C’è del bello nel vedere il lavoro di un regista e sceneggiatore così vicino alle nostre cose che anche quando non le fa un po’ lo sembrano comunque. Un cinema di dialoghi come sparatorie e qualche schioppo di violenza che in America è sempre stato quello dei Coen, ma ora è anche di Martin McDonagh, benché in modo diverso. Un figlio di immigrati irlandesi nato e cresciuto a Londra, ma irlandesi “veri”, mica dublinesi, come dicono loro. Gente di campagna, di piccoli paesi sulla costa, che se passa un africano fanno le facce perché non è normale, come qui, vedere un immigrato. Non sono razzisti, sono rurali; sono così impegnati a odiare gli inglesi che se non gli metti un cinese davanti non ci pensano nemmeno al razzismo. Non sono tanto diversi dagli americani delle piccole cittadine lontane da tutto come Ebbing, Missouri, che però hanno tutta un’altra problematica storia.
Un drammaturgo lui, perlopiù, che per prima cosa ha dedicato sei opere teatrali alla contea di Galway (e dintorni), piena di isole, paesi grossi quattro case e, nella finzione, famiglie disfunzionali, omicidi e preti. Magari, poi, anche nella realtà. La solitudine, l’alienazione sociale e la vita di paese vista come prigionia sono i drammi che affligono quasi tutti i suoi protagonisti. La TV, di solito, è l’unica finestra verso un mondo diverso, più grande e migliore. La violenza, di solito, è la risposta. Prima verbale, poi fisica. E McDonagh non ha mai risparmiato nessuno, ha sempre fatto dire le peggio cose a tutti, e ha fatto uccidere madri a delle figlie.
I suoi film, dunque, ne escono come delle parche commediuole per famiglie. Soprattutto, è roba completamente diversa e, a detta sua, scritta con più rispetto che verso il teatro. A quanto pare ci sono film che gli hanno cambiato la vita e non un singolo spettacolo teatrale. In Bruges, a oggi il suo capolavoro, è una commedia nera pazzesca. Divertente, sboccata ma anche drammatica al 100%. Sembra irlandese, ma non è per un cazzo irlandese. È solo un film con dei dublinesi. Seven Psychopaths è stato un po’ il suo tentativo di raccontare una roba complicata che eccedesse tutti i limiti che il teatro gli ha sempre imposto. Azzecca svariate cose, ma gli vien fuori un pastrocchio che, nell’ordine, mi sembra meglio di come lo ricordo ma anche peggio di come lo ricordo. Anche questo è un film con un irlandese. E poi c’è Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, il suo film più americano per tematiche e ambientazione, ma anche il suo film più irlandese per tematiche e ambientazione.
Per volere dei genitori McDonagh ha sempre frequentato scuole cattoliche gestite da preti irlandesi e, come molti, è cresciuto disprezzando la categoria. Non stupisce quindi quando la sequenza in cui la Mildred di Frances McDormand distrugge a parole un prete si sviluppa come se gli stesse tagliando a una a una le dita. Sono anche cose già viste, oserei dire scontate fosse stato un film irlandese o britannico. È gente che, insomma, con le battute sui preti ci campa. Ma in questo contesto qui, lontano e dentro un mondo verosimile ma talmente esagerato per natura da sembrare davvero un set cinematografico, destabilizza perché quasi inaspettato. Non è normale in un film americano vedere una scena del genere, o quantomeno vederla esposta con orgoglio e non vergogna e accusa, e la forza di Three Billboards si mette subito in chiaro: è un film americano, ma con la faccia tosta di un anglo-irlandese.

