Kuala Lumpur.
Merda.
Sono ancora soltanto a Kuala Lumpur. Ogni volta penso che mi risveglierò di nuovo in Indonesia, nel 2011… Quando tornai a casa, dopo la prima visione di The Raid, fu anche peggio… Mi svegliavo e c’era il vuoto. Quando ero là volevo essere qui, quando ero qui non potevo pensare ad altro che a tornare al cinema… O almeno su Netflix. E infatti ora sono qui, da una settimana, in attesa di un’ispirazione. Ogni minuto che passo in questa stanza divento più debole. E Adrian Teh – sì, il regista di questo film malese che ho guardato sperando in una scintilla – Adrian Teh, ogni minuto che passa accovacciato nella giungla, diventa più forte… Ogni volta che mi guardo intorno, le pareti mi stringono sempre più da vicino…
Vedete, se voi mi diceste che avete guardato The assistant su Netflix attirati dalle immagini di scena e dai teaserini, che facevano presagire gran botte malesi (che non sono proprio gran botte indonesiane ma insomma dai) e magari da qualche sparuta recensione che parlava di “cose matte!”, io non vi biasimerei. È quel che è successo a me. Cioè – a me non è successo proprio così, a me ha imposto Nanni di guardarlo, ma lui ci scommetto che è stato attirato dai teaserini e dalla Malesia e dalle “cose matte!”. Non vi biasimeremmo. Quel che mi sono trovato davanti invece è un po’ diverso, eppure uguale, ma molto diverso. Mi spiego meglio?
Ok. Prima però ci tocca un po’ di trama.
Il povero Zafik esce di prigione dopo dieci anni. C’era finito perché gli avevano trovato in macchina della droga non sua, e ora è super triste e super deciso a scoprire chi gli ha ammazzato moglieffiglio mentre lui stava al gabbio. Per chiarire di che tipo di moglieffiglio sto parlando: sto parlando di quel genere di moglieffiglio la cui unica personalità è ridere felici in un pajo di flashback mentre sguazzano in piscina o scherzano all’autoscontro come dei dementi, e poi piangono, e poi zac, morti.
Nel frattempo, il migliore amico di Zafik, Sam, è diventato un pezzo grosso, di quei pezzi grossi che infilano parole inglesi a caso tipo Zampetti e hanno sempre l’aria di chi non la racconta giusta. Durante le sue indagini, Zafik incontra lo stravagante Feroz, un tipo davvero wow, un matto vero amici, uno che si presenta come il cugino della moglie morta e con la sua indole tutto pepe si unisce a Zafik nelle indagini. Feroz, interpretato dal baldanzoso Hairul Azreen, è caratterizzato dall’assenza di misura e dalla sua coglionissima risata, che egli nel corso del film non manca di sfoderare talmente tante volte che sono sicuro che d’ora in poi, se mai mi troverò a parlare con qualcuno di questo film, mi verrà automatico imitare quella fessissima risata di merda, arrivando a identificare l’intero film con quel tormentone, un po’ come quando parli del Labirinto del fauno e ti viene naturale metterti le mani aperte sugli occhi a palmi in fuori, solo che in questo caso non c’è gioia ma solo disprezzo. Quel genere di risata lì. Insomma, ridendo e ridendo, Feroz si impone subito come quello che non esita un istante a menare le mani e ammazzare gente a mazzi, laddove invece il povero Zafik ripudia la guerra e ha sempre le crisi di ansia. Ma da dove sarà uscito fuori questo Feroz??
