E alla fine il 2010 verrà ricordato per essere stato l’anno in cui A Serbian Film NON era necessariamente il film più pesante in circolazione.
E come avrete intuito, c’è soltanto un uomo capace di alzare il livello senza che nessuno – a parte l’eroica redazione dei 400 Calci – se ne accorga: Uwe Boll.
Bisognerebbe essere in grado di parlare di Darfur dimenticandosi che si tratta di un film sul Darfur, una cosa vera, una cosa discretamente grave, una cosa che andrebbe trattata con una delicatezza di cui Uwe Boll non è capace ma soprattutto non ha voglia. Nel processo alle intenzioni, io preferisco sempre pensare in positivo, dare per scontato che Uwe abbia comunque pensato al meglio e che le grossolanità e le scene eticamente dubbie siano soltanto frutto della sua ignoranza congenita. Alla fine siamo negli stessi territori di The Passion of the Christ, dove per inculcare un messaggio si adagiano i personaggi su due righe di descrizione e si calca sulla violenza a più non posso. Per qualcuno funziona.
In realtà, il vero modello adottato da Uwe pare essere il nostro Cannibal Holocaust. C’è la premessa della troupe di giornalisti che vanno a indagare su atroci violenze commesse in un luogo misterioso/pericoloso, e c’è la divisione in due atti di cui uno documentaristico e l’altro no, anche se qua sono nell’ordine invertito. La prima parte consiste infatti nei nostri protagonisti – l’idealista Kristanna Loken, il dennishopperiano Edward Furlong, il sottosfruttato Billy Zane, l’eroico David O’Hara e un altro paio di uomini inutili – che vanno in giro a intervistare i poveri abitanti di un villaggio nel Darfur: Uwe sostiene di aver recuperato alcune vere vittime di violenze varie, e non si fatica a crederci visto che in molti casi la naturalezza e l’abbondanza di dettagli degli intervistati è tale da farti venire il dubbio che non si sia spacciato per chissà quale inviato del TG piuttosto che come il regista di Blubberella, mentre in altri casi preferiresti che non fosse vero.
La seconda parte è invece quella dell’assalto da parte degli arabi, ed è quella più pesante ed efficace: il diplomatico che accompagna gli americani è convinto che la loro presenza, con tanto di telecamere, possa essere uno stratagemma per farli desistere dal commettere violenze, ma si sbagliano di grosso. Dopo una prova abbastanza inconfutabile che gli invasori fanno sul serio in una scena che setta il tono di ciò che sta per arrivare (SPOILER: buttano in terra un neonato – voi avreste avuto altre domande?), i giornalisti ottengono di potersene andare incolumi mentre i locali vengono massacrati in santa pace e con dovizia di particolari. Qualcuno però non resiste ai sensi di colpa e decide di tornare indietro e fare il possibile (SPOILER: ben poco) per limitare i danni.
Uwe non ha mezze misure: per fare un film su un genocidio insensato, mostra un genocidio insensato. Puro e semplice. Al che ci si divide a sensibilità. Vi dà fastidio vedere un problema vero e molto grave trattato con i guanti di piombo da un regista su cui gravano sospetti di opportunismo? Avete tutti i motivi per starne alla larga, così come probabilmente state già alla larga dai TG nazionali. Riuscite a distaccarvi il giusto dal concentrarvi solo sui meriti principalmente cinematografici? Ci troverete un Uwe al suo meglio, secco ed efficace come pochi, supportato da attori in palla (David O’Hara su tutti) che tappano parecchi buchi, e capace di tirare cazzotti allo stomaco di quelli che non si dimenticano (SPOILER: il neonato di cui sopra non è l’unico neonato ucciso male davanti alla telecamera).
Fosse stato un remake di Deodato avrei applaudito senza riserve. Ma è il Darfur e, pur essendo ideologicamente meno schifato di quello che temevo all’inizio (Pearl Harbour rimane ben peggio), sto ancora nel partito di quelli che avrebbero preferito veder trattare la materia in modo un po’ meno superficiale.
Auschwitz inizia a farmi paura.

uno di quelli a cui tutto sommato va bene
DVD-quote:
“Se è questo che serve per sensibilizzarvi, ben venga”
Nanni Cobretti, i400calci.com
nooooo! ma dove l’hai visto?