Every breath you taaaake
Piccoli e grossi razzismi da bar, gossip di quartiere, alienazione totale da quello che succede oltre i pini e un sacco di televisione come unico sfogo; a Ebbing, Missouri c’è tutta l’Irlanda di cui McDonagh ha sempre scritto, ed è allucinante come la sola presenza di Peter Dinklage nella stanza possa creare una tale raffica di battute e reazioni a catena, o come basti un afroamericano per creare agitazione. C’è quasi del cattivo gusto. C’è sicuramente del cattivo gusto, ma il punto è quello: quelle persone sono così, sono dei figli di troia, che ci vuoi fare? Questo spaccato americano, per quanto assurdo, non è assolutamente ammorbidito da chissà quale voglia di tirare fuori del bello o del buonismo. Sam Rockwell fa il poliziotto razzista, pigro e grasso, e dunque si comporta come tale. Non è del tutto stupido, e a un certo punto si vede, ma quello però resta. E (spoiler) se alla fine la proposta di andare a uccidere un uomo è vista come una specie di redenzione, beh, immagino sia l’unica redenzione possibile, rimanendo un figlio di troia (fine spoiler). È anche dove l’idea di America di McDonagh esce con più effetto; dove il comportamento esagerato, impulsivo e illogico ha senso solo in quel posto, in quel paese, con quel tipo di persona lì. Una sola, ma che fa più rumore di tutto, esattamente come l’America si mostra al mondo intero attraverso YouTube, Facebook e il profilo Twitter di Trump.

‘mmuuuricaaaaa
Ma il punto al centro di tutto è Frances McDormand. La sua tuta da lavoro blu (forse il dettaglio più didascalico), quel taglio di capelli, il suo bisogno di dire alla gente esattamente quello che le passa per la testa, il suo dolore, i suoi calci politicamente corretti nei genitali. Come ogni revenge movie, chi cerca vendetta e giustizia non si ferma davanti a nulla. E chi cerca vendetta e giustizia in un posto come Ebbing, Missouri parte già con uno svantaggio geografico e sociale mica da ridere. McDonagh parte da lei e da un’idea: fare tre manifesti per spronare la polizia a trovare gli assassini di sua figlia. Tutto il resto viene da sé, con una struttura libera e una serie di sequenze dedite esclusivamente a raccontarci come lei, tra tutti, sia quella che meno c’entra con quel posto del cazzo in cui si trova. Con lei si ride, con lei si piange, con lei si guarda la gente prendere delle gran botte. Il suo rapporto con il Willoughby del buon Woody Harrelson è probabilmente la cosa più bella e riuscita del film, dove rabbia e dolore si scontrano con la più primitiva delle reazioni umane: la pietà.
L’aver scritto un personaggio femminile del genere è un altro indizio del ritorno a un’altra forma per Martin McDonagh, che iniziò la sua carriera con una storia di madri e figlie come buona parte della letteratura irlandese insegna: nessun uomo sarà mai al livello di una madre. E così è Mildred, una madre che ha perso una figlia a Ebbing, Missouri, che non è tanto diversa da Easky, Contea di Sligo. Polizia armata a parte.

“Se non la smette con ‘sta storia degli irlandesi lo ammazzo, diglielo.”
DVD-quote:
“Una vendetta meno violenta ma non per questo meno brutale”
Jean-Claude Van Gogh, i400calci.com
P.S.
Visto. Il finale mi ha lasciato poco sapore in bocca; non era affatto facile scriverne e dirigerne uno degno per la vicenda raccontata, però è un peccato perché quello che si è visto prima è di livello altissimo. Cast tutto in formissima.
E poi ho un debole per i film con i ritardati. Non i minorati mentali, ma proprio gli stupidi.
Avevo adorato In Bruges al punto da andare in vacanza in Belgio giusto per visitare i luoghi del film (e ammazzarmi di birre); ho amato e rivedo volentieri i 7ps una volta l’anno, per farmi Delle sane risate e godermi un film volutamente agli antipodi : aver atteso 5 anni e vedere questo mi ha deluso, non perché sia un brutto film (affatto!) ma perché mi aspettavo una cosa diversa.
L’ho trovato lento, il buon Woody infilato in ruolo da frignone che poco gli si addice, musiche abbastanza stracciapalle. Sono scemo, confermatemelo pure.
Spoiler:
aggiungo che la scena con Frances che da le vocine alle ciabatte, mi ha depresso da morire.
PS:
Ricordo invece un Sam Rockwell che nei 7ps ad un certo punto diceva “ho un’idea migliore: perché non lo intitoliamo “7 lesbiche disabili, che hanno superato i loro problemi orgasmici e due di loro sono nere”
Ho fondato una squadra di calcetto formata da tizi che preferiscono Sette Psicopatici a In Bruges. Siamo in 5, me compreso.
Tre manifesti ecc: formalmente perfetto (che ci vuoi dire?), un po’ lento, felice di averlo visto anche se secondo me non propriamente calcista.