La prima scena d’azione del film, con Feroz che si esibisce in una serie di combattimenti violenti ma non troppo, discretamente inventivi ma non troppo, arriva dopo quaranta minuti di film. Quaranta minuti nei quali io avevo ormai perso le speranze che questo fosse non dico un film di botte, ma anche solo un film d’azione. E tanto vale che ve lo dica: quella prima scena d’azione è anche la migliore delle (poche) che ci spettano. Il resto è il manuale del registello che deve girare le mazzate ma vuole tanto farci sapere che lui è bravo anche in altro, con risultati simili a quando Prachya Pinkaew infarcì The protector di pessime storyline di gangster perché non si pensasse, sia mai, che lui era solo quello delle gomitate di Ong Bak. Che poi ok, a dire il vero anche Gareth Evans aveva fatto lo stesso con The raid 2, ma a parte il fatto che siamo su due pianeti diversi dal punto di vista registico, il problema principale di The assistant è che l’azione, quando arriva, non è degna di essere nemmeno la cacca di cane pestata dalle suole delle scarpe di Evans, Pinkaew, e aggiungiamoci pure il Timo Tjahjanto di La notte su di noi. Adrian Teh, bontà sua, ha in mente tutti questi modelli, ha probabilmente il sogno di fare un film malese che possa stare in questo pantheon, ma ha in mente anche molto di più. Ha in mente “un colpo di scena ricco di profondità e complessità”, come recitava il bigliettino del biscotto della fortuna (“Dirigerai un film con un colpo di scena ricco di profondità e complessità”) che ha ispirato questo film.
Ora, io non voglio fare quello che inizia le frasi con “Quando ero in Cambogia”, ma quando ero in Cambogia trovai una bancarella che vendeva DVD pirata, e tra le tante copertine taroccate in esposizione notai un cofanetto del Circo volante dei Monty Python che poteva vantare (1) una grafica copiata da Full Monty, (2) la foto di alcuni inglesi allegroni che non erano affatto i Monty Python bensì probabilmente il primo risultato trovato su Google cercando “inglesi allegroni” e (3) dei copincolla di pezzi di frasi a caso tra cui un inconsapevolmente geniale “Graham Chapman digitally remastered” che mi aveva fatto pensare a un trattamento del Flying Circus in stile Star Wars, coi morti riesumati in CGI.
Scattai una foto alla copertina ma non comprai l’oggetto, salvo poi pentirmene: chissà che cosa contenevano quei DVD, e a quali livelli di qualità audio-video.
Perché vi dico questo, vi chiederete? Prima di tutto perché è un fatto divertente che non racconto mai abbastanza ai miei amici, e voi siete tutti miei amici.
In secondo luogo perché The assistant è proprio questo: la versione copincollata, piratata e frankensteinizzata di altra roba venuta meglio. E quando parlo di “altra roba venuta meglio” non parlo solo dei già citati indonesiani, thailandesi e compagnia menante: parlo anche di un altro film americano molto famoso. Il già citato “colpo di scena complesso e profondo” è infatti lo stesso identico sviluppo di trama di un altro film famoso, ma così famoso che quell’inaspettato sviluppo è diventato praticamente proverbiale. Non è da me fare spoiler, perché la prima regola degli spoiler è che non si parla degli spoiler, quindi mi esimerò dal rivelarlo. Vi basti sapere che se avete visto dieci film in vita vostra capirete quasi subito dove si va a parare, forse l’avrete già capito dalla sinossi che vi ho raccontato poco fa; e l’effetto “copia tarocca di altri film più belli” si farà esponenzialmente più forte.
Volendo essere meno cattivi, possiamo metterla così: non è un caso se The assistant sta su Netflix. The assistant è la versione Netflix di altri film più belli, un The gray man ancor più anonimo nelle scene action ma con lo stesso coefficiente generale di dimenticabilità e di già visto. E se il menare non è mai particolarmente spettacolare, i menatori e le menatrici riescono almeno a destare un qualche interesse, dal protagonista Iedil Dzuhri Alaudin nel ruolo di Zafik, a Farali Khan che aggiunge un po’ di autentico atletismo a un personaggio visto sei milioni di volte (l’algida factotum del riccone). Ma il film è ovviamente in pugno a Feroz, e Hairul Azreen se lo mangia facendo tutte le faccette del mondo, ridendo costamentemente come uno scemo, ma soprattutto sfoggiando muscoli e acrobazie più che degne. Azreen ha già lavorato con Adrian Teh in un film intitolato Wira, in cui c’era pure “Mad dog” Ruhian (ne abbiamo parlato). Che dire? Gli auguriamo un futuro nel ruolo di “scagnozzo che muore subito n°2” in qualche produzione americana a medio budget.
