La scena che fa più “male” di Raw, il primo lungometraggio di Julia Ducournau, è quella in cui la protagonista si fa fare dalla sorella una ceretta all’inguine. Stiamo parlando di un film la cui leggenda metropolitana recita “ALLE PROIEZIONI DEL TORONTO FILM FESTIVAL HANNO CHIAMATO LE AMBULANZE” e “LE VOLTE DOPO HANNO DISTRIBUITO I SACCHETTI PER IL VOMITO”. Ora, io ho il sospetto che un paio di persone a Toronto magari siano uscite dalla sala perché quel film non era la loro cosa, e ci sta, non è esattamente un film per tutti, Raw di Julia Ducournau, “il film sul cannibalismo che fa stare bene”; però poi da cosa nasce cosa, il telefono senza fili si propaga in fretta, la narrazione si è gonfiata in un lampo, e così da un paio di “no, grazie” si è saliti fino alle ambulanze etc. etc. Non so se sia andata così, ma mi sembra un’ipotesi quanto meno plausibile. Il bello però di quella scena, quella della ceretta brasiliana, non è la ceretta in sé, il modo in cui ti fa stringere i denti e gli occhi per il dolore e per l’attesa del dolore che è, evidentemente, essa stessa il dolore. È quello che succede subito dopo, è la direzione totalmente inaspettata in cui svirgola quella scena, che poi diventa cruciale per la protagonista, è praticamente il punto centrale del film, una svolta che cambia tutto, ma – e questo è altrettanto importante – fa anche super ridere. Non ve la racconto perché se non avete mai visto Raw la cosa migliore che potete fare è andare a vedervelo sapendone il meno possibile, ma credo che chi l’ha visto se la ricorderà.
Invece, la leggenda metropolitana che circonda Titane, il secondo lungometraggio di Julia Ducournau, Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, arriva sempre da Toronto (chissà come stanno messi, i giornalisti che vanno a Toronto) e recita: “OH, CI SONO DELLE PERSONE CHE A UN CERTO PUNTO SONO USCITE A VOMITARE, MA POI HANNO VOLUTO A TUTTI I COSTI RIENTRARE IN SALA PER VEDERE COME ANDAVA A FINIRE”, che se ci pensate è una delle cose più belle e poetiche e perfino un po’ commoventi che si possano dire di un film. Inutile ribadire che anche qua siamo dalle parti del MACCOSA: naturalmente ognuno di noi ha una sensibilità diversa e diverse cose che ci fanno più o meno impressione, e Titane è tutt’altro che un film rasserenante da consigliare senza remore al cineforum di quartiere del giovedì pomeriggio, ma a livello di “quello che si vede” secondo me un Hostel qualunque fa ben di peggio. Però, e questo è l’importante, fa quella stessa cosa che succedeva in quella scena di Raw: apparecchia un disagio, fa montare l’attesa, prepara il disgusto, poi va dove proprio non te l’aspetti e spesso fa pure super ridere. Non nel senso che è ridicolo, o che ti metti a sghignazzare sguaiatamente come davanti a uno stand-up comedian bravo, ma nel senso che, con tutto il suo trucidume, le sue cose rivoltanti, le sue impennate scioccanti, il volume del grottesco alzato a palla e pure quelli del dramma e dei sentimenti, non si dimentica mai di essere anche a suo modo una commedia.
E in sostanza, al secondo film più un corto, al di là dei giudizi che poi possono essere più o meno soggettivi, mi sento di amare Julia Ducournau soprattutto per questo: perché è una che rifiuta di farsi incasellare in qualsiasi etichetta, e lo fa prendendosele tutte, le etichette, scapicollandosi spericolatamente tra duecento tipi diversi di film dentro lo stesso film, dibattendosi con tenacia per rifiutare ogni scelta scontata; ma, nello stesso tempo, ha un controllo stupefacente su quello che sta facendo, è una regista con una visione cristallina, ed è anche una regista tamarra nel miglior senso possibile della parola, fieramente di genere anche mentre fa di tutto per non restare dentro i recinti di alcun genere. Mi sembra un’autrice che non ha paura di niente, e porca vacca se ne abbiamo bisogno di gente così.
