Che cosa deve fare un horror per funzionare?
Deve fare paura, OK. Come?
Creando tensione. Con la violenza. Con la crudeltà. Con la tortura psicologica. Con mostri deformi che saltano fuori dagli armadi. Ci sono decine di modi più o meno efficaci per stuzzicare la parte rettiliana del nostro cervello e provocare quel formicolio alla spina dorsale che è una reazione fisiologica che abbiamo sviluppato proprio in risposta all’invenzione del cinema horror (è scienza).
Un bel modo per riassumere tutte le istanze precedenti è: per funzionare, un horror deve sorprendere.
Ci sono quelli che lo fanno in maniera sfacciata e diretta – pensate, che ne so, al sorpresone di Alta tensione di Aja (che non è necessariamente il primo film che dovrebbe venire in mente ma ho di recente visto la sua ultima fatica sugli alligatori assassini e… ma di questo parliamo un’altra volta), che squaderna tutto quanto visto fino a lì, disorientando lo spettatore e costringendolo a una rapida revisione del racconto. O all’effetto che dovrebbe fare la scoperta che Bruce Willis nel Sesto senso… anche questa la sapete.
E queste sono le sorprese facili. Il punto è tutti gli horror, anche quelli che non puntano sul plot twist per scatenare brividi, nascondono da qualche parte una sorpresa, un ribaltamento di prospettiva, e i migliori sono quelli che ce lo fanno accettare e ci convincono a farci sorprendere; non ci vuole una laurea in Capire i Film per annusare che le allucinazioni di Rosemary non sono tali, ma scoprirlo è comunque uno shock perché il film è estremamente efficace nel convincerci a sospendere l’incredulità e a vivere il momento senza preoccuparci di prevedere come andrà avanti la storia.
Il pippone è per dire che Nightmare Cinema, l’antologia horror di cui mi accingo a scrivere, è una roba che gioca prima di tutto a lasciare a bocca aperta chi guarda. Non c’è alcuna omogeneità di toni, tematiche, linguaggio, grammatica, se non questo gusto clamoroso per mettere sul tavolo delle idee apparentemente semplici e poi rielaborarle sotto forma di pugni in fazza. Sono cinque racconti brevi tra splatter, slasher, quasi-fantascienza di Ai confini della realtà (o Black Mirror, se preferite), un po’ una macedonia di roba insomma, tenuta insieme da una cornice deliziosa quanto pretestuosa e dal volto irreale di Mickey Rourke (giuro).
È la mia nuova cotta estiva. Sigla!
È un prodotto curioso, questo Nightmare Cinema; l’ha pensato e voluto Mick Garris, che tra le altre cose nella sua vita ha scritto Hocus Pocus e diretto I sonnambuli, ma che ha soprattutto creato Masters of Horror e Fear, Itself. È, in sostanza, un tizio a cui piacciono i racconti brevi e shockanti, e che ha messo in piedi Nightmare Cinema per dimostrare quanto potrebbe funzionare bene se diventasse Nightmare TV Show; voglio dire che l’idea è davvero quella di trasformare il format in una serie della televisione, e che il film è chiaramente in prestito al mezzo sbagliato per farsi un po’ di pubblicità. Questa roba si sente e pesa, Nightmare Cinema è slabbratissimo e tenuto insieme con lo sputo: la cornice a cui accennavo è “Mickey Rourke è il proiezionista di un cinema che tu ci vai e sullo schermo vengono proiettati I TUOI INCUBI”, che si traduce in “mettiamo un minuto o due di Mickey Rourke a fare da stacco tra un corto e l’altro” e manca solo che a un certo punto urli SIGLA!
Quello che conta però è che ci sono cinque protagonisti, cinque spettatori che si sparano uno dopo l’altro le loro peggiori paure e finisce che si sparano per la disperazione (non è vero ma mi serviva per la battuta) (o è vero?) (AH AH). E che le Brutte Cose che succedono a questi cinque sono raccontate da un quintetto improbabile e meraviglioso, che comprende figure mitologiche tipo “il quasi esordiente argentino”, “l’esperto maestro americano” (x2), “l’immancabile folle giapponese”, senza dimenticare “quello a cui non avresti dato una lira”.