Per finire, chi di voi fosse arrivato eroicamente fino in fondo a questa recensione potrebbe chiedere: ma allora le fantomatiche “cose matte!” di cui si vociferava all’inizio? Ottima domanda. Quei pochi recensori che hanno parlato di “cose matte!” si riferivano esclusivamente all’ultimissima scena, una specie di twist strambissimo che dura cinque secondi e sembra presagire un sequel. È l’unica idea non dico eccelsa ma almeno sorprendente di tutto il film, ma anziché fomentarmi per un eventuale The assistant 2 mi ha solo fatto incazzare perché, dio cristo, non potevi sfruttare quest’idea e piazzarla dentro il film, portando avanti la trama da lì e giocando di moltiplicazione, visto che di originalità manco a parlarne? E invece no, per questa volta ci dobbiamo accontentare di 40 minuti di flashback con madreffiglio e di una mezza dozzina di plagi.
Vabbè.
DVD-quote suggerita:
«Quando c’erano loro, le botte arrivavano in orario»
(Luotto Preminger, i400calci.com)
Volevi una missione, e per i tuoi peccati, Nanni te ne ha data una.
Questo titolo mi ricorda una cosa della fine degli anni ’90, quando cioè c’era già l’internet ma non ancora il file sharing nè tantomeno lo streaming, ed i film stranieri, anche quelli americani, uscivano da noi settimane se non mesi dopo l’uscita originale (che tempi, eh?). Avevo trovato non ricordo come il sito illegalissimo di questo tipo in Malesia che piratava film a poco prezzo. Io gli mandavo i soldi tramite western union e lui mi mandava i DVD, una cosa puramente di fiducia ma non ha MAI combinato casini. E io coi miei amici lo chiamavo “Sandokan, il pirata della Malesia”.
Ecco, non c’entra niente ma lo volevo dire.
bellissimo ricordo
Grazie fratello
Possiamo sempre sognare. Secondo me nel DVD c’erano:
– Spezzoni di Benny Hill
– Un episodio a caso di Fawlty Towers
– Il primo tempo di Full Monty doppiato in malese da un solo attore monocorde
– Spezzoni dal film And Now for Something Completely Different però con i tagli che non coincidono con l’inizio degli sketch
È la stessa identica trama con colpo di scena finale di “Felipe ha gli occhi azzurri”. Hai lasciato troppi indizi, chi cazzo lo guarda adesso? Forse io. O lui.
qual è il twist finale?
In “Felipe ha gli occhi azzurri” si scopre che Felipe non ha veramente gli occhi azzurri. Però è un attimo, te lo fanno vedere per pochi secondi e devi essere bravo. Tu pensi per tutta la serie che Felipe sia solo Felipe, e invece… Su questo film non mi sento di spoilerare, anche perchè il suo nome è Luotto Preminger, il suo nome è Luotto Preminger, il suo nome è Luotto Preminger, e mi sa che s’ incazza.
Avevo visto The assistant qualche tempo fa, ma mi ero perso la tua recensione.
E quale è stata la mia sorpresa nello scoprire che nella foto dei “inglesi allegroni”, che poi sono spagnoli, c’era in realtà un mio amico, ovvero l’attore, improvvisatore e mico valenciano Carles Castillo? (E’ quello con la faccia all’altezza del bracci
Agevolo sui siti così puoi verificare tu stesso
https://www.valenciateatros.com/imprebis-el-mejor-teatro-de-improvisacion-en-el-chapi-de-villena/
https://carlescastillo.net/
Avevo visto The assistant qualche tempo fa, ma mi ero perso la tua recensione.
E quale è stata la mia sorpresa nello scoprire che nella foto dei “inglesi allegroni”, che poi sono spagnoli, c’era in realtà un mio amico, ovvero l’attore, improvvisatore e mimo valenciano Carles Castillo? (E’ quello con la faccia all’altezza del bracci
Agevolo i suoi siti così puoi verificare tu stesso
https://www.valenciateatros.com/imprebis-el-mejor-teatro-de-improvisacion-en-el-chapi-de-villena/
https://carlescastillo.net/
Ma è incredibile! Chissà se sa che è stato piratato come Monty Python nel sud est asiatico