Allora, Titane è appunto quel film in cui, come avrete sentito raccontare dagli impomatati e un po’ perplessi inviati dei telegiornali sulla Croisette, “una ragazza resta incinta di una macchina”. Che tecnicamente non è non vero, ma è come dire, boh, che Titanic (vado per assonanza di titolo) è la storia di un ragazzo che vince a carte i biglietti per una crociera. La ragazza in questione si chiama Alexia, lo stesso nome che aveva la sorella di Justine in Raw, e in entrambi i casi sembra una scelta abbastanza limpida: entrambe le Alexia si pongono fuori dalla legge, non solo quella costituzionale o civile, ma qualunque legge (o magari è solo che a Ducournau piace il nome Alexia, chi può dirlo, chi può leggere nella mente di Julia Ducournau, nessuno, questo è il punto). Tra l’altro in Titane ricompare anche Justine, interpretata dalla stessa Garance Marillier, in una piccola parte, ma non ci è ovviamente dato sapere se si tratti dello stesso personaggio.
Comunque. Titane. Alexia bambina fa un incidente in macchina nella prima scena, una bellissima scena in cui c’è già dentro tutto: lei che ama le automobili, il vuoto siderale dell’indifferenza del padre, una scelta musicale inaspettata, la tensione che sale piano a un passo dall’insostenibile. Dopo l’incidente le mettono una placca di titanio nel cranio e per un attimo è una piccola bimba Frankenstein, un po’ cyberpunk un po’ body horror, ma subito passano gli anni e Alexia è una giovane donna bellissima e supersexy (interpretata dalla modella Agathe Rousselle, mostruosa in svariati sensi tra cui quello di mostruosamente brava) che di mestiere balla sulle/con le/per le/nelle/fra le automobili ai motor show o eventi similari, dentro un pianosequenza pazzesco e ipnotico che ricorda quello incredibile della sudatissima festa in Raw. È quasi un musical, Titane, in quella sequenza (e anche in altre successive), ma poi diventa quasi un film di possessioni weird e feticismi quando la nostra fa, effettivamente, sesso selvaggio con un’automobile sconvolgendo per sempre i Nanni Moretti in sala. Dopo, per almeno un paio di scene, sei convinto di stare guardando un rape and revenge. Poi ancora, poco più avanti, parte la storia di una serial killer scatenata, con una mattanza gore girata con una felicità orgiastica che non ci si crede (qua è uno dei punti in cui fa anche super ridere, e gliene sei grato). E siamo solo a mezz’ora di film, cioè neanche a un terzo, ed è inutile che io stia a raccontarvi il resto, un po’ perché chi preferite che ve lo racconti, io o Julia Ducournau? E un po’ perché è il resto che, effettivamente, è ancora più difficilmente raccontabile di così, anche se è qui che entra in scena il secondo protagonista del film, un Vincent Lindon gigantesco in svariati sensi del termine tra cui quello di molto grosso.
Il fatto è che già per Raw i più simpatici tra noi facevano notare che Julia Ducournau mette “troppa carne al fuoco” (ahahahah). Qua ci stanno pure i pesci, i pani, le verdure, il dessert, la frutta e gli amari. C’è anche molto fuoco, letteralmente, perché tutto il cuore del film poi si svolge in una caserma dei pompieri, e diversi momenti cruciali prevedono l’innalzarsi delle fiamme. Non dovrebbe davvero “funzionare” (qualsiasi cosa significhi), un film come Titane, proprio come la sua protagonista non dovrebbe in effetti essere incinta di una macchina e perdere olio motore dai seni e dalle ferite che si autoinfligge quando cerca di farsi passare per qualcuno che non è. Sembra un film che scappa via da tutte le parti, che si agita di brutto anche quando (nella seconda metà) tutto sembra inaspettatamente fermarsi, aspettare, e forse è davvero questa la sua vera “provocazione” (nel senso di “scelta che vuole spiazzare/scioccare a tutti i costi”), ben più della violenza, dello schifo, del sesso o dei discorsi sul genere. E, a questo proposito: l’aggettivo “fluido” che in così tanti hanno affibbiato a Titane vale tanto per questioni strutturali-narrative-formali