Ma non è uno di quei film per cui conterò i giorni che mancano all’uscita in BluRay.
Ho visto tutti e tre i film di McDonagh e quest’ultimo, come gli altri due, non mi ha comunicato niente… sarà un problema mio, credo. Trovo i suoi film eccessivamente scritti e calcolati, non spontanei, e questo 3 Billboards non fa eccezione. Porta avanti la sua storia, senza strafare, e senza il coraggio di essere davvero cinico e disperato, esattamente come in In Bruges… Tutti alla fine sono migliori di quello che sembrano, anche il poliziotto razzista che ti arresta per uno spinello o ti butta giù dal tetto… I Coen, quando vogliono, sono su un altro pianeta.
Toh, pare oggi sia in accordo con la critica e in disaccordo col pubblico: a me é piaciuto molto, specie per non lesinare mai la cattiveria da parte di nessuno mostrandone tutti gli spetti, non solo quelli buoni per una acile lettura polarizzata.
E ho trovato il finale, proprio con quelle battute lì, davvero bello, non penso che me lo sarei mai aspettato da un film statunitense.
Io l’ho trovato un film piuttosto mediocre. Nessun personaggio veramente credibile (il marito di lei che sembra uscito da una brillante commedia francese, quella che entra e esce di prigione, il nuovo commissario che non si capisce che vuole fare,…), humor nero che funziona poco poco, alcuni nodi principali della trama poco credibili e potrei continuare con le cose che non mi hanno convinto. Pure il caro tema della vendetta lasciato senza troppe convinzioni…boh.
Dai il personaggio di Sam Rockwell è semplicemente perfetto.
Carino, il secondo tempo ha il coraggio di discostarsi abbastanza dal primo tempo per farne qualcosa di molto più interessante. Personalmente poi non sono per niente d’accordo con tutto il discorso “America profonda, provincia, razzismo, Trump…” ma quelle sono opinioni personali
E proprio per questo trovo che la prima parte più politica e arraffa premi sia quella meno interessante
Carino. Diretto con la voglia di fare razzia di premi (e non c’è niente di male) e con in mente un pubblico lievemente ritardato, come il poliziotto interpretato così magistralmente da Rockwell. Insomma, ti spiega proprio tutto: che la mamma soffre perché si sente in colpa, che lo sceriffo ama tantissimo la moglie, che si può essere brave persone dicendo tante parolacce. Così didascalico che rischi di perderti le tante cose belle. Per esempio non ho mai desiderato tanto partecipare a una spedizione punitiva…
Piaciuto molto. I personaggidi di Harrelson e Rockwell sono talmente fighi da sembrare fuori posto. La McD bellissima ma più prevedibile, ci sta. Anch’io l’ho avvertito come un film super americano; con il casino e la redenzione, che ti aspetti, per tutti, anche con sbocchi assurdi (vedi spoiler). Il discorso sub Politica, razzismo, gay etc. non l’ho avvertito invece, nel senso; sono costanti talmente radicate e ridondanti che passano in secondo piano, ci sono e basta. Mammina premio Stronza.
Io l’ho trovato solidissimo e girato da dio. Lei fa sempre un po la burbera, che gli riesce molto bene, un po come un quella splendida miniserie della Hbo di cui ora mi sfugge il nome. Sam Rock co questi personaggi ci va a ruota; quindi giocano un po tutti su un terreno abbastanza comodo, il film però rimane bello e visivamente potente. Piccolo appunto: Il tipo che fa il balordo che minaccia lei e si pavoneggia dell’omicidio è una maschera di brutalità perfetta. In Bruges l’ho adorato subito dalla prima visione al cinema. 7ps non l’ho mai visto perchè ne avevo letto tiepidamente, forse lo recupero a questo punto.
Non male, per me sbava troppo nel primo tempo con un humor sopra le righe (spoilerino: la gag della fidanzata dell’ex marito in casa che uscendo spiega che non lavora più allo zoo è l’emblema, sembra uscita da American Pie). Secondo tempo più solido e moderno. Poteva essere un nuovo Fargo, seppur minore, ma alcune calcate di mano grottesche lo sciupano più del dovuto.
Diciamo che *avrebbe voluto* essere il nuovo Fargo. Invece resta un film molto carino ma niente più, senza una vera identità fra grottesco, commedia, dramma, poliziesco, noir.