E’ uscito in dvd
ah! così semplice…
Bene, è questo che voglio vedere, negri se si sparano, pensavo si fossero dimenticati della loro vera natura, Save the last dance e compagnia bella li aveva sviati. So che avete il ritmpo nel sangue ma per favore il riscatto sociale non puo’ essere affidato alle mossette.
ma Uwe Bol quanti film tira fuori in un anno solare? vuole entrare nel Guinness dei Primati?
..continuo a pensare che un regista pagliaccio come lui non debba affrontare temi del genere e passarla liscia. Non dico la censura, la aborro, e se non l’ho augurata a Serbian Film, non l’auguro a Boll.. ma sinceramente spero non abbia successo, neanche minimale, neanche cagato di striscio a chissà quale film-festival.
Non riesco a togliermi di testa l’idea che lo faccia solo per cavalcare l’onda della notorietà, della provocazione fine a se stessa, dell “look ma! No hands!!”…bah…
@jo: guarda, e’ un po’ l’uno e un po’ l’altro. Nel senso: sai chi e’ Uwe Boll? Riconosci di sicuro cose che attribuisci alla sua voglia di scioccare per farsi notare, e che in qualche caso e’ senz’altro cosi’. Non sai chi e’ Uwe Boll? Non ti accorgi di nulla. E’ un film-denuncia abbastanza grezzo e sicuramente pesante, ma tranquillamente credibile, e a qualche disinformato fa bene cosi’. Come dicevo, si sono viste cose infinitamente peggiori sia cinematograficamente che ideologicamente: cose revisioniste/razziste alla Pearl Harbour o The Passion of the Christ… questo alla fine dei conti e’ al massimo sempliciotto.
Revisionisti e razzisti Passion of Christ e Pearl Harbour? Ma quella battona di tua madre ti ha partorito dal culo, Cobretti, msero verme ritardato?
Eccallà, vedi che succede a litigarsi al derby di Coppa Italia con lo stadio vuoto che subito i bambini sentono le parolacce e le ripetono…
@Nanni: si, capisco quello che dici, è che proprio non riesco a togliermi dalla testa il “i did it only for the lulz” che gli vedo stampato in faccia ogni volta che viene intervistato o leggo una sua intervista… mah.. sperem…
Ah, già che siamo in tema Boll: ma Bloodrayne qualcuno ha avuto il coraggio di visionarlo?
@jo: solo il primo finora. Fa parte dei film in cui Uwe tenta di fare l’onesto mestierante e gli viene una cosa sempre mediocre ma non abbastanza da regalare risate (a meno che non pensi al fatto che Ben Kingsley ha rinunciato a Munich per fare quello).
@Nanni: quando penso a Ben Kingsley immediatamente penso quale sarà il prossimo cattivo che interpreterà, ormai è un marchio di fabbrica..
“Se questo è un culo” è il film che Uwe ha tratto dal libro di Primo Levi. Un film profondo, non superficiale, mai opportunistico, senza facilonerie di denuncia ma con un grande mestiere da professionista del cinema. L’inizio del film parafrasa il testo di Levi:
Voi che trombate sicuri
I vostri tiepidi culi,
voi che trombate tornando a sera
Il culo caldo e chiappe amiche:
Considerate se questo è un culo
…
Poi naturalmente continua, ma è meglio vedersi il film intero, per chi ama Uwe un appuntamento da non perdere. Se questo è cinema, naturalmente.
La domanda essenziale per me è un altra: la lettera f in rosso nel titolo sta per Fuck o per Fake?
Cobretti la recensione non è sbagliata di una virgola. Rimprovero solo l’equiparazione con Srpski. E perché è tutt’altra galassia -anche qualitativa- rispetto a Darfur, e perché dal paragone canniBoll holocaust non esce vincente: Srpski è destinato a restare l’unità di misura della futura sopportazione spettatoriale.
qualcuno mi da un sano link diretto per sto film?
se non sottolineato in italiano almeno in inglese o in spagnolo
tipo mega introvabile, cercare “Darfur” è un ago in un pagliaio
http://tinyurl.com/3gbxr2f