(a contribuire all’aria da vecchia fantascienza televisiva e di cerchi che si chiudono c’è poi il fatto che uno degli episodi è scritto da Richard Matheson, figlio di Richard Matheson, il quale a sua volta lavorò a suo tempo con Spielberg e proprio Mick Garris ad Amazing Stories, un’antologia televisiva sci-fi remake di un’altra vecchia antologia televisiva sci-fi risalente agli anni Sessanta)
Comunque! Il bello delle antologie è che si può parlare singolarmente di ogni episodio grazie a un comodo elenco numerato/puntato/entrambi. Evviva! Scelgo “entrambi”. Comincio.
• 1 The Thing in the Woods (Alejandro Brugués)
Non lo so proprio cosa ci sia nel cinema di Sam Raimi che lo rende la persona che più probabilmente ti viene voglia di copiare se vuoi fare un horror che sia insieme divertente, spaventoso e pieno di sangue e violenza. Ma a parte le cazzate, LA COSA NEI BOSCHI è il modo migliore per aprire un’antologia, qualsiasi antologia, anche quella di autori greci al liceo classico. È uno slasher con il serial killer che va in giro con una maschera da saldatore e insegue un gruppo di adolescenti che si erano riuniti nella capanna nei boschi di uno di loro per un weekend di sesso e alcool; solo che inizia in medias res, disinteressandosi di metà delle regole dei buoni slasher (prima su tutte rispondere alla domanda «chi sono questi, e perché dovrei volerli vedere morti?»), e lo fa con una tale arroganza e sicumera che è impossibile non restare ipnotizzati. È un DOVE ANDRÀ A PARARE scritto grosso così che se ne frega della domanda implicita e spara le sue cartucce migliori prima ancora di rispondere, o almeno così sembra, finché la risposta arriva davvero e io ho cominciato a saltellare sul divano tutto felice. Un deciso passo avanti per il nostro amico Alejandro dopo il simpatico ma mediocre Juan of the Dead e un episodio di ABCs of Death 2 che ho in tutta onestà completamente dimenticato (questa è colpa mia, non sua).
• 2 Mirari (Joe Dante)
Joe Dante che fa Ai confini della realtà ma anche un po’ il primissimo Cronenberg, il tutto immerso in un’atmosfera ospedaliera algida e immacolata che a tratti mi ha fatto venire in mente il sottovalutatissimo A Cure for Wellness e che rimane candida e intonsa anche di fronte al peggiore degli orrori, a contribuire ulteriormente alla costante sensazione di disagio e fastidio e schifo che permea tutto quanto. Non esattamente quello che mi aspetto da Joe Dante ma ehi, chi sono io per lamentarmi se questo è il risultato? La storia è che c’è una tizia che deve farsi una plastica facciale e si trova davanti il dottor Kildare in persona, e il resto è un crescendo di invito da parte mia a guardarlo e stop.
• 3 Mashit (Ryûhei Kitamura)
E così esauriamo la quota “folle giapponese”, sulla cui opera fin qui devo mio malgrado ammettere ignoranza. Quello che ci interessa non sono però le mie mancanze ma il fatto che il signor Kitamura gira una roba di possessioni demoniache in un convento in Messico e che il protagonista dell’incubo è il prete locale che si scopa una delle suore. Il risultato è un frullatone di drama alla sudamericana, simboli esoterico-satanici, pezzi di bravura a puro fine estetico, luci stronze, spettri che compaiono e scompaiono nel giro di un paio di frame, bambine che camminano come ragni e anche, inevitabilmente, una gran macelleria. Voto 666/10
• 4 This Way to Egress (David Slade)
Ma te guarda David Slade. Non è che io non gli riconoscessi del talento, ma l’hipsterata d’atmosfera in b/n sbattuta così in mezzo a tutto questo gioioso splatter mi ha spiazzato. Ancora di più perché funziona, cioè, non mi è ancora chiarissimo di che cosa parli questo segmento e sono convinto che nel tentativo di dargli un’aria misteriosa e sospesa l’amico David si sia perso per strada quel briciolo di chiarezza espositiva che avrebbe invece giovato all’insieme. Ma il punto è che ciò che succede in questa specie di orrendo ospedale (ancora) dall’aria vagamente lynchana per il quale si aggira spaesata Elizabeth Reaser, questo non-luogo abitato da creature deformi e da Adam Godley, è anche quel che più si avvicina in tutto Nightmare Cinema al concetto di “mettere in scena un incubo”. E quindi, al netto di un po’ di stronzaggine da intellettuale che non se lo può permettere, This Way to Egress è l’episodio più interessante di tutto il lotto, e probabilmente (insieme a Mirari) quello da cui ripartire se si vuole portare questo progetto in TV e farsi notare nel panorama attuale.