quanto per la fluidità di identità e di relazioni che mette in scena. Ha un’idea ben chiara di quello che vuole dire, quando parla di questo, e anche qui è un’idea che rifiuta categoricamente ogni tipo di etichetta o definizione precostituita: i protagonisti sono una donna che può essere contemporaneamente iperfemminilizzata e androgina, ipersessualizzata e asessuata; e un uomo pompato, allo stesso livello, nella sua virilità e nelle sue debolezze. Di più: nessuna di queste – e di altre ancora – identità è davvero fissa, ma i corpi, le soggettività, i rapporti, le famiglie sono letteralmente mutanti. L’unica cosa che davvero conta sono le relazioni, i modi in cui reciprocamente ci guardiamo, quello che scegliamo di essere soprattutto gli uni per gli altri. Tutto questo è molto chiaro, grazie al contesto postumano che vede fondersi, fin dal principio, l’organico e l’inorganico: non c’è confine che non si possa oltrepassare tra ciò che è carne e ciò che è metallo, tra ciò che è sangue e ciò che è gasolio, figuriamoci cosa ce ne facciamo di concetti come “maschio” e “femmina”. E però Titane non è un film programmatico, non vuole dimostrare nulla: la fluidità è il suo frame, la sua cornice, la sua materia, le acque in cui si tuffa per inseguire una storia che, come già detto, non ha alcuna intenzione di farsi prendere né tantomeno di farsi imprigionare.
Perché alla fine mi sembra che a Ducournau interessi prima di tutto, e sopra ogni altra cosa, il cinema, e quello che col cinema ci puoi fare anche, e soprattutto, se ti dicono di no. Ci sono dei momenti di tenerezza tanto estrema e senza vergogna, in Titane, da fare più male di un fermaglio di titanio appuntito conficcato nel cranio. Ci sono sequenze tanto audaci, nella loro ambiziosa assurdità, da rischiare di sfracellarsi in una risata di scherno, e invece riescono miracolosamente a volare, sulle ali opposte della sincerità e dello humour, sempre un millimetro sopra il punto di non ritorno. Ci sono immagini e parallelismi che ti si stampano in testa (uno per molti: il ferro affondato nell’orecchio e poi estratto e pulito come quando si controlla l’olio del motore) e non se ne vanno. C’è il miglior utilizzo possibile della Macarena, e il più fuori di testa. Ci sono momenti ipnotici, scolpiti nella luce e nei colori come se la luce e i colori – cioè la sostanza delle immagini – fossero materia fisica, tangibile. Ci sono, certo, le citazioni ineludibili, Cronenberg e Tetsuo e compagnia bella, ma ci sono anche una voce e uno sguardo nuovi, ancora tutti lucidi per il poco uso ma che se ne fregano dello sporco o dei graffi, anzi li cercano, i lividi e le cicatrici. Ci sono la curiosità e la determinazione e la sfacciataggine e il coraggio di voler andare oltre, e non per scandalizzare qualcuno o qualcun altro, ma molto più semplicemente per vedere cosa c’è, là dove non abbiamo ancora guardato, dove non siamo ancora stati. E nessuna preoccupazione per concetti come “riuscito” o “puro” o “piacevole”, nessun rispetto per “le aspettative”, perché non è con queste cose che si va davvero là dove nessuno è stato prima.
Serve mollare i freni e la paura, e questo Titane lo sa, e soprattutto lo fa.
Dvd quote: “Donna al volante, MACCOSA costante”, Xena Rowlands, www.i400calci.com
Oppure: “Donne e motori, MACCOSA e MACCOSA”, Xena Rowlands, www.i400calci.com
grandissimo dispiacere che la mia completa avversione per il gore/trucido/macello/serbianmovieismi vari mi impedirà di vederlo, visto che pare essere “tanta roba”.
(e grazie moltissime a @Xena per avermi comunque regalato un posticino a fondo sala, dietro una colonna :)
ma non è vero, non c’è gore e seriamente non capisco di che diavolo stia parlando la gente e se abbiam visto lo stesso film. c’è lei che ammazza qualche persona con oggetti appuntiti e c’è un po’ di sangue, tutto qui.
tutta ‘sta storia della violenza e del gore sono sensazionalizzazioni del cazzo dette da gente che in vita sua non ha mai visto un horror.
