, però, c’è l’ultimo quarto del film che trasforma Mine in una metafora insistita che gioca sul fronte della psicanalisi. La condizione dell’imminente diventa quindi chiave di lettura attraverso la quale ripensare al proprio passato per cambiare il proprio futuro. Un’ambizione mica da ridere che richiede, in primis, una costruzione profonda e approfondita del personaggio, della sua psiche e del suo vissuto. Un film nel film, di fatto, che avrebbe richiesto un respiro (a livello anche solo di “durata”) che Mine non ha -o che non ha potuto avere-. Ma visto che l’arte italiana è anche quella di sapersi arrangiare con quello che passa al convento, il modo con cui Fabio & Fabio portano a casa il risultato è un totale affidamento su una serie di topòi narrativi ormai ampiamente visti, rivisti e masticati dall’immaginario collettivo. Nel momento in cui il film prende la via della metafora, ed è forse un limite della narrazione, i personaggi smettono di diventare reali e si trasformano in archetipi a volte protagonisti di intere scene che sanno di “già visto”. In questo modo non c’è bisogno di andare a raccontare altra storia: il personaggio sappiamo già chi è, cosa ha fatto e come lo ha fatto perché l’abbiamo già visto e pertanto, su questo layout psicologico d’archivio, Fabio e Fabio innestano il loro percorso originale. Il personaggio Mike di colpo si svuota del proprio “io” per venir fatto proprio, (letteralmente: “posseduto”), dallo spettatore. Da qui (provo a immaginare) il gioco di parole del titolo: mine come campo minato, ma mine anche come “mio” in inglese. Si poteva fare altrimenti? Date le premesse e dato il risultato perseguito, a mio avviso, no. Funziona? Quello sta al cuore di ciascuno. Di fatto l’ultimo quarto del film ha una buona quantità di labbrini tremanti e mani che si tengono che, però e meno male, non scadono mai nel melò italiano (dio ce ne scampi e liberi). Tuttavia al qui presente recensore, certi passaggi, hanno fatto l’effetto delle unghie sulla lavagna. Ma, e lo ripeto, lì sta al gusto personale. È però innegabile che la fine del film metta tanta carne al fuoco e tutta vicina, un po’ come le braciole e le costine e le salsicciette e il pollo, su una griglia troppo piccola. Che poi qualcosa inevitabilmente si brucia perché non riesci a girare tutto. Insomma, vien da dire “anche meno che gli antipasti erano già buoni e abbondanti”. Nulla che rovini seriamente l’esperienza ma di sicuro qualcosa su cui Fabio & Fabio potranno lavorare in futuro.
Infine una piccola nota a margine che riprende quanto si è detto in inizio di recensione: Mine non è un film italiano. Non è un film italiano per produzione, attori, location e trama. Non è soprattutto un film italiano per anima, perché non racconta nulla dell’Italia. Ancora di più: non c’è nulla in tutti i 106 minuti di pellicola, che riveli la provenienza geografica dei registi. C’è un impronta autoriale innegabile, data dalla mano dei Fabios, ma non si sente il tricolore. Mentre Jeeg Robot denunciava a chiare lettere LA RINASCITA di un certo tipo di cinema italiano, Mine ci dimostra con forza che il cinema fatto da italiani può non essere italiano. Una lezione che cancella con forza ogni autogiustificazione piagnona della nuova generazione di cineasti italiani.
DVD-quote:
“Un pugnale sulla porta del cinema italiano”
Bongiorno Miike, i400calci.com
Miike, lei scrive maledettamente bene. Ha mai pensato di fare l’astronauta?
Mi metto per un attimo dalla parte della “metafora”.
Se si vuole elevare il film a qualcosa di più sono inevitabili, soprattutto quando si vuole dimostrare di essere uno bravo ma bravo sul serio magari sperando in qualche premio dal far sgranocchiare al proprio ego. La metafora è un arma a doppio taglio ma che trovo anche coraggiosa perchè qualunque sia avrà sempre dei detrattori, non potrà mai andare bene a tutti, quindi ti esponi a critiche rischiando di rovinare tutto, magari un film senza metafore diventa di culto col passare degli anni ma nell’immediato i registi puntano sul metaforone perchè potrebbe essere dopo anni di gavetta il primo ma anche l’ultimo film che potrebbero girare. Puntano direttamente al massimo, nove su dieci falliscono miseramente fra pernacchie e insulti ma forse è giusto così.