(l’alternativa, che personalmente consiglio, è ammettere che finirai comunque sempre paragonato a Black Mirror e mandare tutto in vacca abbandonando l’idea degli incubi per dedicarsi alla locura di Mashit e The Thing in the Woods)
• 5 Dead (Mick Garris)
Ahimè, ahinoi ma soprattutto ahilui, il peggior episodio del lotto è proprio quello diretto dal capo della baracca. Non che questa storiella di fantasmi e serial killer ambientata in un ospedale (e tre) sia un disastro, ma si muove su binari troppo familiari e prevedibili e non li abbandona mai, e punta tutto sulla bravura di Faly Rakotohavana (il regazzino protagonista) e sull’overacting del nipote d’arte Orson Chaplin, che sembra sia venuto al mondo per urlare tutte le oscenità che suo nonno non ha mai pronunciato. È tutto ultramega OK e formalmente inattaccabile, ma in questa collezione di incubi e deliri Dead purtroppo spicca per quanto è sdentato. Poco male, Garris sembra comunque più interessato a produrre e supervisionare, e l’episodio mi ha comunque dato modo di conoscere una persona che ha deciso di farsi chiamare Lexy Panterra.
• 6, oppure • 0 The Projectionist (Mick Garris)
Non è che ci sia molto da dire in realtà, sono brevi monologhi di Mickey Rourke e poi il finale del primo Indiana Jones, tutto illuminato di taglio per dare un’aria misteriosa a un posto (un cinema abbandonato dove vengono proiettati i tuoi incubi) che non ne ha un gran bisogno. Mi serve però per tirare le fila, e quindi: benissimo! Avanti di questo passo, se Mick Garris vuole tentare l’impresa di creare il “Masters of Horror degli anni Duemilaedieci e oltre” e il materiale di partenza è questo io sono già a bordo.
Poi certo da qualche parte c’è un ragionamento sul fatto che un film che si chiama Nightmare Cinema, e che si svolge dentro un cinema, sia nato per sgomitare nell’affollatissimo mondo della TV, e che almeno due o tre di questi corti sono con ogni evidenza pensati per l’impatto di uno schermo cinematografico e c’è il rischio che nel passaggio di mezzo si perda qualcosa (per necessità o per incapacità degli autori di adeguarsi). Ma ho già scritto un sacco e per ora preferisco godermi questo:
Netflix/Amazon Prime/Hulu/Chili/HBO/Sky/Tim Vision/quali importanti sponsor mi sono dimenticato di citare nel tentativo di farci dare soldi?-quote suggerita:
«Welcome to your nightmare»
(Mickey Rourke, proiezionista)
(è vendibile? È abbastanza paracula? È abbastanza corta?)
Quest`antologie sono sempre a meta` tra l`imbarazzante e l`inaspettato. Comunque fa sempre piacere vedere Joe Dante al lavoro, un altro che meriterebbe più rispetto di quanto ne abbia raccolto ultimamente.
Ma perché un buon horror sarebbe tale a partire dal colpo di scena (i due esempi citati vanno in quella direzione)?
Forse volevi alludere a qualcosa di sorprendente, inatteso, mai visto nell’accezione lovecraftiana ma il colpo di scena non mi pare necessario.