Speriamo che non sia un film che fa cagare, altrimenti da Toronto si rischierá il ” Oh, in Italia la gente é uscita dal cinema per cagare, ma poi é voluta rientrare in sala…”. Battutacce a parte: a parte l’idea da folgorati della ragazza pancina macchinina, ( folgore che c’ era anche in un The Human Centipede , ma che mai ha vinto una qualsiasi Palma, per dire) qui c’ é un ” messaggio” che giustifichi il premio? Perché dalla rece, forse per limiti miei, non mi é arrivato. Non che sia obbligatorio un ” messaggio ” , ma mi chiedevo…
Interpretazione mia: (OVVIAMENTE SPOILER)
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Dopo l’incidente ha avuto un trauma per cui lei perde la sua umanità e diventa anche lei una macchina nel corpo di una persona (non uso maschile e femminile apposta), vedasi il bacino che da all’auto da piccola e le danze erotiche nella prima parte. Tutto il film è poi un processo per cui Alexia ritrova la sua umanità nel rapporto con Vincent. Fosse stata ingravidata da un maschio non avremmo avuto il discorso sui generi e la sua disumanizzazione sarebbe stata più debole.
Ciao!!
Il film non l’ho ancora visto ma lo vedrò di sicuro. Ma leggendo la recensione mi sorge un dubbio. Più o meno le stesse cose non le aveva dette 25 anni fa, Cronenberg con Crash ?
È esattamente il motivo per cui a me ha lasciato freddina. Mi pare tutto già abbastanza visto lì
Quindi tu avendolo visto hai avuto la stessa impressione?
Questo è molto meglio
“A-lexia” = senza legge. Lo dice il nome. È lo stesso motivo per cui Anthony Burgess ha chiamato il protagonista di A Clockwork Orange “A-lex”, appunto.
Capisco, ma può davvero un autore usare un maccheronismo per fare un raffinato gioco di parole culturale? Perché l’etimologia di Alexis, in tutte le sue varianti, non è certo fatto da un’alfa privativo (greco) + legge in latino – e infatti abbiamo già le parole anomia (mancanza di legge) e anarchia (mancanza di potere, nel senso di principio ordinatore della società). Al contrario Alexis è il difensore.
Poi per carità tutto può essere o magari Burgees lo ha anche dichiarato esplicitamente, ma mi pare strano
Dato che Raw mi è piaciuto MOLTO attendo di averlo visto per poterne scrivere di più. Dico solo che avendo rivisto Crash (in doppia visione con Videodrome) qualche mese fa ho molta attesa.
In questo post pieno di bizzarrie la più sconvolgente è scoprire che Nanni Moretti ha un account Instagram.
Nanni Moretti dopo aver visto questo film ha detto “sono proprio vecchio”, ma in realtà era già vecchio quando ha detto quelle cose idiote su Strange Days, in Aprile, trent’anni fa.
Era già un boomer (con significato 2021) 30 anni fa
a me alla fine è piaciuto per vari motivi ma purtroppo non l’ho capito. tutta la questione dell’automobile mi è sembrata buttata lì a caso per far scena (ovvio che non è così ma io non ho afferrato), se lei fosse rimasta incinta di un uomo normale il film si sarebbe svolto nello stesso identico modo.
Interpretazione mia: (OVVIAMENTE SPOILER)
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Dopo l’incidente ha avuto un trauma per cui lei perde la sua umanità e diventa anche lei una macchina nel corpo di una persona (non uso maschile e femminile apposta), vedasi il bacino che da all’auto da piccola e le danze erotiche nella prima parte. Tutto il film è poi un processo per cui Alexia ritrova la sua umanità nel rapporto con Vincent. Fosse stata ingravidata da un maschio non avremmo avuto il discorso sui generi e la sua disumanizzazione sarebbe stata più debole.
Di Raw le cose più rivoltanti non erano il gore o il cannibalismo, ma il bullismo e il nonnismo di quegli studenti di merda. Il fatto che uno si scandalizzi per un dito mangiato ma non per delle matricole trascinate fuori dal letto di notte con violenza mi fa USCIRE DI TESTA.