Ne ha fatti 3 su 3 così. Non è che magari li vuole fare così alla faccia dei generi?
Fate il pelo all’uovo e poi vi guardate Fasti & Furiosi, suvvia. McDonagh dovrebbe fare un film al mese, altroché.
[spoilerino]
Lei dice una parola di troppo, l’ex-marito ribalta il tavolo e la inchioda al muro, il figlio gli salta alla gola con un coltellone da cucina. Poi arriva la tipella, dice la sua cagata, la tensione si scioglie e i tre rimettono il tavolo a posto insieme.
La prima parte racconta una dinamica famigliare di una violenza estrema, il momento-farsa con la tipa è una capriola di scrittura che porta all’opposto la temperatura della scena, la chiusura è come una media aritmetica: la violenza fisica cala di botto e loro SI AIUTANO per rimettere a posto il bordello che hanno combinato; è una forma distorta di calore famigliare che comunica abitudine alla violenza, del tipo che chissà quante volte nella loro vita da sposati lui l’ha pestata e il figlio è dovuto saltargli alla gola per fermarlo.
Non è la scena migliore del film, ma riesce comunque a raccontare una vita di relazioni in una ventina di secondi.
[/spoilerino]
Ora scusate ma stappo il bianchino.
Inevitabile paragone con Fargo: McDonagh sa essere molto più empatico, e in generale è meno cerebrale dei Coen. A mio parere, In Bruges e i Tre Manifesti dimostrano che come scrittore (non come regista) è più bravo lui.
visto.
secondo me sto film è meglio di “in brugges”.
vero nel 2009 ero in vacanza in Belgio ( c’è chi va alla maldive e chi va in belgio ) e anche se non era presvisto andia a fare un salto a Bruggges che è una città medievale che consiglio a tutti.
tornando a “tre manifeti ” è un film molto triste ma molto bello.
lo consiglio a tutti.
sam rockwell è ecezzionale e tifo per lui che vinca un oscar.
grazie
Se fossi nato in una fattoria e fossi ritardato Bruges potrebbe impressionarmi.
del film non me ne fotte una mazza ma l’immagine nel p.s. è un capolavoro, ci tenevo a dirlo. spero di rileggervi alla prossima per l’Uomo sul treno col sempre immenso Liam Neeson.
Dopo IN BRUGES, avrà sempre e comunque la mia stima.
Sempre.
più ci penso e niente, occasione mezza persa per me.
rockwell comunque stratosferico.
Rockwell uber alles. Il film non è un capolavoro ma decisamente buono e solido.
Appunti su: moglie dello sceriffo (ok infrangere il mito del focolare americano ma non esageriamo con le didascalie), gag adolescenziali sulla/della 19enne e, soprattutto, il mancato coraggio di buttare giù il muro del tutto ed essere cinico e spietato fino in fondo.
Per me davvero gran bel film. Non mi torna solo che:
SPOILER
ovviamente nulla so della procedura penale del Missouri, ma possibile che neanche dopo l’arrivo del capo nero si applichi una qualche misura a Dixon (dopo l’aggressione), che continua a circolare libero prima e dopo le ustioni? Il pubblicitario lo detesta, e lo ha riconosciuto, e il Bill non è più lì a proteggerlo. Boh.
Film di una bruttezza epocale che fa di tutto per rendere complici gli spettatori con trucchetti da 4 soldi:
1) il film verte sulla voglia di vendetta di una madre (quale madre non vorrebbe vendicare la morte della propria figlia?)
2) liscia il pelo agli anti clericali con il monologo in cucina dove il prete non risponde neanche
3) la madre è a sua volta stata picchiata dal marito (e quindi è nella “ragione” a prescindere, qualsiasi cosa faccia) e quindi si rendono partecipi tutti coloro che sono sensibili alle violenze domestiche
4) accompagnando a scuola il figlio, scende dalla macchina e prendi a calci gli studenti che la contestano che neanche chuck norris…
5) lancia molotov verso la stazione di polizia che neanche rambo nei giorni migliori
6) chi è sensibile al tema del razzismo troverà il suo conforto nel licenziamento del poliziotto cattivo a spese di uno di colore
7) alla fine arriva la redenzione e tutti i cattivi divengono buoni.
Mammia che che scempio di film…..