Nel senso, un buon film di fantasmi non è tale se alla fine mi svela che questi erano un “X” che non avremmo mai immaginato; piuttosto lo è se mette in scena le apparizioni in un modo imprevisto e angosciante, oppure dà loro una connotazione inedita senza per forza ribaltare tutto…
Pensieri a riguardo?
Che è esattamente quello che ho scritto?
Sono d’accordo con te. Un buon horror non c’entra necessariamente coi colpi di scena. Infatti non capisco cosa vuole dire il recensore qui.
Il “buh!!” è il modo più infantile di credere di fare horror; i finali alla Shamalaian sono diventati appunto un barzelletta.
(O era Shamalayan? Shama…. Sha…. quel che è.)
Orson Chaplin merita immediatamente un premio Jimmy Bobo della critica.
Orson Chaplin è stato uno dei nostri vincitori pure:
http://www.i400calci.com/2014/04/premio-jimmy-bobo-marzo-2014/
Lexus panterra la tipa che balla su insta vero? La amo
E in virtù di questo amore guarderò il firmese
come lo si recupera?
uscirà mai da noi in dvd?
grazie!
mi unisco alla domanda
Leggevo la bio di Lexy Panterra su IMDB e oh, secondo me è una redattrice dei calci ma non lo sapete.
Io vado pazzo per il genere “antologie di film di genere”, specie horror.
Sto giro il primo episodio (in cui il possibile sed improbabile titolo italiano potrebbe essere un clamoroso “quella cOsa nel bosco”) e il secondo sono ampiamente godibili e sopra la sufficienza.
Il terzo è una cacata micidiale in cui c’è un compiacimento fine a se stesso nel mostrare preti e suore che fanno a pezzi bambini, con l’aggravante che il demone usato per il poster del film è molto più inquietante di quello usato nel film.
Il quarto è il migliore del lotto a mani basse, un bel metaforones su depressione/esaurimento nervoso.
Il quinto è una loffiata che non ci si crede del nulla di cui è pieno
Ecco, QUESTO è un commento utilizzabile!!!
Mi interessa perché devo ammettere che io, di mio, le antologie non le sopporto, hanno sempre qualcosa di manieristico, che solo in un full-lenght sei costretto a limare.
L’episodio si presta ad atteggiamenti sofisti e spocchiosi che mirano a far vedere quanto il regista sia avanguardista di sto cazzo.
Hanno quell’aria da “… e alla fine si scopre che…” e l’ascoltatore che ode il proclama dello sborone di turno circondato di fighette fa “Woooooow ma l’hai girato te? Ma sei un genioooo!” e magari, se sufficientemente sbronzo, è pure sincero.
Non sopporto quel tipo di arte che sembra fatta su misura per autorizzare chi la fa a tirarsela, che emana quella sensazione di difficilissima definizione del ventitreenne che fa pianoforte in qualche megaconservatorio e poi ha velleità da Black Metal, perché nel suo ricco snobismo crede di avere anche lui un lato “evil” e invece è solo la sua parte snob, crudele, immatura, arrogante, e non c’entra nulla con l’oscurità meditazionale del Black.
Come disse una volta una persona, un satanista non è un criminale di questa nazione, è un soldato della nazione avversaria, c’è grande differenza.
Ecco, a me gli episodi (un tempo piacevano) hanno finito col trasmettere questa idea, che ora domina nella mia mente.
Se dici che questa antologia è robusta, me la guardo. Me la cavicchio con l’inglese, speriamo di capire bene i dialoghi…
Stavolta sono totalmente in disaccordo; è una boiata inaccettabile, sotto tutti i punti di vista. Non bastano i pupazzi di lattice e una valanga di deja-vu a ricreare le magiche atmosfere anni ’80 tanto care agli autori/registi. Le storie, ad eccezione di This Way to Egress (l’unica vagamente interessante), sono terribili, mal scritte e malissimo recitate. I tempi di Creepshow sono terminati.. adesso c’è da confrontarsi con Black mirror, e qui hanno perso malissimo.