Nessuno la può giudicare, spike lee ha fatto la cosa giusta ma il joint gli ha dato alla testa, è un bad trip in titanium unibody… e nanni lo aspetto al varco che cita la rece di Xena in un metafilm tratto da una sceneggiatura scritta da una macchina-da scrivere-underwood, per sopravvivere ai felafel contromano.
Curioso sulle scelte musicali di cui parli, Xena: il “Ma che freddo fa” alla fine di Raw mi aveva piacevolmente sorpreso.
Speriamo che non sia un film che fa cagare, altrimenti da Toronto si rischierá il ” Oh, in Italia la gente é uscita dal cinema per cagare, ma poi é voluta rientrare in sala…”. Battutacce a parte: a parte l’idea da folgorati della ragazza pancina macchinina, ( folgore che c’ era anche in un The Human Centipede , ma che mai ha vinto una qualsiasi Palma, per dire) qui c’ é un ” messaggio” che giustifichi il premio? Perché dalla rece, forse per limiti miei, non mi é arrivato. Non che sia obbligatorio un ” messaggio ” , ma mi chiedevo…
I messaggi sono per gli squallidi
Parliamo di film o di sms?
Di film. In genere, o a volte, per vincere un premio “best film”, devi lasciare un messaggio , molte volte politically correct o che ci giri attorno. Qui c’ é o é solo roba strana che fa fare gulp allo spettatore, ma non fa fare mumble? Tutto qui.
ho capito dai, lo scarico via torrent solo per il fikifiki con la macchina e mi risparmio il resto
Visto un paio di giorni fa. Dopo i primi 20′ volevo lasciare la sala, sono rimasto fino alla fine ed ai titoli di coda mi sono detto “e quindi?”. La stessa identica sensazione che ebbi dopo aver visto “The Square”, sempre premiato con la Palma d’Oro un paio d’anni fa
Non posso dire sia un cesso e posso anche apprezzare l’idea di non seguire schemi troppo precisi, di voler cambiare registro, di essere allo stesso tempo molto “concreto” e metaforico. Però sinceramente non mi ha lasciato nulla, e non lo rivedrei neanche sotto tortura
Visto ieri al London Film Festival, dove c’era la premiere con regista e attori.
È uno di quei capolavori che escono solo una volta ogni tot anni, pieno di punte di genialità.
A quelli che pensano a priori che sia pesante posso solo dire che in sala la gente spesso si girava per non guardare. A fine proiezione prima si sono ripresi per un minuto, poi hanno applaudito sonoramente, poi sono scappati a prendere aria.
La trama è chiarissima, dolente e commovente, ma sono lo humour nero e il cosiddetto body horror a elevare il film a capolavoro. Ed è anche stiloso.
Ora sarà interessante vedere come riuscirà ad andare ancora oltre.
Avendo molto apprezzato Raw (anzi, mo me lo rivedo) avevo grosso hype nei confronti di Titane, sono contento di vedere che la Ducournau è un talento vero. Spero di vederlo al cinema
Il film è fin troppo pasticciato. C sono almeno 3 film in uno e svacca da tutte le parti: si passa da un “blocco” all’altro con una logica e degli intenti abbastanza chiari (checché se ne dica) ma la sintassi è debole. Però allo stesso tempo è un film magnifico e lei è un genio.
Io l’ho trova più un As boas Maneiras ma semza la seconda parte.