D’Annunzio e bidet vanno a braccetto nella stessa frase solo se ci si deve lavare la bocca (ovvero il culo) quando si parla di patrioti come il sopracitato Gabriele. Cesso e bidet invece vanno benissimo in qualsiasi contesto per personaggetti come nanni moretti e tutta la sagra rai con produzioni che provocano litrate di vomito quali l’ultima fallimentare fiction sull’emergenza immigrazione.
“D’Annunzio e bidet vanno a braccetto nella stessa frase solo se ci si deve lavare la bocca (ovvero il culo) quando si parla di patrioti come il sopracitato Gabriele”
Ma che, davero davero?
In effetti D’Annunzio preferiva quando gli altri il bidet non lo usavano…
Orpo di bacco il fascistello sui 400calci mi mancava
ricordo che mi dissero al liceo che D’Annunzio diceva cavalcatoio e non bidet
Te sei andato. Viva quei depressoni pazzerelli dei crepuscolari, sempre.
“Mi è strano l’odore d’incenso:
ma pur ti perdono l’aiuto
che non mi desti, se penso
che avresti anche potuto,
invece di farmi gozzano
un po’ scimunito, ma greggio,
farmi gabrieldannunziano:
sarebbe stato ben peggio!”
Ma approfondendo: ho visto il trailer distrattamente, sono tornata indietro (nonostante avessi le castagne sul fuoco!) colpita dal piede sulla mina (perché No man’s land ai tempi mi fulminò) e ho pensato “bei colori, chissà che regista americano l’ha girato?”
Vado a vederlo senz’altro, perdio.
bhu, a me sti film “scommessa” che riducono tutto al minimo della serie: guarda quanto so bravo e come faccio bene all’economia e all’ambiente con un film con un attore solo e altrettante location, stanno un pò sulle balle e tante volte annoiano, come buried appunto, come quello con hardy che parla un ora e mezza da solo per citare i più recenti…però vediamo, una possibilità ce la do, inutile dire che sono contento che comunque riusciamo ad uscire dalla provincia, dai drammoni cretini, dalle commedie idiote ecc ecc…proprio ieri sentivo in tivù che il cinema italiano sta andando malissimo, che tutti i film usciti a venezia hanno incassato poco e nulla…che la gggente si stia svegliando? sperem…
Vabbé, se film come Buried e Locke annoiano ci meritiamo veramente solo Bridget Jones XVII – Pompini all’ospizio.
Aspe’, lascia perdere un attimo Buried e Locke e parlami di questi pompini all’ospizio.
Belle recensione, come al solito.
Comunque riguardo il genere “gente su mine” suggerisco a tutti “Kajaki-Kilo Two Bravo”.
Kilo Two Bravo è un film a super cazzo duro
che una volta finito
per andare a pisciare in bagno
ad ogni scricchiolio sul parquet
mi fermavo con l’occhio pallato
Miike io solo perché hai recensito un film che in buona sostanza ti è piaciuto (che comunque 75% azione 25% metaforone a me va più che bene) (com’era la cosa della rima baciata?) vado a vederlo anche se avevo deciso che no, che a me i film sulla guerra e i soldati non piacciono (a meno che non sia guerra contro uno o più alienoni cattivi). Quindi poi ci risentiamo per la metafora.
volevo solo dire che cercando su google “film con gente che mette un piede su una mina” il secondo risultato è john cusack e l’undicesimo risultato è adrien brody entrambi in dragon blade :D
LOL :D
finalmente un film che piace alla gente che piace a me.
lo guarderò.
su “La condizione dell’imminente diventa quindi chiave di lettura attraverso la quale ripensare al proprio passato per cambiare il proprio futuro. ” ho avuto un attimo di labirintite e ho visto su schermo un pop up con la faccia di Marzullo, ma ok, il film sembra passabile, gli daro` un’occhiata piu` che volentieri
Bene. Me lo andrò a vedere.