Analisi pressoché perfetta. Pensare che la cosa che ha fatto più rumore di Titane è stata questa: è un film dove una tizia si zompa una Cadillac. Come fa un film così a vincere persino la palma d’oro a Cannes? Fine. Già questo significa che uno del film non ci ha capito nulla. E anche se non vi fosse nulla da capire tu spettatore che parli di Cadillac non ci hai capito nulla lo stesso. Titane parla di una tizia che fa una fatica immane a restare al mondo. Una che è infastidita dagli umani persino e soprattutto quando dimostrano affetto. Nessuno mi può giudicare, che meraviglia. “Ma quanti siete?”. Cazzo, è pure divertente Titane quando vuole. Sì ok Cronenberg, ok Tetsuo, ok il body horror e la torta Sacher ma bisogna almeno (i detrattori) riconoscere alla Ducournau il coraggio di dire “Cinema ne vuoi un po’ di benzina?”. Gimme fuel, gimme fire. Gimme that which I desire, uh! Questo è un film che vuole smuoversi dai generi, ed intendo anche quelli sessuali. Fluidità di genere, potremmo dire. I corpi. Ecco un’altra cosa che mi ha fatto pensare che il film funziona. I corpi si sentono. Io li sentivo. Fa ridere ma sentivo pure una macchinetta per rasare i capelli. Quindi, i generi, la sessualità, il corpo, lo stare male al mondo. Mi sembra parecchia roba per un film che viene indicato come “Quello dove una tizia si zompa una Cadillac”. E non è neppure finita qui. Già perché Titane è anche una storia di genitorialità, di figli e ancora una volta di distanza da ogni incasellamento. Sei mia figlia? Non sei mia figlia? Non mi importa, io per te ci sarò sempre. Alla faccia della famiglia tradizionale. Ci sono nuove identità in Titane, che possono apparire mostruose. Ma sono identità in fase di sviluppo, di nascita, di scoperta. In Titane queste identità ci mostrano quanto superare una forza antagonista (per citare Robert McKee) che è innanzitutto dentro te stesso possa costituire il limite tra il voler vivere o il morire. Ci caschiamo poi sempre, per contrastare o accettare i conflitti abbiamo bisogno degli affetti. Ecco forse il cuore del film della Ducournau. Un corpo nudo che ti supplica di non abbandonarlo. Certo lo si può detestare Titane ma se al contrario lo si ama è un film che ti ricambia ampiamente.
Grazie. Ho chiesto piú volte “ma c’ é un messaggio che giustifichi il premio?”. Ora lo guarderó. Ero convinto fosse solo “tizia fa cose strane, gulp, diamoci un premio”.
Ma anche no
esatto
non c’entra niente ma.mi ha ricordato un po’ Brunson …però questo è semplicemente più brutto
Visivamente incredibile, ma effettivamente molto più astratto e freddo rispetto a Grave (che cito col titolo originale francese, perché non si capisce come mai in italiano l’abbiano tradotto RAW).
Sempre per parlare di territorio transalpino, agli spettatori italiani probabilmente sfugge tutto il meccanismo dei pompieri, che in Francia fanno molte più cose che in Italia, compresi gli interventi rapidi di pronto soccorso, ma soprattutto che hanno tutto un immaginario super macho incredibilmente ambiguo, con tanto di calendari dei pompieri muscolosissimi e tutti nudi e festa del 14 Luglio con la caserma tutta addobbata a festa e i pompieri che fanno i balletti e/o gli spogliarelli.
premessa: ho preso l’abitudine di venire a leggere le recensioni (e le discussioni) qui su i400calci, anche mesi o anni dopo l’uscita del film in questione, perché credo sia uno degli ultimi avamposti rimasti di cinema.
premessa 2: anch’io ho messo 2/3 volte la mano davanti agli occhi in alcuni passaggi, ma andiamo avanti.
Quoto in toto la seconda parte della recensione e l’interpretazione che viene data al film (che bello interpretare, e non spiegare…le cose, soprattutto artistiche, si interpretano, non “vi spieghiamo tot film” “la spiegazione del finale di tot film/serie”…vi odio)
aggiungo una cosa: la regista tende a sottolineare il titolo che ha scelto, titanio. E allora un’interpretazione ulteriore può rintracciarsi nell’elemento metallico che funge da fil rouge dalla prima scena all’ultima del film. La placca di titanio iniziale come elemento scatenante/casuale nella vita per scoperta dell’identità di genere, il fermacapelli in metallo (titanio? e di cui si sottolinea con il suono di esserlo) lo strumento da cui ci si difende dal mondo per affermarla, i rapporti sessuali con le macchine (di metallo) come appartenenza e affermazione della libertà sentimental-sessuale, l’accettazione e la non accettazione della gravidanza metallica, osteggiata, coperta, punita con lo strumento di cui sopra, la partorienza di un essere con già la “spina dorsale” in titanio, come lascito che si possa avere la libertà come colonna vertebrale nella vita già dalla nascita.
a margine: il fuoco monda, purifica, la famiglia di appartenenza come i commilitoni, ma non Lindon, che non riesce a darsi fuoco da solo e promette di accudire e difendere il nascituro di titanio