Deepwater Horizon che faccio? Vado o no?
Ma oggi esce all over the world o solo da noi?
Solo da noi. Siamo anteprimici mondiali, a sto giro.
p.s. settimana prossima al Sitges l’anteprima internazionale.
che cavolo è “all over the world”? non lo trovo manco su imdb
Ops volevo scrivere Mine ma il correttore ha corretto in All Over The World
comunque è uscito anche da noi, non solo all over the world
che bella la DVD quote! (anche la rece eh)
bella recensione, promette bene.
“schiacciare una mina porta fortuna!” ahahaha
Tra l’altro, tanto per aprire una parentesi, spero sia conoscenza comune che nella realtà le mine antiuomo non funzionano cosi ed una storia del genere (cosi come le altre simili ispirati a questa “convinzione” tra le quali una puntata di Agents of Shield) non è possibile.
Una mina a rilascio di pressione funziona cosi: la pesti e si attiva, rilasci ed esplode.
Assolutamente no. La pesti, esplode.
Ce ne sono alcune, che hanno dato origine a questa “leggenda metropolitana” che per massimizzare il danno esplodono dopo 4-5 secondi di ritardo. Ma una volta che la pesti non c’è nulla da fare, non si può impedire l’esplosione. Nessun produttore di mine antiuomo è cosi fesso, nè lo è mai stato, da costruire mine che sia cosi “facile” evitare.
Ci sono vari tipi di mina. Quello del film, e di No Man’s land, pur con qualche libertà nella descrizione del meccanismo, è una strafottutissima mina balzante e c’è. Stacce.
Date le tue convinzioni ti auguro di non passare mai vicino ad un campo minato, perchè potrebbe venire voglia di camminarci convinto di avere qualche speranza. Non esistono mine sulle quali cammini ma dalle quali ti salvi semplicemente stando fermo, anche perchè sarebbe idiota costruirle. Stacce.
So che è poco calcistico e soprattutto li nessuno ci resta bloccato sopra ma..come non citare anche Land of Mine (anche solo per il titolo e il gioco di parole con “mine” che c’è anche li) :D
Non capisco perché questo film sia stato recensito sui 400 calci, non ci ho trovato nulla di calciabile. L’unico calcio percepito in due ore di film è quello che Fabio&Fabio mi hanno tirato all’inguine con le loro pretese autoriali di stocazzo. Mine più che il coltello piantato sulla porta del cinema italiano mi è sembrato un film noioso.
Niente, continuo a leggere solo recensioni iper-positive, le stesse che mi hanno attirato in sala e che ho maledetto una volta uscito. Perché personalmente l’ho trovato ridicolo in una miriadi punti diversi, dalla scena dello sparo dietro la roccia che sembra uscita da Mega Python vs. Gatoroid alla simpatica mania del protagonista di tenere gli oggetti fondamentali alla sua sopravvivenza sempre troppo lontani dalla sua portata. Per tacere del soldatino rinvenuto nel finale. Non ci ho visto nemmeno tutto questo distacco dalla produzione di genere, per quanto la metafora di fondo sia molto interessante. Ma ripeto, senza pretendere il totale realismo, ci sono alcuni punti che mi hanno fatto cadere le braccia.
Immagino dovrò lavorare sul mio modo di approcciarmi alle pellicole.
Niente di trascendentale, un ottimo inizio per un film in definitiva discreto. Certo che se mi avessero fatto vedere un film così senza credits per poi dirmi che era stato girato da due italiani non ci avrei creduto. Complimento più bello non potrei fargli.
ma poi non era manco una mina alla fine ma una lattina
Beh, fortuna che non leggo mai i commenti prima, altrimenti un bel campo minato ti si augurava per davvero
Piaciuto tanto… Bello bello bello
Complimentoni ai Fabios